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Le altre sentenze significative

Successivamente la Corte di Giustizia Europea è tornata sull’argomento con altre sentenze per meglio specificare se si potesse utilizzare il modello dell’in house in caso di società miste a totale partecipazione pubblica.

Nella sentenza Stadt Halle RPL Recycling Park Lochau

GmbH c. Arbeitsgemeinschaft Termiche Restabfall und Energieverwertungsanlange TREA Leuna il giudice ha de-

limitato la deroga dell’affidamento diretto del servizio nel caso

27Per un rilievo sulla dottrina Teckal, F. CARUSO, Corte di Giustizia comunitaria e disciplina degli appalti pubblici, in A. D’ATENA (a cura

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in cui l’amministrazione aggiudicatrice abbia il pacchetto azio- nario di maggioranza del soggetto affidatario. In questa causa28, la questione interpretativa sottoposta alla Corte solle-

vata dalla TREA Leuna, riguardava l’affidamento di un ap- palto di servizi operato senza il ricorso alla gara ad evidenza pubblica dalla città di Halle in favore di una società partecipata in via maggioritaria, la Lochau GmbH appunto, con delibera comunale e senza avviare alcuna formale procedura d’appalto. La RPL Lochau era una s.r.l. il cui capitale era sottoscritto maggioritariamente dalla città di Halle e minoritariamente dai privati. Il giudice del rinvio, chiedeva di chiarire, in relazione alla disciplina dell’impresa pubblica o collegata ex Direttiva 93/38/CE, in presenza di quali condizioni un organismo for- malmente distinto da un’amministrazione aggiudicatrice, in cui vi sia la partecipazione societaria di privati (società mista a prevalente capitale pubblico), debba considerarsi come facente parte della pubblica amministrazione ossia come organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice. Con- fermando l’eccezionalità della deroga all’ in house, i giudici affrontando la questione della natura mista del capitale della società affidataria, escludono l’applicabilità della deroga per le forme di paternariato pubblico-privato, pregiudicando l’obiet- tivo di una concorrenza libera e non falsata ed il principio di parità di trattamento degli interessi contemplati dalla Direttiva

28Causa C-26/03, in CGCE 11 gennaio 2005, Raccolta 2005, I-1,

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92/50/CEE specialmente nel caso in cui questa procedura si of- fre ad un’impresa privata un vantaggio rispetto ai suoi concor- renti.

Ne consegue che, nel caso in cui un’amministrazione aggiudi- catrice intenda affidare un servizio ad una società nella quale detiene una partecipazione, seppur prevalente, assieme a più imprese private, essa deve necessariamente espletare le proce- dure di affidamento degli appalti pubblici previsti dalla norma- tiva comunitaria, in quanto la relazione che viene ad instaurarsi tra interesse pubblico e interesse privato si atteggia a pura in- compatibilità29.

Questa tendenza venne riconfermata dalla Corte di Giustizia poco tempo dopo nella sentenza Consorzio Aziende Metano

(Co.Na.Me.) c. Comune di Cingia de’ Botti30, dove si esclude

la possibilità di affidamento in house quando il soggetto aggiu- dicatario è partecipato dai privati, in quanto tale partecipazione precluderebbe il controllo analogo. Nella fattispecie il Comune di Cingia de’ Botti aveva attribuito con affidamento diretto il servizio di distribuzione del metano e di manutenzione degli impianti di gas alla Padania Acque S.p.A., società a prevalente capitale pubblico detenuto dalla Provincia di Cremona e anche da tutti i comuni della provincia. Con il ricorso al giudice am-

29 M. CHIAPPETTA, L’in house providing alla luce della più recente giurisprudenza comunitaria, n. 4/2006, par. 1, in www.LexItalia.it. 30Causa C-231/03, in CGCE 21 luglio 2005, Raccolta I-07287, www.cu-

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ministrativo, Il Co.Na.Me. lamentò che l’affidamento del ser- vizio in questione sarebbe dovuto avvenire mediante una pro- cedura d’aggiudicazione ad evidenza pubblica. In questa occa- sione il giudice comunitario, sottolineando che la controversia principale riguardava l’attribuzione di una concessione, ribadi- sce che: il fatto che una società sia aperta, almeno in parte, al capitale privato impedisce di considerarla come una struttura di gestione interna di un servizio pubblico nell’ambito dei co- muni che ne fanno parte, specificandosi inoltre come il requi- sito del controllo analogo fosse da considerarsi escluso anche in presenza di una partecipazione irrisoria da parte del co- mune al capitale della società costituita assieme ad altri enti locali per la gestione di un servizio pubblico.

