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L' In house providing: una compiuta realizzazione?

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea in Giurisprudenza vecchio ordinamento Tesi in Diritto Amministrativo

In house providing:

una compiuta realizzazione?

Il Candidato Il Relatore

Massimiliano Lemmi Chiar.mo Prof. Alfredo Fioritto

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A mio nonno Ernani, costruttore edile, a mio nonno Dino, imprenditore,

che da lassù mi sorridono, e mi hanno dato l’ispirazione per affrontare questo lavoro, alla mia famiglia, che mi ha supportato in questi anni per poter arrivare fin qui.

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"Nessuna delle discipline giuridiche investe di sé tanta parte del mondo moderno come il diritto amministrativo".

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1

INDICE

Introduzione 7

CAPITOLO I

ORIGINI DELL’ISTITUTO

1.1 Origine europea dell’istituto 14

1.2 Definizione dell’istituto 22

1.3 La sentenza Teckal come leading case 25

1.4 Le altre sentenze significative 29

1.5 Specificazione della nozione di in house providing. Rinvio 40

1.6 Sulla comunicazione interpretativa sulle concessioni 41

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2

CAPITOLO II

EVOLUZIONE E APPROCCIO

NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA

2.1 Tentativi normativi di riordino nel settore degli appalti di

opere pubbliche 52

2.1.1 Dalla legge del 1865 (e successivi interventi normativi) alla cd. legge Merloni 52

2.1.2 Gli affidamenti diretti in economia (cenni) 64

2.1.2.1 I lavori in economia 64

2.1.3 La riforma della legge Merloni 65

2.1.3.1 Quadro generale 65

2.1.3.2 L’articolo 7 della legge n. 166 del 2002 66

2.1.4 Gli affidamenti in house nell’art. 113 del d.lgs. 267/2000 (TUEL) e successive modifiche 68

2.1.5 Sul Codice dei contratti 76

2.1.6 L’art. 125 del Codice 78

2.1.7 Evoluzione dell’istituto dell’in house provding nella normativa nazionale 83

2.1.8 La legge delega per il recepimento delle nuove direttive UE sugli appalti pubblici e concessioni 102

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3

2.2 Contributi giurisprudenziali. Rinvio 104 2.3 Approccio nella legislazione nazionale 105 2.3.1 Tendenza dell’ordinamento alle esternalizzazioni 105 2.3.1.1 Sull’outsourcing 109 2.3.2 Sulla distinzione tra imprese controllate e collegate nel tenore dell’art. 2359 c.c. in connessione con il codice dei con-tratti 113 2.3.3 Inesistenza della distinzione tra i due enti 124 2.3.4 La cooperazione verticale e orizzontale. Rinvio 128

CAPITOLO III

LA COOPERAZIONE VERTICALE

(IN HOUSE PROVIDING)

3.1 Premessa 129 3.1.1 Definizione 131 3.2 Requisiti per l’instaurazione del rapporto di in house pro-viding. A) ……. controllo analogo B) ……. e sull’attività pre-valente 134 3.2.1 A) ……. controllo analogo 134

(8)

4

3.2.2 B) ……. e sull’attività prevalente 147

3.3 Posizione ondivaga della giurisprudenza negli affidamenti diretti a società mista 158

3.3.1 Due tesi a confronto 158

3.3.2 Dal parere del Consiglio di Stato ……. verso l’Adu-nanza Plenaria 160

3.4 Sulle deroghe al principio dell’evidenza pubblica 168

3.5 Sulla motivazione dell’affidamento diretto 179

CAPITOLO IV

LA COOPERAZIONE ORIZZONTALE

(ACCORDI TRA PUBBLICHE

AMMINISTRAZIONI) CENNI

4.1 Cenni introduttivi 184

4.2 Tipologie di accordi 188

4.2.1 Gli accordi ex art. 15 l. 241/90 188

4.2.2 Le convenzioni ex art. 30 del d.lgs. 267/2000 190

(9)

5

4.2.4 Gli accordi di programma ex art. 34

del d.lgs. 267/2000 196

4.2.5 Gli accordi ex art. 203 della l. 662/96 199

4.3. Accordi tra pubbliche amministrazioni e codice dei con-tratti 202

4.3.1 Società semplici e gare per l’affidamento di contratti pubblici 207

4.3.2 Accordi tra pubbliche amministrazioni e norme comuni-tarie in materia di contratti pubblici 208

4.4 Prima apparizione dell’istituto in house cd. orizzontale 211

CAPITOLO V

L’IN HOUSE PROVIDING

NELLE DIRETTIVE DEL 2014

5.1 Quadro introduttivo 216

5.2 Le direttive del 2014 nello specifico 220

5.3 Un’interessante parere del Consiglio di Stato 232

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6 Conclusioni 242

BIBLIOGRAFIA E GIURISPRUDENZA

Bibliografia 250 Giurisprudenza europea 260 Giurisprudenza italiana 262

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7

Introduzione

A conclusione del mio percorso universitario, ho voluto intra-prendere un’indagine su un aspetto cruciale, quanto spinoso, della nostra economia e cioè l’appalto di lavori, servizi e for-niture in un suo modello particolare di affidamento diretto, ri-tenendo appagante trattarla nella sua evoluzione normativa e giurisprudenziale. La disciplina degli appalti pubblici è uno degli elementi più rilevanti nello sviluppo economico del no-stro Paese1, e questo lavoro ha lo scopo di analizzare quella

particolare forma di affidamento diretto di lavori, servizi e for-niture denominata in house providing. Tutto comincia con il titolo scelto per questo lavoro: L’in house providing: una com-piuta realizzazione?, cercando di dare una risposta a questo in-terrogativo nella sua genesi ed evoluzione come attività della pubblica amministrazione2. Per procedere all’inquadramento

1Nel corso del primo trimestre del 2014 le stazioni appaltanti hanno

atti-vato una domanda di contratti pubblici corrispondente ad un importo complessivo pari a 19,4 miliardi di euro, ripartito per il 78,5% nell’ambito dei settori ordinari e per il restante 21,5% nell’ambito dei settori speciali. Indipendentemente dal settore di appartenenza, nel periodo considerato (gennaio-marzo 2014), la distribuzione per tipologia di contratto ha evi-denziato una domanda di lavori pari a 4 miliardi di euro (20,8% dell’am-montare complessivo), di servizi pari a 10,1 miliardi di euro (52% dell’ammontare complessivo) e di forniture pari a 5,3 miliardi di euro (27,2% dell’ammontare complessivo); questi dati ci possono dare l’idea di come questo settore della nostra economia sia nevralgico per lo svi-luppo del nostro Paese; Rapporto Trimestrale sule procedure di

affida-mento, 03/2014, www.anac.it

2Nel nostro Paese le pubbliche amministrazioni, favorite dallo stesso

le-gislatore, hanno mantenuto la «sacca» del privilegio derivante dall’affi-damento diretto della gestione di attività e servizi pubblici a società

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inte-8

del suddetto istituto non si può prescindere da una premessa sull’origine europea – che ha cercato di definirne i contorni in modo sempre più puntuale attraverso l’opera della giurispru-denza della Corte di Giustizia -, che all’inizio appariva una de-finizione pretoria e meno positiva. In generale, la pubblica am-ministrazione può soddisfare le sue esigenze secondo due di-verse modalità: ricorrendo al libero mercato come qualsiasi al-tro operatore economico oppure autoproducendo i beni e i ser-vizi di cui necessita. Difatti, nonostante che il diritto comuni-tario imponga il rispetto dei principi cardine del mercato in-terno, lascia in capo alle pubbliche amministrazioni il potere di autorganizzazione, le quali potranno scegliere di agire in eco-nomia o di ricorrere a prestazioni di terzi. Questo nasce dal fatto che la pubblica amministrazione non sempre si pone sul mercato come un qualsiasi operatore privato e che è vincolata al rispetto dei principi di imparzialità, buon andamento ed ef-ficienza (principi sanciti anche dalla nostra Carta Costituzio-nale all’art. 97). L’espressione, quindi, di in house identifica la possibilità di autoproduzione da parte della pubblica ammini-strazione di beni e servizi all’interno della propria struttura or-ganizzativa senza ricorrere a terzi tramite l’attivazione delle obbligatorie procedure ad evidenza pubblica. L’espressione in

ramente partecipate e quindi in deroga ai fondamentali principi comuni-tari della concorrenza e della trasparenza, F. FIMMANO’, Le società in

house tra giurisdizione, responsabilità ed insolvenza, art. 8 aprile 2014, Crisi d’Impresa e Fallimento, Saggio destinato alla Rivista "Gazzetta

