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LA CASA, FOCOLARE E CULLA DEI SENTIMENT

Fin dall’antica Grecia, con il mito di Estia, Dea della casa, protettrice del fuoco domestico che doveva fiammeggiare in ogni abitazione provvedendo a riscaldare gli ambienti e a cuocere i cibi, sentiamo parlare di focolare domestico e anche per noi oggi, pensandoci bene, la casa assume questo significato. È il luogo che si predilige dopo una dura giornata di lavoro, dove ci sentiamo liberi di fare ciò che più ci aggrada in sintonia con i nostri familiari, e contro ogni pronostico anche nel Medioevo si sente e si vive la casa in questi termini.

Le abitazioni medievali sono interamente dedicate allo spazio privato, sia all’interno che all’esterno, nelle case dei personaggi più agiati troviamo un bel cortile, una grande corte circondata da portici che costituisce il cuore dell’abitazione, le case più umili davano invece su strade spesso molto affollate e movimentate. 109 Soprattutto negli ultimi secoli del Medioevo troviamo case non più in legno bensì in pietra e ben costruite, ma non bastava che una casa fosse costruita a dovere, doveva anche essere ben attrezzata: sempre più frequente era la presenza di cassoni e panche dove riporre abiti e tessuti, poiché si iniziava sempre più ad avvertire la necessità di tenere la casa in ordine, il

56 mobilio delle sale era costituito da una o due tavoli con panche e sgabelli, che sembrano dare al luogo un aspetto dismesso e semplice, che però si animava d’estate o per i ricevimenti, come ci dice l’Alberti, descrivendo la sala luogo di chiacchiere e calore.

Calore che si avvertiva soprattutto nelle stanze da letto chiuse con porte a chiavistello, luoghi del sonno e del riposo; il letto è il mobile base, quello che regna incontrastato, composto da un’intelaiatura in legno, pagliericcio, piume e tessuti che lo rendessero comodo. Si poteva andare da un solo letto a una decina a seconda delle necessità e delle possibilità economiche della famiglia, ma Guillame Coquillart affermava che anche un povero era tenuto a possedere nel suo altrettanto povero armamentario un letto (oltre che un vaso, una saliera, un tavolo e una panca). Leon Battista Alberti raccomandava alla moglie e al marito di aver ciascuno la propria camera per evitare ai due coniugi di disturbarsi a vicenda, usanza che anche al giorno d’oggi non sembra essere andata persa.

Lumi, lanterne, portacandele dagli agiati interni alle case più umili non potevano proprio mancare, servivano a illuminare le stanze, è vero, ma anche a dar luce alle conversazioni e alle riunioni di famiglia. Quindi queste case erano vive, sempre accese da via vai continui di persone, erano case in cui si sentivano voci e rumori di ogni genere. D’inverno la famiglia si riuniva intorno al fuoco della sala. Qui possiamo immaginare di vedere una sposa che fila, il marito che sistema il fuoco, i figli che borbottano e giocano con i loro giocattoli; d’estate si prendeva insieme il fresco sulle soglie di porte, nelle logge, in giardino

Anche se di giorno i lavoratori si allontanavano dalla residenza e i giovani si recavano a scuola o in bottega, non mancavano le occasioni di riunirsi insieme la sera o di godersi una giornata in famiglia nei giorni festivi. Il primo momento di riunione era la toilette (non dobbiamo pensare che ci fosse un’attenzione scrupolosa alla pulizia personale, solitamente ci si lavava solo quello che non era coperto dalle vesti e quindi mani e piedi!), sia dei bambini che degli adulti, che si svolgeva in estrema intimità. Si passava poi al pranzo, e come oggi mangiare insieme era il momento ideale per passare del tempo insieme: infatti tutte le famiglie povere e ricche possedevano una o più tavole rettangolari in cui riunirsi.

