Come si è visto, la nozione di “autorità” del provvedimento giudiziale, ignota nel codice del 1865, ha trovato compiuta (e discussa) codificazione solamente nel 1940, con l’introduzione dell’art. 337, 2° comma, c.p.c.
Tuttavia, tale espressione, poi ripresa all’art. 669-octies, 9° comma, c.p.c., è stata oggetto di due ulteriori previsioni, entrambe ormai abrogate, che possono aiutare a comprendere appieno tale nozione.
Il riferimento va, in particolare, all’art. 23, 6° comma, d.lg. n. 5/2003, a cui abbiamo già brevemente accennato supra, e all’art. 624, 3° comma, c.p.c., entrambi abrogati dalla l. 18 giugno 2009, n. 69.
3.1. Il “rito societario”: il d.lg. n. 5/2003.
Nei paragrafi che precedono, abbiamo già analizzato la relazione ministeriale al d.lg. n. 5/2003, la quale richiamava, con specifico riferimento all’art. 23, il dibattito forma-tosi proprio sull’art. 337, 2° comma, c.p.c.
Senza, pertanto, tediare il lettore in inutili ripetizioni, ci concentreremo nel presente paragrafo su un breve inquadramento sistematico dell’art. 23, 6° comma, d.lg. n. 5/2003, con riguardo, da un lato, alla legge di delega e, dall’altro lato, alle altre norme contenute nel medesimo provvedimento51.
L’art. 23 attua la delega contenuta all’art. 12, 2° comma, lett. c), l. 3 ottobre 2001, n. 366, con la quale si chiedeva al governo di prevedere «la mera facoltatività della
suc-cessiva instaurazione della causa di merito dopo l’emanazione di un provvedimento emesso all’esito di un procedimento sommario cautelare in relazione alle controversie nelle materie di cui al comma 1, con la conseguente definitività degli effetti prodotti da detti provvedimenti, ancorché gli stessi non [acquistino] efficacia di giudicato in altri eventuali giudizi promossi per finalità diverse».
Tuttavia, mentre il legislatore delegante aveva espressamente richiesto l’esclusione
51 Per un’analisi della norma e della stabilità del provvedimento cautelare ivi contemplato si vedano,
esemplificativamente, SALETTI, Sub art. 23, in SASSANI (a cura di), La riforma delle società. Il processo,
Torino, 2003, 227 ss. spec. 229; FRUS, Sub art. 23, cit., 670 ss.; ROMANO, Riflessioni sui provvedimenti
cautelari nel nuovo processo societario, in Riv. dir. proc., 2004, 1184 ss.; AMADEI, Il procedimento
cautelare e il giudizio abbreviato, in AMADEI –SOLDATI, Il processo societario: prima lettura
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di ogni “efficacia di giudicato” in “giudizi promossi con finalità diverse”, l’espres-sione, nel decreto delegato, veniva modificata nella formulazione già più volte richia-mata. Tale scelta veniva giustificata, nella relazione ministeriale, con la circostanza che il testo della legge delega appariva, sul punto, “criptico”. Lo scetticismo da parte del legislatore delegato si spiega con la circostanza che, come vedremo, non vi era mai stato alcun dubbio sull’inattitudine del provvedimento cautelare ad acquistare autorità di cosa giudicata e che, nel momento in cui la l. n. 366/2001 escludeva l’invocabilità della cosa giudicata “in giudizi promossi per finalità diverse”, implicitamente ne rico-nosceva, in giudizi promossi con le stesse finalità, tale “efficacia”. Comunque, sulle ragioni di tale equivoco, frutto a parere di chi scrive di una superficiale traduzione della nozione di autorité de la chose jugée nell’ordinamento francese, avremo modo di tornare nel prosieguo.
Il secondo aspetto sui cui si ritiene opportuno concentrarsi è rappresentato dall’art. 19 del medesimo d.lg. n. 5/2003, il quale, come noto, disciplinava il c.d. “procedi-mento sommario di cognizione”; istituto che con il procedi“procedi-mento disciplinato ex artt. 702-bis ss. c.p.c. (introdotto nel 2009) non aveva nulla in comune se non il nome.