Fo-rense", a cura dell’Università Telematica Pegaso, n. 1, gennaio-febbraio 2014, p. 1, www.ilcaso.it

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9

house è stata utilizzata per la prima volta nel Libro Bianco del 1998 con il quale la Commissione Europea, relativamente al settore degli appalti pubblici, specifica il concetto di "appalti in house" come "quelli aggiudicati all’interno della pubblica amministrazione, ad esempio tra amministrazione centrale e locale o, ancora, tra un’amministrazione e una società da que-sta interamente controllata". La legittimazione dell’istituto dell’in house providing, - che nacque nel Regno Unito per con-sentire una maggiore flessibilità di azione alle nuove tipologie di organizzazione della pubblica amministrazione -, si attribui-sce alla famosa sentenza Teckal pronunciata nel 1999 dalla Corte di Giustizia, la quale ammette tale forma di affidamento qualora integri delle precise condizioni delineate dalla Corte stessa.

In questo lavoro cercherò di evidenziare come i vari interventi della giurisprudenza sia europea che nazionale – come stru-menti di definizione – incidano nella scelta del contraente negli appalti pubblici indagando a doppio filo: l’uno in primis ana-lizzando le origini con le sue evoluzioni, e l’altro dando conto di alcune innovazioni intervenute sul tema arrivando al recepi-mento delle nuove direttive del 2014 sugli appalti pubblici con apposito disegno di legge delega ancora in discussione al Pala-mento, tenendo sempre come bussola la risposta all’interroga-tivo posto all’inizio.

Arriviamo ora a descrivere come è strutturata la tesi e quali sono gli obiettivi che cercheremo di raggiungere.

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10

Il primo capitolo individua i referenti giurisprudenziali che danno origine all’istituto analizzando l’evoluzione della disci-plina che, è fortemente influenzata dall’ordinamento europeo, utilizzando le pronunce con cui il giudice comunitario giunge a meglio identificare il fenomeno dell’in house. Sarà fatto an-che un richiamo ad alcune sentenze del nostro giudice ammi-nistrativo, tentando un’opera di definizione delle caratteristi-che nel recepire gli indirizzi provenienti dall’Europa. Una volta inquadrata la nozione in questi termini, verrà specificata terminologicamente con le sue peculiarità, compresa la sua estensione alla concessione per mezzo di una Comunicazione interpretativa della Commissione Europea, per finire poi con un accenno alle due Direttive del 2004, aventi come scopo l’unificazione della normativa in tema di appalti.

Il secondo capitolo tratta dell’evoluzione e dell’approccio nella legislazione interna dell’istituto. Cominciando con i vari inter-venti di riordino del settore degli appalti di opere pubbliche che già dal 1865 erano disciplinati passando per la riforma degli anni ʼ90 (cd. Merloni) – cercando di ridurre ad unità tutta la normativa sin qui adottata -, e proseguendo con successive mo-difiche alla stessa con un riferimento ai servizi pubblici locali nel suo Testo Unico adottato negli anni 2000, in connessione al Codice dei contratti del 2006 fino ad arrivare alla legge de-lega per il recepimento delle Direttive europee del 2014, alla quale viene dedicato uno specifico capitolo. Sin qui l’evolu-zione normativa, per quel che riguarda l’approccio nazionale

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daremo conto della tendenza dell’ordinamento all’esternaliz-zazioni circa la materia degli appalti con specifico riguardo a due fattispecie formanti per meglio indagarne la natura e cioè: sulla distinzione tra imprese collegate e controllate nel tenore dell’art. 2359 cc, come fattispecie di presenza di capitale pri-vato in società pubbliche; è l’inesistenza della distinzione tra i due enti del sinallagma, sempre nel caso della presenza di pri-vati nel capitale sociale della società pubblica. Questa disa-mina verrà affrontata mediante l’utilizzo di sentenze del giu-dice comunitario e amministrativo nazionale. Breve cenno fi-nale verrà fatto sulla cooperazione verticale (detta appunto an-che in house) e alla cooperazione orizzontale (ovvero gli ac-cordi tra pubbliche amministrazioni) con riserva di miglior ap-profondimento successivamente.

Il terzo capitolo entra nel vivo approfondendo l’argomento che riprende il titolo del lavoro, e nello specifico l’in house provi-ding (o altrimenti detta cooperazione verticale), premettendone le caratteristiche formanti e la sua definizione. Sull’aspetto dei requisiti per l’instaurazione di questo tipo di rapporto è stata concentrata l’attenzione sul controllo analogo e l’attività pre-valente, usando come mezzo per decifrarne la sostanza, il me-tro della giurisprudenza via via succedutasi nel tempo, con un’appendice sulle deroghe al principio dell’evidenza pub-blica. Viene analizzato anche l’orientamento del nostro mas-simo organo giurisdizionale amministrativo nel percorso che lo porterà all’importante sentenza della sua Adunanza Plenaria

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12

n. 1/2008, sulla quale anche la successiva giurisprudenza am-ministrativa si baserà facendone propri i criteri in essa enun-ciati. In conclusione un breve cenno sulla motivazione dell’af-fidamento diretto chiude il capitolo.

Il quarto capitolo accenna all’altra fattispecie della coopera-zione cd. orizzontale (accordi tra pubbliche amministrazioni) che, dopo una breve introduzione analizza le varie tipologie di accordi presenti nella nostra legislazione sia nella legge 241/90, che dal TUEL (d.lgs. 267/2000) e nella legge 662/96. Viene affrontato anche il rapporto tra detti accordi ed il codice dei contratti con specifico riferimento alle società semplici e la nozione di operatore economico, e le norme comunitarie in ma-teria di contratti pubblici. Si chiude poi, con una sentenza della Corte di Giustizia con la quale si può parlare della prima appa-rizione della nozione di cooperazione cd. orizzontale.

Il quinto capitolo chiude il lavoro, ed è dedicato all’istituto dell’in house providing alla luce delle nuove Direttive del 2014. In questa sede, si cercherà di dare conto dello stato at-tuale della disciplina e in che cosa verrà modificata con l’av-vento della nuova regolamentazione. In questo contesto si farà menzione anche di un interessante parere del nostro Consiglio di Stato, che cerca di interpretare i requisiti dell’istituto in com-mento adeguandoli alle nuove direttive. Chiudiamo con un in-teressante intervento al Congresso di Studi Amministrativi di Varenna, tenutosi lo scorso mese di settembre, dove si cerca di tirare le fila del complesso dell’indagine svolta e capirne il

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punto di arrivo all’attuale nel quadro del recepimento delle di-rettive nel nostro ordinamento, con un occhio anche al testo modificato dalla Commissione Lavori Pubblici della Camera trasmesso una volta licenziato dall’Aula del Senato, da discu-tersi in Aula alla Camera.

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CAPITOLO I

ORIGINI DELL’ISTITUTO

1.1 Origine europea dell’istituto

Il nostro discorso deve prendere le mosse partendo dalla genesi del concetto di "paternariato pubblico-pubblico"3, indagando

la giurisprudenza europea che in funzione della progressiva eu-ropeizzazione del diritto in questo tema ha fatto sì che si

arri-vasse alla definizione quantomeno pretoria di questo istituto. La nozione, che viene in luce in diverse conclusioni degli

Av-vocati Generali della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, non risulta essere stata mai espressamente utilizzata, prefe-rendo, a tal proposito il concetto di ʽcontratti di cooperazioneʼ tra enti pubblici4.

3 C. P. SANTACROCE, Osservazioni sul «paternariato pubblico-pub-blico», tra elaborazioni ed applicazioni giurisprudenziali del modello e nuove direttive europee in materia di appalti e concessioni, n. 6/2014, p.

1 ss., www.giustamm.it; per un cenno del paternariato pubblico-pubblico come quadro in movimento tra tradizione e innovazione, A. MASSERA,

Lo Stato che contratta e che si accorda, vicende della negoziazione con le PP.AA., tra concorrenza per il mercato e collaborazione con il potere,

Pisa University Press, 2013, p. 587.

