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Progettualità in divenire. Uno sguardo sui percorsi di costruzione delle scelte universitarie, lavorative e migratorie delle giovani donne calabresi.

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

CORSO DI LAUREA IN SOCIOLOGIA E MANAGEMENT DEI SERVIZI

SOCIALI

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

Progettualità in Divenire.

Uno Sguardo sui Percorsi di Costruzione delle Scelte Universitarie, Lavorative e

Migratorie delle Giovani Donne Calabresi.

CANDIDATO:

RELATORE:

Ilaria Pastore

Matricola 528140

Prof. Gabriele Tomei

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Indice

INTRODUZIONE ... 3

CAPITOLO 1 ... 7

TRA DEMOGRAFIA E RAPPRESENTAZIONI ... 7

1. PROCESSI E DIFFICOLTÀ DELL’INCLUSIONE FEMMINILE IN ITALIA ... 7

1.1 Scolarizzazione ... 10

1.2 Inclusione lavorativa ... 17

1.3 Flessibilità e precarietà... 28

2. LA CONDIZIONE FEMMINILE IN CALABRIA ... 41

2.1 Inclusione scolastica e lavorativa delle donne calabresi ... 43

2.2 Flussi migratori e voci femminili di una società rurale ... 52

2.3 Il mito del predominio maschile ... 59

3. COSTRUZIONE DELLA REALTÀ FEMMINILE ... 67

3.1 Orizzonti di aspettative ... 72

CAPITOLO 2 ... 80

CHIAVI DI LETTURA ... 80

1 LA VIOLENZA SIMBOLICA DEL DOMINIO MASCHILE ... 80

2 AGENCY ... 86

CAPITOLO 3 ... 90

METODOLOGIA DELLA RICERCA ... 90

1 RACCOLTA DEI DATI ... 91

1.1 Le interviste ... 94

2 CODIFICA E CATEGORIZZAZIONE ... 97

CAPITOLO 4 ... 101

RISULTATI DELLA RICERCA ... 101

1 EMERSIONE DELLE CATEGORIE ... 101

1.1 Famiglia ... 104

1.2 Allontanarsi dalla Calabria ... 108

1.3 Impegno nello studio ... 118

1.4 Ambizioni e inclinazioni ... 121 1.5 Incertezza ... 125 1.6 Consapevolezza... 129 1.7 Progettualità in divenire ... 134 CONCLUSIONI... 137 APPENDICI ... 141 BIBLIOGRAFIA ... 145 SITOGRAFIA ... 148

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Introduzione

Il presente progetto di ricerca ha l’obiettivo di indagare il percorso di costruzione della progettualità delle giovani donne calabresi: i fenomeni e le riflessioni che hanno condotto alla circoscrizione di tale area di indagine sono riconducibili ai temi della transizione all’età adulta, dell’inclusione femminile nella società e nel mercato del lavoro italiani, e delle condizioni strutturali del territorio calabrese (Siebert, 1991, 1999; Colombo, 2012; Pasqualini, 2012; Del Boca, Mencarini, Pasqua 2012; Murgia, 2010; Ruspini, 2018).

Infatti, relativamente al percorso di transizione verso l’età adulta, le tappe biografiche tradizionalmente associate al passaggio verso l’adultità (andare via di casa, completare gli studi, trovare un lavoro, creare a loro volta una famiglia), sono messe in discussione dal prolungamento di questa fase rispetto al modello di transizione lineare delle generazioni precedenti (Livi Bacci, 2005; Merico, 2012; Pasqualini, 2012; De Luigi, 2012; Colombo, 2012).

Nel campo degli youtth studies italiani, il mutamento della durata di questa esperienza di passaggio è spesso imputato a una serie di trasformazioni sistemiche, vissute dalle nuove generazioni (Millenials, Z) rispetto alle precedenti: in particolare, gli effetti della globalizzazione economica, e dunque la frammentazione del mercato del lavoro e la richiesta di una sempre maggiore flessibilità lavorativa su scala nazionale e internazionale, sono descritti come variabili che influenzano incisivamente la capacità di proiezione nel futuro e la costruzione della progettualità, in particolare per quanto riguarda la scelta dell’emigrazione interregionale e internazionale (Martell, 2010; Colombo, 2012; Mezzadra, Neilson, 2013; Ruspini, 2018).

Nell’esperienza soggettiva delle giovani italiane, il passaggio verso l’età adulta viene descritto agito sia dall’esperienza diretta e personale del territorio abitato, sia dalla percezione che i soggetti hanno del mercato del lavoro e delle problematiche che potrebbero affrontare in futuro, quali disoccupazione e precarietà lavorativa (Murgia, 2010; Del Boca, Mecarini, Pasqua, 2012); subendo questi condizionamenti, le scelte e la progettualità femminili avrebbero dunque caratteristiche di strategicità e reversibilità.

Relativamente alla percezione delle condizioni del mercato del lavoro, alcuni circostanze generano, nella soggettività delle giovani donne italiane, indecisione e scoraggiamento, modellandone aspirazioni e aspettative lavorative: l’esperienza diretta e indiretta della precarietà, dello sfruttamento lavorativo e della disoccupazione giovanile; la richiesta di un elevato grado di specializzazione, e al contempo di flessibilità nei ruoli professionali; la necessita di operare una scelta tra vita professionale e personale (Murgia, 2010; Del Boca, Mencarini, Pasqua, 2012; Mantovani, 2013).

Nel caso delle donne calabresi, la capacità di proiettarsi in uno scenario futuro e costruire una progettualità lavorativa risente dell’esperienza delle condizioni sociali e strutturali del territorio abitato: un sistema di valori tradizionali, ancorato alla società rurale, in aperta contrapposizione con i processi e i fenomeni dell’industrializzazione capitalista; il retaggio culturale dell’esclusione delle donna dagli scambi della sfera pubblica; una tendenza diffusa, nelle transazioni sociali, economiche e politiche, al clientelarismo e al

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familismo; un sistema economico vittima dell’assistenzialismo, incapace di ammortizzare un numero, in crescita esponenziale, di cittadini con un grado di istruzione elevato; gli effetti diffusi della mentalità e della criminalità mafiosa ‘ndranghetista; la rappresentazione, sociale e mediatica, del divario economico tra le regioni meridionali e settentrionali (Siebert, 1991, 1999; Signorini, Visco, 1997).

Ci si chiede, dunque, come le donne calabresi degli anni Duemila generino, ed eventualmente modifichino nel tempo, le proprie aspirazioni e aspettative lavorative (Mantovani, 2013), in quel lasso di tempo che intercorre tra l’inizio e la fine degli studi universitari, cioè nel percorso di transizione all’età adulta, il quale corrisponde a un percorso di potenziale empowerment, sia per quanto riguarda l’istruzione e la formazione professionale, sia per quanto riguarda il processo di emancipazione dai contesti, sociali e istituzionali, di provenienza (Leccardi, Rampazi, Gambardella, 2011; Del Boca, Mencarini, Pasqua, 2012; Pasqualini, 2012).

Più nel dettaglio, le domande che hanno animato questa ricerca nella fase iniziale, di esplorazione dell’area di indagine (Blumer, 1969; Tarozzi, 2008; Charmaz, 2006), hanno riguardato le modalità con cui vengono generate le proiezioni legate al futuro lavorativo, e i possibili condizionamenti svolti, in questo processo, dai contesti esperiti, dalle istituzioni, dalle interazioni e dal genere.

L’interesse che ha motivato tali riflessioni è orientato a investigare gli eventuali processi sottostanti al percorso di costruzione delle aspirazioni lavorative (Mantovani, 2013) e della progettualità delle giovani donne calabresi: le domande generative di questa ricerca sono infatti volte a indagare un eventuale processo di costruzione sociale delle aspirazioni individuali, e le corrispondenti reazioni dei soggetti.

L’area di ricerca così delimitata, da una prospettiva di genere, è stata così circoscritta ad alcune tematiche specifiche: la dimensione della partecipazione scolastica e lavorativa; il percorso di transizione all’età adulta; l’esperienza del territorio calabrese.

Nel lavoro di ricerca sono state seguire tre direzioni: un’esplorazione, sul piano demografico, dell’inclusione scolastica e lavorativa delle donne in Italia e in Calabria; una ricognizione, sul piano sociologico, di una letteratura accademica grazie alla quale individuare delle nozioni per aprire, e sviluppare ulteriormente, le domande di ricerca; infine, un percorso empirico di indagine, indirizzato a far emergere l’esperienza soggettiva di un gruppo di giovani donne, calabresi, residenti a Pisa, di età compresa tra i 18 e i 25 anni.

La ripartizione di questo lavoro segue tali direzioni; l’articolazione dei capitoli è enunciata di seguito.