Non interessa in questa sede prendere in esame le caratteristiche di tale procedi-mento52, salvo rilevare che, ai sensi dell’art. 19, 5° comma, d.lg. n. 5/2003,
“all’ordi-nanza [che decide il giudizio, n.d.r.] non impugnata non conseguono gli effetti di cui all'articolo 2909 del codice civile”. Il legislatore, dunque, nel disciplinare un istituto
alternativo alla tutela dichiarativa “ordinaria” prevista agli artt. 2 ss. del medesimo decreto, si premurava di chiarire che la sua decisione, ove non appellata, non avrebbe acquistato autorità di cosa giudicata.
Da questo breve excursus possiamo dunque trarre alcune conclusioni per meglio in-terpretare l’art. 23 d.lg. n. 5/2003. In ben due casi – rispettivamente all’art. 12, 2° comma, lett. c), l. 366/2001 e all’art. 19, 5° comma, d.lg. 5/2003 – il legislatore ha chiarito inequivocabilmente quando ha voluto riferirsi all’autorità di cosa giudicata. Ne consegue che, allorché, invece di richiamare espressamente il giudicato, il legisla-tore si sia riferito alla semplice “autorità” non può che aver inteso richiamare un effetto diverso al giudicato.
52 In argomento, esemplificativamente TRISORIO LIUZZI, Centralità del giudicato al tramonto?,
24 3.2. L’art. 624, 3° comma, c.p.c.
Un altro riferimento all’espressione “autorità” di un provvedimento, introdotto, quasi contemporaneamente alla riforma del processo cautelare, con l. 24 febbraio 2006, n. 52, e repentinamente eliminato dalla l. 18 giugno 2009, n. 69, era contenuto all’art. 624, 3° comma, c.p.c.
Tale norma, in tema di sospensione del processo esecutivo per opposizione all’cuzione, prevedeva che, a seguito della definitività della sospensione del processo ese-cutivo conseguente all’accoglimento della fase cautelare dell’opposizione ex art. 615 c.p.c. (definitività da intendersi come conseguente al mancato reclamo ovvero con-ferma in tale sede della sospensione dell’esecuzione), il giudice dell’esecuzione do-vesse dichiarare l’estinzione del pignoramento (sic!), con la precisazione che
“l'auto-rità dell'ordinanza di estinzione pronunciata ai sensi del presente comma non è invo-cabile in un diverso processo”.
Tale regime di stabilità traeva ispirazione, per espressa previsione legislativa, dalla disciplina della tutela cautelare a strumentalità attenuata53, al fine di evitare che il de-bitore, dopo essere uscito vittorioso dalla fase cautelare, non fosse costretto ad instau-rare il giudizio di merito, preferendo il legislatore affidare la valutazione circa l’op-portunità di instaurare un giudizio a cognizione piena in capo ad ogni “interessato” (così l’art. 624, 3° comma, c.p.c. nella versione vigente sino al 2009) e, dunque, anzi-tutto, al creditore procedente (soccombente nella fase di opposizione).
Tuttavia una tale voluntas legis appariva incompatibile con la lettera della legge, nella quale si escludeva l’invocabilità in un diverso processo non già dell’ordinanza di so-spensione (con i conseguenti corollari in punto di accertamento del fumus boni iuris che, effettivamente, avrebbero avvicinato notevolmente la disciplina dei provvedi-menti in esame a quella della tutela cautelare), ma dell’ordinanza di estinzione. Sen-nonché, come rilevato pressoché all’unanimità da tutti gli interpreti, l’estinzione del
53 Nella relazione di accompagnamento al d.d.l. n. 6232/C/XIV si affermava infatti che “La norma è
esplicitamente analoga al nuovo regime introdotto anche per i procedimenti cautelari dalla legge n. 80 del 2005”. Del resto, la circostanza non è sfuggita ai commentatori: LONGO, Contributo allo studio della
sospensione nel processo esecutivo, I, Pisa, 2018, 395; BOVE,Le opposizioni e le vicende anomale del processo esecutivo, in BALENA –BOVE, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, 290; BUCCI –SOLDI, Le nuove riforme del processo civile, Padova, 2006, 429.
