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4. Brevi considerazioni provvisorie sulla nozione di “autorità” del provve-

6.1. Incompatibilità tra tutela cautelare e cosa giudicata

Nel paragrafo precedente abbiamo chiarito come all’art. 669-octies, 9° comma, c.p.c. non pare che il legislatore abbia escluso l’invocabilità aliunde dell’autorità di cosa giudicata del provvedimento cautelare, ma un’efficacia da questa diversa (che specifi-cheremo meglio infra).

Occorre, però, a questo punto, meglio chiarire il punto.

Benché, a parere di chi scrive, l’art. 669-octies, 9° comma, c.p.c. tratti di un feno-meno diverso dall’autorità di cosa giudicata, sicché sarebbe erroneo riconoscere in quella norma il fondamento dell’incompatibilità tra tutela cautelare e cosa giudicata, ciò non significa affatto, come già anticipato, che il provvedimento cautelare sia ido-neo ad acquistare autorità ex art. 2909 c.c. Infatti, l’interpretazione da noi auspicata dell’art. 669-octies c.p.c. prescinde dalla problematica da ultimo richiamata.

Dunque, non si vuole affatto affermare – come pure in dottrina si è invece talvolta affermato66 – che il provvedimento cautelare, quantomeno in astratto, possa permettere un accertamento immutabile, ma solamente che una tale conclusione derivi (salvo che

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con una interpretazione a fortiori della norma) dall’art. 669-octies, 9° comma, c.p.c., il quale non si occupa direttamente della attitudine del provvedimento cautelare al giu-dicato67.

Del resto, le ragioni che in passato, anteriormente alla riforma del 2005, giustifica-vano l’inattitudine dell’ordinanza cautelare ad acquistare autorità di cosa giudicata non sembrano essere in alcun modo state scalfite neppure successivamente.

Ciò deriva, anzitutto, dalle caratteristiche che, tradizionalmente, sono ritenute proprie della tutela cautelare.

Infatti, tra i requisiti di tale forma di tutela vi è non solo la strumentalità rispetto al giudizio di merito, ma altresì la provvisorietà. Con tale ultima espressione si indica la caratteristica per la quale il provvedimento “è destinato a durare fino a che non soprag-giunga un evento successivo, in vista ed in attesa del quale lo stato di provvisorietà permane nel frattempo”68. Dunque, ai sensi dell’art. 669-novies, 3° comma, c.p.c. il provvedimento cautelare, a strumentalità tanto piena quanto attenuata, è destinato ad essere superato dalla decisione di merito. Tale requisito è rimasto immutato, mentre è stata attenuata la sola strumentalità strutturale, dal momento che l’instaurazione del giudizio di merito è ormai facoltativo69. Di conseguenza, il provvedimento cautelare, quale che sia il grado di strumentalità strutturale, è sempre incompatibile con la stabi-lità che l’art. 2909 c.c. riconosce al provvedimento con autorità di giudicato, essendo destinato sempre ad essere superato da una successiva decisione di merito.

Meno significativo, a sostegno dell’inidoneità del provvedimento cautelare ad acqui-stare autorità di cosa giudicata, sembra invece la cognizione sommaria, sufficiente (ed

67 Se infatti, come abbiamo cercato di argomentare supra, la lettera della norma ci pare inequivoca nel

senso di riconoscere una qualche autorità al provvedimento cautelare, è altrettanto inequivocabile come il legislatore abbia voluto, seppur maldestramente, ribadire come il provvedimento cautelare sia incom-patibile con il giudicato. Certo una tale conclusione non è sostenibile sul piano letterale, tuttavia è pro-prio la preoccupazione che la decisione cautelare vincolasse un altro giudice che ha spinto il legislatore ad intervenire, al contempo cogliendo però l’occasione per meglio precisare entro quali limiti il prov-vedimento interinale abbia una qualche efficacia.

68 CALAMANDREI, Introduzione, cit., 168 (corsivo del testo). Il provvedimento cautelare è, dunque, provvisorio nel fine, dal momento che è sempre destinato a venir meno a seguito della decisione di

merito (TARZIA, La tutela cautelare, in TARZIA –SALETTI (a cura di), Il processo cautelare, cit., XXXI).

