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Tutela cautelare e diritti sostanziali. Cenni conclusivi

Giunti così in conclusione dell’esame delle ipotesi più importanti in cui l’autorità del provvedimento cautelare entra in contatto con il diritto sostanziale, possiamo svolgere alcune brevi osservazioni conclusive.

Il diritto sostanziale non è indifferente alla concessione di un provvedimento caute-lare, dal momento che quest’ultima forma di tutela regola, come si è già più volte avuto modo di chiarire, immediatamente i rapporti tra le parti, avendo riflessi solo mediati nel processo civile.

Di conseguenza, sarebbe erroneo ritenere che l’irrilevanza in un diverso processo dell’autorità ex art. 669-octies, 9° comma, c.p.c. debba estendersi, per ciò solo, al di-ritto sostanziale, il quale, invece, subisce delle modifiche talvolta irreversibili anche al di fuori del processo, con la conseguenza che il tentativo di limitare l’efficacia del provvedimento cautelare anche in tali ambiti comporta, in ultima analisi, un inaccetta-bile tentativo di limitare la portata stessa dell’istituto sostanziale entrato in contatto con il provvedimento stesso.

Pertanto, in relazione ad ogni istituto di diritto sostanziale – di cui abbiamo analizzato i soli casi che, a nostro avviso, pongono maggiori problemi di interferenze con la tutela cautelare – è necessaria una verifica sulla compatibilità, volta per volta, tra tutela cau-telare e i presupposti per cui ogni istituto può trovare applicazione.

Solamente all’esito di tale verifica sulla disciplina di diritto sostanziale, troppo spesso ridotta ai minimi termini nell’analisi di tali problematiche, si può procedere a valutare i limiti entro cui l’art. 669-octies, 9° comma, c.p.c. incide su tale settore. Da quanto

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osservato in precedenza, si può così osservare come i rapporti tra provvedimento cau-telare e diritto sostanziale non siano sempre identici, essendo pregiudiziale accertare, volta per volta se la concessione della tutela interinale porti delle modifiche irreversi-bili o meno sul diritto sostanziale.

Alla prima categoria appartengono certamente le ipotesi in cui vi sia stata una modi-fica negli strumenti di stabilizzazione del diritto sostanziale (prescrizione e, nei limiti già analizzati, usucapione). In tali circostanze, infatti, la misura interinale, come più volte osservato, produce effetti immediatamente sul diritto sostanziale, a pena di sna-turare la ratio dei predetti istituti di stabilizzazione.

Del tutto diverso è, invece, il caso della ripetizione di indebito conseguente allo spon-taneo adempimento da parte del resistente. In tal caso, infatti, come abbiamo cercato di ricostruire in precedenza, benché il provvedimento cautelare indichi indiscutibil-mente alle parti la condotta da tenere (vale a dire, per quanto qui rileva, l’adempimento al dictum giudiziale) essa non incide affatto sul diritto sostanziale, dal momento che l’art. 2033 c.c. richiede, in capo al giudice, una valutazione ex novo sulla doverosità della condotta che prescinde dall’esistenza, al momento del pagamento, di un titolo astrattamente idoneo a giustificare uno spostamento patrimoniale: è, invece, necessario che tale titolo permanga al momento della pronuncia (come, del resto, conferma la possibilità di richiedere la ripetizione dell’indebito anche in caso di annullamento di un contratto originariamente efficace).

In tale caso, dunque, il provvedimento cautelare impone alle parti una determinata condotta che non può che acquisire i medesimi attributi di precarietà che sono propri del titolo in forza del quale il pagamento è stato eseguito, con la conseguenza che la regola di condotta ivi prevista vincola le parti ma non il giudice della causa di ripeti-zione dell’indebito, che potrà sempre accertare che non vi era alcuna prestaripeti-zione do-vuta che giustificasse lo spostamento patrimoniale.

