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3.4.1 «Non ho altro bene al mondo che voi tre miei figliuoli»: l’esempio di Alessandra Macinghi Strozz

Pesaro, 1435. Matteo Strozzi morì di peste in giovane età e in esilio, lasciando soli la moglie incinta e altri tre figli. Appartenente alla ricca famiglia degli Strozzi e all’oligarchia che solo un anno prima aveva esiliato Cosimo de’ Medici, era stato bandito da Firenze nel 1430 al ritorno dello stesso Cosimo. Ma i figli erano ancora banditi decenni dopo, come spiega nel paragrafo successivo. Il destino

233 Franceschi, Il dolore del padre, p.402 234 Franceschi, Il dolore del padre, p.402 235 Franceschi, Il dolore del padre, p.403 236 Franceschi, Il dolore del padre, p.405

91 sembrava scritto, e Matteo e la sua giovane famiglia avrebbero potuto scomparire dalla Storia, inghiottiti dall’oblio237, ma accadde qualcosa di inaspettato.

Infatti la giovane moglie di Matteo, Alessandra, tornò a Firenze per cercare con tutte le sue forze di far levare il bando che colpiva i suoi figli, Filippo, Lorenzo e Matteo. Prima Filippo e poi i suoi fratelli si spostarono da Pesaro a Napoli per lavorare al banco Strozzi tenuto da Niccolò Strozzi, uno dei tre cugini del padre defunto. Alessandra riuscì nel suo scopo solo vent’anni dopo, nel 1466, così gli eredi di Matteo Strozzi, per Deliberazione della Balìa del 20 settembre di quell’anno, rientrarono a Firenze. Ma non tutti e tre, perché nel 1459 il giovane Matteo morì a Napoli.

Il loro rientro in patria era il frutto dell’instancabile e paziente azione della madre, che fin dal primo momento era fermamente convinta che essi dovevano tornare, che presto o tardi sarebbero tornati.238 Furono anni di lontananza e sofferenza, nei quali, però, Alessandra cercò di essere sempre una presenza costante e sincera nella vita dei suoi amati figli: ci sono giunte circa settantatré lettere scritte tra il 24 settembre 1447 e il 14 aprile 1470, che la donna scambiò con i suoi figli. Il carteggio inizia quando Alessandra aveva quarantuno anni e termina circa un anno prima della sua morte, avvenuta all’inizio di marzo del 1471.239

Si tratta di un epistolario ricchissimo di rimandi storici, politici, sociali e familiari, di una fonte inesauribile di informazioni che vanno dalle più banali alle più importanti e vitali per la conduzione degli affari, che cercheremo di racchiudere in alcuni temi principali.

Il primo è sicuramente il tema della famiglia: per lei «poverella e isconsolata» come spesso si definiva nelle lettere, era di fondamentale importanza mantenere in vita l’unico rapporto che avesse con i figli, conscia del fatto che «non ho altro bene in questo mondo che voi tre miei figliuoli; e per la vostra salute mi v’ho levati uno ad uno dinanzi non guardando alla mia consolazione».240 A casa rimanevano con lei le fanciulle, Caterina ed Alessandra, che dovevano essere ancora maritate, e proprio a questo proposito Alessandra spese molto del suo tempo in un’accurata strategia matrimoniale.

La figlia maggiore, Caterina, ricevette l’anello nel 1447, andando in sposa a un figlio di Pier Parenti. In una lettera indirizzata a Filippo datata 24 agosto 1447, Alessandra scrive:

E’n prima t’avviso come, per grazia di Dio, abbiàmo allogata la nostra Caterina al figliuolo di Parente Pier Parenti, ch’è giovane da bene e vertudioso, ed è solo, e ricco, e d’età d’anni venticinque, e fa

237 A.Bianchini (a cura di), Tempo di affetti e di mercanti. Lettere ai figli esuli, Milano 1987, p.8 238 Bianchini, Tempo di affetti, p.10

239 Bianchini, Tempo di affetti, p.25 240 Bianchini, Tempo di affetti, p.8

92 bottega d’arte di seta e hanno un poco di stato […]. E sì gli do di dota fiorini mille […] quando ne va a marito; che credo sarà di novembre, se a Dio piacerà».241

