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3. C OSTRUZIONE DELLA REALTÀ FEMMINILE

1.3 Impegno nello studio

Allora, devo dire la verità, scegliamo un liceo quando abbiamo troppi pochi anni per capire in realtà quali sono le nostre propensioni, allora il liceo scientifico era l’unico liceo del mio paese che dava effettivamente delle possibilità, o meglio, era quel tipo di liceo di cui si diceva “Lì si studia, in altri posti no” e siccome ovviamente sono sempre stata una ragazza che ambiva a tante cose nella vita, ho detto: “Vabè, sicuramente prenderò questo”. Poi ovviamente durante il corso degli anni ho scoperto che quel genere di materie e quel tipo di studio non era fatto per me, o meglio, ci riuscivo ma impegnandomi forse troppo, facendo degli sforzi che non erano naturali quando hai una propensione, no? B., 25 anni.

Allora, io non ho mai fatto biologia e chimica, ho fatto un corso con una mia professoressa dei primi anni, perché io ho fatto scienze naturali i primi due anni, dopodiché hanno fatto un corso a scuola, lei è venuta a chiamarmi in classe, “Io faccio questo corso di pomeriggio, tu devi venire a frequentarlo”, io sono andata, ho recuperato molte nozioni di chimica, mi ha dato libri, mi ha dato quaderni, mi ha dato tanto su cui studiare e mi sono messa… Lei voleva quello e io lo facevo, cioè, mi inventava le cose per memorizzare meglio, inventava le filastrocche per ogni gruppo chimico, che io penso di non poter dimenticare mai, mi facevano ridere detti da lei, mi fanno ridere ancora oggi quando mi vengono in testa. Poi… questo nel quarto… in quinto ho avuto poco tempo, dovevo studiare per gli esami, dovevo studiare perché comunque dovevo andare bene anche all’ultimo anno, quindi io mi sono trovata a luglio a dover fare praticamente tutta logica, ripetere tutta chimica e fare tutta biologia, ho fatto tutta l’estate sotto i libri, studiando, sono arrivata al giorno del test che ero praticamente in panico. Ero arrivata la notte prima, non avevo dormito tutta la notte, mi son dovuta alzare alle 5, prendere il treno, andare fino a Lucca, non sapere che cosa mi aspetta, e… è stato praticamente le 3 ore più brutte della mia vita, perché non sapevo a che cosa andavo incontro, non sapevo se l’avrei superato. M. C., 19 anni,

No, la scelta dello scientifico è venuta prima… io non volevo fare neanche lo scientifico, io volevo fare tipo il classico, queste cose… sbagliando… perché poi penso che lo scientifico ti da delle grandi basi soprattutto se non sai cosa vuoi dopo, e a me è sempre piaciuta la parte scientifica, non so il classico come mi è girato poi alla fine. Ecco, il cambiamento di andare a Vibo piuttosto che a Soriano. Però mi ricordo che mia mamma mi faceva: “Guarda, tu ti conosci, tu invece di andare a Vibo, a studiare fino alle 3, tornare a casa alle 3, studiare, tu non c’avrai tanta vita sociale fuori alla fine, quindi c’è il posto a Soriano, c’è il liceo a Soriano, anche uno scientifico quindi le basi ce le hai.” Poi, ovvio, in un paese non puoi pretendere un grande scientifico però se alla fine tu hai la voglia di studiare le cose te le fai anche da sola, io penso… Io non ho mai studiato così tanto come al liceo, penso neanche qua all’università. S., 20 anni.

Tale categoria è descrittiva ed esplicativa della percezione e della rappresentazione che le intervistate hanno dell’impegno scolastico come strumento di realizzazione di un’aspirazione, di un’aspettativa personale e istituzionale o di un progetto.