4 Sinonimo di cooperazione pubblico-pubblico che viene usato

alternati-vamente allo stesso, AA.VV., Accordi di cooperazione tra pubbliche

am-ministrazioni e applicazione delle norme sugli appalti pubblici, n.

9/2013, www.ilsole24ore.com; G. GIANNA, Contratti di cooperazione

o di appalto?, 12/2012, www.leggioggi.it; per un interessante contributo

sulle origini del fenomeno negoziale tra pubbliche amministrazioni e tra queste ed i privati; A. FIORITTO, Cooperazione, conflitti ed interventi

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Che i rapporti di collaborazione tra amministrazioni aggiudi-catrici venissero esclusi dall’ambito di applicazione della nor-mativa europea sulle procedure di evidenza pubblica in ragione del profilo soggettivo delle parti, era stato escluso dalla Corte di Giustizia in occasione della decisione su un ricorso per ina-dempimento promosso dalla Commissione Europea, ai sensi dell’art. 226 Trattato CE5, contro il regno di Spagna.

Tra le altre cose, ciò che all’esito del procedimento conten-zioso non era conforme al diritto comunitario anche secondo la Corte, era contenuto, in particolare, nella Ley de Contractos de las Administraciones Pùblicas (regio decreto legge che ap-prova il testo codificato della legge sugli appalti pubblici), nella parte in cui questa escludeva dal suo stesso ambito di ap-plicazione quegli accordi (convenios) di collaborazione con-clusi dall’amministrazione statale con un qualsiasi altro sog-getto pubblico dell’ordinamento6.

territorio, Atti del Convegno IDAIC, Ascoli Piceno 10-11 Ottobre 2008,

p. 130 ss.

5 Dove esplicitamente si dice: la Commissione, quando reputi che uno

Stato membro abbia mancato ad uno degli obblighi a lui incombenti in virtù del presente Trattato – il quale istituisce la Comunità Europea -, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condi-zioni di presentare le sue osservacondi-zioni. Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte di Giustizia. Previsione, questa contenuta oggi nell’art. 258 TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) che, disciplina la procedura di infrazione.

6 Si tratta della sentenza 13 gennaio 2005 della Corte di Giustizia

Euro-pea, nella causa C-84/03, Raccolta 2005 I-00139, in www.curia.eu-ropa.eu.

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In questa occasione, richiamata la nota sentenza Teckal7, emerse un’affermazione di principio: che i rapporti convenzio-nali tra amministrazioni aggiudicatrici instaurati attraverso la stipulazione di un accordo interamministrativo non potessero considerarsi, per ciò solo ed indipendentemente dalla loro na-tura, estranei alla nozione comunitaria di appalto pubblico, e, per conseguenza, alla normativa sull’evidenza pubblica.

La Corte di Giustizia, torna però ad occuparsi del tema, aprendo a un orientamento di maggior favor per l’autoprodu-zione pubblica di servizi tramite forme contrattuali di collabo-razione interamministrativa.

Di lì a non molto, la Corte, chiamata a decidere un ricorso per inadempimento promosso dalla Commissione Europea nei confronti della Germania, avrebbe gettato le basi per la defini-zione pretoria della cooperadefini-zione pubblico-pubblico non isti-tuzionalizzata quale ipotesi dell’allora deroga non scritta all’obbligo della procedura di gara.

Una breve ricostruzione della vicenda ci servirà per capire il percorso seguito dal giudice comunitario.

Il contenzioso8 - come quello precedente – aveva origine anche

in questo caso da un ricorso ex art. 226 (comma 2) del Trattato CE9, nella quale la Commissione contestava alla Repubblica

7 Per un approfondimento, v. infra, par. 1.3.

8 Sentenza della Corte di Giustizia (grande sezione), 9 giugno 2009, causa

C-480/06, Raccolta 2009 I-04747, in www.curia.europa.eu.

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Federale Tedesca la stipulazione di un contratto tra quattro Landkreise10 della bassa Sassonia, da una parte, e la Stradtrei-nigung Hamburg (nello specifico, i servizi per la nettezza ur-bana della città di Amburgo, praticamente un’ impresa pub-blica operante come ente di diritto pubblico), dall’altro, veniva alla suddetta affidato il servizio di smaltimento dei rifiuti per un ventennio senza gara.

Nello specifico, la Stradtreinigung Hamburg si obbligava a ri-servare a favore dei quattro Landkreise circa un terzo dei con-ferimenti del costruendo impianto di termovalorizzazione della città, pagando un corrispettivo annuo per il servizio. Questo contratto, non si limitava però, ad un rapporto tra prestazione (vedi smaltimento dei rifiuti) e controprestazione (corrispettivo in denaro); bensì faceva presagire un obbligo collaborativo. I quattro Landkreise, oltre a corrispondere il prezzo pattuito per il conferimento e il trattamento dei rifiuti nell’impianto di ter-movalorizzazione, si obbligavano anche a mettere a disposi-zione della Stradtreinigung Hamburg – con tariffe agevolate – le rispettive discariche, per la parte da loro non sfruttata, per ovviare all’eventuale surplus della capacità ricettiva di quelle nella città di Amburgo. Contemporaneamente, nel caso si arre-stasse, non funzionasse correttamente e per sporadico sovrac-carico dell’impianto di termovalorizzazione, essi si

10 Si tratta di circoscrizioni, circondari o distretti amministrativi

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vano a ridurre il conferimento, per il tempo necessario a ripor-tare alla normalità l’impianto. E proprio in tale evenienza, i servizi di nettezza urbana di Amburgo si impegnavano per in-dividuare e quindi offrire, ai quattro distretti, "capacità sostitu-tive – se disponibili – presso altri impianti ai quali avevano ac-cesso, lasciando priorità allo smaltimento dei rifiuti della città di Amburgo".

Riepilogando, si accompagnava la prestazione principale de-dotta nel contratto ad una serie di impegni di assistenza reci-proca tra le due parti, per adempiere ad un servizio pubblico che è quello dello smaltimento dei rifiuti. Arrivando così a de-sumere, che dal contenuto del contratto, si era in presenza di una cooperazione interamministrativa locale per lo svolgi-mento di un servizio di interesse pubblico comune ad entrambi gli enti.

Si possono a questo punto indicare i presupposti sui quali la Corte inaugurò il nuovo modello derogatorio della normativa europea sulle procedure di aggiudicazione degli appalti pub-blici, esprimendosi in due punti significativi:

a) finalizzare il paternariato all’adempimento di una fun-zione di servizio pubblico comune agli enti cooperanti, e in ogni caso al perseguimento di obiettivi di interesse pubblico11;

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b) la partecipazione al paternariato di sole autorità pubbli-che senza parti private e in modo da non privilegiare nes-sun soggetto privato rispetto ai concorrenti12.

La decisione sul caso "Stradtreinigung Hamburg" ha contri-buito, a livello di normative europee, ad incentivare l’opportu-nità di legiferare le deroghe non scritte al principio dell’evi-denza pubblica, così come elaborate dalla Corte.

Nel tempo di neanche un anno da quella pronuncia, il Parla-mento Europeo, adottando una risoluzione “sui nuovi sviluppi in materia di appalti pubblici”, ha dedicato uno specifico pa-ragrafo, dando risalto alla cooperazione pubblico-pubblico, spingendo per un’ampia diffusione dei modelli di coopera-zione tramite forme di paternariato, invitando gli Stati membri a dare la massima risonanza possibile alla sentenza sul caso Amburgo13.

Successivamente in poco tempo, anche la Commissione Euro-pea si sarebbe occupata del tema. Nel Libro Verde sugli appalti del 201114, questo tipo di cooperazione si trova oggetto di un

dibattito con particolare riferimento alla difficoltà di definire se, e in quale misura le norme sugli appalti pubblici si possono applicare agli appalti conclusi tra amministrazioni pubbliche.

12 Cfr. punti 44 e 47 della succitata sentenza.

13Risoluzione del Parlamento Europeo del 18 maggio 2010 (2009/2175),

cfr. punti 9-12 della stessa risoluzione, in www.europarl.europa.eu.