La Corte, ancora, in merito all’applicazione del modello dell’ in house providing alla concessione, precisa come, differen- ziandosi dal caso dell’appalto, non fosse possibile individuare criteri specifici tali da consentire un affidamento senza gara della concessione stessa, quali quello del controllo analogo e dell’attività prevalente, ma si fece riferimento ma circostanza obiettive tali da giustificare una differenza di trattamento tra imprese. Ne consegue che, diversamente dalla giurisprudenza Teckal, in questo caso non si tratta di cogliere dei profili ine- renti il rapporto instaurato tra amministrazione e prestatore al fine di dimostrare la sostanziale coincidenza tra le parti con- trattuali, ma identificare delle situazioni che, sulla base di un

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contemperamento d’interessi da valutare caso per caso, con- sentano di escludere la messa in concorrenza del servizio in concessione31.

Considerazioni simili a quelle già rappresentate sono state espresse anche nel caso Mödling32 (Commissione delle Co- munità Europee c. Repubblica d’Austria), relativo all’affi-

damento diretto del servizio di smaltimento dei rifiuti da parte di un comune austriaco ad una società a capitale interamente pubblico, le cui quote azionarie di minoranza erano state suc- cessivamente cedute ad una società privata. Con questa pro- nuncia la Corte conferma l’illegittimità dell’affidamento in house di un servizio pubblico ad una società a capitale misto pubblico-privato. Nel caso di specie il Comune di Mödling aveva costituito la società Abfallwirtschafts GmbH, il cui og- getto sociale consisteva nella fornitura di servizi in materia di gestione ecologica dei rifiuti e del relativo svolgimento di trat- tative commerciali nel campo dello smaltimento dei rifiuti, comprensivo pure dell’elaborazione e dello sviluppo di un si- stema per la gestione dei rifiuti, principalmente del suddetto comune, che poi era l’unico socio. Il comune aveva trasferito in esclusiva alla società costituita il servizio di raccolta e trat- tamento dei rifiuti e, in un secondo momento, aveva ceduto una

31C. IAIONE, Le società in house, contributo allo studio dei principi di autorganizzazione e autoproduzione degli enti locali, Jovene Editore, Na-

poli, 2007, p. 168-170.

32 Causa C-29/04, in CGCE 10 novembre 2005, Raccolta I-09705,

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parte del capitale di tale società ad un’impresa privata. Se- condo i giudici comunitari, l’affidamento in house è da consi- derarsi illegittimo non solo in presenza di una partecipazione congiunta di soggetti pubblici e privati al capitale sociale, ma anche quando alla totale partecipazione pubblica si accompa- gnino elementi tali da determinare una limitazione dei poteri di controllo da parte dell’ente locale sul soggetto incaricato del servizio. Questi fattori possono essere individuati, per esem- pio, nella presenza di un oggetto sociale troppo ampio, nel pre- vedere obbligatoriamente la privatizzazione della società, nella possibilità per l’impresa di operare su tutto il territorio nazio- nale e anche all’estero e, specialmente, il riconoscimento a li- vello statutario di poteri gestionali in capo all’organo esecu- tivo, esercitabili autonomamente e senza necessità di autoriz- zazione preventiva da parte del soggetto pubblico, elementi questi che tendono a rafforzare la vocazione commerciale della società, conseguendone non sussistente quel rapporto di con- trollo analogo per poter applicare l’istituto dell’in house provi- ding. Si può, quindi, affermare che la giurisprudenza che ne deriva introduce un terzo tipo di criterio per valutare la legitti- mità di affidamenti operati in deroga al principio della gara pubblica. Di fatto, questa sentenza non ribadisce soltanto che da una parte il controllo esercitato dall’autorità aggiudicatrice non deve essere attenuato per effetto della partecipazione, sep- pur in minoranza, di un’impresa privata nel capitale della so- cietà cui sia stata affidata la gestione del servizio di cui si tratta

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e, dall’altra parte, che la società deve realizzare la parte essen- ziale delle proprie attività unitamente all’ente o agli enti che la controllano, si sottolinea l’esigenza che questi criteri risultino soddisfatti in modo permanente, precisando che, nell’ipotesi in cui, soddisfatti i due criteri all’atto dell’attribuzione della ge- stione del servizio, si tratterebbe di una concessione ad un’im- presa ad economia mista senza previa aggiudicazione in re- gime di concorrenza, dovendo essere presente precedente- mente all’affidamento e non intervenire successivamente33.