Per noi, oggi, è assolutamente normale parlare di cucina, per definire l’ambiente opportunamente attrezzato, che in un’abitazione è destinato alla preparazione e alla cottura delle vivande. Ma per i nostri antenati medievali non lo era altrettanto, o almeno non lo era per tutti. All’epoca, infatti, sono ancora una volta i ceti più abbienti a poter disporre, nelle loro ricche dimore, di un locale, talvolta separato dal resto dell’abitazione, nel quale venivano preparati i pasti. Di norma, infatti, per la maggior parte della popolazione, la cucina era costituita da un solo ambiente, che spesso coincideva con l’unico spazio abitativo, dove si provvedeva tanto alla preparazione quanto alla consumazione di pranzi e cene. In ogni caso, comunque, tutto ruotava intorno al focolare (che solo

57 alla fine del Medioevo diventa camino), più o meno grande a seconda delle dimensioni della stanza e delle possibilità economiche del padrone di casa. Qui si cuocevano tutti i cibi. Le pietanze venivano preparate usando utensili di ferro e rame che permettevano di cucinare buoni pasti, serviti in tavole apparecchiate senza forchette né tantomeno tovaglioli. A cena il pasto doveva essere più leggero: “Mangiate poco la sera e liberatevi d’ogni pensiero terrestre e mondano” si legge in un libretto devozionale.

Durante le ore della veglia, prima di dormire, c’era molto da fare insieme, ripulire, rammendare raccomodare, conversare. Si parlava della fatica della vita quotidiana, si poteva «tenere un ragionar piacevole del bue, della lana, delle vigne o delle sementi »110, dalle semplici cose di tutti i giorni fino a toccare temi più profondi sulla religione e sull’educazione. Giunta l’ora di coricarsi ci si separava: il bambino molto piccolo era a balia, i più grandi dormivano nella loro stanza da soli o con i loro fratelli con i quali parlavano, pregavano o recitavano salmi. Nella camera dei genitori ci si lasciava andare a un vestiario più intimo, recitando preghiere sentite e profonde sulla prosperità, sull’accordo, sulla ricchezza e sull’onore che familiare; c’è chi, poi, sprofondava nel sonno dopo una intensa giornata di lavoro e chi si lasciava andare alla tenerezza, visto che la camera, anche all’epoca, era il centro di sentimenti e segreti.

La famiglia, oggi come allora, può essere considerata il microsistema alla base della nostra società e il primo luogo in cui una persona entra in relazione con altri essere umani. L’impatto della famiglia sull’individuo è molto forte e importante, perché il sistema di valori e l’interazione tra i soggetti che compongono quel nucleo familiare andranno a incidere anche sulle relazioni dell’individuo al di fuori della famiglia stessa. È infatti grazie agli affetti, all’educazione impartita e al modo in cui si è considerati in famiglia che i soggetti creano un’idea di se stessi che poi proietteranno anche all’esterno, e che li guideranno anche nella relazione con gli altri. La famiglia è nell’immaginario comune il luogo in cui le persone dovrebbero più sentirsi a loro agio, quel nido sicuro in cui rifugiarsi sempre, quell’insieme di persone su cui dovresti poter contare qualsiasi cosa succeda.

Nel medioevo «la premura familiare, sentita o no, il semplice esempio che viene da esistenze accoste, con tutta la loro ricchezza e le loro peripezie costituisce per ognuno un’altra fonte anche più feconda di formazione e di strutturazione interiore»111. Vivere insieme permette di penetrare e conoscere l’ intimità degli altri, e allo stesso tempo conoscere se stessi. Leggendo lettere, diari familiari si nota

110https://gutenberg.beic.it/view/action/nmets.do?DOCCHOICE=1723036.xml&dvs=1604358029890~531&l ocale=it&search_terms=DTL4&show_metadata=true&adjacency=&VIEWER_URL=/view/action/nmets.do? &DELIVERY_RULE_ID=7&divType=&usePid1=true&usePid2=true (ultima consultazione: 02/11/2020) 111 Ariès, La vita privata, p.218-219

