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4. Revisione della letteratura

5.3. Modifiche nella dieta

Nelle linee guida ESPEN (Volkert et al., 2015) è stata analizzata l’assunzione di integratori di vari nutrienti e si è giunti alla conclusione che non è raccomandato utilizzare in maniera sistematica integratori di nutrienti per prevenire o correggere il declino cognitivo. Tuttavia, nel caso di specifiche carenze nutrizionali, i rispettivi nutrienti devono essere reintegrati. È stato raccomandato di fornire la quantità adeguata di tutti i nutrienti essenziali con una dieta bilanciata.

Inoltre, sempre in queste linee guida, viene trattato il tema degli integratori nutrizionali orali. Quest’ultimi vengono definiti prodotti multi-nutrienti che contengono sia macro- che micro-nutrienti. Essi servono per la gestione nutrizionale di pazienti che non riescono a soddisfare il loro fabbisogno attraverso la normale dieta e hanno lo scopo di migliorare l’assunzione di energia e di sostanze nutrizionali. Queste linee guida raccomandano di offrire gli integratori nutrizionali orali per migliorare lo stato nutrizionale dei pazienti, in quanto vi è una forte evidenza che abbiano effetti positivi sul peso corporeo e sul BMI. Tuttavia, non raccomandano gli integratori nutrizionali orali per scopo di prevenire o correggere il declino cognitivo.

La revisione di Abdelhamid et al. (2016) considera studi che hanno valutato gli effetti degli integratori alimentari orali; ossia, studi in cui sono stati offerti alimenti o bevande orali in aggiunta alla normale alimentazione e idratazione. Dalla meta-analisi effettuata è emerso che l’utilizzo di integratori nutrizionali orali provocano scarsi effetti positivi a

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breve termine rispetto al peso, al BMI, al test MNA e all’apporto energetico. I risultati sono statisticamente significativi, ma non sono sufficienti per essere clinicamente utili. Inoltre, non è chiaro l’effetto che hanno gli integratori sullo stato nutrizionale a lungo termine e gli effetti sulla qualità di vita, sullo stato funzionale e cognitivo, sull’idratazione e sulla mortalità.

Per quanto concerne l’offerta di integratori di succhi di frutta non sono state trovate sufficienti prove.

Inoltre, lo studio esaminato nella revisione sistematica di Droogsma et al. (2014) ha valutato gli effetti degli interventi nutrizionali orali sulla clinica (cognizione, attività della vita quotidiana, fratture, ulcere da pressione, ospedalizzazione), nutrizione (peso, BMI, MNA, comportamento alimentare, assunzione di energia, apporto proteico, massa magra) e risultati biochimici (albumina, proteina C-reattiva) in pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer, che vivono a domicilio, a rischio di malnutrizione (valutato dal MNA). Gli integratori nutrizionali orali utilizzati, in aggiunta alla dieta abituale, contenevano dalle 300 alle 500 kcal ed erano arricchiti di proteine, vitamine e minerali. Dopo tre mesi è risultato che il loro utilizzo ha migliorato significativamente i risultati nutrizionali; tuttavia, nessun effetto è stato trovato sui risultati clinici e biochimici.

Infine, la revisione della letteratura di Jansen et al. (2015) ha rilevato che molti studi hanno valutato l’utilizzo di integratori nutrizionali orali ad alto contenuto energetico e hanno trovato che quest’ultimi migliorano il peso e il BMI a breve termine, ma è improbabile che migliorino la gestione del peso o altri esiti a lungo termine.

Nella revisione pubblicata di Herke et al. (2018) è stato incluso uno studio che ha valutato gli effetti, rispetto alle calorie assunte e al peso corporeo, della fornitura di ulteriori prodotti alimentari tra i pasti principali con l’incoraggiamento a consumarli. È emerso che vi è stato un aumento delle calorie assunte giornalmente e una diminuzione del peso corporeo; tuttavia, vi è incertezza su qualsiasi effetto di questo intervento, in quanto i risultati emersi sono limitati e la qualità è troppo bassa.

Invece, la revisione di Abdelhamid et al. (2016) non ha trovato sufficienti prove per valutare l’efficacia degli spuntini tra i pasti.

Vi sono poi altri due articoli (Jansen et al., 2015; Murphy et al., 2017) in cui si discute dello steso intervento. Il primo propone che per migliorare l’assunzione di alimenti è bene offrire piccoli pasti frequenti su tutto l’arco della giornata; nel secondo, viene esposto che alimenti e bevande dovrebbero essere sempre prontamente disponibili e offerti durante l’intera giornata, anche tra i pasti principali, e nella notte. In entrambi viene specificato che l’ideale sarebbe di considerare i momenti in cui il paziente si presenta maggiormente reattivo, interessato e sveglio.