Nell capitolo 1 è stata ricreata una mappa dell’inclusione sociale e lavorativa delle donne italiane, ripercorrendo, al paragrafo 1, il processo della scolarizzazione e dell’inclusione lavorativa, parallelamente a una serie di fenomeni che sembrano aver continuato a persistere nel tempo, in termini di svantaggi e assenza di adeguati diritti e protezioni sociali (Murgia, 2010; Del Boca, Mencarini, Pasqua, 2012).

Il paragrafo 1.1 è dedicato al tema dell’istruzione; il paragrafo 1.2 propone, da una prospettiva di genere, un panorama delle forze di lavoro femminili, rispetto alle variabili della provenienza geografica e del titolo di studio; infine, il paragrafo 1.3 riporta un’analisi delle problematiche più ricorrenti nella partecipazione delle

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donne al mercato del lavoro, quali i differenziali nelle retribuzioni, la precarietà contrattuale, l’assenza di politiche e strategie che aiutino nella conciliazione tra lavoro domestico e professionale.

Tale operazione ha avuto l’obiettivo di fornire un quadro di riferimento demografico e statistico ai processi di interesse indagati nella parte empirica.

Per comprendere le caratteristiche del territorio di provenienza delle intervistate, nel paragrafo 2 è stata concentrata l’attenzione sulla realtà calabrese.

Nei paragrafi 2.1 e 2.2 è stata proposta un’esplorazione di tre diverse dimensioni dell’esperienza femminile, riguardanti la sfera dell’istruzione, dell’ occupazione lavorative e dei flussi migratori, nel corso del Novecento e degli anni Duemila; il paragrafo 2.3, avvalendosi del lavoro di Renate Siebert (1991, 1999) fornisce dei riferimenti per comprendere il sistema valoriale del territorio calabrese.

Infine, nel paragrafo 3, è stato descritto il quadro generale che emerge, negli youth studies italiani, rispetto all’emergere di un nuovo modello di transizione all’età adulta e di proiezione nel futuro da parte delle generazioni Millenials e Z (Jedloswki, 2002; Colombo, 2012; De Luigi, 2012; Pasqualini, 2012; Mantovani, 2013; Ruspini, 2018).

Il capitolo 2 intende proporre la ricognizione di una letteratura già esistente, riconducibile alle nozioni di

violenza simbolica del dominio maschile (Bourdieu, 1998) e di agency (Emirbayer, Mische, 1998, Evans,

2002, 2007; Pasqualini, 2012, Tomei, 2016a), le quali svolgono il ruolo di ciò che Blumer (1969) e Charmaz (2006, 2007) definiscono sensitizing concepts:

Grounded theorists’ s background assumptions and disciplinary perspectives alert them to look for certain possibilities and processes in their data. These assumptions and perspectives often differ among disciplines but nonetheless shape research topics and conceptual emphases. Blumer’s (1969) notion of sensitizing concept is useful at this juncture. These concepts give you initial ideas to pursue and sensitize you to ask particular kinds of questions about your topic. Grounded theorists often begin their studies with certain guiding empirical interests to study and, consistent with Blumer, general concepts that give a loose frame to these interests (Charmaz, 2008, p. 16).

È necessario sottolineare che l’intento di questa esplorazione teorica non è di presentare ipotesi o richiamare concetti preesistenti da verificare, o dai quali costruire una teoria: la scelta di un approccio grounded costruttivista (Charmaz, 2006; Salvini, 2015), direttamente connessa con i processi di interesse delle domande iniziali, prevede, infatti, l’iniziale e temporaneo utilizzo di letteratura e nozioni preesistenti come tentative

tools (Charmaz, 2007), ovvero strumenti concettuali che possono agevolare l’apertura delle direzioni della

ricerca.

Nel capitolo 3 è stata descritta la scelta degli strumenti di ricerca, la metodologia adottata nella raccolta dei dati, e dunque la selezione delle partecipanti, la struttura e lo stile di conduzione delle interviste, il loro svolgimento e il tipo di analisi interpretativa operata.

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Il capitolo consta, infatti, di due sezioni: il paragrafo 1.1 dedicato al processo di raccolta dei dati, e il paragrafo 2, in cui è riportata la descrizione del lavoro di analisi svolto sui testi delle interviste, attraverso una codifica in due passaggi, iniziale e focalizzata (Charmaz, 2007; Salvini, 2015).

Per rispettare e far risaltare le voci delle intervistate, e i processi, manifesti e sottstanti di interesse in questa sede, è stato ritenuto consono adottare l’approccio della Grounded theory costruttivista (Charmaz, 2006, 2008; Tarozzi, 2008; Salvini, 2015); come spiega Charmaz, sul metodo e i suoi presupposti:

My constructionist approach makes me following assumptions: (1) Reality is multiple, processual, and constructed—but con- structed under particular conditions; (2) the research process emerges from inter- action; (3) it takes into account the researcher’s positionality, as well as that of the research participants; (4) the researcher and researched coconstruct the data—data are a product of the research process, not simply observed objects of it. Researchers are part of the research situation, and their positions, privileges, perspectives, and interactions affect it (Charmaz, 2000, 2006; Clarke, 2005, 2006). In this approach, research always reflects value positions. Thus the problem becomes identifying these positions and weighing their effect on research practice, not denying their existence. Similarly, social constructionists disavow the idea that researchers can or will begin their studies without prior knowledge and theories about their topics. Rather than being a tabula rasa, constructionists advocate recognizing prior knowledge and theoretical preconceptions and subjecting them to rigorous scrutiny (Charmaz, 2008, p. 402).

Il capitolo 4 rappresenta il report successivo al lavoro di analisi sulle interviste; la struttura dei paragrafi segue, infatti, la descrizione esplicativa delle 7 categorie prodotte, partendo dalle interviste e dai codici iniziali, attraverso l’attività di astrazione concettuale della codifica focalizzata (Charmaz, 2007; Salvini, 2015):

Famiglia, Allontanarsi dalla Calabria, Impegno nello studio, Ambizioni e inclinazioni, Incertezza, Consapevolezza, Progettualità in divenire.

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Capitolo 1

Tra demografia e rappresentazioni

1. Processi e difficoltà dell’inclusione femminile in Italia

Il percorso delle donne italiane verso l’inclusione sociale ed economica è iniziato nel periodo a cavallo tra l’esperienza del Regno d’Italia (ammissione all’istruzione e al pubblico impiego) e il secondo dopoguerra, con la realizzazione del suffragio femminile pieno, completato poi dalle garanzie e tutele costituzionali.

A partire da questi primissimi passi, il percorso della parità di genere, nella seconda metà del Novecento, è stato di solito descritto come lento, influenzato da limitanti considerazioni culturali ed economiche relative ai ruoli e agli status della donna nelle diverse sfere della società e della famiglia, ma anche rallentato dalle tensioni tra le forze parlamentari, e dal susseguirsi di legislature di diverso colore politico (Murgia 2010; Del Boca, Mencarini, Pasqua, 2012; Rosselli, 2014).

Gli interventi che hanno catalizzato l’ampliamento della sfera dei diritti civili e sociali, sono stati, infatti, il prodotto, negli anni ’70 del Novecento, di movimenti sociali, come quello delle femministe italiane, e di forze politiche, come il partito Radicale, che hanno sollecitato o ampliato il dibattito pubblico italiano e la partecipazione politica, anche diretta, come nel caso del referendum sul divorzio (1974) e del referendum abrogativo sull’interruzione volontaria della gravidanza (1981).

Riguardo alla partecipazione economica e lavorativa, le quali dovrebbero poter rispecchiare il grado di parità tra sessi raggiunto da una società o da un gruppo, sono stati sviluppati alcuni strumenti e interventi legislativi circa le cosiddette quote rosa per le posizioni apicali: questo processo ha riguardato, dal 2011, tanto la composizione dei consigli di amministrazione, quanto le proporzioni di genere negli incarichi pubblici, sebbene:

[…] se la politica in Italia ha imposto il vincolo delle quote di genere alle imprese si è ben guardata dall’autoimporsi analoghi obblighi. Le quote di genere nelle liste elettorali sono solo facoltative e, benché declamate da più parti, sono spesso disattese. I parlamentari donna sono pochi e ancora meno i ministri. Eppure quando e quote di genere sono state applicate nella politica italiana hanno prodotto un effetto positivo e persistente sulla rappresentanza delle donne, dando supporto all’idea che questo tipo di intervento può essere usato efficacemente come strumento transitorio per cambiare norme sociali che impongono alle donne ruoli tradizionali e riequilibrare così la condizione di squilibrio fra la presenza femminile e quella maschile nel sistema politico italiano (Del Boca, Mencarini, Pasqua, 2012, pos. 1978).