Si tratta, dunque, di ipotesi ben diversa da quelle appena analizzate in cui il provve-dimento cautelare incide come un vero e proprio atto sostanziale sul diritto soggettivo e che mantiene i propri effetti vincolanti anche nei confronti dei giudici dell’ordina-mento.

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Occorre, insomma, valutare, volta per volta, se il provvedimento cautelare viene in rilievo come fatto storico, in quanto tale imprescindibile per ogni soggetto dell’ordi-namento per il solo fatto di essersi realizzato, o come atto giuridico suscettibile di in-dicare alle parti le regole di condotta: in tali ultimi casi, infatti, se il provvedimento è vincolante per le parti non può esserlo, ex art. 669-octies, 9° comma, c.p.c. per nessun altro e, dunque, nemmeno per il giudice che sia chiamato a decidere della controversia, il quale sarà chiamato a svolgere una valutazione ex novo del rapporto.

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CAPITOLO III

DECISIONE CAUTELARE E GIUDIZIO DI MERITO

SOMMARIO: 1. L’instaurazione del giudizio di merito. – 1.1. L’onere della prova nel giudizio ex art. 669-octies, 6° comma, II pt., c.p.c. – 1.2. Autorità del provvedimento cautelare e interesse ad agire nel giudizio di merito. – 2. Individuazione del regime di stabilità applica-bile alla misura interinale e rilevanza della qualificazione del giudice cautelare. – 2.1. Con-seguenze e rimedi delle parti in caso di erronea qualificazione del giudice cautelare. – 3. Il provvedimento cautelare come prova in un diverso giudizio. – 3.1. Il provvedimento caute-lare come prova scritta ex art. 634 c.p.c. – 3.2. (segue) Autorità “documentale” del provve-dimento cautelare.

1. L’instaurazione del giudizio di merito.

Come si è già osservato, la tutela cautelare presuppone sempre, sul piano della stru-mentalità funzionale, l’instaurazione del giudizio di merito. Si tratta di conclusione che trova la propria conferma non solamente nel diritto positivo (all’art. 669-octies c.p.c., rispettivamente ai commi 1° e 2° per la tutela cautelare a strumentalità piena e al comma 6°, II pt., per la tutela a strumentalità attenuata) ma altresì sulla base di ragioni prettamente logico-sistematiche. Infatti, ove si acceda alla soluzione per la quale la tutela cautelare è finalizzata ad assicurare alla parte che ha ragione la possibi-lità di trarre un’utipossibi-lità pratica dalla sentenza di merito1 – sicché in difetto di un

pericu-lum in mora il provvedimento non potrebbe essere concesso – ben si comprende perché

l’ordinamento debba sempre quantomeno permettere la possibilità di instaurare un giu-dizio di merito.

Sennonché sarebbe errato, sotto questo profilo, muovere un’indagine unitaria senza distinguere a seconda che si tratti di tutela cautelare a strumentalità piena ovvero atte-nuata, atteso che è proprio sul diverso grado di strumentalità strutturale che si consuma la principale differenza tra le due forme di tutela. Fermo restando l’identico grado di strumentalità funzionale tra le due forme di provvedimenti, il legislatore ha invece inciso significativamente sulla strumentalità strutturale, sicché mentre in caso di prov-vedimenti ultrattivi l’instaurazione del giudizio di merito è oramai meramente facolta-tiva, in caso di provvedimenti a strumentalità piena tale esigenza è rimasta immutata.

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È pertanto abbastanza evidente la ragione che, in tale ultimo caso, spinge il ricorrente vittorioso ad instaurare un giudizio di merito, atteso che, solo in tal modo, egli potrà preservare gli effetti del provvedimento cautelare che, altrimenti, verrebbero meno ex art. 669-novies, 1° comma, c.p.c.

Ciò significa che il ricorrente dovrà necessariamente instaurare un giudizio di merito tra le medesime parti, con la medesima causa petendi ed il medesimo petitum mediato del giudizio cautelare2.