14Si intende il Libro Verde sulla modernizzazione della politica

dell’Unione Europea in materia di appalti pubblici, per una maggiore ef-ficienza del mercato europeo degli appalti, Bruxelles, 2011.

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La stessa Commissione analizza la questione evidenziando che, da una parte, il principio di concorrenza equa e aperta, esclude in modo automatico dal campo di applicazione delle direttive europee la materia degli appalti pubblici conclusi tra amministrazioni aggiudicatrici, e dall’altra, viene indicato come diritto all’autorganizzazione nelle funzioni di servizi di pubblico interesse, che non si concilia con l’applicazione di queste direttive a forme di cooperazione tra pubbliche ammi-nistrazioni.

In una sentenza la stessa Corte di giustizia – come precedente-mente la Commissione e il Parlamento Europeo a convalida dell’indirizzo giurisprudenziale espresso nella sentenza “Stradtreinigung Hamburg” – è così giunta ad affermare che l’utilizzo di enti interni a controllo congiunto non è l’unico modo per realizzare una cooperazione pubblico-pubblico, e che tale cooperazione può restare a livello puramente contrat-tuale (cooperazione non istituzionalizzata). Questa tipologia di organizzazione non è coperta dalla normativa UE in materia di appalti pubblici, utilizzando risorse proprie, per un obiettivo comune e comportando diritti e obblighi reciproci che supe-rano l’adempimento di una funzione a titolo oneroso nel per-seguimento dell’interesse pubblico.

Vedremo nel prosieguo come la materia si sia poi ulteriormente evoluta con le varie deroghe all’istituto, ma quello appena de-scritto è comunque il punto di riferimento per la nascita del concetto di paternariato pubblico-pubblico.

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In questa disamina dal punto di vista europeo non si può non fare un cenno anche ad una Comunicazione della Commissione intitolata «Libro Bianco sui servizi di interesse generale», che espone le conclusioni che la stessa Commissione ha tratto da un’ampia consultazione pubblica avviata sulla base del Libro Verde del 199615.

L’interesse normativo e pretorio che si è sviluppato intorno alla materia degli appalti pubblici è sintomo del ruolo centrale che tale materia riveste nella realizzazione effettiva del Mercato Unico, evidenziando nel Libro Bianco16 l’importanza dei ser-vizi di interesse generale in quanto pilastro del modello euro-peo di società, così come l’esigenza di garantire la fornitura di servizi di interesse generale di alta qualità e a prezzi accessibili a tutti i cittadini e a tutte le imprese dell’Unione Europea. Nell’Unione infatti, i servizi di interesse generale sono essen-ziali per garantire la coesione sociale e territoriale e per la com-petitività dell’economia europea.

15Trattasi del Libro Verde degli appalti pubblici nell’Unione Europea,

Spunti di Riflessione per il futuro, Comunicazione adottata dalla Com-missione il 27 novembre 1996, su proposta del Commissario M. Monti. Per il contesto del dibattito vedi p. 3 ss. della Comunicazione, invece per l’applicazione del diritto degli appalti pubblici, sulla situazione attuale, tendenze e sull’obbligo di recepire le direttive vedi p. 7 ss. della stessa. Da notare che alla fine di ogni argomento si pongono dei quesiti proprio per riuscire nell’opera di armonizzazione della legislazione comunitaria con quella degli Stati membri.

16Si intende la Comunicazione della Commissione al Parlamento

Euro-peo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – detto anche Libro Bianco sui servizi di interesse generale -, Bruxelles 12.05.2004, per quel che qui ci interessa v. p. 7-9 della Co-municazione, www.eur-lex.europa.eu.

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A fronte di questo obiettivo, occorre sottolineare che la Comu-nità Europea parla di servizi di interesse economico generale (SIEG), intendendo così ciò che nella normativa cosiddetta do-mestica viene definito servizio pubblico17.

1.2 Definizione dell’istituto

La materia degli appalti pubblici ritorna in modo preponde-rante a livello europeo per poter realizzare gli obiettivi del Mercato Unico e garantire così la libera circolazione di merci, servizi e persone in condizione di libera concorrenza e non di-scriminazione18.

17Nel succitato Libro Bianco sui servizi di interesse generale, l’Unione

Europea sostiene che la dizione di «servizio di interesse economico ge-nerale» riguardi, in modo particolare, alcuni servizi forniti dalle industrie di rete (nello specifico servizi di trasporto, servizi postali, dell’energia e delle comunicazioni), estendendo poi il concetto anche alle attività eco-nomiche soggette ad obblighi mdi servizio pubblico. Sempre nell’idea diciamo europea, i servizi in questione sono parte dei valori condivisi da tutte le società europee, costituiscono un tratto essenziale del modello eu-ropeo di società e hanno l’obiettivo di migliorare la qualità di vita di tutti i cittadini e di superare l’emarginazione e l’isolamento sociale. In questo senso detti servizi stimolano la competitività e la coesione favorendo in-vestimenti nelle Regioni più sfavorite. Inoltre, la fornitura efficiente e non discriminatoria dei servizi di interesse generale è un requisito indispen-sabile per garantire il buon funzionamento del Mercato Unico e favorire l’integrazione economica nell’Unione Europea. Per un riferimento all’in house nella normativa vigente nelle società che gestiscono servizi pub-blici locali di rilevanza economica e nelle società strumentali, C. VOLPE,

L’affidamento in house di servizi pubblici locali e strumentali: origine ed evoluzione più recente dell’istituto alla luce della normativa e della giu-risprudenza europea e nazionale, n. 3/2014, p. 11-16, in

www.giu-stamm.it.

18 Trattato sull’Unione Europea e del Trattato sul funzionamento

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La Commissione raggiunge tale obiettivo nel Libro Verde in materia di “Appalti pubblici dell’Unione Europea: spunti di ri-flessione per il futuro”19, verificando nel contempo il livello di

attuazione delle direttive comunitarie negli Stati membri e av-viando una consultazione in vista della possibile revisione della legislazione europea in tema di appalti pubblici20.

Si arriva così alla successiva Comunicazione del 1998 “Sugli appalti pubblici dell’Unione Europea”, dove sono stati analiz-zati i risultati della discussione e dello scambio di opinioni tra le parti interessate instaurati dal Libro Verde21.

Fa la sua comparsa a questo punto la nozione di in house con-tract che è stata per la prima volta utilizzata, in ambito comu-nitario, nella Comunicazione del 1998 già citata, detto anche «Libro Bianco sugli appalti pubblici nell’Unione Europea». In tale documento la Commissione definisce gli in house con-tracts come “contratti aggiudicati all’interno della pubblica amministrazione, ad esempio tra un’amministrazione centrale e le amministrazioni locali ovvero tra un’amministrazione ed una società da questa interamente controllata”22.

Trattato istitutivo della Comunità Europea, v. Parte terza Titolo I e III nonché Titolo VI Capo I, www.eur-lex.europa.eu

19C. ALBERTI, Appalti in house, concessioni in house ed esternalizza-zione, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, n. 3-4, par. 3, p.

495 ss.

20 Vedi supra nota 16.

21Comunicazione COM (98) 143, Bruxelles, 11 marzo 1998, p. 2.1.3. 22 Nella nota 26 della Comunicazione dove si fa riferimento alla causa

(28)

de-24

Nel torno di un anno l’espressione si ritrova meglio specificata in un ormai famoso pronunciamento della Corte di Giustizia Europea risalente al 199923 in cui, sollevando il giudice a quo

la questione pregiudiziale nel senso di chiarire “se le disposi-zioni del diritto comunitario in materia di aggiudicazione di appalti pubblici siano applicabili qualora un ente locale affidi la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi a un consor-zio in cui esso partecipi”, i giudici comunitari avevano emesso la seguente massima: “la Direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudica-zione degli appalti pubblici di forniture è applicabile ove un’amministrazione aggiudicatrice, quale un ente locale, de-cida di stipulare per iscritto, con un ente distinto da essa sul piano formale e autonomo rispetto ad essa sul piano decisio-nale, un contratto a titolo oneroso avente ad oggetto la forni-tura di prodotti, indipendentemente dal fatto che tale ultimo ente sia a sua volta un’amministrazione aggiudicatrice o meno. Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel tempo, l’ente locale eserciti sul soggetto di cui trattasi un con-trollo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e

gli appalti in house, dove viene sostenuta la non applicabilità della nor-mativa sugli appalti di servizi alle concessioni, restando però in capo agli enti aggiudicatori che stipulano tali contratti essendo costretti a rispettare i principi fondamentali del Trattato e soprattutto il principio di non discri-minazione in base alla nazionalità, M. SANINO, Commento al codice.