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La posizione dell’Italia nel 2011, rispetto all’indicatore del Political empowerment per il Global Gender Gap

Index, sembra confermare una crescita in termini di parità nell’accesso alle cariche pubbliche e istituzionali:

si è passati infatti dalla posizione numero 55 su 144 paesi nel 20111, alla posizione numero 46 nel 20172. Ai fini di comprendere gli avanzamenti dell’inclusione e dell’emancipazione delle donne italiane e, al contempo, alcuni processi e fenomeni che, negli Duemila, caratterizzano la loro esperienza soggettiva, sembra plausibile sostenere che gli interventi del legislatore, dal secondo dopoguerra, hanno riguardato tre macro aree della vita femminile:

- la nuda vita3, in termini di diritti riproduttivi, con le norme giuridiche sull’interruzione volontaria di gravidanza (legge n. 194/1978) e sui contraccettivi di emergenza (abrogazione art. 553 c.p., 1971): sebbene le istituzioni abbiano risposto alle rivendicazioni femminili, l’elevato numero di personale medico obiettore, in particolar modo in alcune regioni, costituisce ancora oggi un ostacolo de facto alla piena ed equa attuazione della legge 194 (Rosselli, 2014);

- la sfera dei rapporti coniugali e di filiazione, riformati tra il 1974 e il 1975 e, molto dopo, nel 2013, da norme di diritto ispirate dal riconoscimento, da parte del legislatore, di una maggiore autonomia di scelta e parità di genere nella sfera del diritto privato; è necessario menzionare, poiché nasce di solito all’interno dell’ambiente domestico e delle relazioni personali, il problema della violenza di genere nelle sue diverse sfumature, rispetto alla quale sono stati creati alcuni strumenti di contrasto al fenomeno4, in un percorso che, nel 2013, ha trovato la sua conclusione dal punto di vista legislativo, con la legge 119/2013 sul femminicidio; - l’inclusione e la permanenza nel mercato del lavoro, insieme all’attuazione effettiva di alcuni diritti che tutelino le donne da una serie di fenomeni, quali: i differenziali retributivi tra lavoratori e lavoratrici; una partecipazione lavorativa in proporzioni minori rispetto agli uomini, cui si accompagna un elevatissimo numero di lavoratrici involontarie nelle formule contrattuali a tempo e atipiche; la realizzazione di politiche sociali, pubbliche e private, di conciliazione con i tempi della vita privata e della maternità, per consentire alle donne di poter rientrare con successo nel mercato del lavoro, senza che il ruolo nelle mansioni affettive e di

1Dati consultabili all’ Url: < http://reports.weforum.org/global-gender-gap-2011/ >

2Dati consultabili all’ Url: < http://reports.weforum.org/global-gender-gap-report-2017/dataexplorer/#economy=ITA >

3 L’espressione si riferisce all’utilizzo che ne fa Foucault (2004), descritto da Agamben in Homo Sacer, edito da Einaudi nel 1995. Nuda vita sottende il passaggio tra due visioni della vita umana: una che guardava l’uomo come semplice corpo vivente, dotato della capacità accessoria dell’esistenza politica, il politikòn zôon aristotelico, e un’altra prospettiva, per la quale il corpo biologico degli uomini è divenuto, in epoca moderna e contemporanea, oggetto di interessi da parte di forze e strategie politiche a lui esterne, le quali mirano a condizionarlo - fin nei suoi bisogni fisici e mentali più basilari - attraverso il controllo, istituzionale e disciplinare, del potere della biopolitica, ovvero un insieme di tecniche e procedure (anche scientifiche), utilizzate dagli stati occidentali per l’assoggettamento fisico e mentale degli individui, al fine di ottenere una concordanza tra i fini delle istituzioni, i quadri cognitivi, individuali e collettivi, le azioni e le pratiche. I casi esemplificativi della pervasione e della forza di questo biopotere sono rintracciati da Foucault nei campi di concentramento e nei grandi regimi politici totalitari del Novecento. In questa sede, da un prospettiva di genere, nuda vita vuole indicare l’insieme delle azioni e dei bisogni che più strettamente hanno a che vedere con la dimensione corporea dell’esistenza femminile nel contesto italiano; tale esperienza, nella storia dello stato di diritto e della dimensione confessionale - religiosa, è stata oggetto di processi di assoggettamento che si sostanziano in limitazioni e divieti, sociali e giuridici, riguardanti la sfera fisica e dei diritti riproduttivi.

4Tra questi: la legge 154/2001 sulla violenza domestica, il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile delle legge 7/2006,

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cura all’interno della famiglia impedisca loro di contribuire attivamente all’economia (Murgia 2010; Del Boca, Mencarini, Pasqua, 2012; Rosselli, 2014).

Un quadro schematico degli interventi istituzionali e normativi che hanno cercato di realizzare l’eguaglianza formale e sostanziale e la parità di genere in Italia, dal periodo regio all’epoca contemporanea, è riportato nella Tabella 1; nei successivi paragrafi (1.2 e 1.3), si è proceduto a esplorare i processi della scolarizzazione e dell’inclusione lavorativa femminili.

Tabella 1. Nostra elaborazione degli interventi del legislatore italiano ed europeo volti a favorire la partecipazione della donna nella società italiana.

ANNO ISTITUZIONE ATTO OGGETTO

1874 Regno d’Italia Accesso ai licei e alle università 1919 Regno d’Italia Ammissione al pubblico impiego 1945 Regno d’Italia Decreto legislativo

luogotenenziale n.23

Suffragio femminile pieno 1947 Assemblea Costituente -

Stato Italiano Costituzione della Repubblica Italiana Art. 3 Eguaglianza di tutti i cittadini Art. 29 Eguaglianza dei coniugi

Art. 31 Protezione della maternità

Art. 37 Parità dei diritti e nella retribuzione della lavoratrice e

del lavoratore

Artt. 48, 51 Diritto all’elettorato attivo e passivo 1971 Stato Italiano Legge n. 1204 Tutela delle lavoratrici madri 1974 Stato Italiano Legge n. 74 Modifica alla legge sul divorzio

(n. 899/1970) e introduzione della domanda congiunta 1975 Stato Italiano Legge n. 151 Riforma del diritto di famiglia:

l’istituto della separazione viene svincolato dall’elemento della

colpa

1978 Stato Italiano Legge n. 194 Legge sull’interruzione di gravidanza volontaria 1981 Stato Italiano Legge n. 442 Abolizione del delitto d’onore 1997 Presidenza del Consiglio

dei ministri Consiglio dei ministri n. 405 Decreto del Presidente del Istituzione del MPO - Ministero per le Pari Opportunità 2000 Stato Italiano Legge n. 53 Legge sulla conciliazione del

tempo di vita e di lavoro: introduzione del congedo

parentale paterno 2006 Stato Italiano D. L. n. 198 Creazione del Codice per le pari

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2006 UE Direttiva n. 54/CE Contrasto della discriminazione di genere diretta e indiretta 2013 Stato Italiano D. L. n. 154 Introduzione della

responsabilità genitoriale 2013 Stato Italiano Legge n. 119 Contrasto al fenomeno del

femminicidio

1.1 Scolarizzazione

Assumendo la prospettiva dell’Unicef in merito all’importanza dell’istruzione femminile come mezzo per raggiungere la parità tra i sessi attraverso l’empowerment femminile fin dai primi anni dell’infanzia5, si può sostenere come la scolarizzazione femminile sia “l’unica rivoluzione <<compiuta>> (o quasi) dalle donne italiane”, le quali “hanno fatto importanti passi in avanti nel campo dell’istruzione, raggiungendo e superando gli uomini per livello di istruzione e risultati scolastici” (Del Boca, Mencarini, Pasqua, 2012, poss. 270 - 281). Per esplorare questa dimensione sono state utilizzate alcune fonti: una letteratura esplicativa del percorso dell’inclusione scolastica e dei fenomeni legati all’educazione terziaria; la ricognizione di dati qualitativi, per comprendere i numeri effettivi della partecipazione scolastica e le tendenze in atto.

Tali dati sono stati raccolti dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, e da ISTAT nell’ambito dell’indagine campionaria sull’inserimento professionale dei diplomati e dei laureati del 2011. I dati del Ministero dell’istruzione sugli iscritti all’anno scolastico 2016/20176 e sulla popolazione studentesca dell’anno accademico 2016 - 20177 riportano valori assoluti elevati a favore del genere femminile; questa tendenza è particolarmente visibile per quanto riguarda l’educazione terziaria, il numero delle iscritte all’università è pari a 826.632 donne, rispetto ai 651.890 iscritti di sesso maschile, mentre il numero delle laureate è 158.794, contro i 131.469 laureati.

Tuttavia, con riferimento al Global Gender Gap Index, l’Italia mostra, non solo una generale retrocessione di alcune decine di posizioni (Tabella 3), ma anche una situazione contradditoria tra la decrescita dell’indicatore dell’Educational attainment e le posizioni guadagnate per quello della Literacy (Tabella 2).

Tabella 2. Nostra elaborazione degli indicatori sull’istruzione del Global Gender Gap Index per l’Italia nel 2016 e nel 2017.