La dote di Caterina ammontava a 1000 fiorini, come sottolinea dettagliatamente la madre: «ch’ell’ha avere di maggio nel 1448 dal Monte; e gli altri cinquecento gli ho a dare tra danari e donora»242. Il Monte citato da Alessandra era il Monte delle Doti, fondato nel 1425 dai legislatori fiorentini, che prevedeva che i padri alla nascita delle figlie depositassero 100 fiorini vincolandoli solitamente per quindici anni, in modo tale assicurare alle figlie una buona posizione nel mercato matrimoniale dando loro una dote onorevole. Come sappiamo la dote non bastava, serviva il corredo. Alessandra riuscì a riunire vesti, perle, uno specchio e due forzieri messi a oro e dipinti da maestro Domenico Veneziano.243

Nonostante «non mi maraviglio che tu vada a rilento al fatto della donna; chè [...] è cosa di grande importanza, e la maggiore che si possa fare: chè l'avere buona compagnia fa istar l'uomo consolato l'anima e Ί corpo» Alessandra decise di trovare moglie anche al primogenito, Filippo. In una lettera del 17 agosto 1465 ella scrive: «credo che Iddio me l’apparecchiò innanzi perch’io la vedessi; che non ci avevo il pensiero a vederla ora»244. Dopo aver saggiato varie candidate convenne che la migliore era Fiammetta Adimari che «è grande come la Caterina, buone carni, di buon essere e mi parve nell’andar suo e nella vista sua ch’ella non è addormentata»245 e nel 1467 i giovani convolarono

a nozze. Il primogenito della coppia venne chiamato Alfonso. Con la sua nascita emerge il quadro della nuova realtà familiare, con la vigile tenerezza per il nipotino Alfonso (« Sempre mi è drieto, come il pulcino alla chioccia »), la cura del vitto (« m'ingegno [...] di fare vivande più sane ch'i' posso »), la ricerca della balia, il rito delle visite, i preparativi e festeggiamenti per la nascita della nipotina Lucrezia. Alessandra informa con una lieta lettera Filippo che il figlioletto era in salute e «non bisogna dirgli la cosa più d’una volta che l’ha intesa. E’ mi venne dettogli una sera nelle orecchie: El Babbo è a Napoli. Non bisognò dirglielo più; che come n’è domandato e’ dice: Babbo a Napi. E così d’ogni cosa che fa: che è segno di buona memoria».246

Molti sono i riferimenti a momenti del privato, racconti di un'atmosfera di raccolto calore, attimi che ci mostrano un’immagine di vita vera, vissuta. «el panno per le camice non è ancora bianco; chè è tre mesi che ci abbiàno auto tempo molto piovoso e poco sole: come sarà bianco, le taglierò e

241 Bianchini, Tempo di affetti, p.61 242 Bianchini, Tempo di affetti, p.61 243 Bianchini, Tempo di affetti, p.33 244 Bianchini, Tempo di affetti, p.238 245 Bianchini, Tempo di affetti, p.238 246 Bianchini, Tempo di affetti, p.312

93 cucirò, piacendo a Dio, e stando sana». Qui siamo di fronte a una dimensione più domestica, familiare, intima. Quello delle camicie, del cattivo tempo insistente e l’augurio di una buona salute possono sembrare particolari effimeri, ma in realtà ci mostrano personaggi meno evanescenti e più vicini a noi. Scene del quotidiano di una casa che vive e si muove: vi è un via vai di vetturali, fanti, messi, amici dei figli. Alessandra nelle sue lettere parla spesso di cibi in viaggio e di prodotti scambiati tra Firenze e Napoli per uso familiare247, molte sono le richieste specifiche e molti altri i consigli su come consumare le pietanze non troppo caldo «chè è troppo di spezie e in piccole doti che è di grande sustanza e fanne masserizia che si conservi un anno buono».248

