• Non ci sono risultati.

3. C OSTRUZIONE DELLA REALTÀ FEMMINILE

3.1 Orizzonti di aspettative

Ho reputato utile guardare a tre fenomeni che, nelle ricerche sulle nuove generazioni, sembrano caratterizzare il vissuto a delle giovani generazioni partire dagli anni dell’adolescenza.

Questi mettono in evidenza i limiti dell’immaginazione individuale rispetto alle caratteristiche dell’ambiente e, allo stesso tempo, rivelando una capacità di adattamento strategico delle giovani generazioni; mi riferisco alla costruzione degli orientamenti futuri, delle scelte universitarie e del futuro lavorativo (Appadurai, 2004; Colombo, 2012; Mantovani, 2013; Hart, 2016), alle particolari caratteristiche della transizione all’età adulta emerse negli ultimi decenni, segni delle contraddizioni tra immaginazione e realtà del tempo vissuto (Cavalli, 2012; Pasqualini, Cavalli, 2012; De Luigi, 2012; Ruspini, 2018) e, infine, all’emigrazione qualificata, specchio delle nuove necessità e delle nuove strategie di costruzione delle biografie individuali (Pasqualini, 2012; Tomei, 2016a, 2016b).

Relativamente alla capacità di immaginare e costruire orientamenti e linee guida per l’agire futuro, è necessario soffermarsi sul significato di aspirazione lavorativa, il quale descrive un processo cognitivo ed emotivo che vaglia e cerca di anticipare le possibili direzioni da intraprendere nel futuro; gli individui, nel pensarle, sono guidati da motivazioni consapevoli o inconsce, indicative dell’impegno individuale o collettivo rivolto all’esplorazione di particolari traiettorie, o al raggiungimento di determinati fini:

Aspiring is a sentient and emotive process. Indeed, we are sentient beings—imagining how we fit, what we are capable of and how we feel. Where an individual is able to identify one or more aspirations that they hold, revealed or concealed, this offers evidence of the capability to aspire. Most individuals will be able to demonstrate the functioning of aspiring through the expression of one or more aspirations. However, this tells us little about the full range of the individual’s capability to aspire and constraints or oppressive roots of aspiration may not be readily explicit. Aspirations are often born out of unequal power relations that constrain humans to mould themselves in ways that suit perceived expectations of normalcy and acceptability. Thinking about future-oriented goals requires at least a basic level of capability in relation to being able to anticipate and imagine the future and exercise practical reason (Hart, 2016 , p. 328).

Con riferimento agli anni dell’adolescenza e agli orientamenti che i giovani assumono verso il futuro imminente (l’università, il lavoro), è importante sottolineare la differenza sostanziale tra le aspirazioni e altre categorie del pensiero utilizzate dagli individui per anticipare alcune immagini del futuro.

Infatti, sebbene le aspirazioni sembrino essere in connessione con le aspettative lavorative, poiché entrambe legate alla capacità di riflessione e introspezione volta al futuro, possono non coincidere, risultando, anzi, difformi nel modo in cui combinano l’intensità delle propensioni individuali e il peso dei vincoli della realtà empirica e sociale:

Nelle prime domina la dimensione del sogno: il giovane aspira a un lavoro compatibile con le sue preferenze, e poco importa se quel lavoro è nei fatti difficilmente realizzabile e accessibile. Le aspirazioni lavorative non lasciano spazio al pensiero razionale, non si basano sull’analisi dei costi e benefici, non tengono conto delle circostanze e della congruenza dei mezzi rispetto allo scopo. Le aspirazioni lavorative sono i desideri, cioè ciò che le persone vorrebbero fare/essere da grandi. Nelle aspettative lavorative prevale, invece, la dimensione razionale e realistica: il giovane continua a valutare le alternative occupazionali compatibili con i suoi interessi e le sue preferenze, ma in questo processo di selezione (circumscription) terrà conto anche del suo status, delle sue abilità e delle risorse (ascritte e acquisite) di cui dispone. Le aspettative lavorative sono, pertanto, la piattaforma su cui si costruiscono e modellano le scelte concrete. In altre parole, esse sono ciò che un individuo pensa realisticamente di poter fare/essere da grande (Gottfredson, 1981) (Mantovani, 2013).

Aspirazioni e aspettative lavorative sembrano corrispondere, nell’adolescenza, a due momenti scissi, ma intrecciati, dell’immaginazione delle scelte future: in un primo momento sembra prevalere una proiezione - sogno che, pur essendo agito dalla cultura circostante, ha il suo nucleo in un desiderio personale, soggettivo, emotivamente denso; questo desiderio, nei giovani, viene poi mitigato dalla considerazione, più realistica, dei mezzi da usare e delle circostanze da affrontare per il suo raggiungimento.