5 Una sintesi del valore programmatico dell’educazione per l’emancipazione femminile secondo l’Unicef è consultabile all’ Url:

< http://www.unicef.it/doc/222/limportanza-delle-pari-opportunita-nellistruzione.htm >

6 Consultabili all’ Url: < http://dati.istruzione.it/espscu/index.html?area=anagStu > 7 Consultabili all’ Url: < http://ustat.miur.it/dati/didattica/italia/atenei-statali#tabistituti > 7 Consultabili all’ Url: < http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCIS_LAUREATI# >

INDICATORI RANK 2016 M F RANK 2017 M F EDUCATIONAL

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Fonte: World Economic Forum (2016, 2017).

Tabella 3. Nostra elaborazione del Global Gender Gap Index per l’Italia nel 2016 e nel 2017.

GLOBAL GENDER GAP 2016 2017

RANK 50 /144 82/144

SCORE 0,719 0,692

Fonte: World Economic Forum (2016, 2017).

Per comprendere in che modo si articoli l’esperienza dell’istruzione, superiore e terziaria, è stata esplorata la rilevazione, svolta da ISTAT nel 2015, sui diplomati e laureati del 20118: l’attività di estrazione dei dati ha riguardato l’area del percorso scolastico e universitario, indirizzandosi alle variabili del genere, della ripartizione territoriale e dei titoli di studio conseguiti; tale lavoro ha rilevato alcune tendenze già riscontrate dalla letteratura, e riguardanti i fenomeni dell’autosegregazione universitaria e della segregazione occupazionale9, verticale e orizzontale, delle donne italiane (Del Boca, Mencarini, Pasqua, 2012).

Sono state perciò estratte dai dati consultabili, le percentuali relative agli indicatori di interesse in questa sede, ovvero il tasso di passaggio all’università dalla scuola secondaria di secondo grado (Figura 1) e il tasso di iscrizione all’università (Figura 2), rispetto alle variabili del genere e della ripartizione territoriale.

8Consultabili all’ Url: < http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCIS_LAUREATI# >

9Tali fenomeni descrivono due diverse tendenze: la prima riguarda la rilevazione di una tendenza femminile a prediligere corsi di

laurea inerenti l’ambito letterario, giuridico, delle scienze sociali e della sanità, escludendosi da aree di studio connesse invece con le discipline e le competenze matematico – scientifiche, cui corrisponde una maggiore richiesta sul mercato del lavoro, e una migliore retribuzione salariale. Tale preferenza contribuisce, infatti, a sviluppare una dinamica di segregazione occupazionale, acuita dall’assenza di policies riguardanti i tempi di conciliazione della vita personale e lavorativa. La verticalità della segregazione occupazionale si esplica nella circoscrizione dell’attività lavorativa a ruoli quasi mai apicali, cui corrispondono scarsa mobilità all’interno dell’organizzazione lavorativa, e redditi non elevati. La dimensione orizzontale della segregazione occupazionale si esplica, invece, dal punto di vista delle formule contrattuali impiegate per le assunzioni femminili (prestazioni a tempo o atipiche), le quali rendono precarie, sia la continuità della prestazione lavorativa, sia le possibilità di conciliare in modo adeguato i tempi del lavoro professionale con i tempi delle mansioni affettive e di cura all’interno della famiglia (Del Boca, Mencarini, Pasqua, 2012; Murgia, 2010). LITERACY RATE 62 99 99 57 99,1 98,6 ENROLMENT IN PRIMARY EDUCATION 82 99 97 93 97,6 96,8 ENROLMENT IN SECONDARY EDUCATION 92 95 95 98 96,3 96,0 ENROLMENT IN TERTIARY EDUCATION 1 53 74 1 53,2 72,2

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Figura 1. Nostra elaborazione grafica dei tassi di passaggio dalla scuola secondaria di secondo grado dei diplomati del 2011 per ripartizione territoriale.

Fonte: ISTAT.

Figura 2. Nostra elaborazione grafica dei tassi di iscrizione all'università per ripartizione territoriale nel 2011.

Fonte: ISTAT.

Osservando insieme i valori di questi due tassi, si può notare una predilezione delle ragazze a continuare gli studi nel passaggio tra scuola superiore e università: il differenziale di genere del tasso di passaggio dalla scuola secondaria per l’intero territorio italiano (61,50% delle donne contro il 49,80% per gli uomini) si rispecchia negli scarti che persistono a livello territoriale; in relazione al tasso di iscrizione all’università (45,80% per le diplomate e 33,10% per i diplomati a livello nazionale), in tutte le ripartizioni territoriali si confermano differenziali a favore del genere femminile.

Nel Mezzogiorno, diplomati e diplomate sembrano essere non solo interessati in egual misura all’iscrizione a un corso di laurea (54,40% le ragazze e 52,40% i ragazzi), ma riportano le proporzioni più elevate a livello territoriale e nazionale: il differenziale di genere per l’intero territorio italiano è, infatti, a favore delle donne, pari al 12,60%.

Come spiega ISTAT (2016) circa le scelte effettuate alla fine delle scuole superiori:

Nel 2015, quasi un diplomato su tre (31,3%) è impegnato in via esclusiva negli studi terziari (università e studi superiori post-diploma), il 23,4% si dedica solo al lavoro e il 14% cerca un'occupazione (14%). Solo il 9,3% dei diplomati lavora e cerca un nuovo lavoro, l'8,5% si dedica contemporaneamente ad attività di studio e lavoro, il 7,9% studia e cerca lavoro, il 2,3% lavora, studia e cerca un nuovo lavoro. Una quota residuale, il 3,4%, non studia, non lavora, né cerca lavoro. La quota di diplomate occupate è più bassa di quella dei loro omologhi (40,4% e 46,8%) mentre è più alta la percentuale di donne alla ricerca di un’occupazione; inoltre, contrariamente al passato, la propensione femminile agli studi terziari quasi eguaglia quella degli uomini (ISTAT, 2016, p.2).

58,90% 57,60% 61,30% 52,40% 67,20% 64,90% 71,40% 68,10% 0,00% 10,00% 20,00% 30,00% 40,00% 50,00% 60,00% 70,00% 80,00% Nord Ovest Nord Est Centro Mezzogiorno F M 29,20% 30,20% 38,60% 52,40% 38,20% 39,20% 51,70% 54,40% 0,00% 10,00% 20,00% 30,00% 40,00% 50,00% 60,00% Nord Ovest Nord Est Centro Mezzogiorno F M

(13)

Per constatare l’effettivo successo dei percorsi universitari, è stato visionato il tasso di conseguimento della laurea, su base territoriale, per le lauree di primo (Figura 3) e di secondo livello (Figura 4): come si può evincere chiaramente dalle rappresentazioni grafiche, per entrambe le tipologie di laurea, le donne sembrano riportare maggiori successi in tutte le ripartizioni territoriali, in particolar modo nel Mezzogiorno e nel Centro Italia.

Figura 3. Nostra elaborazione grafica dei tassi di conseguimento della laurea di primo livello nel 2011 per ripartizione territoriale.

Fonte: ISTAT.

Figura 4. Nostra elaborazione grafica dei tassi di conseguimento della laurea di secondo livello nel 2011 per ripartizione territoriale.

Fonte: ISTAT.

Infatti, come spiegano Del Boca, Mencarini e Pasqua:

In Italia, come nella maggior parte dei paesi sviluppati, la popolazione femminile è ormai più istruita di quella maschile. Non solo tra gli immatricolati all’università la maggior parte sono donne, ma sono loro che vanno meglio agli esami, si laureano prima e con un punteggio mediamente più alto rispetto agli uomini. Se consideriamo la partecipazione scolastica come un indicatore di uguaglianza formale, possiamo quindi dire che essa sia stata pienamente raggiunta dalle donne italiane. […] Nella classe di età tipica del passaggio tra studio e lavoro (tra i 20 e i 34 anni) la percentuale di laureate è passata dal 2% al 5% tra il 1971 e il 1991, all’11% nel 2001, e ha toccato quasi il 20% nel 2009. La percentuale di laureati, invece, è cresciuta dal 3% all’8% tra il 1971 e il 2001 ed è arrivata solo al 13% nel 2009 (Del Boca, Mencarini, Pasqua, 2012, poss. 292 – 302).

Una variazione nella percentuale delle laureate dal 2% nel 1971 al 20% nel 2009 può essere considerata un successo nel percorso dell’emancipazione femminile in Italia, soprattutto nell’ottica di una comparazione con gli altri paesi europei; ISTAT (2018) infatti spiega:

24,80% 25,50% 29,20% 27,00% 34,40% 35,90% 41,80% 41,80% 0,00% 5,00% 10,00% 15,00% 20,00% 25,00% 30,00% 35,00% 40,00% 45,00% Nord Ovest Nord Est Centro Mezzogiorno F M 14,80% 14,50% 17,40% 16,00% 20,10% 20,40% 25,00% 26,20% 0,00% 5,00% 10,00% 15,00% 20,00% 25,00% 30,00% Nord Ovest Nord Est Centro Mezzogiorno F M

(14)

La quota di donne che hanno raggiunto un livello di istruzione terziario è molto più elevata rispetto a quella degli uomini: il 32,5% contro il 19,9%. Il differenziale di genere a favore delle giovani - pari a 12,6 punti percentuali - è peraltro in forte crescita negli anni; soltanto nel 2004 era di 5,6 punti percentuali. Inoltre, tale gap di genere è di entità superiore rispetto al valore medio Ue e a quello di altri grandi paesi europei, quali Germania, Francia e Regno Unito sebbene comunque si mantenga un differenziale negativo delle donne italiane rispetto alle donne della UE. Nonostante nel Mezzogiorno si registri una quota di giovani laureati decisamente inferiore a quella del Centro-nord si mantiene significativo - anche in quest’area del paese - il gap di genere a favore delle donne (ISTAT, 2018, p. 7).

