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II. 2.4 «Naturae clamat ab ipso vox tumulo»: Jacopo e l’etica sepolcrale

II.3. F RAGMENTA EPISTOLARI

II.3.2. Ambiguità della funzione tempo nel romanzo epistolare

Se la presenza del manoscritto perduto inscrive già la forma del romanzo epistolare all’interno di una poetica del frammento, la configurazione narrativa della storia conferma

304 M. Campanini, In forma di lettere, op.cit., p. 254.

305 Cfr. Georges May, Le dilemme du roman au XVIIIe siècle. Etude sur les rapports du roman et de la critique (1715-1761), Yale : Paris, Yale University Press : Presses universitaires de France, 1963. Cfr. Hans Rudolf

Picard, Die Illusion der Wirklichkeit im Briefroman des 18. Jahrhunderts, Heidelberg, Winter, 1971 e Annette C. Anton, Authentizität als Fiktion. Briefkultur im 18. und 19. Jahrhundert, Stuttgart: Weimar, Metzler, 1995.

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questa ipotesi di lettura. Il romanzo epistolare pone il lettore di fronte a una parte della storia della vita dell’eroe che può avere una durata più o meno lunga: da qualche mese (come avviene nel Werther e nell’Ortis) a numerosi anni (come nella Nouvelle Héloïse e nell’Oberman). Ma, se la concentrazione della fabula intorno a un evento singolo del vissuto del protagonista può essere considerata come un’eco del muthos aristotelico307, resta

il fatto che la configurazione temporale del racconto invita il lettore a continui spostamenti nel tempo che smembrano l’unità narrativa.

Innanzitutto, la narrazione delle lettere appare come una lunga analessi rispetto alla prefazione dell’editore: vi è infatti uno scarto temporale nel passaggio dalla prefazione che comincia “dalla fine” alla prima lettera della corrispondenza che provoca un salto all’indietro all’inizio della vicenda. Questo scarto può essere considerato come un tipo particolare di quel procedimento tradizionale della narrazione occidentale che è l’inizio in

medias res e che prevede una ricostruzione postuma degli eventi i quali hanno portato la

narrazione alla situazione di partenza. La peculiarità del romanzo epistolare è il fatto che, nel passaggio dalla prefazione dell’editore alla serie di missive, si torna a un tempo di narrazione al presente: allorché l’eroe non conosce il seguito degli eventi della propria storia, il lettore è già stato informato del finale. La studiosa Adelia Noferi ha individuato una funzione molto simile a quella che stiamo delineando all’interno dei Rerum vulgarium

fragmenta di Petrarca308. Il sonetto cornice, che indica il momento della scrittura, è al

presente ed in esso è racchiuso tutto il Canzoniere come esperienza trascorsa, provocando un’: «azione del “rovesciamento”, per cui tutto il Canzoniere si presenta nella prospettiva ambigua del flash back: la storia di un amore, detta come presente, ma vissuta come passato»309.

Allo stesso modo, la prefazione del romanzo epistolare, al presente in quanto momento dell’edizione del carteggio, ingloba in sé la vicenda dell’eroe come evento passato. Grazie a questo procedimento, le lettere dell’eroe nel romanzo epistolare appaiono come un’insorgenza del passato nel presente.

Il romanzo epistolare, inoltre, mette in scena una duplice apertura in medias res poiché la stessa situazione che determina lo scambio epistolare affonda le sue radici in un passato che, benché omesso dalla narrazione, costituisce le fondamenta del racconto. L’ambiguità del genere narrativo è dovuta al fatto che, per ragioni di verosimiglianza, le lettere non possono

307 «Le muthos, on le sait, est l’imitation d’une action une et complète» : P. Ricoeur, Temps et récits II. La

configuration dans le récit de fiction, op.cit., p. 35.

308 Cfr. Adelia Noferi, Frammenti per i «Fragmenta» di Petrarca, Roma, Bulzoni editore, 2001, p. 23. 309 Ibidem.

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riprodurre tutte le informazioni mancanti e recuperare tutti gli episodi che hanno determinato l’inizio della corrispondenza: il romanzo si apre dunque sotto il segno dell’implicito.

Per comprendere quali effetti provochi questa omissione sulla consecutio narrativa, potremmo immaginare che sarebbe come se nell’Odissea Ulisse, una volta arrivato a Scheria, anziché narrare tutti gli episodi che lo hanno portato all’approdo sull’isola, accennasse vagamente al fatto che è stata combattuta una guerra e che durante il ritorno in patria la sua nave ha fatto naufragio. Si comprende che l’ellissi della storia precedente provoca uno slittamento dell’attenzione narrativa sul presente, senza che il racconto si distanzi completamente dalle vicende passate.