Infatti, se a una prima riflessione emergono aspirazioni legate a lavori remunerativi nel mondo dello sport, della musica, dello spettacolo, a una seconda riflessione, quando gli adolescenti vengono sollecitati ad assumere una prospettiva più realistica sul proprio futuro lavorativo, abbandonano le fantasie per assumere posizioni più ponderate e pragmatiche, considerando un futuro nel ceto impiegatizio, percepito come più modesto.

È necessario sottolineare, dalla prospettiva di genere che pervade questa ricerca, un approccio diverso tra ragazze e ragazzi, sia nell’immaginazione, sia nel personale rapporto costi/benefici che tempera le aspirazioni; le giovani mostrano, infatti, una preferenza per lavori che contemplano la cura degli altri:

[…] in corrispondenza dei cosiddetti «lavori lenitivi» (Dalla Zuanna et al., 2009; Terzera, 2010) – cioè di supporto, servizio e responsabilità nella cura degli altri (medico, insegnante, infermiera, assistente sociale) – e, passando a lavori meno prestigiosi e fantastici, di quelli impiegatizi (segretaria), di relazione sociale (commessa, hostess, cameriera) ed edonistici (estetista, parrucchiera), nonché dei lavori manuali (operaio, meccanico, elettricista) e di specializzazione tecnica (geometra, programmatore); ma in questi ultimi due casi – così come per lo sport – il divario è in favore dei maschi. Queste marcate differenze di genere – già riscontrate in altre indagini (Gottfredson, 1981; Gasperoni e Trentini, 2004; Farina e Terzera, 2008; Dalla Zuanna et al., 2009) – sovrastano quelle legate alla cittadinanza e alla generazione di appartenenza. La socializzazione di genere al lavoro sembra, cioè, presentare alcuni caratteri generali, che trascendono le differenze culturali dei paesi di provenienza, per cui le ragazze si orientano verso lavori «da femmina» – che privilegiano gli aspetti espressivi e relazionali – mentre i ragazzi prediligono i lavori «da maschio», di natura più strumentale e che esaltano la forza fisica o l’abilità tecnica (Piccone Stella e Saraceno, 1996; Ballarino e Checchi, 2006) (Mantovani, 2013).

Sulla costruzione della capacità immaginativa opera, infatti, una notevole influenza il background familiare (culturale ed economico) delle giovani generazioni, inserite in un contesto contemporaneo, quello italiano, in cui vivono modeste possibilità di mobilità sociale; le proiezioni future sembrano essere proporzionate alla posizione sociale e alla qualità del capitale economico e del capitale culturale della famiglia di origine (Colombo, 2012; Mantovani, 2013); le aspirazioni e le aspettative lavorative che riguardano incarichi ben remunerati nel ceto impiegatizio aumentano man mano che si passa dalla classa operaia alla borghesia:

[…] coloro che provengono dalle classi sociali più basse tendono a ridimensionare le loro aspettative lavorative, rispetto a quanto espresso in merito alle aspirazioni, più di quanto non facciano coloro che appartengono alla borghesia o alla classe media impiegatizia. In altre parole, tutti i giovani della classe operaia nutrono aspirazioni occupazionali piuttosto elevate, ma le loro aspettative tendono poi a essere rimodulate, conformandosi alla posizione occupata dai genitori (o a posizioni limitrofe) all’interno del sistema della stratificazione sociale (Mantovani, 2013).

Analogamente, per quanto riguarda la prosecuzione agli studi:

[…] le analisi registrano un incoraggiamento delle famiglie con alto capitale culturale ed economico a proseguire gli studi indipendentemente dal genere (e soprattutto dal rendimento mostrato durante la scuola secondaria, quindi a maggior vantaggio dei maschi che «rendono» meno delle femmine). Mentre questa liason tra appoggio famigliare e scelte di carriera genera uno svantaggio maschile fra i ragazzi provenienti da ceti non privilegiati, che non vengono incoraggiati a proseguire gli studi se hanno risultati scadenti e devono riformulare i propri «sogni» per il futuro sulla base di altri principi acquisitivi, in particolare il guadagno e la popolarità. Le femmine invece, grazie al migliore rendimento scolastico, sarebbero meno vincolate a tale legatura, ad eccezione della percentuale di ragazze di ceti non privilegiati che incontra comunque difficoltà scolastiche, per le quali vale l’investimento «sotto condizione» (Cavaletto 2009: 158) (Colombro, 2018, p. 81).