Rispetto a un quadro di inclusione educativa che sembra fin ora positivo per le giovani donne, è necessario però proporre alcune considerazioni, riguardanti il fenomeno della dispersione scolastica e universitaria, e le proporzioni degli iscritti universitari per genere e gruppo disciplinare: l’intento è comprendere in che modo si articoli l’esperienza delle giovani donne rispetto alla selezione del gruppo disciplinare.

Sono stati perciò esplorati i dati, rilevati da ISTAT10, relativi al fenomeno degli Early leavers from education and training, cioè dei giovani tra i 18 e i 24 anni usciti precocemente dal sistema di istruzione e formazione

nel 2011 (Figura 5).

Figura 5. Nostra elaborazione grafica dei tassi percentuali di Early leavers from education and training nel 2011 per ripartizione territoriale.

Fonte: ISTAT.

Rispetto al valore assoluto del totale, cioè 640.000 individui, le proporzioni tra ragazzi e ragazze sul territorio nazionale sono ben sintetizzate dai valori percentuali: 20,60% di early leavers di sesso maschile contro il 14,90% delle ragazze; le elevate percentuali di donne istruite in Italia (Del Boca, Mencarini, Pasqua, 2012; Istat, 2016, 2018) si rispecchiano in queste proporzioni, confermando come il fenomeno del drop out alle scuole superiori e all’università riguardi le ragazze in proporzioni inferiori rispetto a compagni di scuola e colleghi di sesso maschile.

Ciononostante, è necessario soffermarsi sullo scarto riportato dal Mezzogiorno rispetto al resto del paese: quest’area riporta, per entrambi i sessi, le percentuali più elevate di early leavers tra i 18 e i 24 anni, gettando un’ombra sull’elevata partecipazione all’istruzione terziaria.

Esplorando più nel dettaglio l’articolazione dei percorsi di coloro i quali si iscrivono all’università, l’immagine complessiva che ne risulta dalla rilevazione ISTAT del 2015 (2016) è la seguente: rispetto a un totale, in valori

10Consultabili all’Url: < http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCIS_LAUREATI# >

19,30% 17,00% 18,30% 23,80% 13,40% 12,50% 12,20% 17,90% 0,00% 5,00% 10,00% 15,00% 20,00% 25,00% Nord Ovest Nord Est Centro Mezzogiorno F M

(15)

assoluti, di 450.797 individui, le donne che scelgono di continuare la loro formazione sono il 39,70%, contro il 34,80% degli uomini; la percentuale di ragazze mai iscrittesi all’università è del 31,60%, del 42,80% per gli uomini; le donne laureate che scelgono di iscriversi a un nuovo corso di laurea sono il 12,30% e gli uomini il 10%; tra gli iscritti che hanno abbandonato, il 7,30% è di sesso femminile, l’8,90% di sesso maschile; queste proporzioni tra i generi, insieme a quelle degli early leavers, sembrano confermare la tendenza femminile a migliorare e completare la proprio istruzione dopo la fine degli studi superiori.

Con riferimento alle motivazioni del drop out universitario, ISTAT (2016) ne rileva le seguenti: il 16,30% delle donne e il 18,90% degli uomini ha ritenuto gli studi troppo difficili; il 14 % delle universitarie non era soddisfatta degli sbocchi professionali del corso, seguite con pochissimo scarto dal 13,10% degli uomini; la causa che riporta la percentuale maggiore per entrambi i sessi, e con uno scarto relativamente piccolo, è la decisione di dedicarsi al lavoro o alla ricerca di lavoro: rispondono in tal senso il 32,90% degli uomini e il 32,20% delle donne.

Un dato significativo è il differenziale di genere che emerge tra chi risponde di essere influenzato da motivi personali o familiari: le donne sono infatti il 17,30%, contro l’8% degli uomini; un gap del 9,30% solleva domande e considerazioni relative alle mansioni di cura e ai ruoli che le giovani donne possono dover assumere all’interno delle loro famiglie.

Infine, è stato esplorato il campo delle preferenze disciplinari; la auto - limitazione delle donne al settore umanistico è in effetti confermata dai dati ISTAT rilevati nel 2015, rappresentati nella Figura 6 in valori assoluti, per il totale dei laureati di ambo i sessi del 2011 e i gruppi disciplinari scelti.

(16)

Figura 6. Nostra elaborazione grafica dei valori assoluti dei laureati nel 2011 per gruppo disciplinare e genere.

Fonte: ISTAT.

È possibile raggruppare i valori in tre gruppi, ovvero: i gruppi disciplinari prescelti per numero di iscritte; i gruppi meno favoriti e con minore presenza femminile; le aree in cui il differenziale tra i generi è a favore delle donne per circa il doppio degli iscritti.

Per quanto riguarda il primo insieme, risultano essere i favoriti il gruppo Economico – statistico (22.139 iscritte), Giuridico (19.783 iscritte), Politico – sociale (19.271), Medico (17.563) e Linguistico (13.655 iscritte); i gruppi disciplinari con minore presenza femminile sono invece Difesa e sicurezza (84 iscritte), Educazione fisica (1.819 iscritte), Scientifico (2.759 iscritte), Agraria (3.608) e Architettura (6.690 iscritte). Rientrano invece tra i gruppi disciplinari con i più elevati scarti di iscritti a favore delle donne: Linguistico (13.655 iscritte, 3.056 iscritti), Insegnamento (11.839 iscritte, 7.423 iscritti), Letterario (12.986 iscritte, 6.188 iscritti), Psicologico (7.450 iscritte, 2.385 iscritti); caso eccezionale risulta essere quello di Ingegneria, il cui differenziale è di 19.909 iscritti in più rispetto alle iscritte.

I valori rilevati da ISTAT nel 2015 confermano, dunque la tendenza femminile a prediligere discipline dell’area cosiddetta umanistica (Colombo, 2012; Del Boca, Mencarini, Pasqua, 2012).

L’esplorazione demografica condotta fin ora ha evidenziato una relazione critica, in particolare nel Mezzogiorno, tra propensione femminile alla prosecuzione degli studi ed effettive possibilità di svolgere un’occupazione qualificata, che sia continuata nel tempo, tutelata e retribuita equamente.

22.139 12.784 10.310 9.817 3.056 6.188 1.174 6.328 4.545 2.385 27.332 6.401 3.953 6.360 3.890 310 19.783 19.271 17.563 16.232 13.655 12.986 11.839 11.083 9.183 7.450 7.423 6.690 3.608 2.759 1.819 84 0 5.000 10.000 15.000 20.000 25.000 30.000 Economico - statistico Giuridico Politico - sociale Medico Linguistico Letterario Insegnamento Geo - biologico Chimico - farmaceutico Psicologico Ingegneria Architettura Agraria Scientifico Educazione fisica Difesa e sicurezza F M

(17)

Infatti, alcune tendenze contemporanee (la difficoltà a raggiungere ruoli apicali, il maggiore ricorso all’insegnamento come sbocco occupazionale anche nell’ambito scientifico, le limitazioni dei lavoro dipendente a tempo e atipico, le differenze di genere nelle retribuzioni), effetti della segregazione occupazionale femminile, originano domande sia sulle reali modalità di partecipazione delle laureate meridionali all’economia italiana, sia sulla capacità del mercato del lavoro di ammortizzare questo un nuovo

stock di forza lavoro altamente istruito.

1.2 Inclusione lavorativa

Al fine di comprendere più approfonditamente le dinamiche della partecipazione lavorativa e della segregazione occupazionale femminile, è stato ricostruito un quadro complessivo della situazione occupazionale femminile in Italia, rispetto alle variabili del genere, del titolo di studio e della ripartizione territoriale; per svolgere questa attività sono stati impiegati dati qualitativi ISTAT, estratti dall’interfaccia digitale del sito Internet11 e dai reports dell’istituto (ISTAT, 2018).

La Figura 7 di seguito illustra le proporzioni delle forze di lavoro attive, dei disoccupati e degli occupati in valori assoluti, per entrambi i sessi, come rilevati da ISTAT (2018) a Dicembre 2017; confrontando le proporzioni di occupati e occupate, inizia a emergere un divario di genere, pari al 27,6% di donne impiegate in meno rispetto agli uomini.