Se, peraltro, tale conclusione si impone in forza di una piana applicazione delle norme di legge che disciplinano la materia, maggiormente problematica è apparsa, ad attenta dottrina3, la possibilità che il provvedimento cautelare a strumentalità piena mantenga la propria efficacia anche qualora il giudizio di merito sia instaurato non dal ricorrente ma dal resistente soccombente. Effettivamente, benché né l’art. 669-octies, 1° e 2° comma, c.p.c., né l’art. 669-novies, 1° comma, c.p.c. facciano alcun riferimento al soggetto a cui spetti l’instaurazione del giudizio di merito, accontentandosi la lettera di tale norma del fatto oggettivo della litispendenza, tuttavia, la soluzione restrittiva da

2 Assume, pertanto, importanza l’indicazione nel ricorso – oltre che dei tradizionali contenuti che deve

avere ogni atto ex art. 125 c.p.c. – della domanda di merito ad assicurazione della quale il ricorrente chiede la tutela cautelare.

Infatti, a parte qualche autorevole opinione dottrinale dissenziente (BIAVATI, Prime impressioni sulla

riforma del processo cautelare, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 567; CHIARLONI, Postilla: contro il

formalismo in ordine al contenuto del ricorso cautelare nel procedimento uniforme, in Giur. it., 1993,

I, 2, 785 s.; CIRULLI, Contenuto, nullità e sanatoria del ricorso cautelare ante causam, in Giur. merito,

1994, 1007 ss.), l’opinione consolidata, sia in dottrina, sia in giurisprudenza, ritiene necessaria

l’indi-cazione della domanda di merito (ARIETA, Le cautele. Il processo cautelare, in Trattato di diritto

pro-cessuale civile, 2° ed., XI, Padova, 2011, 875; GIORDANO, Contenuto dei ricorsi cautelari ante causam

e strumentalità c.d. attenuata, in Corr. merito, 2006, 1283; GUAGLIONE, sub artt. 669 quinquies – octies

– decies – terdecies, in CIPRIANI –MONTELEONE, La riforma del processo civile, Padova, 2007, 485;

SALETTI,Le misure cautelari a strumentalità attenuata, in TARZIA – SALETTI (a cura di), Il processo

cautelare, 5° ed., Padova, 2015, 295 ss. In giurisprudenza, tra le più recenti, si vedano Trib. Roma, 9

aprile 2016, in Ilprocessocivile.it; Trib. Napoli, 20 novembre 2015, in Redazione Giuffrè, 2016; Trib. Milano, 4 marzo 2015, ivi, 2015), dal momento che, diversamente opinando, il giudice cautelare non potrebbe valutare la sussistenza della strumentalità funzionale del provvedimento richiesto rispetto al diritto oggetto della futura (ed, in caso di tutela cautelare a strumentalità attenuata, eventuale) causa di merito.

Per la ricostruzione del dibattito, v., da ultimo, VULLO, Procedimenti cautelari in generale, in C

HIAR-LONI (a cura di), Commentario del codice di procedura civile, Bologna, 2017, 26 ss.

3 MERLIN, Le cause della sopravvenuta inefficacia del provvedimento, in TARZIA –SALETTI (a cura

di), Il processo cautelare, cit., 430. Contra, VERDE,sub Artt. 669-bis–669-quaterdecies,inVERDE –DI

NANNI, Codice di procedura civile. Legge 26 novembre 1990, n. 353, Torino, 1991, 262 s.; C

ARBO-NARA, Limiti oggettivi dell’«anticipazione» giuridica, «strumentalità attenuata» ed ulteriori riflessioni

in tema di provvedimenti cautelari nel nuovo rito societario, in LANFRANCHI –CARRATTA (a cura di),

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ultimo richiamata merita condivisione proprio perché, come già si è visto, il provvedi-mento cautelare può essere concesso solo a tutela del pericolo che il diritto del ricor-rente venga leso dalla durata del giudizio di merito. Pertanto, nel momento stesso in cui quest’ultimo non abbia provveduto ad instaurare tale giudizio4, egli dimostra per fatti concludenti che nessun pericolo vi è più dalla durata del processo, così spezzando la stessa strumentalità funzionale e determinando la sopravvenuta inefficacia del prov-vedimento5. Una diversa conclusione avvicinerebbe, del resto, in modo inaccettabile la strumentalità strutturale dei provvedimenti cautelari conservativi a quella dei prov-vedimenti ultrattivi.

