• Non ci sono risultati.

4. Revisione della letteratura

5.5. Ambiente e socialità

Le linee guida ESPEN (Volkert et al., 2015) raccomandano di offrire i pasti in un’atmosfera piacevole e familiare, in cui i pazienti possano sentirsi rilassati, a proprio agio e al sicuro. Vi sono vari fattori ambientali che possono influenzare l’atmosfera, come il luogo, l’arredamento, i compagni, i suoni, gli odori, la temperatura, l’illuminazione, l’accessibilità, la porzione e la presentazione degli alimenti.

Da uno studio trattato in questa revisione (Murphy et al., 2017) è emerso che vi sono diversi fattori ambientali che possono essere modificati per sostenere e coinvolgere i pazienti durante i pasti. Ad esempio i colori contrastanti delle stoviglie consentono alle persone affette da demenza di identificare gli alimenti più facilmente. Inoltre, per facilitare l’assunzione di alimenti, riducendo lo stress e l’ansia e migliorando i comportamenti dei pazienti durante i pasti, vi è una disposizione dei tavoli con spazio sufficiente tra l’uno e l’altro, un’impostazione della sala diversa per i vari pasti, un’illuminazione e una temperatura della stanza adeguata, un’atmosfera rilassata con musica di sottofondo e con colori differenti per evocare atmosfere diverse.

Sempre nello stesso studio (Murphy et al., 2017) è stato valutato che l’utilizzo di vari profumi di cucina, per i vari momenti della giornata e per i vari giorni della settimana, come ad esempio l’odore del caffè e della colazione, del pane cotto al forno, dell’arrosto, dei dolci, ecc., può essere utilizzato come anticipazione dei pasti; ciò può portare i pazienti a evocare ricordi e a favorire il senso di fame. Anche le persone che assistono i pazienti possono promuovere l’anticipazione dei pasti attraverso discorsi relativi l’alimentazione e le attività a essa correlate. Inoltre, è anche emerso che

coinvolgendo la persona in attività che riguardano l’alimentazione, come il giardinaggio, la spesa, la preparazione dei pasti, la decorazioni di torte, ecc., viene stimolato l’interesse verso l’alimentazione. Tuttavia, le attività devono però essere adatte allo stadio della demenza in cui si trova la persona e alla sua biografia. Anche la creazione di giornate e attività ricreative a tema possono offrire delle opportunità per promuovere l’alimentazione.

Nella revisione di Jansen et al. (2015) è stato spiegato che a livello ambientale dovrebbero essere ridotte o eliminate tutte le distrazioni; inoltre, per migliorare l’assunzione di alimenti è risultato utile promuovere la socialità con la condivisione dei pasti.

Per quanto riguarda l’aspetto sociale, nella revisione di Abdelhamid et al. (2016) sono stati presi in considerazione quattro studi che valutano l’attuazione di interventi a sostegno degli elementi sociali attorno all’alimentazione; tra questi vi è l’offerta di pasti famigliari, condivisi e non con il personale curante, la creazione di gruppi per la colazione o la terapia di cucina. Tali studi, nonostante non siano di grandi dimensioni, hanno potuto evidenziare risultati positivi in vari aspetti della qualità di vita, come ad esempio l’autonomia, la comunicazione, l’umore, il coinvolgimento e la partecipazione ad attività significative nel contesto dell’alimentazione.

Nell’articolo di Murphy et al. (2017), è stata valutata la vicinanza di un familiare alla persona affetta da demenza durante il pasto e i risultati sono contrastanti. Essi possono portare effetti positivi, come rendere l’ambiente familiare rievocando ricordi passati ed essere fonte d’incoraggiamento nell’assunzione di alimenti e liquidi; tuttavia, possono provocare anche effetti negativi, come esercitare una pressione involontariamente, in particolar modo quando il familiare non mangia con il paziente. (Murphy et al., 2017) La condivisione del momento del pasto tra curanti e pazienti può favorire una relazione di fiducia e può facilitare l’alimentazione attraverso l’imitazione; anche in questo caso vanno rispettati i desideri dei pazienti. (Murphy et al., 2017)

Infine, la vicinanza di altri pazienti provoca risultati differenti a dipendenza ad esempio della persona, delle abitudini e delle preferenze. (Murphy et al., 2017)

In tale studio è stato messo in evidenza, innanzitutto, l’importanza di riconoscere e di rispettare le preferenze della persona. (Murphy et al., 2017)