69 Non riteniamo, pertanto, di poter condividere la tesi di QUERZOLA, La tutela anticipatoria, cit., 194

ss., la quale, all’esito di un ampio percorso argomentativo, arriva ad escludere, in capo ai provvedimenti

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invero, secondo taluno, altresì necessaria70) ex art. 669-sexies c.p.c., ai fini della deci-sione del giudice cautelare71.

Infatti di per sé non vi è alcuna incompatibilità tra cognizione sommaria e giudicato: benché tale incompatibilità fosse stata predicata expressis verbis già dal legislatore del rito societario72, tuttavia sono molteplici le ipotesi in cui si è ritenuto che non vi sia alcuna incompatibilità tra giudicato e cognizione sommaria. Ci si riferisce, in partico-lare, all’ampia categoria dei c.d. “accertamenti con prevalente funzione esecutiva”73, ossia quei provvedimenti la cui principale finalità non è tanto l’accertamento del diritto (e la sua conseguente immutabilità74), quanto l’attribuzione al ricorrente di un titolo esecutivo. Senza poter indugiare in questa sede su una compiuta analisi di tali misure e sulla loro efficacia75, ciò che rileva è che tali provvedimenti, pur nascendo provvisori (possono, infatti, essere revocati in presenza di una contestazione ad opera della parte

70 Non è raro, infatti, imbattersi in decisioni di merito che rigettano talune istanze istruttorie (in

parti-colare, consulenze tecniche d’ufficio), formulate in un giudizio cautelare, in quanto richiederebbero accertamenti incompatibili con la cognizione – e la durata – del giudizio cautelare: esemplificativamente sul punto, v. Trib. Milano, 2 agosto 2017, www.ilcaso.it; Trib. Genova, 29 dicembre 2014, in De Jure.

Sul ruolo della liquidità della prova in sede cautelare v. RECCHIONI, Diritto processuale cautelare, cit.,

466 s.

71 Escludono ogni rapporto tra forme di tutela ordinarie e giudicato, tra i tanti, ALLORIO, Nuove

rifles-sioni, cit., 116;LIEBMAN, Unità del procedimento cautelare, cit., 252. Riconosce, invece, un

significa-tivo ruolo alla sommarietà della cognizione TOMMASEO, I provvedimenti d’urgenza, cit., 158 ss. spec.

170 ss.

72 L’art. 12, 2° comma, lett. d), l. n. 366/2001, delegava il governo all’introduzione di «un giudizio

sommario non cautelare, improntato a particolare celerità ma con il rispetto del principio del contrad-dittorio, che conduca alla emanazione di un provvedimento esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato». Si contrapponeva così la sommarietà della cognizione alla stabilità della cosa giudicata.

73 L’espressione è in CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile, 3° ed., Napoli, 1923, 196 ss.;

ID., Istituzioni di diritto processuale civile, I, 2° ed., Napoli, 1935, 213 ss.

74 Con riferimento all’attitudine del decreto ingiuntivo ad acquistare autorità di cosa giudicata si

ve-dano, esemplificativamente, GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, 2° ed. a cura di Romano,

Milano, 2012, 11; TRISORIO LIUZZI, Centralità del giudicato, cit., 22 ss.; MENCHINI, Il giudicato civile,

2° ed., Torino, 2002, 354 ss.; LA CHINA, La tutela, cit., 42.Sul punto, in giurisprudenza, v. Cass., 17

luglio 2018, n. 19113, in De jure; Cass., 28 novembre 2017, n. 28318, ivi. Per ogni ulteriore riferimento

si veda CONTE, Procedimento d’ingiunzione, in CHIARLONI (a cura di),Commentario del codice di

pro-cedura civile, Bologna, 2012, 265 ss.

È, peraltro, nota la tesi, ormai superata, secondo la quale il decreto ingiuntivo non opposto – come pure l’ordinanza di convalida ex art. 663 c.p.c. – non avrebbe l’efficacia propria della cosa giudicata,

ma un’efficacia minore, definita “preclusione pro iudicato”: REDENTI, Diritto processuale, cit., III, 2°

ed., Milano, 1954, 25 ss.