Per il modo in cui è emersa durante il lavoro di categorizzazione, descrive e spiega l’impegno nello studio sia come una necessità avvertita dalle intervistate, sia come un’azione investita di aspettative personali e istituzionali; può dunque indicare l’impegno scolastico da intendere:

- come investimento strumentale nel percorso di transizione all’età adulta;

- come mezzo attraverso cui, in retrospettiva, sono state sviluppate conoscenze accademiche, capitale culturale, nuove aspirazioni e aspettative lavorative (Mantovani, 2013);

- come dimensione in cui agiscono e si relazionano orientamenti e aspettative personali e istituzionali. Il contenuto di questa categoria può essere idealmente distinto rispetto alla variabile della dimensione temporale; infatti, un elemento comune tra le narrazioni delle intervistate riguarda il ricordo, condiviso, dell’impegno scolastico, interpretato come strumento di crescita culturale, insieme di forze e tempo dedicati ai compiti e allo studio degli esami universitari, ma anche come un percorso di presa di coscienza del proprio impegno, avvertito a posteriori come eccessivo e, in alcuni casi, controproducente (Avere troppo poco tempo

per pensare, Impegnarsi tanto nella maturità, Studiare le cose così tanto da odiarle, Dedicare tutte le forze agli studi).

Tale percorso si distribuisce lunga la durata dell’esperienza scolastica e universitaria, subendo il condizionamento di influenze esterne, connesse alla sfera delle relazioni con i genitori, con l’istruzione e le infrastrutture del territorio abitato.

Tra l’adolescenza e il momento in cui sono state condotte le interviste, possono essere dunque individuati due momenti distinti: il primo corrisponde agli anni del liceo, una fase di impegno idealizzato nello studio, in cui i soggetti ricordano di non aver avuto piena consapevolezza di cosa avrebbe significato effettivamente frequentare l’università, studiare per gli esami in modo ripetuto e continuo nel tempo, impegnarsi nelle materie che le avevano affascinate e, in particolare, ignoravano, fin dal momento dell’iscrizione al liceo, quali discipline sarebbero risultate propedeutiche e ausiliarie per i test di ammissione e gli studi universitari (Avere

troppo poco tempo per capire le propensioni, Avere troppo poco tempo per fare una scelta così importante, Impegnarsi tanto nella maturità, Studiare così tanto da trascurare il resto).

Inoltre, gli ultimi anni del liceo costituiscono un momento, nelle biografie dei soggetti, in cui queste si sono trovate ad affrontare non solo il condizionamento esterno delle aspettative familiari, ma anche le pressioni provenienti dal contesto scolastico (Ricevere stimoli, Ricevere il sostegno dei professori).

È stato principalmente quando io mi sono sentita sostenuta e amata incondizionatamente e in tutto quello che facevo dai miei professori, là mi sono sentita veramente onnipotente, perché… Soprattutto la mia professoressa, mi hanno sempre spinto a fare di più, pure rispetto a quello che era il mio corso normale di liceo che dovevo fare, sempre di più. Io in primo liceo sono stata spinta a fare cose con il terzo, a leggere

i romanzi e fare slides e commentarle con l’autore, cose che in primo in genere non si fanno, o fare corsi di linguistica o corsi che al mio anno non si facevano ma i professori hanno creduto così tanto in me, come penso che io dalle medie non mi sono mai sentita spronata ad andare avanti, e quindi io da là ho detto: “Io posso seguire benissimo… io non ho bisogno della strada facile, posso fare benissimo quello che voglio nella vita.” M. C., 19 anni.

La seconda fase individuata corrisponde al periodo degli studi universitari, durante i quali l’idealizzazione provata nei confronti di un determinato ambito disciplinare, e le aspirazioni lavorative (Mantovani, 2013) sviluppate durante l’adolescenza, si trovano a confrontarsi con una sorta di ribalta che genera indecisioni e insicurezze.

Il confronto con discipline inaspettate e ostiche, l’impazienza di laurearsi (Cercare di immettersi quanto prima nel mercato del lavoro), la fatica provate nello studio per gli esami, la percezione scoraggiante del mercato del lavoro (Riflettere sulla concorrenza della professione di avvocato), il Senso di responsabilità avvertito nei confronti delle aspettative familiari: tutti questi sono fattori che generano Incertezza nei soggetti, contribuendo a un rimodellamento delle aspirazioni, ma non necessariamente della progettualità.