Figura 7. Nostra elaborazione grafica dei valori assoluti delle forze di lavoro italiane nel 2017 per genere.

Fonte: ISTAT.

Per osservare più nel dettaglio la composizione delle forze di lavoro femminili, sono stati esplorati i seguenti tassi (rilevati da ISTAT per il 2017):

a. il tasso di attività; b. il tasso di inattività; c. il tasso di occupazione; d. il tasso di disoccupazione; e. la percentuale dei Neet italiani;

11 Consultabili all’Url: < http://dati.istat.it/Index.aspx?QueryId=20745# >

13.381.000 1.493.000 4.948.000 9.686.000 1.298.000 8.600.000 23.067.000 2.791.000 13.440.000 0 5.000.000 10.000.000 15.000.000 20.000.000 25.000.000 Occupati Disoccupati Inattivi 15 - 64 anni Totali F M

(18)

f. la percentuale dei sottoccupati e di coloro i quali sono impiegati involontariamente in un lavoro part -time.

g. la condizione occupazionale, nel 2015, di diplomati e laureati del 201112.

Nel caso del tasso di attività e del tasso di inattività, la classe di età analizzata va da 15 ai 34 anni; per il tasso di occupazione e il tasso di disoccupazione, è stata focalizzata l’attenzione su un più ristretto range anagrafico, la classe di età 25 – 34 anni, una fascia demografica di cui, nel dibattito pubblico e politico odierno, si discute spesso come di un gruppo particolarmente sfavorito per quanto riguarda la stabilità lavorativa ed economica (Murgia, 2010; Del Boca, Mencarini, Pasqua, 2012).

a. Tasso di attività

Di seguito è proposto un confronto tra gli andamenti del tasso di attività maschile e di quello femminile dal 2007 al 2017, per la classe di età 15 -34 anni (Figura 8); tale attività è volta alla comprensione delle proporzioni delle giovani forze di lavoro attive femminili, e della loro crescita negli anni successivi alla crisi economica italiana degli anni Duemila.

Figura 8. Nostra elaborazione grafica dell’andamento dei tassi di attività maschile e femminile tra il 2007 e il 2017.

Fonte: ISTAT.

Dal confronto tra percentuali si evince uno scarto a svantaggio del tasso femminile, un gap che va dal 16,10% del 2007 al 12,40% del 2017; nel 2012, il momento di maggiore crescita economica dal 2007, il differenziale risultava del 13,10%; in termini di variazione percentuale, per entrambi i generi, in dieci anni i tassi di attività sono decresciuti: la variazione, dal 2007 al 2017, del tasso di attività maschile è di - 0,075%, quella del tasso di attività femminile è pari a – 0,081%.

Per osservare più nel dettaglio l’esperienza femminile, relazionandola alla variabile del contesto geografico, sono state utilizzate le percentuali delle cinque ripartizioni territoriali italiane considerate da Istat; i risultati evidenziano differenziali di genere a sfavore delle donne in tutte le aree: il 16,20% per il Meridione, il 9,30% per il Centro, il 9,90% per il Nord Est, il 10,60% per il Nord Ovest, il 10,30% per il Nord.

12Consultabili all’ Url: < http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCIS_LAUREATI# >

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 M 65,00% 64,50% 62,30% 61,00% 59,50% 60,20% 57,80% 57,50% 57,30% 57,70% 57,60% F 48,90% 49,30% 47,70% 46,40% 45,80% 47,10% 45,80% 45,80% 45,50% 45,10% 45,20% 0,00% 10,00% 20,00% 30,00% 40,00% 50,00% 60,00% 70,00%

(19)

Al fine di capire in che modo l’istruzione possa influire sui percorsi delle forze di lavoro femminili, è stata concentrata l’attenzione sul solo tasso di attività femminile, utilizzando come variabili i titoli di studio e, anche in questo caso, le aree di ripartizione territoriale (Figura 9).

Figura 9. Nostra elaborazione grafica dei tassi di attività femminile nel 2017 per titolo di studio e ripartizione territoriale.

Fonte: ISTAT.

Dal grafico risulta abbastanza evidente come in tutte e cinque le aree, ma con percentuali minori al Sud, la maggior parte delle forze di lavoro femminili appartenga al gruppo delle laureate: questo dato sembra evidenziare, su tutto il territorio, un legame chiaramente, positivo tra educazione terziaria e partecipazione al mercato del lavoro.

b. Tasso di inattività

Per proseguire in modo lineare, è stato realizzato un confronto tra i tassi di inattività femminile e maschile, relativi al 2017, per la classe di età 15 - 34 anni, dal quale è emersa una maggiore presenza delle donne tra gli inattivi: il 54,80% è, infatti, di sesso femminile, il 42,40% gli uomini, per un differenziale pari dunque al 12,40%.

A livello territoriale, il gap di genere più alto è detenuto dal Meridione (16,20%); è risultato minore negli altri territori: 8,90% per il Centro, 9,30% per il Nord Est, 10,6% per il Nord Ovest, 10,3% per il Nord.

La sintesi grafica riportata nella Figura 10 descrive il tasso di inattività femminile rispetto alla variabile del titolo di studio e della ripartizione territoriale.

24,10% 27,70% 17,40% 35,00% 21,00% 25,20% 25,70% 24,60% 23,60% 20,90% 59,00% 58,00% 60,30% 53,50% 39,70% 77,10% 78,40% 75,40% 75,20% 59,30% 0,00% 10,00% 20,00% 30,00% 40,00% 50,00% 60,00% 70,00% 80,00% 90,00% Nord Nord Ovest Nord Est Centro Mezzogiorno

(20)

Figura 10. Nostra elaborazione grafica dei tassi di inattività femminile nel 2017 per titolo di studio e ripartizione territoriale.

Fonte: ISTAT.

I tassi di inattività più elevati corrispondono a coloro le quali possiedono la licenza elementare e la licenza media: le percentuali più basse appartengono, invece, alle diplomate e alle donne che hanno optato per l’educazione terziaria e percorsi di formazione post laurea.

Inoltre, si nota uno scarto tra le laureate del Mezzogiorno e degli altri territori: risultano inattive il 42,70% delle laureate meridionali, mentre nelle altre aree il tasso di inattività non va oltre il 24,80% (Centro Italia).

c. Tasso di occupazione

Come per i tassi percentuali utilizzati in precedenza, è stato elaborato un confronto tra gli andamenti del tasso di occupazione maschile e quello femminile, per la classe di età 25 – 34 anni, negli anni della crisi e di una lenta ripresa economica in Italia, dal 2007 al 2017 (Figura 11).

Figura 11. Nostra elaborazione grafica del confronto tra gli andamenti dei tassi di occupazione maschile e femminile tra il 2007 e il 2017. Fonte: ISTAT. 75,90% 72,30% 82,60% 65,00% 79,00% 74,90% 74,30% 75,40% 76,40% 79,10% 41,00% 42,00% 39,70% 46,50% 60,30% 22,90% 21,60% 24,60% 24,80% 42,70% 0,00% 10,00% 20,00% 30,00% 40,00% 50,00% 60,00% 70,00% 80,00% 90,00% Nord Nord Ovest Nord Est Centro Mezzogiorno

Laurea e post laurea Diploma Licenza media Licenza elementare

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 M 58,90% 58,00% 54,50% 52,20% 51,00% 49,00% 45,10% 44,00% 44,70% 45,50% 46,20% F 42,50% 42,50% 40,00% 38,30% 37,70% 37,00% 34,60% 34,00% 33,50% 34,10% 34,80% 0,00% 10,00% 20,00% 30,00% 40,00% 50,00% 60,00% 70,00%

(21)

Tre fenomeni sembrano particolarmente evidenti: un costante gap a sfavore del tasso di occupazione femminile (uno scarto pari al 16,4% nel 2007 e all’11,4% nel 2017) e una generale decrescita di entrambi di tassi di occupazione, una variazione percentuale di – 22% per le donne e – 28% per gli uomini in dieci anni.

Analizzando i tassi di occupazione in relazione alla variabile del genere e delle aree di ripartizione territoriale, il quadro appare il seguente: i tassi di occupazione femminile risultano inferiori a quelli maschili in tutte e cinque le zone considerate; l’area che riporta i valori più negativi, per entrambi i generi, risulta essere il Mezzogiorno; nello specifico, il tasso di occupazione delle donne meridionali è pari al 32,20%, mentre nel resto d’Italia i valori oscillano tra il 59,80% del tasso di occupazione femminile del Nord Est e il 55,30% del Centro Italia.

Spostando invece l’attenzione sul solo tasso di occupazione femminile, raccordato alle variabili della provenienza geografica e dei titoli di studio, le percentuali sono quelle riportate nella Figura 12.

Figura 12. Nostra elaborazione grafica dei tassi di occupazione femminile nel 2017 per titolo di studio e ripartizione territoriale.

Fonte: ISTAT.