75 Per una analisi sul punto, nonché per gli opportuni riferimenti bibliografici, si veda,

esemplificati-vamenteMENCHINI, Orientamenti sull’efficacia dei provvedimenti contenziosi sommari non cautelari,

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resistente), possono stabilizzarsi ed acquistare una maggiore stabilità nell’accerta-mento76. Una tale soluzione si giustifica proprio con la possibilità riconosciuta alla controparte di proporre opposizione, unitamente all’infruttuoso spirare del termine concesso per tale attività. Siamo, in ultima analisi, in presenza di una vera e proprio presunzione iuris et de iure, con la quale il legislatore ritiene che la mancata opposi-zione nei termini equivalga a tacita accettaopposi-zione del provvedimento derivante dalla correttezza dello stesso.

Dal momento che, ai sensi dell’art. 669-octies, 6° comma, II pt., c.p.c., ciascuna parte può instaurare il giudizio di merito (che, in questa tesi potrebbe essere assimilato ad un giudizio di opposizione), la mancata “opposizione” del provvedimento cautelare rappresenterebbe, per parte della dottrina, una tacita accettazione del suo contenuto. Di conseguenza, lo stesso schema appena analizzato in relazione agli accertamenti con prevalente funzione esecutiva sarebbe, in tale ricostruzione, estensibile anche ai prov-vedimenti cautelari a strumentalità attenuata.

Pertanto, di per sé non vi sarebbe alcuna astratta incompatibilità tra provvedimento cautelare e giudicato, dipendendo solamente da una scelta di diritto positivo – e preci-samente quella prevista ex art. 669-octies, 9° comma, c.p.c. – l’accoglimento di una diversa conclusione77.

Tuttavia, tale soluzione, nonostante la ricchezza di argomenti addotti a suo sostegno, ci pare in contrasto sia con la funzione della tutela cautelare sia, come del resto rico-noscono anche i suoi sostenitori, con la disciplina di diritto positivo.

Anzitutto, abbiamo già spiegato le ragioni per cui l’art. 669-octies, 9° comma, c.p.c. prescinde, a nostro avviso, dal dibattito in esame e, di conseguenza, non si potrebbero ricercare al suo interno indicazioni (quantomeno dirette) circa l’attitudine del provve-dimento cautelare al giudicato.

A ben vedere, invece, l’incompatibilità tra provvedimento cautelare e stabilità del giudicato è un postulato a monte di tale previsione normativa: proprio perché il prov-vedimento cautelare è incompatibile con il giudicato il legislatore ha sentito la neces-sità di disciplinarne l’autorità.

76 Magistralmente in argomento, v. già CALAMANDREI, Introduzione, cit., 170. Più di recente sul punto

si vedano, esemplificativamente, LIEBMAN, voce Giudicato, cit., 11; MENCHINI, Orientamenti, cit., 321.

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Tanto premesso, non ci sembra che vi siano nemmeno ragioni sistematiche che giu-stifichino l’applicazione della disciplina degli “accertamenti con prevalente funzione esecutiva”, tali da determinare una qualche forma di stabilità peculiare dei provvedi-menti cautelari.

Mentre infatti in relazione agli “accertamenti con prevalente funzione esecutiva” è previsto dal legislatore un termine ultimo entro cui la parte può proporre opposizione78, sicché l’ordinamento ben può tollerare un periodo di incertezza prima della cristalliz-zazione dell’accertamento in attesa che il resistente proponga l’eventuale opposizione a cognizione piena, per i provvedimenti cautelari a strumentalità attenuata non è pre-visto alcun termine perentorio79 per l’instaurazione del giudizio “oppositorio” di me-rito80.

Un termine di vera decadenza è, infatti, previsto solamente, ex artt. 669-octies, 1° e 2° comma, e 669-novies, 1° comma, c.p.c., per i provvedimenti cautelari a strumenta-lità piena, in relazione ai quali è, però, unanimemente esclusa l’idoneità ad acquistare autorità di cosa giudicata81.

Di conseguenza, il risultato a cui porterebbe, se sviluppata sino alle sue estreme con-seguenze, la tesi in esame sarebbe l’idoneità al giudicato dei provvedimenti a strumen-talità piena e non, invece, di quelli a strumenstrumen-talità attenuata. Se, dunque, le conclusioni

78 È sufficiente ricordare il termine di quaranta giorni previsto dall’art. 645 c.p.c. in materia

procedi-mento monitorio. In argoprocedi-mento, v. già CHIOVENDA, Principii, cit., 212.