Contratti Pubblici, 2008, p. 217, nota 10. 23E’ la nota sentenza Teckal, v. infra 1.3.

(29)

25

questa persona realizzi la parte più importante della propria at-tività con l’ente o con gli enti locali che la controllano”.

1.3 La sentenza Teckal come leading case

Quel che si è accennato alla fine del precedente paragrafo ci introduce all’opinione oramai largamente condivisa che l’in house providing sia stato codificato nella famosa sentenza24

re-lativa al caso Teckal S.r.l. c. Comune di Viano e Azienda

Gas-Acqua Consorziale (AGAC) di Reggio Emilia ove la

Corte di Giustizia ha fornito un contributo decisivo alla defini-zione di tale forma di gestione dei servizi pubblici, delinean-done i limiti ed individuando i due criteri cumulativi, la cui contemporanea sussistenza consente di sottrarre alle procedure di aggiudicazione previste per gli appalti pubblici tutti quei rapporti intercorrenti tra una pubblica amministrazione e un ente soggetto all’influenza dominante di quest’ultima25.

L’occasione per l’emanazione di tale pronuncia scaturì da un ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regio-nale dell’Emilia Romagna dalla Teckal S.r.l. contro la delibera con cui il consiglio comunale di Viano aveva affidato all’AGAC la gestione del servizio di riscaldamento di alcuni edifici comunali. L’impugnazione della Teckal, in particolare,

24 Sentenza C-107/98 del 18 novembre 1999, www.curia.europa.eu

25A. SCARASCIA, I limiti degli affidamenti in house dei servizi pub-blici locali, n. 10/2005, www.LexItalia.it.

(30)

26

lamentava il mancato ricorso alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici previste dalla normativa comunitaria da parte del comune di Viano.

Il TAR Emilia Romagna ritenne di procedere con un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia26 che verteva sull’interpre-tazione delle Direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE che coordinava le procedure di aggiudicazione de-gli appalti pubblici di servizi, ed in particolare del suo art. 6, secondo il quale «la presente Direttiva non si applica agli ap-palti pubblici di servizi aggiudicati ad un ente che sia esso stesso un’amministrazione (aggiudicatrice), in base a un di-ritto esclusivo di cui beneficia in virtù delle disposizioni legi-slative, regolamentari o amministrative pubblicate, purché tali disposizioni siano compatibili con il Trattato».

La questione pregiudiziale succitata, più precisamente, deman-dava al giudice comunitario il compito di stabilire se le dispo-sizioni del diritto comunitario in materia di aggiudicazione de-gli appalti pubblici fossero applicabili qualora un ente locale avesse affidato la fornitura di prodotti e la prestazione di ser-vizi ad un consorzio a cui esso partecipava.

Il giudice a quo chiamato a pronunciarsi ritenne preliminar-mente necessario stabilire quale tra la Direttiva 92/50/CEE (cd.

26Rinvio pregiudiziale, art. 267 del TFUE ex art. 234 CE, da parte degli

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27

direttiva servizi) e la Direttiva 93/36/CEE (cd. direttiva forni-ture) dovesse essere applicata al caso concreto, posto che nel caso suddetto l’appalto pubblico riguardava entrambe le Diret-tive.

La Corte, applicando un criterio quantitativo, risolse tale que-stione preliminare stabilendo che l’appalto misto dovesse rien-trare nell’ambito di applicazione della Direttiva forniture qua-lora il valore dei prodotti previsti dal contratto fosse superiore a quello dei servizi e che, per dare un’interpretazione del diritto comunitario al giudice nazionale, occorresse chiarire le dispo-sizioni della Direttiva forniture 93/36/CEE che non contem-plava analoga disposizione a quella dell’art. 6 della Direttiva 92/50/CEE. Per stabilire se lo svolgimento di una procedura ad evidenza pubblica fosse obbligatoria, ai sensi della succitata Direttiva, si doveva stabilire se l’aggiudicazione nel caso in esame fosse riconducibile o meno ad un appalto pubblico di forniture, in forza di un vero e proprio rapporto di natura con-trattuale intercorrente tra l’ente pubblico ed un soggetto terzo. La corte di Giustizia, ha avuto modo di stabilire che, in questi casi, il giudice nazionale doveva verificare se nel caso concreto si poteva intravedere un incontro delle rispettive volontà tra soggetti giuridici diversi. Si legge infatti, nei punti 50 e 51 della motivazione, come pure all’art. 1, lett. a), della Direttiva 93/36 che basta: che il contratto sia stato stipulato, da una parte, da un ente locale e, dall’altra da una persona giuridicamente di-stinta da quest’ultimo. Può succedere diversamente però solo

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28

nel caso in cui, contemporaneamente, l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano. La corte, decidendo sul caso, af-fermò che essendo il Comune un’amministrazione aggiudica-trice sarebbe stato necessario bandire una gara pubblica qua-lora si trattava di due soggetti distinti tra i quali veniva con-cluso un contratto configurabile come appalto, chiarendo poi, al contrario, che l’affidamento diretto potesse avvenire “solo nel caso in cui, nel contempo, l’ente locale eserciti sulla per-sona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso eser-citato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano”.

A partire da questo momento, le condizioni per ritenere legit-timo l’affidamento in house sono di due tipi:

a) una condizione di tipo funzionale, rappresentata dalla necessità che l’ente pubblico affidante eserciti sul sog-getto affidatario un “controllo analogo” a quello che esercita sui propri servizi;

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29

b) una condizione di tipo operativo, consistente nello svol-gimento della parte principale dell’attività del soggetto affidatario a favore dell’ente affidante27.

In ragione del controllo analogo e della destinazione prevalente dell’attività, l’ente in house non può ritenersi terzo rispetto all’amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa risultandone che, non è, pertanto, necessario che l’amministrazione ponga in essere procedure di evidenza pubblica per l’affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture.

1.4 Le altre sentenze significative

Successivamente la Corte di Giustizia Europea è tornata sull’argomento con altre sentenze per meglio specificare se si potesse utilizzare il modello dell’in house in caso di società miste a totale partecipazione pubblica.

Nella sentenza Stadt Halle RPL Recycling Park Lochau

GmbH c. Arbeitsgemeinschaft Termiche Restabfall und Energieverwertungsanlange TREA Leuna il giudice ha

de-limitato la deroga dell’affidamento diretto del servizio nel caso

27Per un rilievo sulla dottrina Teckal, F. CARUSO, Corte di Giustizia comunitaria e disciplina degli appalti pubblici, in A. D’ATENA (a cura

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30

in cui l’amministrazione aggiudicatrice abbia il pacchetto azio-nario di maggioranza del soggetto affidatario. In questa causa28, la questione interpretativa sottoposta alla Corte

solle-vata dalla TREA Leuna, riguardava l’affidamento di un ap-palto di servizi operato senza il ricorso alla gara ad evidenza pubblica dalla città di Halle in favore di una società partecipata in via maggioritaria, la Lochau GmbH appunto, con delibera comunale e senza avviare alcuna formale procedura d’appalto. La RPL Lochau era una s.r.l. il cui capitale era sottoscritto maggioritariamente dalla città di Halle e minoritariamente dai privati. Il giudice del rinvio, chiedeva di chiarire, in relazione alla disciplina dell’impresa pubblica o collegata ex Direttiva 93/38/CE, in presenza di quali condizioni un organismo for-malmente distinto da un’amministrazione aggiudicatrice, in cui vi sia la partecipazione societaria di privati (società mista a prevalente capitale pubblico), debba considerarsi come facente parte della pubblica amministrazione ossia come organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice. Con-fermando l’eccezionalità della deroga all’ in house, i giudici affrontando la questione della natura mista del capitale della società affidataria, escludono l’applicabilità della deroga per le forme di paternariato pubblico-privato, pregiudicando l’obiet-tivo di una concorrenza libera e non falsata ed il principio di parità di trattamento degli interessi contemplati dalla Direttiva

28Causa C-26/03, in CGCE 11 gennaio 2005, Raccolta 2005, I-1,

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31

92/50/CEE specialmente nel caso in cui questa procedura si of-fre ad un’impresa privata un vantaggio rispetto ai suoi concor-renti.