Più articolato appare, invece, il discorso qualora si tratti di giudizio di merito instau-rato a seguito di provvedimento sottoposto al regime della strumentalità attenuata ex art. 669-octies, 6° comma, c.p.c. In tal caso, infatti, è la seconda parte di tale comma che, espressamente, riconosce a “ciascuna parte” il potere di instaurare il giudizio di merito, senza peraltro che l’inerzia di entrambe le parti possa inficiare l’efficacia della misura.

Come è intuitivo, in tale ipotesi le motivazioni che possono indurre ricorrente e resi-stente ad instaurare il giudizio di merito sono del tutto diverse da quelle poc’anzi ana-lizzate per i provvedimenti conservativi, atteso che tale attività non è mai posta a pena di inefficacia della misura interinale concessa.

Effettivamente, infatti, in caso di tutela cautelare a strumentalità piena, entrambe le parti possono avere un interesse, seppur ispirato a ragioni diverse, all’instaurazione del giudizio di merito.

Quanto al ricorrente, secondo gli auspici del riformatore del 2005, vi sarà conve-nienza all’instaurazione del giudizio di merito essenzialmente in due casi: per ottenere un accertamento con autorità di cosa giudicata ovvero la restituzione della cauzione, il

4 Oppure, beninteso, qualora non proponga domanda riconvenzionale nel giudizio di merito instaurato

dal resistente soccombente, purché ciò avvenga nei termini ex art. 669-octies, 1° e 2° comma, c.p.c. (termini minori rispetto a quelli concessi al convenuto, ex art. 167, 2° comma, c.p.c., per la proposizione

di una domanda riconvenzionale): MERLIN, voce Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, in Dig.

disc. priv., sez. civ., XIV, Torino, 1996, 423 n. 229.

5 In questo senso, seppur prima della riforma, ma con motivazioni che, come visto, sembrano

persi-stere anche successivamente al 2005, v., esemplificativamente TARZIA –SALETTI, voce Processo

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cui versamento gli sia stato richiesto al fine di ottenere la misura richiesta6.

Quanto alla prima ipotesi, benché il legislatore abbia ritenuto, come detto, che nella maggior parte dei casi il ricorrente sia appagato dalla tutela interinale ricevuta (spie-gandosi, così, la centralità che il criterio dell’anticipatorietà assume nell’individua-zione dei provvedimenti sottoposti al regime dell’ultrattività), non può però escludersi

a priori che talvolta possa essere necessaria non solo l’attuazione della misura, ma

altresì la stabilità della cosa giudicata7.

La seconda ipotesi è meno intuitiva della prima, ma, probabilmente, di maggiore ri-levanza pratica. Infatti, occorre ricordare come, talvolta, a seguito dell’accoglimento della domanda cautelare, il giudice possa ordinare ex art. 669-undecies c.p.c. il versa-mento di una cauzione per gli eventuali risarcimenti del danno (previsione ribadita, in tema di provvedimenti nunciativi, dagli artt. 1171, 2° comma, e 1172, 2° comma, c.c.). In tali casi, mentre nel regime della tutela cautelare a strumentalità piena il ricorrente potrà ripetere tali somme solo all’esito del giudizio di merito, nulla viene previsto per la tutela interinale ultrattiva. Pertanto, il ricorrente che voglia ripetere le somme ver-sate a titolo di cauzione dovrà necessariamente instaurare il giudizio di merito al fine di far accertare la fondatezza della propria pretesa8.