Quando vado a fare un esame e ho il risultato, è quasi come se lo fa un’altra persona, non è un voto mio, perché la mia insicurezza mi ha portato fondamentalmente a passare tutto il tempo sullo studio, a dare tutta me stessa perché, cioè, per ogni materia io facevo: “No, io questo non riuscirò mai a darlo, non sono all’altezza e quindi devo sfondarmi di studio per riuscire a passarla”, quando in realtà ci andavo pure bene e comunque me ne accorgevo e allora questo mi ha portato a trascurare praticamente tutto il resto e infatti è da un anno che, cioè… è da un anno che ho acquisito veramente consapevolezza che, innanzitutto, dedicando tutte le mie forza allo studio, arrivo anche al punto in cui sono stremata e non c’ho più le forze e neanche tanto i risultati, perché ovviamente ho perso tempo, cioè, tutta la lucidità che avevo prima a livello di studio io l’ho persa. Poi ho trascurato praticamente tutta la mia vita, tutta, perché, hmmm, poi me ne sono resa conto quest’anno tantissimo, è stato un anno molto difficile per me, hmmm… però… ho tanti motivi per cui ho fatto quello che ho fatto, ma non sono assolutamente validi a giustificare quello che ho fatto perché secondo me ho sbagliato a praticamente a dedicare anima e corpo, innanzitutto perché i risultati li potevo raggiungere con più tranquillità e magari arrivavo anche meglio all’obiettivo, più tranquilla. M. R., 24 anni.

A restare stabile, e condivisa, è infatti unicamente la propensione a volere rimanere nel Settentrione, uno spazio geografico in cui vengono proiettate tutte le aspettative di realizzazione personale delle intervistate.

Il range anagrafico delle partecipanti mi ha permesso di osservare, inoltre, come questo processo di assunzione di Consapevolezza si manifesti gradualmente attraverso gli anni dell’università: tutte le intervistate, anche le più giovani, manifestano da un lato, una sorta di riconoscimento nei confronti dell’esperienza universitaria fuori dalla Calabria, percepita e assimilata come un’ occasione di crescita personale e accademica per la quale, nelle biografie dei soggetti, Allontanarsi dalla Calabria ha costituito una variabile fondamentale.

Infatti, la valutazione dell’eventuale prestigio della sede universitaria da scegliere sembra riconducibile al non aver potuto frequentare, in Calabria, una scuola superiore effettivamente capace di offrire le basi e le conoscenze adeguate per affrontare, ad esempio, i test di ammissione a Medicina (Preferire il liceo scientifico

piuttosto di viaggiare, Non poter pretendere un buon liceo in un paese, La scuola non sa preparare, Frequentare corsi preparatori privati).

Dall’altro lato, riconsiderando anche i presupposti e le insicurezza del precedente impegno scolastico o universitario, le partecipanti riflettono sulla volontà di apportare dei cambiamenti, per rendere i loro sforzi meno impegnativi sul piano intellettuale e emotivo, e dunque più efficienti sul piano, strumentale, del raggiungimento dell’indipendenza economica dalla famiglia (Voler iniziare a cambiare qualcosa di sé). Infatti, l’impegno nello studio come strumento di transizione all’età adulta emerge, nelle narrazioni, come investimento, economico ed emotivo, in un percorso di accrescimento delle conoscenze percepito come mezzo di realizzazione di ambizioni e aspettative, personali e istituzionali, tese al raggiungimento di obiettivi legati allo svolgimento, nel futuro, di una professione che permetta sia stabilità economica che gratificazione delle propensioni personali.

Lo studio inteso come possibilità e strumento di crescita e apertura al mondo circostante si sostanzia anche come stimolo alla costituzione tanto della scelta migratoria interregionale, quanto della propensione a interpretare la possibilità di un’esperienza di studio o lavoro all’estero come proseguimento lineare di un percorso che ha permesso loro di esporsi a schemi di pensiero e pratiche nuove.

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