Questa linea fu seguita dal giudice comunitario anche nella sentenza Parking Brixen GmbH c. Gemeinde Brixen e

StadtwerkeBrixen AG34 riguardante l’affidamento diretto

senza gara alla gestione di due parcheggi, disposto dal Comune di Bressanone in favore della società ASM Bressanone S.p.A., il cui capitale sociale era interamente posseduto dall’ente lo- cale. La Corte, pronunciandosi su un rinvio interpretativo del TAR di Trento, giudica non conforme al modello dell’in house detta società, perché assente il requisito del controllo analogo, sebbene il totale del capitale sia pubblico. Il suddetto possesso assieme alla riserva della nomina della maggioranza dei com- ponenti degli organi di amministrazione e controllo in favore dell’ente pubblico non determinano l’attribuzione di un con- trollo analogo a quello che l’ente eserciterebbe su un proprio servizio interno. Questo, in quanto la società ha acquisito una

33M. CHIAPPETTA, art. cit., par. 1c.

34 Causa C-458/03, in CGCE 13 ottobre 2005, Raccolta I-08585, www.curia.europa.eu.

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vocazione commerciale vista la trasformazione della vecchia azienda speciale in società per azioni rendendo precario il con- trollo del comune. Da notare che, il giudice comunitario ritiene che l’obbligo legale di un’apertura del capitale sociale, da rea- lizzare magari in futuro, possa rilevare come elemento dell’as- senza del requisito del controllo analogo, e dunque l’elemento differenziante, è rappresentato dalla stessa cedibilità, seppur minoritaria, di parte del capitale sociale a soggetti privati35.

Si torna sull’argomento con la sentenza Anav (Associazione

Autotrasporto Viaggiatori) c. Amtab Servizio S.p.A. e Co- mune di Bari36. In questa occasione la Corte ribadisce che gli artt. 43 (sul diritto di stabilimento), 49 (sui servizi) e 86 (sulle regole applicabili alle imprese) del Trattato, come anche i prin- cipi di parità di trattamento, di non discriminazione sulla base della nazionalità e di trasparenza non ostano ad una disciplina nazionale (come quella dell’art. 113, comma 5, lett. c, TUEL) che consente l’affidamento diretto, senza gara, a società a ca- pitale interamente pubblico a condizione che si rispettino i re- quisiti enunciati nella sentenza Teckal. La Corte aggiunge che queste condizioni – che costituiscono un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario -, avrebbero dovuto essere in- terpretate restrittivamente e che l’onere di dimostrare l’effet- tiva sussistenza delle circostanze eccezionali che giustificano

35M. CHIAPPETTA, art. cit., par. 1b

36Causa C-410/04, in CGCE 6 aprile 2006, Raccolta I-03303, www.cu-

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la deroga a quelle regole grava su colui che intende avvaler- sene. Secondo i giudici comunitari se, in pendenza dell’affida- mento del servizio, il capitale della società aggiudicataria fosse aperto ad azionisti privati, la conseguenza di ciò sarebbe l’af- fidamento di una concessione di servizi pubblici ad una società mista senza procedura concorrenziale, il che contrasterebbe con gli obiettivi perseguiti dal diritto comunitario. Nello speci- fico, la partecipazione, ancorché minoritaria, di un’impresa privata nel capitale di una società alla quale partecipa pure l’autorità pubblica concedente esclude in ogni caso che la detta autorità pubblica possa esercitare su tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. In sostanza, se la società concessionaria è una società aperta – anche parzial- mente -, al capitale privato, questa circostanza non la qualifica come struttura di gestione interna di un servizio pubblico nell’ambito dell’ente che la detiene, e se nel corso della durata della concessione in affidamento diretto cambia la compagine societaria comporta che si leda i principi del Trattato in tema di concorrenza, conseguendone che la proprietà pubblica del capitale sociale non solo deve permanere per tutta la durata del rapporto ma deve pure essere garantita da appositi strumenti, quali il divieto di cedere le azioni sancendolo nello statuto37.