Era importante per Alessandra, madre lontana, fare sentire loro la sua presenza anche dando insegnamenti di vita e principi sui quali fondarla: tra tutti l’amore per Dio («Fa' bene a ringraziare Iddio, che v'ha conceduto grazia, che chi non v'are' salutato, ora vi darebbe le cose sue perché vi servissino. Non è questo pe' vostri mancamenti; ma per la grazia, che v'ha data Iddio, delle virtù che v'ha concesse»249) che invitava a ringraziare di ogni successo finanziario. «Dare buono ammaestramento» è il fine esplicito che tante volte ella ama ripetere. Alessandra cerca di impartire infatti buone regole del vivere, un impegno che, ieri come oggi, risponde al primo dovere dei genitori nei confronti dei figli; è saldamente ancorata al presupposto di far prendere ai giovani « conoscimento di sé », di incitarli a far « buona prova», di educarli alla pazienza, alla temperanza, alla giustizia, all'onestà. Sin dalla prima lettera l'imperativo categorico è « Fa' sopra tutto masserizia » e i successivi, martellanti « fatene masserizia », « vi ricordo il governarvi bene ». Ella voleva sorvegliare i figli minori affinché «buona riuscita» e «che per trestizia no lo perda»; ricordare il «ben fare» a Lorenzo, che tra i tre sembra essere il figlio più irrequieto e mal disposto all’ascolto, al quale spesso ricordava «oggi mai doverresti correggerti, e dirizzare l'a nimo tuo al ben vivere». In quest'ottica tradizionale, allargata dalla spinta dell'amor materno, si sviluppano le raccomandazioni al primogenito Filippo sulla condotta affettuosa e responsabile verso il fratellino: «fa' che tu no gli dia busse: fa' che abbia discrezione di lui; che, a mie' parere ha buono senti»250

Scrivere è l’unico modo che questa madre ha di poter indirizzare i figli, l’unico mezzo per attivare a distanza quel complicato meccanismo di tutela, protezione, educazione, avvertimento e scambio di

247 M.G.Muzzarelli, Margherita Datini e Alessandra Macinghi Strozzi spediscono ricevono e smistano cibi, in «Rivista di storia Scrittura e società» anno II, 2 (2015), p.47

248 Bianchini, Tempo di affetti, p.132 249 Bianchini, Tempo di affetti, p.220

250 M.L. Doglio, Scrivere come donna: fenomenologia delle «Lettere» familiari di Alessandra Macinghi

94 favori che richiede un costante coinvolgimento insieme pratico ed emotivo in un assiduo scambio di informazioni.251

Il tema politico è inoltre molto frequente, poiché lei stessa riteneva che «tutti gli uomini sono in pensiero di quello che s'ha a fare in Palagio nel drizzare lo Stato, e 'n che modo s'ha a vivere», solite regole, tra virgolette e in corsivo e infatti troviamo lettere che riportano una vera e propria cronaca cittadina per aggiornare i figli lontani sugli eventi della città, dalle epidemie agli aggravi fiscali. Nel luglio 1459 Alessandra racconta per esempio dell’arrivo dell’Arcivescovo che «entrò una mattina a buon ora senza onoranza niuna»252; ci parla, tra le altre cose, del ritorno di Bernardo de' Medici dall'ambasceria di Milano e della morte di Cosimo il Vecchio. Ci sono massime e ricordi politici che denotano una matura riflessione personale sulla politica, come questa raccomandazione del 15 marzo 1461, che sembra una chiara premonizione degli eventi successivi: «Ricordoti secondo sento che chi sta coi Medici sempre ha fatto bene, e coi Pazzi el contradio; che sempre sono disfatti. Sieti avviso».253

La famiglia, gli eventi cittadini e il quotidiano si intrecciano con l’altrettanto quotidiano dolore che nasce dalla mancanza dei suoi figli, ai quali raccomanda di scrivermi ispesso. La loro lontananza era difficile da sopportare,

A dì 16 fu l'utima mia. Non avendo poi tua, ho per questa manco a dire; ma solo fo perché non mi dimentichiate, e di darvi cagione, quando avete tempo, di farmi duo versi; che non ho altra consolazione che sentire per lettere vostre, che siate sani, e facciate bene. Che Iddio sia lodato di tutto.254

Nel dicembre 1450 Alessandra scriveva : «non ho niuna consolazione se non ch'i' vivo a speranza d'averne di te e degli altri: [...] mi credo morire con questa voglia di vederti» e nel luglio 1459, quasi a giustificare il suo bisogno: « Ma a me pareva essere estata un anno sanza vedere vostre lettere, non che un mese fu».

Appare evidente la trepidante attesa della madre che aspetta le lettere dei figli:

E di certo, che volentieri veggo le vostre lettere, che aspetto el mercoledì ο il giovedì, che de' giugnere il fante, co' piacere, credendo avere duo versi di vostra mano: e quando i' no n'ho, l'animo mi si

251 A.Valori, «Da lei viene ogni utile e ogni onore»: le lettere di Alessandra Macinghi Strozzi ai figli e la tutela

del 'patrimonio morale' della famiglia, in Archivio storico italiano 156, 1 (1998), p.27 252 Bianchini, Tempo di affetti, p.121