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pignoramento (rectius, della procedura esecutiva54) ha per definizione efficacia circo-scritta al procedimento in cui è emesso, trattandosi di provvedimento non decisorio e, comunque, avente un oggetto meramente processuale55.
Per superare l’evidente paradosso di escludere l’invocabilità aliunde di un’efficacia che non esisteva, si è pertanto proposto, invero non senza una necessaria forzatura del dato letterale, di considerare l’ordinanza di sospensione e quella di estinzione come un “unico atto complesso”56, con la conseguenza che non si sarebbe potuto invocare in un diverso processo l’accertamento sull’insussistenza del diritto compiuto dal giudice nella fase cautelare dell’opposizione.
Ad ogni modo, a prescindere dall’espediente utilizzato, era certa, anzitutto, l’impos-sibilità per il provvedimento di estinzione (eventualmente in combinato con l’ordi-nanza di sospensione) di impedire al creditore di instaurare un nuovo procedimento esecutivo né al debitore di opporsi nuovamente per le medesime ragioni.
Non può peraltro sfuggire che una tale conclusione, pur essendo probabilmente l’unica sostenibile per dare un senso alla lettera della disposizione, confliggeva, a no-stro avviso insanabilmente, con la lettera della norma, la quale circoscriveva tale “au-torità” all’ordinanza di estinzione, anche se eventualmente intesa come momento con-clusivo di un atto complesso57.
Una tale formulazione letterale, dunque, riconosceva in primis proprio all’ordinanza di estinzione un’autorità che altrimenti non avrebbe avuto, salvo escluderne l’invoca-bilità in un diverso processo. Sennonché, come abbiamo osservato, l’ordinanza di
54 BUCCI –SOLDI, Le nuove riforme, cit., 429;PETRILLO, sub art. 624, in BRIGUGLIO –CAPPONI (a
cura di), Commentario alle riforme del processo civile, II, Padova, 2007, 655; MENCHINI –MOTTO, Le
opposizioni esecutive e la sospensione del processo di esecuzione, in ACONE –CONSOLO –LUISO – MENCHINI –MOTTO –MERLIN, Il processo civile di riforma in riforma, II, Milano, 2007, 216; TISCINI,
I provvedimenti, cit., 191.
55 BUCCI –SOLDI, Le nuove riforme, cit., 430;LONGO, Contributo, cit., 400;MENCHINI, Nuove forme
di tutela e nuovi modi di risoluzione delle controversie: verso il superamento della necessità dell’ac-certamento con autorità di giudicato, in AA.VV., Sulla riforma del processo civile. Atti dell’incontro di studio. Ravenna, 19 maggio 2006, Bologna, 2007, 55; MONTELEONE, sub art. 624 e 624bis, in C I-PRIANI –MONTELEONE (a cura di), La riforma del processo civile, Padova, 2007, 437; PETRILLO, sub
art. 624, cit., 658; TISCINI,Iprovvedimenti, cit., 194; TRISORIO LIUZZI, Centralità del giudicato, cit., 94.
56 MENCHINI –MOTTO, Le opposizioni, cit., 216; TISCINI, I provvedimenti, cit., 195.
57 La norma in esame era, infatti, stata definita, durante la sua vigenza, “ultronea”, in quanto non
aggiungeva nulla a quanto già poteva desumersi in base ai principi generali: BUCCI –SOLDI, Le nuove
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estinzione non ha alcuna efficacia extraprocessuale né tale norma, affrettatamente co-piata dalla disciplina del procedimento cautelare uniforme da poco introdotta, avrebbe potuto attribuirgliela ex imperio.
Si spiega così l’evidente errore in cui era caduto il legislatore e le ragioni che hanno portato ad una repentina espunzione dalla norma in questione di ogni riferimento all’autorità dell’ordinanza di estinzione avvenuto appena tre anni dopo dalla sua intro-duzione.