Infatti, come spiega Appadurai (2004):

The capacity to aspire is thus a navigational capacity. The more privileged in any society simply have used the map of its norms to explore the future more frequently and more realistically, and to share this knowledge with one another more routinely than their poorer and weaker neighbors. The poorer members, precisely because of their lack of opportunities to practice the use of this navigational capacity (in turn because their situations permit fewer experiments and less easy archiving of alternative futures), have a more brittle horizon of aspirations. This difference should not be misunderstood. I am not saying that the poor cannot wish, want, need, plan, or aspire. But part of poverty is a diminishing of the circumstances in which these practices occur. If the map of aspirations (continuing the navigational metaphor) is seen to consist of a dense combination of nodes and pathways, relative poverty means a smaller number of aspirational nodes and a thinner, weaker sense of the pathways from concrete wants to intermediate contexts to general norms and back again. Where these pathways do exist for the poor, they are likely to be more rigid, less supple, and less strategically valuable, not because of any cognitive deficit on the part of the poor but because the capacity to aspire, like any complex cultural capacity, thrives and survives on practice, repetition, exploration, conjecture, and refutation (Appadurai, 2004, p. 69).

La maggiore propensione femminile agli studi sembra, dunque, rappresentare per le giovani, a livello familiare e accademico, una condizione attraverso cui possono realizzarsi, sfidando vincoli sociali ed economici, come la mobilità sociale, le arretratezze e le carenze strutturali del luogo di origine; questa propensione al miglioramento si rivela in un maggior investimento emotivo verso gli studi terziari, percepiti come un mezzo tramite cui esprimersi e autorealizzarsi, e in una considerazione idealistica del mercato del lavoro e della meritocrazia.

L’investimento emotivo finisce così per mostrare, nel lungo periodo, sia i limiti dell’investimento economico, sia i limiti degli incoraggiamenti familiari e istituzionali a proseguire gli studi a prescindere dalle condizioni del mercato del lavoro.

La “prova della realtà” è costituita, infatti, dai primi tentativi di ricerca di un’occupazione dopo il diploma o la laurea, resi più difficili, per le giovani calabresi, dalla domanda di lavoro regionale: sebbene queste rispondano alla richiesta sistemica e globale di un’istruzione specializzata, connaturata alla nascita di nuove professioni, la Calabria, come sistema economico e infrastrutturale, non riesce ad adeguarsi e ad assorbire l’offerta di lavoro di una porzione della popolazione che è giovane e ben istruita; le ragazze sono perciò spesso

costrette, al pari degli uomini, a modificare le aspettative lavorative createsi durante gli studi, rimodulandole ulteriormente, sulla base delle circostanze e delle esigenze loro contingenti (Pasqualini, 2012; Mantovani, 2013).

La capacità delle nuove generazioni di modificare le aspettative lavorative sulla base dei processi e delle tendenze della moltiplicazione del lavoro (Mezzadra, Neilson, 2013) rivela un’abilità di adattamento strategico a una realtà in mutamento (De Luigi, 2012), sebbene mostri di essere fortemente condizionata dalle strutture e dalle istituzioni circostanti; il cambiamento nei marcatori dell’età adulta (Valentine, 2003; Colombo, 2012; Pasqualini, 2012; De Luigi, 2012) e le nuove tendenze all’emigrazione interna e internazionale (Carchedi, Vitiello, 2014; Tomei, 2016a, 2016b; ISTAT, 2017) rappresentano le manifestazioni più evidenti del modo in cui i giovani individui cercano di adattare le proprie biografie ai volatili riferimenti in loro possesso e all’ambiente loro circostante22.

Circa le nuove modalità con cui i giovani transitano all’età adulta, ritengo opportuno fare alcune considerazioni: la prima riguarda il confronto con un modello generale di transizione delle generazioni precedenti; la seconda, invece, ha a che vedere con i nuovi percorsi delle biografie individuali.

Relativamente alle generazioni precedenti, il raggiungimento di ciò che, in astratto, era ritenuta l’età adulta avveniva secondo un andamento lineare, che rispecchiava l’ordine altrettanto lineare e normativo della società moderna; questa prescriveva un cammino per tappe precise che facesse percepire come regolare e non deviante l’agire degli individui e la loro inclusione sociale: l’adultità, nell’epoca industriale e fordista, era rappresentata dall’autonomia abitativa ed economica, in un rapporto di continuativa rispetto ai propri genitori e coetanei (Pasqualini, 2012).