Ne consegue che, nel caso in cui un’amministrazione aggiudi-catrice intenda affidare un servizio ad una società nella quale detiene una partecipazione, seppur prevalente, assieme a più imprese private, essa deve necessariamente espletare le proce-dure di affidamento degli appalti pubblici previsti dalla norma-tiva comunitaria, in quanto la relazione che viene ad instaurarsi tra interesse pubblico e interesse privato si atteggia a pura in-compatibilità29.

Questa tendenza venne riconfermata dalla Corte di Giustizia poco tempo dopo nella sentenza Consorzio Aziende Metano

(Co.Na.Me.) c. Comune di Cingia de’ Botti30, dove si esclude

la possibilità di affidamento in house quando il soggetto aggiu-dicatario è partecipato dai privati, in quanto tale partecipazione precluderebbe il controllo analogo. Nella fattispecie il Comune di Cingia de’ Botti aveva attribuito con affidamento diretto il servizio di distribuzione del metano e di manutenzione degli impianti di gas alla Padania Acque S.p.A., società a prevalente capitale pubblico detenuto dalla Provincia di Cremona e anche da tutti i comuni della provincia. Con il ricorso al giudice

29 M. CHIAPPETTA, L’in house providing alla luce della più recente giurisprudenza comunitaria, n. 4/2006, par. 1, in www.LexItalia.it. 30Causa C-231/03, in CGCE 21 luglio 2005, Raccolta I-07287,

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32

ministrativo, Il Co.Na.Me. lamentò che l’affidamento del ser-vizio in questione sarebbe dovuto avvenire mediante una pro-cedura d’aggiudicazione ad evidenza pubblica. In questa occa-sione il giudice comunitario, sottolineando che la controversia principale riguardava l’attribuzione di una concessione, ribadi-sce che: il fatto che una società sia aperta, almeno in parte, al capitale privato impedisce di considerarla come una struttura di gestione interna di un servizio pubblico nell’ambito dei co-muni che ne fanno parte, specificandosi inoltre come il requi-sito del controllo analogo fosse da considerarsi escluso anche in presenza di una partecipazione irrisoria da parte del co-mune al capitale della società costituita assieme ad altri enti locali per la gestione di un servizio pubblico.

La Corte, ancora, in merito all’applicazione del modello dell’ in house providing alla concessione, precisa come, differen-ziandosi dal caso dell’appalto, non fosse possibile individuare criteri specifici tali da consentire un affidamento senza gara della concessione stessa, quali quello del controllo analogo e dell’attività prevalente, ma si fece riferimento ma circostanza obiettive tali da giustificare una differenza di trattamento tra imprese. Ne consegue che, diversamente dalla giurisprudenza Teckal, in questo caso non si tratta di cogliere dei profili ine-renti il rapporto instaurato tra amministrazione e prestatore al fine di dimostrare la sostanziale coincidenza tra le parti con-trattuali, ma identificare delle situazioni che, sulla base di un

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33

contemperamento d’interessi da valutare caso per caso, con-sentano di escludere la messa in concorrenza del servizio in concessione31.

Considerazioni simili a quelle già rappresentate sono state espresse anche nel caso Mödling32 (Commissione delle Co-munità Europee c. Repubblica d’Austria), relativo

all’affi-damento diretto del servizio di smaltimento dei rifiuti da parte di un comune austriaco ad una società a capitale interamente pubblico, le cui quote azionarie di minoranza erano state suc-cessivamente cedute ad una società privata. Con questa pro-nuncia la Corte conferma l’illegittimità dell’affidamento in house di un servizio pubblico ad una società a capitale misto pubblico-privato. Nel caso di specie il Comune di Mödling aveva costituito la società Abfallwirtschafts GmbH, il cui og-getto sociale consisteva nella fornitura di servizi in materia di gestione ecologica dei rifiuti e del relativo svolgimento di trat-tative commerciali nel campo dello smaltimento dei rifiuti, comprensivo pure dell’elaborazione e dello sviluppo di un si-stema per la gestione dei rifiuti, principalmente del suddetto comune, che poi era l’unico socio. Il comune aveva trasferito in esclusiva alla società costituita il servizio di raccolta e trat-tamento dei rifiuti e, in un secondo momento, aveva ceduto una

31C. IAIONE, Le società in house, contributo allo studio dei principi di autorganizzazione e autoproduzione degli enti locali, Jovene Editore,

Na-poli, 2007, p. 168-170.

32 Causa C-29/04, in CGCE 10 novembre 2005, Raccolta I-09705,

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34

parte del capitale di tale società ad un’impresa privata. Se-condo i giudici comunitari, l’affidamento in house è da consi-derarsi illegittimo non solo in presenza di una partecipazione congiunta di soggetti pubblici e privati al capitale sociale, ma anche quando alla totale partecipazione pubblica si accompa-gnino elementi tali da determinare una limitazione dei poteri di controllo da parte dell’ente locale sul soggetto incaricato del servizio. Questi fattori possono essere individuati, per esem-pio, nella presenza di un oggetto sociale troppo amesem-pio, nel pre-vedere obbligatoriamente la privatizzazione della società, nella possibilità per l’impresa di operare su tutto il territorio nazio-nale e anche all’estero e, specialmente, il riconoscimento a li-vello statutario di poteri gestionali in capo all’organo esecu-tivo, esercitabili autonomamente e senza necessità di autoriz-zazione preventiva da parte del soggetto pubblico, elementi questi che tendono a rafforzare la vocazione commerciale della società, conseguendone non sussistente quel rapporto di con-trollo analogo per poter applicare l’istituto dell’in house provi-ding. Si può, quindi, affermare che la giurisprudenza che ne deriva introduce un terzo tipo di criterio per valutare la legitti-mità di affidamenti operati in deroga al principio della gara pubblica. Di fatto, questa sentenza non ribadisce soltanto che da una parte il controllo esercitato dall’autorità aggiudicatrice non deve essere attenuato per effetto della partecipazione, sep-pur in minoranza, di un’impresa privata nel capitale della so-cietà cui sia stata affidata la gestione del servizio di cui si tratta

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35

e, dall’altra parte, che la società deve realizzare la parte essen-ziale delle proprie attività unitamente all’ente o agli enti che la controllano, si sottolinea l’esigenza che questi criteri risultino soddisfatti in modo permanente, precisando che, nell’ipotesi in cui, soddisfatti i due criteri all’atto dell’attribuzione della ge-stione del servizio, si tratterebbe di una concessione ad un’im-presa ad economia mista senza previa aggiudicazione in re-gime di concorrenza, dovendo essere presente precedente-mente all’affidamento e non intervenire successivaprecedente-mente33.

Questa linea fu seguita dal giudice comunitario anche nella sentenza Parking Brixen GmbH c. Gemeinde Brixen e

StadtwerkeBrixen AG34 riguardante l’affidamento diretto

senza gara alla gestione di due parcheggi, disposto dal Comune di Bressanone in favore della società ASM Bressanone S.p.A., il cui capitale sociale era interamente posseduto dall’ente lo-cale. La Corte, pronunciandosi su un rinvio interpretativo del TAR di Trento, giudica non conforme al modello dell’in house detta società, perché assente il requisito del controllo analogo, sebbene il totale del capitale sia pubblico. Il suddetto possesso assieme alla riserva della nomina della maggioranza dei com-ponenti degli organi di amministrazione e controllo in favore dell’ente pubblico non determinano l’attribuzione di un con-trollo analogo a quello che l’ente eserciterebbe su un proprio servizio interno. Questo, in quanto la società ha acquisito una

33M. CHIAPPETTA, art. cit., par. 1c.