5.6. Educazione

Nella revisione di Herke et al. (2018) sono stati inclusi tre studi che hanno valutato programmi di educazione nutrizionale e di promozione della nutrizione per le persone affette da demenza. Venivano forniti corsi, individuali o di gruppo, nei quali dietologi e nutrizionisti offrivano informazioni sulla nutrizione, sulla prevenzione della perdita di peso e programmi di educazione e consulenza nutrizionale (piani nutrizionali). I risultati dei tre studi sono contrastanti. Il primo studio ha rilevato una diminuzione dello stato nutrizionale (BMI, peso corporeo, misure biometriche). Il secondo studio ha riportato un piccolo beneficio a livello dell’assunzione di alimenti e liquidi e una leggera diminuzione del tasso di cadute; inoltre, ha riscontrato una differenza minima, o nulla, rispetto allo stato nutrizionale (BMI) e alla qualità di vita correlata alla salute. Infine, il terzo studio ha riscontrato differenze minime, o nulle, rispetto allo stato nutrizionale (MNA, BMI, peso corporeo). Sono emersi, inoltre, effetti negatici rispetto al comportamento durante il pasto, con maggiore necessità di assistenza, allo stato cognitivo, alle capacità di eseguire le attività di vita quotidiana e alla quantità e gravità dei sintomi correlati alla demenza.

48

Inoltre, sempre nella stessa revisione (Herke et al., 2018), vi sono due studi che hanno valutato dei programmi di formazione delle abilità di auto-alimentazione. Uno studio ha analizzato i programmi di formazione basati sul recupero distanziato e le attività basate sul modello Montessori; invece, il secondo studio ha analizzato un programma di formazione che combina il recupero distanziato con la tecnica di apprendimento priva di errori. Il programma di recupero distanziato ha avuto risultati positivi rispetto alla quantità di alimenti e liquidi assunti, allo stato nutrizionale (MNA, BNI, peso corporeo) e al comportamento durante i pasti nei quali vi era una migliore capacità di autoalimentazione. Al contrario, le attività basate sul modello Montessori ha mostrato effetti che sembravano per lo più svantaggiosi rispetto all’assunzione di alimenti e liquidi, allo stato nutrizionale e al comportamento durante i pasti. Infine, il programma combinato, valutato dal secondo studio, ha mostrato una diminuzione della quantità di alimenti e liquidi assunti, ma ha avuto risultati positivi sulla funzione cognitiva. La qualità delle prove, però, era molto bassa e non è stato possibile trarre delle conclusioni certe sull’effetto dei programmi di formazione.

Nella revisione di Herke et al. (2018) è stato incluso anche uno studio che ha valutato gli effetti di un programma di formazione per infermieri. Lo scopo era quello di accrescere competenze nutrizionali e di migliorare gli atteggiamenti nei confronti delle persone affette da demenza. La qualità delle prove di tale studio era molto bassa e non si è riusciti a trarre delle conclusioni sicure sull’effetto dell’intervento. Lo stato nutrizionale non è stato valutato, ma è emerso che sono stati assunti meno alimenti e le capacità di autoalimentazione erano peggiori.

Anche nella revisione di Jansen et al. (2015) vi sono molti studi inclusi che hanno affrontato il tema dell’istruzione di caregivers formali e informali. È risultato che l’educazione sulla malattia e sulla gestione nutrizionale nelle persone con demenza, proponendo possibili strategie da adottare, ha migliorato l’atteggiamento e ha avuto un effetto positivo sullo stato nutrizionale e sul peso dei pazienti.

Dallo studio di Murphy et al. (2017) è emersa l’importanza di avere a disposizione informazioni basate su evidenze e di avere caregivers formali e informali adeguatamente istruiti riguardo all’alimentazione, all’idratazione e all’assistenza nutrizionale di persone affette da demenza. I partecipanti allo studio hanno sottolineato l’importanza di ricevere spiegazioni riguardo ai cambiamenti che potrebbero avvenire nell’appetito e nella capacità di deglutizione durante la progressione della malattia. Nelle linee guida ESPEN (Volkert et al., 2015) viene raccomandato di educare i

caregivers sulle conoscenze base dei problemi nutrizionali legati alla demenza e le

possibili strategie di intervento e comunicazione. Ciò è essenziale per un’assistenza nutrizionale adeguata; inoltre, questo può aiutare ad anticipare le difficoltà, a ridurre lo stress del caregiver e a migliorare la situazione nutrizionale del paziente.

Infine, dagli studi inclusi nella scoping review (Mole et al., 2018) è emerso che i familiari riconoscono l’importanza di un’alimentazione adeguata, ma non si sentono adeguatamente informati e supportati; per questo motivo l’educazione della cerchia familiare è molto importante.

Sono state valutate anche le principali preoccupazioni delle badanti e degli operatori sanitari rispetto alla nutrizione dei pazienti con demenza; tra queste, le più comuni sono l’assunzione inadatta e squilibrata di alimenti da parte dei pazienti, l’inadeguata disponibilità al cibo e il mantenimento dell’autonomia nella preparazione dei pasti e nell’alimentazione. (Mole et al., 2018)

Documenti correlati