Sembra chiaro, dalle proporzioni riportate nel grafico, che coloro le quali hanno proseguito nell’educazione universitaria risultano maggiormente impiegate; ma, come nel caso del tasso di attività, il Mezzogiorno d’Italia riporta i valori di occupazione più bassi per tutti e quattro i livelli di studio, incluso, quindi, anche il livello dell’istruzione universitaria.

Questo dato spinge a considerazioni non solo circa le condizioni strutturali del mercato del lavoro nel Sud, ma anche relative a una relazione effettivamente positiva tra istruzione terziaria e occupazione per i giovani meridionali.

d. Tasso di disoccupazione

22,70% 23,70% 21,10% 25,80% 12,10% 42,50% 42,30% 42,80% 37,00% 19,40% 64,80% 63,90% 65,90% 57,90% 37,70% 80,00% 80,50% 79,30% 77,70% 63,30% 0,00% 10,00% 20,00% 30,00% 40,00% 50,00% 60,00% 70,00% 80,00% 90,00% Nord Nord Ovest Nord Est Centro Mezzogiorno

(22)

Le proporzioni tra tasso di disoccupazione maschile e femminile, per la classe di età 25 – 34 anni, sono riportate nella Figura 13.

Figura 13. Nostra elaborazione grafica dei tassi di disoccupazione maschile e femminile nel 2017 per ripartizione territoriale.

Fonte: ISTAT.

Dalla lettura del grafico si possono avanzare tre affermazioni: in generale, il tasso di disoccupazione femminile risulta maggiore di quello maschile in tutte le aree geografiche considerate; nel dettaglio, a eccezione del Centro Italia, in cui le donne sono maggiormente disoccupate degli uomini per il 2,10%, per il Settentrione il tasso di disoccupazione femminile risulta maggiore, con scarti che oscillano tra il 5,90% e il 4,80%; invece, il differenziale di genere più elevato appartiene al Mezzogiorno, in cui le donne riportano un gap pari al 16,20% in più rispetto al tasso di disoccupazione maschile.

Relativamente al rapporto tra area geografica e livello di scolarizzazione femminile, il quadro, che appare eterogeneo, è proposto nella Figura 14.

Figura 14. Nostra elaborazione grafica dei tassi di disoccupazione femminile nel 2017 per titolo di studio e ripartizione territoriale.

Fonte: ISTAT.

Il grafico presenta la seguente situazione: in tutte le ripartizioni territoriali, le meno impiegate risultano essere le giovani donne in possesso della licenza elementare e media; nel Meridione, non solo i tassi di disoccupazione

7,20% 6,40% 5% 14,30% 17,90% 12% 12,10% 10,90% 16,40% 33,20% 0,00% 5,00% 10,00% 15,00% 20,00% 25,00% 30,00% 35,00% Nord Nord Ovest Nord Est Centro Mezzogiorno F M 22,10% 21,40% 24,00% 18,20% 41,20% 20,40% 21,30% 18,80% 26,50% 42,60% 12,10% 13,30% 10,50% 14,90% 32,40% 7,80% 7,20% 8,80% 14,50% 28,70% 0,00% 5,00% 10,00% 15,00% 20,00% 25,00% 30,00% 35,00% 40,00% 45,00% Nord Nord Ovest Nord Est Centro Mezzogiorno

(23)

sono in generale più elevati rispetto al resto d’Italia ma, se da un lato a esser impiegate di meno sono le donne che hanno raggiunto il grado dell’istruzione secondaria (42,60%), dall’altro, il tasso di disoccupazione delle laureate meridionali è il più elevato in Italia (28,70%), in sintonia con le percentuali rilevate dal tasso di inattività.

e. Neet

Data l’intensità raggiunta da questo fenomeno in Italia (Murgia, 2010; Del Boca, Mencarini, Pasqua, 2012;), sono state riportate le percentuali dei giovani non occupati e non in istruzione e formazione (Not engaged in

education, employment or training) per quanto riguarda la classe di età 15 - 34 anni: la Figura 15 illustra una

situazione che sembra in linea con quanto indicato in precedenza anche dal tasso di inattività per genere e ripartizione territoriale.

Figura 15. Nostra elaborazione grafica dei tassi percentuali di Neet nel 2017 per genere e ripartizione territoriale.

Fonte: ISTAT.

Le percentuali femminili di giovani non occupate e non in formazione risultano, infatti, in tutti i casi più elevate delle percentuali maschili; il Centro Italia sembra avere il minore scarto tra generi a sfavore delle donne (gap di 1,20%); parallelamente, il Mezzogiorno riporta i valori peggiori per entrambi i sessi anche per questo indicatore: inoltre, risulta significativo il gap di genere, pari al 7%, se comparato ai differenziali degli altri territori, ovvero il 4,10% per il Nord e il Nord Ovest, il 4,20% per il Centro e il 4,80% per il Nord Est. Relativamente al grado di istruzione dei Neet, le percentuali sembrano indicare una penalizzazione per le donne in possesso della licenza elementare e media, seguite dalle diplomate; la più elevata percentuale di laureate non occupate e non in formazione si ritrova nel Mezzogiorno, il 35,30%, contro percentuali che vanno dal 18,40% del Centro Italia al 13,50% per il Nord Ovest.

11,90% 12,70% 11% 17,10% 33,40% 16% 16,80% 15,80% 18,30% 40,40% 0,00% 5,00% 10,00% 15,00% 20,00% 25,00% 30,00% 35,00% 40,00% 45,00% Nord Nord Ovest Nord Est Centro Mezzogiorno F M

(24)

f. Sottoccupati e part - time involontario

13

Sottoccupati

Tabella 4. Nostra elaborazione dei valori (per migliaia) dei sottoccupati nel 2017 per genere.

UOMINI DONNE

237 413

Fonte: ISTAT.

Occupati con part - time involontario

Tabella 5. Nostra elaborazione dei valori (per migliaia) dei lavoratori part - time involontari nel 2017 per genere.

UOMINI DONNE

73 95

Fonte: ISTAT.

Entrambi gli indicatori, rilevati per la classe di età 25 - 34 anni e in valori assoluti (per migliaia), riportano dati con scarti a favore del genere femminile che delineano una situazione complessivamente negativa: a risultare maggiormente sottoccupate e impiegate con contratto part- time involontario sono in entrambi i casi le giovani donne, sollevando alcune domande sugli effetti dell’utilizzo di questa formula contrattuale sull’inclusione lavorativa femminile in Italia (Del Boca, Mencarini, Pasqua, 2012).

Come anticipato, l’esplorazione fin ora condotta evidenzia alcune dimensioni dei percorsi di formazione e della ricerca di lavoro per le giovani donne italiane, ovvero: i differenziali di genere nella partecipazione al mercato del lavoro; la minore occupazione delle donne che non proseguono gli studi universitari; la relazione, Altrettanto critica, tra i livelli di istruzione terziaria raggiunta e la disoccupazione delle regioni meridionali. Con riferimento alla prima tali questioni, cioè il differenziale di occupazione tra uomini e donne, la maggiore presenza delle donne tra inattivi, disoccupati, Neet e sottoccupati si rispecchia in una loro minore rappresentazione tra attivi e occupati; una sintesi schematica degli indicatori, le cui percentuali sono sinonimo delle dinamiche appena citate, è stata riportata nelle Tabelle 6 e 7.

Tabella 6. Nostra elaborazione dei valori percentuali per la classe di età 15 - 34 anni nel 2017.

INDICATORI UOMINI DONNE

TASSI DI ATTIVITÀ 57,60% 45,20% TASSO DI INATTIVITÀ 42,20% 54,80%

Fonte: ISTAT.

13 Corrispondono a due indicatori complementari, utilizzati da ISTAT, nell’indagare il fenomeno, e le sfaccettature, della

disoccupazione: l’indicatore della sottoccupazione riguarda la porzione di occupati interessati a lavorare un numero maggiore di ore, l’indicatore del part – time volontario indica, invece, i sottoccupati che offrono una prestazione lavorativa part – time pur desiderando un’occupazione dalla durata maggiore.

(25)

Tabella 7. Nostra elaborazione dei valori percentuali per la classe di età 25 - 34 anni nel 2017.

INDICATORI UOMINI DONNE

TASSO DI OCCUPAZIONE 46,20% 34,8% TASSO DI DISOCCUPAZIONE 15,40% 19,00%

NEET 22,90% 37,80%

Fonte: ISTAT.