Con la sentenza Carbotermo S.p.A. e Consorzio Alisei c. Co-

mune di Busto Arsizio e AGESP S.p.A.38 che, ha ad oggetto

37 C. IAIONE, op. cit., p. 179-180.

38 Causa C-340/04, in CGCE 11 maggio 2006, Raccolta I-04137,

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nuovamente un rinvio pregiudiziale in tema di in house provi- ding, avendo avuto modo la Corte di contornare e sviluppare il cd. criterio dell’attività prevalente. Nel caso di specie il co- mune di Busto Arsizio aveva indetto una gara per la fornitura di energia, con anche la relativa manutenzione, l’adeguamento e la riqualificazione tecnologica degli impianti termici a servi- zio degli edifici comunali. Lo stesso comune decideva poi di revocare la gara, affidando direttamente l’appalto alla società AGESP S.p.A., controllata interamente dalla AGES Holding S.p.A., il cui capitale apparteneva quasi interamente (il 99,98%) al comune stesso e per le quote restanti ad alcuni co- muni nella medesima provincia. Questa sentenza è importante in quanto contiene la prima vera interpretazione autentica del contenuto e della definizione del criterio dell’attività preva- lente, considerando che fino a questo momento il giudice co- munitario si limitava ad escludere la possibilità di derogare al principio dell’evidenza pubblica solamente sulla base della mancanza del controllo analogo. In questa pronuncia la Corte stabilisce che: nel valutare se un’impresa svolga la parte più importante della sua attività con l’ente pubblico che la detiene, al fine di decidere in merito all’applicabilità della Direttiva 93/36, si deve tener conto di tutte le attività realizzate da tale impresa sulla base di un affidamento effettuato dall’ammini- strazione aggiudicatrice, indipendentemente da chi remunera

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tale attività, potendo trattarsi della stessa amministrazione ag- giudicatrice o dell’utente delle prestazioni erogate, mentre non rivela il territorio in cui si è svolta l’attività.39

Chiudiamo con la sentenza Jean Auroux e a. c. Commune de

Roanne40 che, riguarda un rinvio pregiudiziale sulla nozione di appalto pubblico di lavori e sulle modalità di calcolo del va- lore dell’appalto. Si comincia con l’affermare che l’ammini- strazione aggiudicatrice non è esonerata dal fare ricorso alla gara secondo la Direttiva 93/37, per il fatto che la normativa nazionale limita la conclusione della convenzione solo con de- terminate persone giuridiche. Si prosegue sostenendo che una convenzione con cui una prima amministrazione aggiudica- trice affida ad una seconda amministrazione aggiudicatrice la realizzazione di un’opera costituisce un appalto pubblico di la- vori ai sensi della suddetta Direttiva, indipendentemente dal fatto che sia previsto o non previsto che la prima amministra- zione aggiudicatrice sia o divenga proprietaria, in tutto o in parte di tale opera. Cercando di chiarire il secondo aspetto, per determinare il valore di un appalto, occorre prendere in consi- derazione il valore totale dello stesso da un punto di vista di un potenziale offerente, cosicché non vengono inclusi soltanto gli importi che l’amministrazione aggiudicatrice dovrà pagare, ma

39R. CHIEPPA – V. LOPILATO – S. TENCA, Giurisprudenza ammini- strativa, Milano, 2012, p. 330.

40Causa C-220/05, 18 gennaio 2007, Raccolta I-00385, www.curia.eu-

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anche tutti gli introiti che proverranno da terzi. Si conclude af- fermando che: un’amministrazione aggiudicatrice non è di- spensata dal ricorso alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici previsti dalla Direttiva, per il fatto che, con- formemente al diritto nazionale, questa convenzione possa es- sere conclusa soltanto con determinate persone giuridiche, che siano esse stesse amministrazioni aggiudicatrici, e che sareb- bero tenute, a sua volta, ad applicare dette procedure per ag- giudicare eventuali appalti successivi, e affermando che tale convenzione deve essere qualificata come appalto pubblico di lavori ai sensi della Direttiva41.

1.5 Specificazione della nozione di in house providing.