58 come si desse molto peso alla conoscenza delle persone che componevano il proprio ambiente privato. E’ curioso che molte pagine dei diari di famiglia o nelle memorie siano dedicate a presentare l’aspetto fisico deli consorte: nelle memorie di Giovanni Morelli troviamo per esempio Mea, la sorella maggiore, descritta come una donna di media statura con un gran bel colorito, fresca e bionda, molto ben fatta in tutto e per tutto incantevole, con le mani disegnate da Giotto.112 Vivere a casa propria vuol dire essere conosciuto, riconosciuto, distinto e ammirato. Oltre all’aspetto fisico non manca mai l’abitudine di tratteggiare alcuni aspetti della personalità morale di ognuno di loro, anzi il già citato Morelli, che scrive la storia della sua antica famiglia «per ammaestrare i (nostri) figliuoli», presenta se stesso in terza persona come prototipo di moderazione

Di taglia e di corporatura media […] non gli piacevano le cose cattive, specie quanto potesse nuocere alla collettività […]Cercò sempre di vivere senza preoccupazioni, senza mai contrapporsi con parole o atti a coloro che governano

La famiglia era quindi anche all’epoca centro di stima e benevolenza, in cui certe situazioni erano vissute in maniera personale, profonda e con grande partecipazione emotiva. Molto importante a questo proposito è proprio il tema che viene trattato in molta corrispondenza: il tema dell’assenza di persone care, assenza che può essere temporanea e connessa, come vedremo con lampanti esempi nell’ultimo capitolo di questa tesi, alla voglia di rivedere la persona lontana contornata dalla paura che questa non ritorni. Il non ritorno, la sofferenza fisica, la morte sono per eccellenza i momenti in cui la sensibilità sembra fiorire. «Corrispondenze, diari familiari, contabilità, racconti e novelle tutto pone in primo piano la presenza tenace nelle famiglia della malattia. Soffrire e veder soffrire, morire e veder morire restano esperienze private, moltiplicate dall’ampiezza della famiglia».113

Morte di bambini, di adolescenti, di giovani donne, di adulti fanno sviluppare una sensibilità all’aiuto, all’apprensione e allo stesso all’abitudine verso questi eventi, tant’è che tutti sentono il bisogno di preparare con preghiere, confessioni il funerale e il corteo della morte; Ariès ci racconta dello sguardo malinconico che Valorino Barna Ciurrani nel 1430, a settantasette anni, getta sul suo passato, osservando la rassegna di morti alle quali ha dovuto assistere, da quella della moglie, di tre figli e due figlie e di una nipote diciassettenne.114

C’è chi guarda soffrire e cerca di chiamare a raccolta tutte le forze possibili per far vivere al meglio gli ultimi momenti al malato, ma c’è il malato stesso, che soffre e che spesso spende gli ultimi attimi

112 Ariès, La vita privata, p.220 113 Ariès, La vita privata, p.221 114 Ariès, La vita privata, p.222

59 di vita a scrivere. Ariès porta alcuni esempi proprio di questi commoventi scritti; tra questi il più toccante: la storia è quella di Anna von Zimmern, una nobildonna che nel 1478 sentendosi male crolla, scrive al figlio Johann Wernher, a sua nuora e muore

Tutto il mio affetto materno e miei migliori pensieri, figlio e figlia amatissimi […] Carissimi figli, non mancate di mandarmi continuamente un messaggero perché possa sapere come stanno i miei carissimi bambini, i giovani perché mi mancate tutti terribilmente

Anna continua scrivendo

Carissimo figlio, sappi che la situazione peggiora, al punto che non ho molte speranze […] non so come andrà a finire per me da qui a domani, per questo non voglio distrarti dai tuoi impegni, ma ti chiedo di inviarmi la mia lettera di indulgenza […] dimostrami finché sarò viva e dopo morta l’affetto di cui sei capace.

Quanto detto porta quindi a pensare che attorno a questi eventi che sollecitano l’ambiente familiare sia inevitabile che affiorino sentimenti molto forti quali la paura, la tristezza e all’opposto la gioia per nascite e matrimoni. In famiglia, dove si è in tanti a vivere all’unisono queste esperienze, i sentimenti comuni rafforzano quelli individuali e si sa, oggi come al tempo, vivere in buona armonia tra parenti è molto piacevole. La conversazione familiare, il piacere, i cuori che si aprono, i bambini, la cura della casa tutto concorre a mantenere l’affetto che cementa la coppia. Gli sposi a quell’epoca hanno l’uno verso l’altro il pudore dei loro sentimenti, ma gli altri affetti si manifestano con più facilità: vedremo come il rapporto padre-figli sia costante, totale e profondo. Molto spesso l’affetto radicato nella vita di coppia fa crescere nel migliore dei modi i figli e rafforza tutti gli affetti che si incrociano nella famiglia.