253 Bianchini, Tempo di affetti, p.152 254 Bianchini, Tempo di affetti, p.212

95 distende aspettare per l'altro fante; e non n'avendo, mando a sapere dal banco: se truovo abbino vostre, piglio conforto che voi sete sani e state bene. E così vengo passando tempo

E, ancora, nel marzo, dopo aver rivisto finalmente il figlio: «Ebbi della partita di Lorenzo grande rimescolamento: e sì come viva mi pareva essere mentre che ci stette, così mi parve essere sanza la vita e morta quando partì: chè mi parve un soffio questa sua estanza»

Nell’Epistolario uno dei momenti più sentiti, affettuosi e allo stesso tempo emozionanti è costituito dalla notizia della morte del figlio Matteo, il figlio più piccolo, l’ultimo ad allontanarsi da casa per raggiungere i fratelli a Napoli. Inizialmente la madre non era pronta a lasciarlo andare, ma dopo le insistenze degli altri figli decise che: «non guardando a la consolazione mia ma all’utile vostro come ho sempre fatto e così faro insino alla fine»255

Tant’è che se non aveva sue notizie per un po' di tempo questa era la reazione: «Di marzo in qua non ho auto lettere da Matteo che ne sto co maninconia, non dice nulla; che non mi pare buon segno»256.

La lettera scritta da Alessandra in risposta a Filippo che le annunciava la morte di Matteo rappresenta il punto più alto dell’Epistolario257. La madre trova nel suo lessico spontaneo un’apertura

che non ha eguali nel carteggio, un tono più caldo258, rivolgendosi al figlio con parole d’amore e di dolore: «figlioul mio caro, è amaritudine grandissima» che seguono le espressioni di tristezza che il fratello Filippo spende per parlare del suo stato d’animo del momento: Sono in passione grandissima!259

Il dolore per la morte di Matteo si accompagna allo stesso tempo a un pensiero «che s’avviluppa el di e la notte pel capo»260, e riguarda il sentimento che anche il fratello Filippo stava

provando: gli chiede quindi di «avere pazienza per amore di me, di attendere a tutta la salute della sua persona e di porre un poco da parte le faccende della compagnia».261 Sono consigli di una madre,

per di più lontana, per cercare di assottigliare la distanza tra lei e il figlio, maggiormente in quel momento visto che entrambi stavano passando un periodo di estrema sofferenza.

Le settantadue lettere pervenuteci rispondono a un bisogno immediato, urgente di comunicazione, non hanno né preoccupazione né destinazione letteraria né carattere di opera « pubblica », di testo

255 Bianchini, Tempo di affetti, p.35 256 Bianchini, Tempo di affetti, p.87 257 Bianchini, Tempo di affetti, p.35

258 Valori, «Da lei viene ogni utile e ogni onore», p.29 259 Bianchini, Tempo di affetti, p.35

260 Bianchini, Tempo di affetti, p.35 261 Bianchini, Tempo di affetti, p.35

96 ufficiale, sono aliene da ogni proposito di tipologia culturale, di modello generale ed eterno che fissi in scrittura un'idea. 262 Sono scritti assolutamente privati, in cui la stessa grammatica è quella parlata.

Questa sembra essere una caratteristica già sottolineata da Armando Petrucci che, parlando della scrittura epistolare femminile, sottolinea che le donne scrivono, di solito, a persone con le quali hanno una qualche confidenza263, è per questo che molto spesso Alessandra scrive frasi del tipo «Non guatare al mio bello scrivere», oppure ringrazia i figli per aver compreso quanto lei volesse dire nonostante avesse scritto delle letteracce. Vista l’intimità e la familiarità che scorreva nelle lettere, vi era la volontà che questi segreti non andassero oltre il mittente e il destinatario, da qui l'esplicita avvertenza, più volte ripetuta, di consegnare le lettere a « persona fidata » e di controllare al momento del recapito che «non sieno istate aperte».264 Trapela dalle lettere una combinazione tra tenerezza materna e tremula vedovanza e un’attenzione sempre presente e rimarcata sia per la cura dei figli sia per il senso di orgoglio familiare che non può mai mancare.

La vedovanza in età giovanile era un destino che accomunava molte donne del Medioevo, spesso date in moglie a uomini molto più anziani di loro, ma, nonostante ciò, la perdita del marito e del padre dei figli costituiva in una società così sbilanciata in senso patriarcale un elemento difficile da superare, poiché esponeva la famiglia ad una grave perdita di identità e solidità anche dal punto di vista economico e finanziario. Tutto ciò poteva accadere anche agli Strozzi, ma la grande tenacia della donna che li rappresentava riuscì a risollevarli, o meglio a non farli mai affondare completamente.