In epoca contemporanea e post industriale, sebbene gli individui abbiano un orizzonte di aspettative più ampio, incerto e confuso rispetto al passato, al contempo vivono la possibilità di compiere scelte personali più libere, in un’autonomia che può anche trasformarsi in solitudine e paura del fallimento; un maggiore investimento personale ed emotivo dei giovani nella scelta li rende, infatti, vulnerabili e suscettibili di dubbi relativi a quale percorso intraprendere tra le numerose alternative: quello più utile (con più sbocchi lavorativi o più remunerativo) o quello che combacia maggiormente con le propensioni personali?

22“I therefore want to draw on the German theorist Ulrich Beck’s (1992) concept of individualisation. Beck (1992) argues that we

are witnessing a historical transformation in society. The industrial era, which has been characterised by rationality, scientific knowledge, social hierarchies and tradition, is being challenged by a new modernity in which changes in the labour market, familial relations and class cultures are creating new life situations and new biographical development patterns, and a shift in ways of thinking about how individuals relate to society. Notably, the life course is no longer organised around employment history with the consequence that the possible pathways young people can follow after school are becoming more diversified. Traditional agencies such as the nuclear family, school, church and so on are no longer key agencies of social reproduction, channelling individuals into set roles. Thus Beck (1992) suggests that this destructuring of young people’s situations is placing them in a state of ambivalence. Whereas previously young people could see what possible futures awaited them now they cannot see where they are heading. Social change is eroding traditional forms of knowledge and communication (e.g. expert knowledge). Faced with a proliferation of choices young people’s biographies are increasingly reflexive in that young people can now choose between different lifestyles, sub-cultures and identities. With these opportunities also come increased risk for young people, in the form of guilt or blame if they end up on the margins of society as a result of their own choices.” (Valentine, 2003, p. 40).

Se, infatti, con la globalizzazione sono cambiate le rappresentazioni che i giovani hanno del futuro e dell’età adulta, a essere altrettanto mutate sono le risorse materiali e i capitali in possesso delle famiglie: la crisi economica degli anni Duemila ha trasformato ulteriormente le cifre della disoccupazione in Italia, amplificandole rispetto ai decenni precedenti e prospettando ai giovani qualificati italiani scenari molto sfavorevoli per il loro futuro, personale e lavorativo.

Sul piano esistenziale e soggettivo, questa consapevolezza ha generato contraddizioni nelle riflessioni e nelle direzioni dell’agire poiché, se da un lato l’essere ancora giovani fa percepire le scelte come posticipabili e reversibili, dall’altro, l’istruzione e le pressioni della globalizzazione economica rendono le nuove generazioni consapevoli che la risorsa più importante è il tempo, tanto quello impegnato nella formazione, quanto quello dedicato a un’effettiva ricerca di lavoro.

Con riferimento alle modalità di scelta e progettualità dei giovani, fra coloro i quali si sono occupati di transizione all’età adulta:

[…] c’è chi come Andreas Walther (2006) – pensando a un nuovo modello paradigmatico – propone quello della «transizione yoyo», utilizzando questa efficace metafora per definire l’andamento della transizione, che risulta sempre più spesso contraddistinta da passaggi reversibili e frammentati che producono un vero e proprio «entrare e uscire» degli individui da una condizione all’altra, dalla giovinezza all’adultità e viceversa (Pasqualini, 2012, p. 64).

La seconda considerazione riguarda, infatti, proprio il carattere di reversibilità che hanno assunto i percorsi di vita della generazione Millenials e Z, un elemento che rappresenta lo spartiacque più significativo rispetto alle tendenze della seconda metà Novecento: questa è segno dell’indecisione che i giovani provano di fronte le potenziali numerose alternative di scelta, della loro incapacità di aggiornamento simultaneo agli stimoli e alle richieste del mercato del lavoro; l’incertezza, verso il futuro e verso l’effettiva utilità della scelta che si vorrebbe intraprendere, finisce per manifestarsi, nelle biografie, in uno stato di ambivalenza e pendolarità tra scelte dell’agire adolescente e scelte dell’agire adulto.

I fenomeni che ne conseguono mettono in risalto tanto le condizioni ambientali, spesso sfavorevoli ai giovani, quanto il loro frequente posporre o modificare le scelte; tra quelli più diffusi, e in rottura con il passato, risultano il prolungamento del percorso di studi, la permanenza protratta nell’abitazione di famiglia, il posticipare tappe come il matrimonio e la genitorialità e la decisione, di ripiego o no, dell’emigrazione come soluzione al problema della disoccupazione qualificata.