79 Tralasciamo volutamente, per il momento, il dibattito formatosi sul ruolo di prescrizione ed

usuca-pione ai fini della stabilizzazione della misura (su cui v. capitolo II).

80 L’obiezione non sfugge, del resto, neppure a QUERZOLA, La tutela anticipatoria, cit., 198 s., la

quale, tuttavia, replica che, di regola, la parte soccombente nel giudizio cautelare instaurerà immedia-tamente il giudizio di merito, come del resto, sarebbe imposto dal principio di buona fede e correttezza. Inoltre, a ben vedere un termine ultimo sarebbe rappresentato dallo spirare del termine di prescrizione del diritto.

Nessuna di queste repliche pare, tuttavia, dirimente.

Anzitutto, è lo stesso legislatore che esplicitamente, per i provvedimenti cautelari a strumentalità at-tenuata, esclude un termine per instaurare il giudizio di merito. Sicché pare portare a conclusioni contra

legem l’inserimento di un (peraltro, non quantificato) termine breve imposto dalla buona fede e

corret-tezza tra le parti.

Quanto alla seconda obiezione, fermo restando che non è pacifico il consolidamento, per prescrizione del diritto, della situazione di fatto creata dal dictum cautelare (al riguardo si veda capitolo II, pf. 3), ad ogni modo il termine di prescrizione sarebbe irragionevolmente lungo e, comunque, suscettibile di in-terruzione e sospensione ex artt. 2943 e 2945 c.c. La differenza rispetto ai brevi termini (peraltro deca-denziali) che il legislatore usualmente pone per il consolidamento di un provvedimento a prevalente funzione esecutiva appare la miglior riprova di una disomogeneità tra tutela cautelare e tutela cognitiva sommaria.

81 La stessa dottrina (citata alla n. 64) favorevole ad una qualche forma di stabilità del provvedimento

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cui porterebbe questo percorso argomentativo non sono condivisibili, è necessario di-scostarsi anche dalle sue premesse.

Quanto precede ci permette, così, di individuare un ulteriore argomento contro l’at-titudine dei provvedimenti cautelari ad acquistare autorità di giudicato. Infatti, come abbiamo più volte rilevato, l’art. 669-octies, 9° comma, c.p.c. non distingue tra tutela cautelare a strumentalità piena e attenuata. Di conseguenza, dal momento che è opi-nione unanime la provvisorietà della prima tipologia di misure82, non vi sono, a nostro avviso, ragioni per riconoscere stabilità di giudicato ai provvedimenti ultrattivi e non anche a quelli previsti all’art. 669-octies, I pt., c.p.c., se non con un’interpretatio

abro-gans parziale della norma.

Peraltro, la conclusione da ultimo criticata è preclusa anche da una ragione di oppor-tunità. Ai sensi dell’art. 669-octies, 6° comma, II pt. c.p.c., le parti sono sempre libere di instaurare, anche al di fuori dei casi in cui vi è un termine di decadenza ex art.

669-octies, I pt., c.p.c., un giudizio di merito, finalizzato proprio all’accertamento (con

ef-ficacia di giudicato) del diritto cautelato.

Tuttavia, ove si ritenesse tale stabilità derivante già dal provvedimento cautelare, la norma in esame sarebbe priva di ogni reale utilità.

Certamente non vi sarebbe interesse ad ottenere, con la sentenza di merito, la stabilità del giudicato, dal momento che, in ipotesi, essa sarebbe già propria del provvedimento cautelare. Neppure vi sarebbe interesse ad instaurare il giudizio di merito per mettere in discussione quanto statuito in sede cautelare (vi è una sostanziale identità tra la do-manda svolta in sede cautelare e la dodo-manda svolta nel giudizio di merito). Infatti, così opinando, il secondo giudice sarebbe vincolato a quanto accertato in sede cautelare.

Si conferma così che, anche in difetto di ogni previsione ex art. 669-octies, 9° comma, c.p.c., il provvedimento cautelare a strumentalità sia piena sia attenuata è incompati-bile con la stabilità della cosa giudicata. Di conseguenza, non ci sembra che sia in ciò che risiede il proprium di tale norma.