Relativamente a tali scarti nella partecipazione economica, le considerazioni proposte da ISTAT (2018), riguardanti la parità di genere nel mondo del lavoro, possono aiutare nel comprendere il fenomeno e la sua portata:

La doppia crisi sperimentata nel periodo 2009-2013 ha molto ridimensionato un processo di lungo periodo: negli ultimi nove anni […] la crescita del tasso di occupazione femminile è stata di 1,6 punti percentuali in confronto ai 6,5 punti dei nove anni precedenti. Complessivamente il gap di genere del tasso di occupazione è sceso dai 41,1 punti del secondo trimestre 1977 ai 18,0 punti del secondo trimestre 2017. La diminuzione del divario è tuttavia dovuta anche al calo del tasso per gli uomini, soprattutto negli anni della crisi. Dal secondo trimestre 1977 il tasso di occupazione maschile è sceso di 7,4 punti (dal 74,5% all’attuale 67,1%), di cui -3,6 punti dal secondo trimestre 2008. Nonostante i progressi, il nostro paese non è riuscito a recuperare il ritardo rispetto agli altri paesi europei. Il divario nei tassi di occupazione nel 2016 in l’Italia risulta di europea, collocando il nostro paese al penultimo posto seguito solo dalla Grecia (ISTAT, 2017b, p. 10).

Inoltre, sempre con riferimento al differenziale occupazionale:

Sinora, l'attuale crisi finanziaria e di bilancio non ha inciso tanto sulla quantità dell'occupazione femminile, quanto sulla sua qualità. In termini quantitativi, la crisi economica ha posto un freno alla tendenza positiva registrata dagli anni Settanta: a livello nazionale, il tasso di occupazione femminile è calato lievemente, passando dal suo livello massimo del 47,2% nel 2008 all'attuale 46,5% (2013). Tuttavia, i settori caratterizzati da una presenza prevalentemente femminile (prestazione di cure e servizi sanitari, insegnamento e altri servizi) sono stati colpiti in misura minore dalla crisi e, allo stato attuale, le perdite di posti di lavoro non sono risultate così drammatiche per le donne come lo è stato per gli uomini. In alcuni ambiti, come l'assistenza alle persone anziane, si è addirittura registrato un aumento. Questa tendenza potrebbe aver incoraggiato le donne entrate sul mercato del lavoro a compensare la perdita di reddito del loro partner parzialmente o totalmente disoccupato […] (Rosselli, 2014, p. 23).

La seconda riflessione riguarda, invece, ciò che risulta essere una minore occupazione delle donne che non accedono all’istruzione terziaria; dagli indicatori fin ora esplorati, risulta visibile una disparità tra i diversi titoli di studio, in particolar modo tra coloro le quali si sono fermate prima della licenza media o del diploma, e chi ha intrapreso un corso di laurea; come riporta l’ISTAT per il 2017:

Un ruolo determinante nell’accesso delle donne al mercato del lavoro è svolto dal livello di istruzione: il tasso di occupazione delle laureate è circa due volte e mezzo quello delle donne con al massimo la licenza media (75,6% contro 29,9%). Il livello di istruzione è ancor più determinate nel Mezzogiorno dove la quota di donne che lavorano raggiunge il 64,3% tra le laureate (il 17,8% tra le donne con basso titolo di studio) ridimensionando il divario con il Nord (Istat, 2018, pp. 10 - 11).

(26)

Infine, è necessario soffermarsi sulla situazione delle giovani laureate meridionali, poiché il tasso di disoccupazione e le percentuali di donne laureate Neet nel Sud Italia sono le più elevate tra le cinque ripartizioni territoriali; a tal riguardo, sembra possibile poter avanzare l’ipotesi che, nella fase del post – laurea, per le giovani donne del Meridione l’istruzione universitaria non risulti più una garanzia di accesso al mercato del lavoro, dal quale sembrano essere escluse in proporzioni maggiori rispetto alle colleghe del resto d’Italia. Inoltre, le prolungate difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro possono generare scoraggiamento e rinuncia, ripercuotendosi sui risultati della ricerca di una prima o nuova occupazione:

Il protrarsi del periodo di disoccupazione, la nascita dei figli e i carichi di lavoro domestico portano, infatti, molte donne a rinunciare alla ricerca stessa di un lavoro, passando da disoccupate a inattive. Sono le cosiddette << lavoratrici scoraggiate >>. Si stima che in Italia il numero di donne che desiderano lavorare, ma non cercano lavoro, sia passato da 209 mila nel 2000 a quasi 700 mila nel 2009 (contro i 30 mila uomini nel 2011 e i 184 mila nel 2009). Numeri decisamente più altri di Francia e Germania, ma anche rispetto alla Spagna. La situazione è particolarmente rilevante in alcune regioni del Sud Italia dove la sottostima del tasso di disoccupazione riduce le possibilità di accesso ai fondi dell’Unione europea destinati a interventi nelle aree in cui i tassi di disoccupazione sono particolarmente elevati. Per esempio nel 2008 la Calabria non è riuscita a ottenere i fondi europei destinati agli incentivi alle imprese che avessero assunto donne a causa della sottostima del tasso di disoccupazione femminile (Del Boca, Mencarini, Pasqua, 2012, poss. 553 – 564).

Con riferimento a ciò che si configura come un notevole divario territoriale nell’occupazione femminile, l’ISTAT (2018) spiega:

L’analisi di lungo periodo evidenzia infatti un costante ampliamento dei divari territoriali: tra il secondo trimestre 1977 e il secondo trimestre 2017, il tasso di occupazione delle donne residenti nelle regioni meridionali è cresciuto di soli 6,7 punti contro gli oltre 20 delle altre ripartizioni, raddoppiando la distanza tra Nord e Mezzogiorno (da 13,8 a 27,1 punti). Nel secondo trimestre 2017 l’indicatore nelle regioni settentrionali arriva al 59,4%, valore vicino alla media europea, mentre in quelle meridionali la quota di donne occupate resta inferiore a un terzo (32,3%) (ISTAT, 2018, p. 10).

g. Condizione occupazionale di diplomati e laureati

Diplomati

Per comprendere cosa avviene nel caso delle donne che non accedono all’istruzione terziaria ed entrano a far parte delle forze di lavoro, sono state indagate le proporzioni dei diplomati che cercano lavoro e che lavorano attivamente, confrontandoli con la percentuale dei diplomati che hanno invece proseguito gli studi (Figura 16).

(27)

Figura 16. Nostra elaborazione grafica della condizione occupazionale e di studio nel 2015 dei diplomati e delle diplomate del 2011.

Fonte: ISTAT.

La composizione risulta la seguente: rispetto a un universo campione di 450.797 individui diplomatisi nel 2011, il 40,40% delle diplomate intervistate nel 2015 risultava occupata, mentre il 23,60% cercava lavoro; esiguo è il differenziale di genere tra i diplomati che hanno scelto di continuare gli studi (1,10%); infine, appare significativo il differenziale di genere delle ragazze diplomate e inseritesi nel mondo del lavoro, pari al 6,40%. Sebbene, quindi, si possa osservare una predilezione delle diplomate, rispetto agli uomini, alla continuazione degli studi (evidenziata anche dai tassi di passaggio dalla scuola secondaria esplorati nel paragrafo precedente), è evidente una situazione di svantaggio per le diplomate che vogliono partecipare attivamente al mercato del lavoro.

Laureati

Per verificare se vi sia una relazione tra autosegregazione universitaria e segregazione occupazionale femminile, cui si accennava in precedenza (Del Boca, Mencarini, Pasqua, 2012), sono stati esplorati i valori percentuali relativi alla condizione occupazionale delle laureate nel 2011, per il primo e il secondo livello di laurea, rispetto alla variabile del gruppo disciplinare: l’universo di riferimento è composto da un totale di 270.583 ragazze laureatesi nel 2011.

La situazione lavorativa delle laureate di primo livello risulta essere la seguente: le maggiori percentuali di laureate occupate provengono dai gruppi Medico (85,50%), Difesa e sicurezza (85,30%), Economico – statistico (79,10%), Scientifico (76,50%); le laureate che cercano lavoro provengono per la maggior parte dai gruppi Geo – biologico (32,8%) e Architettura (27,80%); tra coloro le quali non lavorano e non cercano lavoro sono particolarmente presenti le universitarie che hanno frequentato i gruppi Letterario (11%) e Linguistico (9,30%); peculiare pare essere il caso del settore Psicologico, che riporta percentuali elevate sia di laureate attive nella ricerca di lavoro (30,50%), sia di laureate che hanno smesso di cercare lavoro (16,90%).

Relativamente alla condizione occupazionale delle laureate di secondo livello, le più alte percentuali di occupate corrispondono ai gruppi disciplinari Medico (96,30%), Difesa e sicurezza (94,70%), Ingegneria (91,30%), Insegnamento (89,40%), Economico – statistico (87%); tra le laureate che cercano lavorano spiccano coloro le quali provengono dal settore Letterario (22%), Geo – biologico (22,40%) e Psicologico (17,90%); coloro le quali non lavorano e non cercano lavoro sono situate in percentuali maggiori nel gruppo Linguistico (6,90%), Psicologico (6,40%), Letterario (5%) e Politico – sociale (3,60%) e Giuridico (8,90%);

46,80% 19,60% 30,70% 40,40% 23,60% 31,80% 0,00% 5,00% 10,00% 15,00% 20,00% 25,00% 30,00% 35,00% 40,00% 45,00% 50,00% Lavorano Cercano Studiano esclusivamente F M

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