34 Causa C-458/03, in CGCE 13 ottobre 2005, Raccolta I-08585, www.curia.europa.eu.

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36

vocazione commerciale vista la trasformazione della vecchia azienda speciale in società per azioni rendendo precario il con-trollo del comune. Da notare che, il giudice comunitario ritiene che l’obbligo legale di un’apertura del capitale sociale, da rea-lizzare magari in futuro, possa rilevare come elemento dell’as-senza del requisito del controllo analogo, e dunque l’elemento differenziante, è rappresentato dalla stessa cedibilità, seppur minoritaria, di parte del capitale sociale a soggetti privati35.

Si torna sull’argomento con la sentenza Anav (Associazione

Autotrasporto Viaggiatori) c. Amtab Servizio S.p.A. e Co-mune di Bari36. In questa occasione la Corte ribadisce che gli artt. 43 (sul diritto di stabilimento), 49 (sui servizi) e 86 (sulle regole applicabili alle imprese) del Trattato, come anche i prin-cipi di parità di trattamento, di non discriminazione sulla base della nazionalità e di trasparenza non ostano ad una disciplina nazionale (come quella dell’art. 113, comma 5, lett. c, TUEL) che consente l’affidamento diretto, senza gara, a società a ca-pitale interamente pubblico a condizione che si rispettino i re-quisiti enunciati nella sentenza Teckal. La Corte aggiunge che queste condizioni – che costituiscono un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario -, avrebbero dovuto essere in-terpretate restrittivamente e che l’onere di dimostrare l’effet-tiva sussistenza delle circostanze eccezionali che giustificano

35M. CHIAPPETTA, art. cit., par. 1b

36Causa C-410/04, in CGCE 6 aprile 2006, Raccolta I-03303,

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37

la deroga a quelle regole grava su colui che intende avvaler-sene. Secondo i giudici comunitari se, in pendenza dell’affida-mento del servizio, il capitale della società aggiudicataria fosse aperto ad azionisti privati, la conseguenza di ciò sarebbe l’af-fidamento di una concessione di servizi pubblici ad una società mista senza procedura concorrenziale, il che contrasterebbe con gli obiettivi perseguiti dal diritto comunitario. Nello speci-fico, la partecipazione, ancorché minoritaria, di un’impresa privata nel capitale di una società alla quale partecipa pure l’autorità pubblica concedente esclude in ogni caso che la detta autorità pubblica possa esercitare su tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. In sostanza, se la società concessionaria è una società aperta – anche parzial-mente -, al capitale privato, questa circostanza non la qualifica come struttura di gestione interna di un servizio pubblico nell’ambito dell’ente che la detiene, e se nel corso della durata della concessione in affidamento diretto cambia la compagine societaria comporta che si leda i principi del Trattato in tema di concorrenza, conseguendone che la proprietà pubblica del capitale sociale non solo deve permanere per tutta la durata del rapporto ma deve pure essere garantita da appositi strumenti, quali il divieto di cedere le azioni sancendolo nello statuto37.

Con la sentenza Carbotermo S.p.A. e Consorzio Alisei c.

Co-mune di Busto Arsizio e AGESP S.p.A.38 che, ha ad oggetto

37 C. IAIONE, op. cit., p. 179-180.

38 Causa C-340/04, in CGCE 11 maggio 2006, Raccolta I-04137,

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38

nuovamente un rinvio pregiudiziale in tema di in house provi-ding, avendo avuto modo la Corte di contornare e sviluppare il cd. criterio dell’attività prevalente. Nel caso di specie il co-mune di Busto Arsizio aveva indetto una gara per la fornitura di energia, con anche la relativa manutenzione, l’adeguamento e la riqualificazione tecnologica degli impianti termici a servi-zio degli edifici comunali. Lo stesso comune decideva poi di revocare la gara, affidando direttamente l’appalto alla società AGESP S.p.A., controllata interamente dalla AGES Holding S.p.A., il cui capitale apparteneva quasi interamente (il 99,98%) al comune stesso e per le quote restanti ad alcuni co-muni nella medesima provincia. Questa sentenza è importante in quanto contiene la prima vera interpretazione autentica del contenuto e della definizione del criterio dell’attività preva-lente, considerando che fino a questo momento il giudice co-munitario si limitava ad escludere la possibilità di derogare al principio dell’evidenza pubblica solamente sulla base della mancanza del controllo analogo. In questa pronuncia la Corte stabilisce che: nel valutare se un’impresa svolga la parte più importante della sua attività con l’ente pubblico che la detiene, al fine di decidere in merito all’applicabilità della Direttiva 93/36, si deve tener conto di tutte le attività realizzate da tale impresa sulla base di un affidamento effettuato dall’ammini-strazione aggiudicatrice, indipendentemente da chi remunera

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39

tale attività, potendo trattarsi della stessa amministrazione ag-giudicatrice o dell’utente delle prestazioni erogate, mentre non rivela il territorio in cui si è svolta l’attività.39

Chiudiamo con la sentenza Jean Auroux e a. c. Commune de

Roanne40 che, riguarda un rinvio pregiudiziale sulla nozione di appalto pubblico di lavori e sulle modalità di calcolo del va-lore dell’appalto. Si comincia con l’affermare che l’ammini-strazione aggiudicatrice non è esonerata dal fare ricorso alla gara secondo la Direttiva 93/37, per il fatto che la normativa nazionale limita la conclusione della convenzione solo con de-terminate persone giuridiche. Si prosegue sostenendo che una convenzione con cui una prima amministrazione aggiudica-trice affida ad una seconda amministrazione aggiudicaaggiudica-trice la realizzazione di un’opera costituisce un appalto pubblico di la-vori ai sensi della suddetta Direttiva, indipendentemente dal fatto che sia previsto o non previsto che la prima amministra-zione aggiudicatrice sia o divenga proprietaria, in tutto o in parte di tale opera. Cercando di chiarire il secondo aspetto, per determinare il valore di un appalto, occorre prendere in consi-derazione il valore totale dello stesso da un punto di vista di un potenziale offerente, cosicché non vengono inclusi soltanto gli importi che l’amministrazione aggiudicatrice dovrà pagare, ma

39R. CHIEPPA – V. LOPILATO – S. TENCA, Giurisprudenza ammini-strativa, Milano, 2012, p. 330.

40Causa C-220/05, 18 gennaio 2007, Raccolta I-00385,

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40

anche tutti gli introiti che proverranno da terzi. Si conclude af-fermando che: un’amministrazione aggiudicatrice non è di-spensata dal ricorso alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici previsti dalla Direttiva, per il fatto che, con-formemente al diritto nazionale, questa convenzione possa es-sere conclusa soltanto con determinate persone giuridiche, che siano esse stesse amministrazioni aggiudicatrici, e che sareb-bero tenute, a sua volta, ad applicare dette procedure per ag-giudicare eventuali appalti successivi, e affermando che tale convenzione deve essere qualificata come appalto pubblico di lavori ai sensi della Direttiva41.

1.5 Specificazione della nozione di in house providing.

Rinvio

Anticipiamo intanto la nozione di in house (o in house provi-ding) – con riserva di miglior approfondimento nel terzo capi-tolo – con il quale termine si indica l’ipotesi in cui il commit-tente pubblico, derogando al principio generale dell’evidenza pubblica, invece di procedere all’affidamento all’esterno di de-terminate prestazioni, provvede in proprio, cioè all’interno, all’esecuzione delle stesse attribuendo l’appalto o il servizio ad altra entità giuridica di diritto pubblico mediante il sistema dell’affidamento diretto cd. in house providing, ovvero senza gara. Specificandosi nel contempo che si tratta di deroga ai

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41

principi di concorrenza, non discriminazione e trasparenza – tutti canoni fondamentali del Trattato istitutivo della Comunità Europea -, e l’istituto è stato ritenuto ammissibile solo nel ri-spetto di rigorose condizioni, individuate dalla giurisprudenza comunitaria e da quella nazionale.