Più frequente sarà, tuttavia, l’ipotesi speculare a quella che precede, in cui il giudizio di merito sia instaurato non dal ricorrente vittorioso ma dal resistente soccombente, il

6 BALENA, La disciplina del procedimento cautelare «uniforme», in BALENA –BOVE, Le riforme più

recenti del processo civile, Bari, 2006, 339; BUONCRISTIANI, sub art. 23, in LUISO (a cura di), Il nuovo

processo societario, Torino, 2006; DALMOTTO, sub art. 669-octies, in CHIARLONI (diretto da),Le recenti riforme del processo civile, II, Bologna, 2007, 1267; DEMARCHI,Le modifiche ai procedimenti cautelari in generale ed al procedimento di ingiunzione, in DEMARCHI, Il nuovo rito civile, II, Milano, 2006, 115; MENCHINI, Le modifiche al procedimento cautelare uniforme e ai processi possessori, in CONSOLO – LUISO –MENCHINI –SALVANESCHI, Il processo civile di riforma in riforma, I, Milano, 2006, 87 n. 38; SALETTI, Le misure cautelari, cit., 309.

7 Si tratta di risultato particolarmente importante ogniqualvolta, a seguito di un provvedimento

caute-lare di mero accertamento, il resistente soccombente non si conformi a quanto accertato dal giudice cautelare.

8 Non può, anzi, escludersi che in talune ipotesi, proprio per l’ampio potere discrezionale che la legge

riconosce al giudice (è sufficiente ricordare come l’art. 669-undecies c.p.c. si limiti a richiedere che il giudice disponga la cauzione “valutata ogni circostanza”; previsione ribadita dall’art. 1171, 2° comma, c.p.c., che richiede che le cautele adottate siano “opportune”, e dall’art. 1172, 2° comma, c.p.c. che prevede che sia disposta una garanzia “qualora ne sia il caso”), il magistrato utilizzi tale strumento

proprio per indurre il ricorrente ad instaurare il giudizio di merito (DALMOTTO, sub art. 669-octies, cit.,

1270), fissando l’importo della cauzione in una misura prossima al valore della domanda cautelare ac-colta. Tale possibilità, lungi dal rappresentare un abuso da parte del magistrato, rappresenta, a nostro avviso, un equo punto di equilibrio tra gli interessi contrapposti delle parti, di fatto permettendo al con-tenuto del provvedimento cautelare di meglio modellarsi sulle peculiarità del caso concreto.

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quale, con l’instaurazione del giudizio, contesta la bontà della decisione cautelare. Benché, infatti, il resistente abbia maggior interesse a contestare la decisione giudiziale con le forme del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. e non con quelle ordinarie9, tutta-via anche il giudizio di merito presenta elementi lato sensu impugnatori per nulla tra-scurabili10. Infatti, con l’instaurazione di tale giudizio il resistente potrà contestare quanto statuito dal giudice cautelare, sia qualora tale decisione sia stata confermata in sede di reclamo (costituendo, pertanto, il giudizio di merito una sorta di ulteriore im-pugnativa, quantomeno nei fini perseguiti dal resistente), sia qualora il reclamo non sia stato proposto per una qualsiasi ragione (e, dunque, anche per decadenza imputa-bile al resistente), sia, infine, qualora la misura cautelare sia stata concessa solamente in fase di reclamo11.

Pertanto, mentre all’esito di un’ordinanza cautelare sottoposta al regime della stru-mentalità piena il giudizio di merito sarà instaurato, nella quasi totalità dei casi, dal ricorrente, in caso di tutela cautelare a strumentalità attenuata entrambe le parti (anche se ragionevolmente in misura maggiore il resistente) potrebbero avere interesse all’in-staurazione del giudizio. Ciò spiega l’attenzione che il legislatore ha attribuito, all’art. 669-octies, 6° comma, II pt., c.p.c., a tale possibilità, riconoscendo espressamente ad entrambe le parti la legittimazione ad instaurare un giudizio di merito.