Secondo quanto emerso dallo studio di Murphy et al. (2017), i menù dovrebbero essere flessibili per permettere una maggiore soddisfazione dei bisogni nutrizionali e di idratazione della persona e, allo stesso tempo, per considerare le preferenze e le diversità culturali.

Inoltre, è stato trovato che sarebbe buona pratica favorire la stimolazione dei sensi, per stimolare l’appetito, attraverso l’utilizzo di alimenti dai sapori forti (dolce, salato, piccante e acido), dai profumi intensi, dalla presentazione colorata e invitante. (Murphy et al., 2017)

Oltre a ciò, è emerso che potrebbe essere necessario arricchire di energia e proteine gli alimenti, in particolar modo quando la persona viene valutata come a rischio di malnutrizione o malnutrita. (Murphy et al., 2017)

Nello studio precedente (Murphy et al., 2017) viene detto che potrebbe essere necessario modificare la consistenza degli alimenti, qualora la persona presenti delle difficoltà nella masticazione e/o nella deglutizione.

Invece, nella revisione di Abdelhamid et al. (2016), sono stati valutati gli interventi applicabili per problemi di deglutizione e sono state incluse tutte le azioni volte a valutare, trattare o gestire la disfagia; tuttavia, sono state trovate prove limitate. Alcuni indicatori nutrizionali, come il peso e l’assunzione di energia, sono migliorati con diete apposite; invece, la mobilizzazione della colonna vertebrale a livello cervicale e l’addensamento di liquidi non hanno mostrato risultati chiari.

Sempre nella stessa revisione (Abdelhamid et al., 2016), per quanto concerne la consistenza degli alimenti, un altro studio ha evidenziato che alimenti liquidi o semi- liquidi migliorano il peso nelle persone affette da grave demenza.

Tra gli altri stati inclusi, ve ne sono due studi che hanno valutato l’utilizzo di alimenti

finger food; tuttavia, l’evidenza di efficacia è limitata in quanto uno studio ha avuto

problemi di implementazione e l’altro suggeriva effetti positivi senza però fornire dati concreti. (Abdelhamid et al., 2016)

Invece, lo studio di Murphy et al. (2017) ha rilevato che l’utilizzo di finger food, in particolar modo con l’avanzare della demenza, permette alle persone di mantenere il più a lungo possibile l’autonomia nell’alimentazione, poiché consente una maggiore concentrazione sull’alimento ed è di facile assunzione.

Infine, nella revisione di Jansen et al. (2015) è stato spiegato che fornire alimenti finger

food, che non necessitano di posate, o cibi morbidi, che richiedono meno masticazione,

hanno migliorato l’assunzione di alimenti.

Per quanto riguarda la nutrizione artificiale, enterale o parenterale, è stato evidenziato nelle revisione di Jansen et al. (2015) che essa può fornire un aumento dell’apporto energetico a breve termine; tuttavia, i risultati rispetto al peso e alla sopravvivenza a lungo termine sono incerti. L’assistenza interdisciplinare è importante in quanto utile per poter identificare strategie e interventi alternativi. Le decisioni concernenti la nutrizione artificiale devono essere prese in accordo con i familiari, adeguatamente informati. Nelle linee guida ESPEN (Volkert et al., 2015) viene raccomandato che ogni decisione rispetto alla nutrizione e all’idratazione artificiale venga ponderata sulla base individuale e tenga conto della prognosi e, in particolar modo, delle preferenze, dei desideri e dei valori del paziente. I principi etici come la beneficenza, la non maleficenza e l’autonomia dovrebbero essere rispettati.

Inoltre, esse suggeriscono un’alimentazione con sondino, per un periodo limitato di tempo, in pazienti con demenza lieve o moderata. Questo unicamente per superare una situazione acuta dove vi è un’assunzione alimentare orale marcatamente insufficiente, in cui non vi sono altri mezzi in grado di coprire il fabbisogno nutrizionale e in cui le cause sottostanti sono potenzialmente reversibili. Nel caso in cui il sondino non fosse tollerato o fosse controindicato, l’ESPEN suggerisce in alternativa un’alimentazione parenterale. (Volkert et al., 2015)

Infine, si raccomanda di non utilizzare la nutrizione artificiale e l’idratazione parenterale nella fase terminale della vita. (Volkert et al., 2015)

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