La reversibilità diventa, dunque, una reazione, condizionata ma consapevole, in risposta alle incertezze dell’ambiente circostante: infatti, “[…] i giovani possono reagire all’influenza delle strutture sociali, formulando progetti e prendendo decisioni rispetto ad una pluralità di alternative.” (De Luigi, 2012, p. 47): il ritardo nel raggiungimento di tappe tradizionalmente legate all’età adulta non esclude, infatti, che le nuove generazioni abbiano rinunciato ad avere controllo sull’intenzionalità e sulle direzioni delle biografie:

Anzi, potremmo quasi affermare che i più giovani hanno ripreso finalmente a progettare il loro futuro, con una nuova consapevolezza rispetto al passato, ovvero che potrebbe essere irrimediabilmente dannoso per loro restare in attesa per troppo tempo, ancora per troppi anni. Dall’analisi di 2.838 «mini-storie» autobiografiche di «under 35» è emerso chiaramente che questi ultimi se, da un lato, sanno di dover puntare sulla loro preparazione, di dover sviluppare uno sguardo internazionale, essere mobili e flessibili, dall’altro sono sempre meno disposti ad accontentarsi, a ricorrere a compromessi e a cedere a ricatti. La mobilità non li spaventa, così come la «gavetta», ritenuta addirittura indispensabile all’inizio di un percorso lavorativo. Un numero sempre più consistente di giovani sceglie con naturalezza di fare esperienze di studio e lavorative in altri paesi e, molto spesso, addirittura, di non rientrare in Italia. Alcuni studiosi la chiamano «la fuga dei cervelli», ma non è soltanto questo (Beltrame 2007, Tinagli 2008, Nava 2009, Balduzzi - Rosina 2010, Iezzi - Mastrobuoni 2010, Cucchiarato 2010). Accanto a un numero consistente di giovani - adulti meritevoli – spesso laureati– che emigrano «a malincuore», più per necessità che per scelta, in altri Paesi per realizzarsi innanzitutto professionalmente, troviamo un numero ancora più elevato di giovanissimi che sono mobili più per scelta che per necessità. […] In altre parole, i più giovani ritengono la mobilità spaziale una esperienza tanto necessaria quanto interessante e importante da fare alla loro età, una occasione da non perdere (Pasqualini, 2012, pp. 57 – 58).

Una delle caratteristiche inedite delle nuove generazioni riguarda, infatti, una maggiore propensione, rispetto agli ultimi decenni del Novecento, all’emigrazione interna e internazionale, sia sotto forma di esperienza formativa o lavorativa di breve – medio periodo, sia sotto forma di trasferimento duraturo.

Tra gli elementi di novità di questa nuova tendenza migratoria è necessario citarne alcuni: la maggiore presenza femminile (Tirabassi, 2015); il possesso di titoli di studio elevati che, con riferimento alle motivazioni, nei casi della disoccupazione qualificata e dell’occupazione dequalificata costituiscono una spinta ennesima per l’emigrazione (Tomei, 2016a, 2016b); la percezione che un’esperienza di vita all’estero possa essere mezzo di crescita personale e di miglioramento nella formazione ai fini professionali (Colombo, 2012; Pasqualini, 2012); un generale senso di disillusione e pessimismo circa il declino economico dell’Italia tra i nuovi grandi soggetti del capitalismo internazionale (Tomei, 2016a, 2016b).

Infatti, con specifico riferimento alle motivazioni che spingono i giovani italiani a utilizzare la mobilità a proprio favore, con tale pragmatismo e progettualità, emerge l’idea che, per molti giovani, rimanere in Italia non costituisce un’alternativa di futuro contemplabile:

[…] the most relevant keyword motivating emigration was lavoro (labour). The lack of work opportunities and the high precariousness of the few that are available are, in fact, the most common reasons that participants cited in their decisions to leave Italy. But it is not only the quantity of the available occupations that serves as a push-factor of emigration, but also the quality. Especially for the youngest, the desire was for jobs represented by the typical medium and high positions in a knowledge-driven economy. The recent social transformation of the European economic space had increasingly concentrated such positions in the most highly-capitalized areas. […] In order to explain the reason for their emigration, the second most quoted keyword is paese (home country). The posts, in fact, reveal a wide and crosswise perception of the Italian cultural, social and political systems as intimately corrupted and thus responsible for the economic decline of the country. People of different ages and from different professional and educational pathways

Documenti correlati