Crescere in un nucleo familiare unito significa crescere in una rete di relazioni stabili e fitte che nonostante le incomprensioni, le quisquiglie e gli innumerevoli difetti dello spirito di lignaggio, la famiglia rimane quella cellula di affetto scambievole che tocca, molto più di oggi, la schiera di cugini e amici. «Un cugino eletto priore significa il colmo della gioia per tutto un lignaggio. Si ricevono notizie di un assente, nasce un bambino ed ecco tutti felici. La felicità che trabocca, il colmo della gioia. Evento tipico, simbolico quello di ritrovamenti imprevisti che riuniscono una famiglia. Una madre ritrova il figlio: torrenti di lacrime, mille baci»115.

115 Ariès, La vita privata, p. 230

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Capitolo terzo

Protagonisti e testimonianze

Famiglie, padri e madri che sono anche mariti e mogli, figli e figlie: il tema di questo capitolo ruoterà attorno a tutti questi protagonisti. Sono protagonisti inscrivibili in un preciso contesto storico- culturale, quello dell’Italia del Tre-Quattrocento; analizzeremo soprattutto lettere, scritti personali e libri di famiglia che ci danno una visuale ampia e precisa proveniente direttamente dalla famiglia all’interno della quale presero vita, permettendoci di capire come e perché si scrivesse in questo o in quel modo.

Nel primo paragrafo parleremo di matrimonio e, pur sapendo che esso spesso in età bassomedievale si configurava come un mutuo legame tra famiglie che per interessi reciproci sceglievano la futura sposa,116 cercheremo di trovare in alcune lettere aspetti che ci riportino alla

nostra idea di matrimonio, individuando parole d’amore ed affetto tra i coniugi. A questo proposito ci soffermeremo sulla corrispondenza tra Margherita e suo marito Francesco Datini, il grande mercante di Prato, nella quale accanto a questioni economiche si possono scorgere attimi di affetto e sentimento tra i due.

Leggendo le lettere di Margherita emerge inoltre prepotentemente la figura di una donna forte ma allo stesso tempo amorevole e consapevole della propria influenza sul marito. Perciò, nonostante si sappia che molto spesso le giovani donne non avevano ancora la libertà e il privilegio di scegliere da sole l’uomo che avrebbe dovuto accompagnarle lungo tutto il percorso di vita, bisogna chiedersi se esse fossero solamente pedine di decisioni altrui o se potessero avere la forza, la volontà e le capacità di elevarsi in un mondo prevalentemente maschile. Analizzeremo dettagliatamente a questo proposito la figura di Cristina da Pizzano che rappresenta, con la sua acuta intelligenza e visione del mondo, la voce per tutte quelle donne che sono costrette all’interno di luoghi comuni che ce le mostrano come completamente nascoste dietro uomini dominanti.

L’ultimo paragrafo sarà dedicato invece al tema della genitorialità. Ne vedremo le varie sfaccettature, ci chiederemo quanto fosse diverso rispetto ad oggi essere madre o padre e quanto affetto scorresse nel rapporto tra genitori e figli. Un tema importante che verrà toccato è sicuramente quello dell’infanzia e della gioventù: quanto venivano considerati importanti e per quali motivi i bambini e i giovani nel medioevo?

116 L.Fabbri, Trattatistica e pratica dell’alleanza matrimoniale, in De Giorgio, Klapisch-Zuber (a cura di),

61 Molte sono le testimonianze che ci sono arrivate: parleremo del dolore provato da vari padri nel momento della morte del figlio, del rapporto di Giovanni Morelli con la madre crudele, che ci apre a riflessioni sull’oggi. Infine l’ultima parte sarà dedicata alla corrispondenza di Alessandra Macinghi Strozzi, una donna forte e una madre amorevole, ai suoi figli lontani costretti in esilio.