Sennonché, la natura di tale giudizio, apparentemente trattata in modo unitario a

9 A favore di tale soluzione militano, infatti, quantomeno due argomenti: da un lato, la durata

netta-mente più ridotta del giudizio di reclamo cautelare rispetto a quella di un ordinario giudizio di merito; dall’altro lato, il minor costo, in termini di spese di giustizia (ed, in particolare, solitamente, il minor importo del contributo unificato) della fase di reclamo.

10 È, peraltro, evidente che non si tratta di giudizio impugnatorio in senso stretto, dal momento che la

sua instaurazione non è finalizzata a prevenire il consolidamento (con efficacia di giudicato) della

de-cisione cautelare: ROMANO, L’azione di accertamento negativo, Napoli, 2006, 428 s.

11 Come è noto, infatti, a seguito di C. Cost., 23 giugno 1994, n. 253 – consultabile in Giust civ., 1995,

I, 659 ss., con nota di MAMMONE, Incostituzionalità dell’art. 669-terdecies c.p.c. e parità delle parti nel

processo cautelare; in Dir. Lav., 1994, II, 569 ss., con nota di DE MARCHIS; in Riv. giur. lav., 1995, II,

176 ss., con nota di DE MARCHIS, Note in calce al reclamo ex art. 669 terdecies cod. proc. civ.; in Foro

it., 1994, I, 2005 ss., con nota di CAPPONI, Il reclamo avverso il provvedimento cautelare negativo (il

difficile rapporto tra legislatore ordinario e legislatore costituzionale); in Corr. giur., 1994, 948 ss.,

con nota di TOMMASEO, Il rigetto della domanda cautelare e garanzia del reclamo; in Giur. it., 1994,

I, 409 ss., con nota di CONSOLO, Il reclamo cautelare e la «parità delle armi» ritrovata (e dei corollari

che ne discendono, anche in tema di giudizio possessorio) – il cui insegnamento è stato poi recepito

anche legislativamente ex art. 669-terdecies, 1° comma, c.p.c., anche il ricorrente rimasto soccombente può proporre reclamo, sicché, in caso di accoglimento dell’impugnazione, il resistente (vittorioso nel primo grado e soccombente nel secondo) non potrebbe proporre ulteriori impugnazioni.

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vello legislativo, è, almeno apparentemente, diversa a seconda che questo sia instau-rato dal ricorrente ovvero dal resistente.

Mentre, infatti, nel primo caso, il giudizio avrà il medesimo contenuto di quello in-staurato ex art. 669-octies, 1° e 2° comma, c.p.c., invece nel secondo caso, in adesione all’opinione maggioritaria, si tratterebbe di un vero e proprio giudizio di accertamento negativo12. Si tratta di soluzione pienamente condivisibile e coerente con le esigenze sistematiche sottese all’ammissibilità di un’azione di accertamento negativo: se è con-siderato sufficiente un vanto della controparte per fondare l’interesse ad agire in via di accertamento negativo, tale conclusione sembra imporsi a fortiori nei casi in cui il vanto si sia concretizzato in un’azione cautelare la quale sia stata financo accolta da un giudice13. In tal caso, infatti, la volontà del resistente di eliminare lo stato di incer-tezza derivante dalla concessione di una misura cautelare appare, dunque, in re ipsa14.

A tale prima soluzione qualificatoria, invero, se ne contrappone una seconda, la quale afferma che il giudizio di merito instaurato dal resistente sarebbe una mera provocatio

12 In argomento, tra i tanti, MERLIN, Le cause della sopravvenuta inefficacia, cit., 430; ROMANO,

L’azione di accertamento negativo, cit., 426 ss.;CARBONARA, Limiti oggettivi, cit., 405 ss.; GUAGLIONE,

Il processo cautelare, Napoli, 2006, 430.

Come osserva LONGO, sub art. 23, in COSTANTINO (a cura di), I procedimenti in materia commerciale,

Padova, 2005, 471 n. 82, tale soluzione trova, del resto, conferma nel progetto di riforma, elaborato dalla commissione presieduta da Giuseppe Tarzia (in Riv. dir. proc., 1996, 945 ss. spec. 964), la quale