Con sguardo sempre vigile al momento storico, alle vicende politiche che si susseguivano attorno a lei, Alessandra ci mostra ventitré anni di attese, speranze, suggerimenti e raccomandazioni nella delicata trama di relazioni personali che, con alterne vicende, è riuscita a preservare l'integrità personale e patrimoniale dei figli contribuendo a incentivarla a maggior gloria del nome della casa.265 Tutto questo non è stato ottenuto con facilità o leggerezza, anzi è stato un percorso faticoso, ma nel quale Alessandra ha sempre creduto, non distogliendo mai lo sguardo dall’obbiettivo di riportare i suoi figli da lei, e pensando sempre all’amore provato per loro, alla voglia di rivederli, conscia del fatto che tenere vivo il rapporto scrivendosi continuamente fosse l’unico tenue, ma importantissimo filoche ha caratterizzato tutta la loro esistenza.

262 Doglio, Scrivere come donna, p.487 263 Petrucci, Scrivere lettere, p.60

264 Doglio, Scrivere come donna, p.487-88

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Conclusioni

All’inizio dell’elaborato ci si chiedeva cosa sapessimo della vita affettiva in epoca medievale, e se essa avesse un ruolo all’interno della società del tempo. Attraverso queste pagine si è provato a dare una risposta studiando le dirette parole dei protagonisti, che con la loro voce ci hanno dato la possibilità di guardare al Medioevo con occhi diversi.

Il tema principale che è stato affrontato riguarda lo sviluppo di sentimenti ed emozioni all’interno della famiglia, per comprendere se i legami che si instauravano non fossero solamente mossi dall’interesse personale e dall’egoismo. La famiglia risulta essere anche all’epoca centro di stima e benevolenza, in cui certe situazioni erano vissute in maniera condivisa, profonda e con grande partecipazione emotiva. Lo studio che è stato portato avanti è volto a cogliere proprio queste situazioni, questi momenti che avvicinano un periodo così lontano a noi, in tutto e per tutto, alla nostra realtà e al nostro modo di vedere i rapporti umani.

Fino a non molti anni fa le emozioni, il loro nascere e il loro essere esplicitate in opere letterarie, diari personali o iconografie non trovavano largo spazio all’interno di una storiografia interessata molto di più a grandi eventi sociali quali guerre, rivolte, a gerarchie e poteri politici che si susseguivano, a imperatori che cambiavano e a mercanti che si spostavano con le loro aziende in tutta Europa. Non si intende affatto mettere in discussione l’importanza di tutti questi temi, ma spesso ci si dimentica che i protagonisti di queste situazioni erano uomini e donne che, ancor prima di essere guerrieri, imperatori, mercanti, mogli, madri relegati nei loro status sociali, erano persone che provavano emozioni, che vivevano una vita quotidiana all’insegna di affetti, amicizie, amori, dolori e gioie.

Per cogliere veramente le vite sentimentali e affettive, se così possiamo definirle, di uomini e donne del tempo dobbiamo lasciare loro la parola e lasciarci trasportare nella lettura di ciò che hanno scritto, affrontando tale lettura senza i pregiudizi che inevitabilmente ci portiamo dietro. Il Medioevo è per antonomasia il secolo buio, oppresso e oppressivo, freddo e insensibile che non lasciava spazio a nessun tipo di emozione o calore affettivo. Si è cercato quindi di trovare uno spiraglio di luce, dando una visione più umana a persone (e non solo personaggi) che ci sembrano così lontani dalla nostra realtà da non sembrare assolutamente accomunabili a noi in qualcosa.

Tutto questo può essere rivisto leggendo, per l’appunto, le fonti dell’epoca. In questa tesi sono state analizzate soprattutto opere letterarie, come per esempio le poesie trobadoriche e del dolce stil novo dantesco e il Decameron di Boccaccio, e lettere nelle quali è possibile trovare passi che possano rispondere ai nostri interrogativi.

Solo l’amore e l’affetto ci possono permettere di scaldare la freddezza medievale di cui troppo spesso si sente parlare. L’amore di cui abbiamo parlato è sia quello che lega un marito ad una moglie sia

99 quello che è alla base della genitorialità, due dei rapporti più importanti che possiamo trovare, oggi come allora, all’interno di un nucleo familiare.

Molto importante è stato sottolineare il tema del matrimonio, che viene trattato sia nel primo che