1.6 Sulla Comunicazione interpretativa sulle

conces-sioni

Accenno va fatto poi al tema della Comunicazione interpreta-tiva sulle concessioni all’art. 2.4, dove enuncia: un problema particolare si pone, invece, se tra concessionario e concedente esiste una forma di delegazione interorganica42 che non esula

dalla sfera amministrativa dell’amministrazione aggiudica-trice. La questione dell’applicazione del diritto comunitario è

42Nel nostro ordinamento la delegazione interorganica, come istituto

ri-conducibile ai sistemi di cd. esecuzione indiretta, comporta il trasferi-mento da un soggetto all’altro di competenze, funzioni e poteri, con la conseguenza che il delegante si spoglia di proprie attribuzioni a favore del delegato, il quale a sua volta, agisce solo nell’interesse e per conto di quest’ultimo, acquisendo legittimazione attiva e passiva e diventando di-rettamente responsabile nei confronti dei terzi degli atti di esecuzione della delegazione, così si esprime A. ANNIBALI, in Gli affidamenti in

house: dal diritto comunitario ai servizi pubblici locali, art. e note

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42

stata affrontata dalla Corte. Tuttavia, le ulteriori cause attual-mente pendenti innanzi alla Corte potranno apportare ele-menti di novità a riguardo43.

Prendendo spunto dalla succitata Comunicazione, cerchiamo di ricostruire il percorso che ha fatto la giurisprudenza comu-nitaria per estendere al concetto di concessione i principi dell’in house.

La disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, nel momento in cui doveva agganciarsi alla legislazione nazionale, ha dovuto confrontarsi con situazioni diverse e estranee al di-ritto europeo, e facendo opera di armonizzazione delle legisla-zioni, non ha potuto esimersi dal considerare alcuni fenomeni domestici non facenti parte dei principi di concorrenza e par

43Per un riferimento alla concessione di lavori e concessione di servizi,

C. ALBERTI, articolo in riv. cit., p. 602; per un excursus del concetto alla luce della normativa, A. MASSERA, op. cit., p. 154-162; per una disamina della concessione di servizi nell’ordinamento comunitario circa il rapporto di sostituzione che si verifica tra amministrazione ed ente con-cessionario e il diritto di gestione, S. SBORDONI, La concessione di

ser-vizi nell’ordinamento comunitario, Il Gioco Telematico ©, par. 4.3, in

www.scienzepolitiche.unitus.it; sulla discrasia tra il titolare della fun-zione e il privato concessionario, M. PASSALACQUA, Concessione di

servizio pubblico e cooperazione: nuove prospettive per un istituto an-tico, in www.jus.unipi.it, p. 17; sulla concessione di servizi e concessione

di servizi pubblici, G. RIZZO, Diritto dell’economia, La concessione di

servizi, Giappichelli, 2012, p. 128 ss.; sulla disciplina della concessione,

A. CIANFLONE – G. GIOVANNINI, L’appalto di opere pubbliche, Giuffrè, 2012, p. 252 ss,; sulla Comunicazione interpretativa sulle con-cessioni, C. CONTESSA, Le concessioni di lavori e di servizi tra

tradi-zione nazionale ed impulsi comunitari: le novità del “Codice De Lise”,

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43

condicio, ma importanti per la realizzazione del Mercato Unico. Il settore delle concessioni è rilevante del fenomeno. La Commissione, chiarendo definitivamente la questione, af-fermò in modo chiaro che l’affidamento di concessione deve avvenire esclusivamente con una procedura ad evidenza pub-blica, facendo ricadere nell’ambito applicativo della Comuni-cazione il caso di relazioni tra autorità pubbliche ed imprese pubbliche incaricate della gestione dei servizi di interesse ge-nerale.

Dovendosi esprimere nell’ipotesi in cui tra concedente e con-cessionario sussistesse un rapporto di delega interorganica e se si dovessero applicare i principi comunitari di concorrenza, pubblicità e non discriminazione, oppure trovasse applicazione la deroga dell’in house providing, che sottrae alla disciplina europea la materia affidandola alla competenza domestica, non dette alcuna risposta, ammettendo la sua problematicità e ri-mandando a ciò che la Corte di Giustizia aveva dichiarato già in materia di appalti in house. Discendendone che, come i prin-cipi giurisprudenziali elaborati in materia di appalti si appli-cano anche alla concessione (punto 3.1 della Comunicazione), così i principi espressi nello specifico caso di appalti in house devono essere esportati anche all’ipotesi di concessione in house.

La Comunicazione, richiama inoltre i casi in cui la Corte di Giustizia si è dovuta pronunciare nel merito sulla legittimità

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dell’affidamento diretto di un servizio da parte dell’ammini-strazione aggiudicatrice nei confronti di un soggetto nella so-stanza pubblico. Con le cause Arnhem e RI.SAN44, gli

Avvo-cati Generali si sono impegnati per definire la natura giuridica del rapporto intercorrente tra l’amministrazione aggiudicatrice ed il soggetto aggiudicatario appartenente all’amministrazione andando oltre alla qualificazione giuridica del soggetto come società per azioni articolando il ragionamento in più occasioni, valutando alcuni indici che facessero intendere la dipendenza tra tali soggetti. In questi primi due casi, gli Avvocati si sono posti degli interrogativi su degli aspetti del vincolo di dipen-denza quale lo schema finanziario che sta alla base del rapporto tra l’amministrazione aggiudicatrice e il soggetto aggiudicata-rio e la dipendenza amministrativa.

In entrambe le situazioni, il solo collegamento finanziario era considerato elemento necessario ma non sufficiente per rite-nere di essere in presenza di un servizio in house. Andava quindi accertata la sussistenza di una attribuzione di compiti tra organi; e in ambedue le cause, gli stessi Avvocati hanno sostenuto la presenza di questo ulteriore elemento di collega-mento che è costituito dall’influenza esercitata dall’ammini-strazione locale sul soggetto aggiudicatario del servizio, così venendo meno la sostanziale distinzione tra i comuni e le

44Rispettivamente causa C-306/96 BHI Holding BV c. Arnhem e G.

Rhe-den del 10 novembre 1998, in Raccolta I-5923 e causa C-108/98 RI.SAN S.r.l. c. Comune di Ischia del 9 settembre 1999, in Raccolta I-5219, www.curia.europa.eu.

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S.p.A. pubbliche. Infatti, sia in Arnhem che in RI.SAN, la di-pendenza finanziaria, organizzativa e gestionale tra le ammini-strazioni aggiudicatrici e la società pubblica confermavano la sussistenza di un nesso interorganico, escludendo entrambe le fattispecie dall’ambito di applicazione della Direttiva servizi45.

La Corte di giustizia, afferma così la non obbligatorietà della gara per l’affidamento di un servizio, potendo l’amminiszione aggiudicatrice decidere di svolgerlo direttamente o tra-mite il ricorso ad un soggetto in rapporto di delega interorga-nica, escludendo l’applicazione della Direttiva 92/5046.

45 Orientamento seguito dalla Corte nel caso delle amministrazioni

aggiu-dicatrici già nella sentenza Beentjes c. Stato olandese, causa C-31/87 del 20 settembre 1988, punto 12, in cui si stabilisce che, un organismo le cui funzioni e la sua composizione sono come in questo caso contemplate dalla legge e che dipende dalla pubblica amministrazione per quanto ri-guarda la nomina dei suoi membri, la garanzia degli obblighi derivanti dai suoi atti e il finanziamento degli appalti che esso ha il compito di aggiudicare rientri nella nozione di Stato ai sensi della summenzionata disposizione, art. 1, lett. b della Direttiva 71/305, secondo cui sono da considerarsi “amministrazioni aggiudicatrici” lo Stato, gli enti pubblici territoriali e le persone giuridiche di diritto pubblico enumerate nell’alle-gato I, anche se formalmente non fa parte dello Stato, F. CORTESE,

Am-ministrazione aggiudicatrice e organismo di diritto pubblico: orienta-menti della Corte di Giustizia, in www.jus.unitn.it; per un’analisi della

nozione di organismo di diritto pubblico e dell’incerta qualificazione delle società per azioni a partecipazione pubblica, E. CASETTA,

Ma-nuale di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2011, p. 98 ss.

46Cfr. causa RI.SAN c. Comune di Ischia, dove la ricorrente RI.SAN, ha

proposto dinanzi al giudice a quo due ricorsi volti ad ottenere l’annulla-mento di due delibere del Consiglio comunale di Ischia, con cui si ap-prova la costituzione di una società per azioni, la Ischia Ambiente S.p.A. per il servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani in partecipazione con la GEPI S.p.A. e con capitale in prevalenza pubblico. Con una successiva delibera viene affidato – senza bandire gara d’appalto – il servizio a Ischia

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