Nei romanzi epistolari, il racconto, generalmente, torna più volte a recuperare la porzione di storia perduta, come se esso ritornasse sulle tracce del proprio passato, senza svelarlo mai totalmente. La conseguenza è che l’ellissi finisce con l’acquisire ancora più importanza nell’economia narrativa, presentandosi come fondamentale nell’evoluzione psicologica dell’eroe, ma salvaguardando un’aura di mistero agli occhi del lettore.

L’esempio già evocato è quello della Nouvelle Héloïse dove la corrispondenza ha inizio soltanto dopo un anno di amore inconfessato tra Julie e Saint-Preux. L’eroina, dopo le nozze con Wolmar, evocherà questo lasso temporale come il momento più felice della propria passione: è come se quella porzione di storia assumesse un significato solo in questo momento, guadagnando una rilevanza psicologica e, al contempo, una centralità narrativa che prima era passata sotto silenzio. Anche nei romanzi epistolari monodici costituenti il

corpus si è rilevata una situazione di partenza da cui scaturisce, a ritroso, la causa profonda

dell’azione drammatica: la narrazione epistolare pare prendere le mosse da una sorta di

Auftakt che governa tutto lo sviluppo diegetico del romanzo.

Jill Anne Kowalik ha messo in evidenza come la psicologia dell’eroe nel Werther sembra essere determinata da due episodi che sono antecedenti alla narrazione310: il primo è il senso

310 Jill Anne Kowalik, «Pietist grief, Empfindsamkeit, and Werther» in Id., Theology and Dehumanization:

Trauma, Grief, and Pathological Mourning in Seventeenth and Eighteenth-Century German Thought and Literature, in collaboration with Ursula Mahlendorf, Thomas P. Saine, Hans Medick, Frankfurt am Main,

Peter Lang, 2009, pp. 129-130. Kowalick indaga l’influenza del pietismo sulla rappresentazione dei sentimenti nel romanzo e, in particolar modo, si concentra sull’idea propugnata da questo movimento religioso secondo la quale i devoti non potevano mostrare “dolore” né fare esposizione del “lutto” rispetto alla perdita di oggetti terreni, fossero essi persone particolarmente amate. Infatti, il dolore di fronte alla perdita di un oggetto terreno (lutto che deve essere necessariamente vissuto per poter essere elaborato secondo la psicologia moderna) sarebbe stato sinonimo di pigrizia spirituale, poiché considerato come una manifestazione di non accettazione della volontà divina e della piccolezza umana di fronte ad essa. Secondo Kowalik sarebbe proprio questa negazione dei sentimenti negativi, in particolare del dolore e della rabbia, ereditati dalla cultura pietista a causare il suicidio del personaggio in quanto gli impediscono di “elaborare” tali sentimenti.

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di colpa provato dal protagonista per la sua condotta verso Leonore, a cui si fa riferimento nella missiva di apertura311, e il secondo è la perdita dell’amica di gioventù, evocata nella

lettera del 17 maggio312. In particolare, la morte dell’amica costituisce un elemento molto

importante nel tessuto narrativo, dal momento che Werther torna a farvi riferimento appena prima del suicidio313. Per Kowalik la depressione malinconica wertheriana sarebbe la

conseguenza di un lutto impossibile verso questa figura e di un’eccessiva colpevolizzazione verso la giovane abbandonata. Se si segue questa lettura anche l’innamoramento del protagonista per Lotte cambia volto poiché l’amata appare ormai come un oggetto metonimico che viene a sostituire le figure femminili perdute.

Nell’Ortis si delinea una situazione simile a quella del romanzo goethiano per la presenza di un atto mancante nell’azione drammatica: il trattato di Campoformio che ha costretto l’eroe ad abbandonare Venezia costituisce il sottofondo ostinato del romanzo, sul quale si costruisce tutta la narrazione dell’eroe, senza che si faccia mai riferimento diretto all’evento storico in quanto tale314. Inoltre, anche qui la storia di Lauretta, così importante

nella vicenda di Jacopo e evocata a più riprese, è un evento che sarà ricostruito in modo frammentario e distribuito in vari luoghi del romanzo senza mai essere recuperato nella sua totalità. D’altronde, Jacopo stesso intitola la breve storia della giovane amica «Frammento della storia di Lauretta»315. L’opera finita rimarrà invece per sempre inaccessibile agli occhi

del lettore. Difatti, verso la fine della vicenda Lorenzo ci informa: «Teresa mi disse poi che quei pensieri scuciti ch’ei m’inviò con la lettera de’ 29 Aprile non n’erano il cominciamento, ma bensì tutti sparsi dentro quell’operetta ch’egli aveva finita. Non perdonò

311 «Die arme Leonore! Und doch war ich unschuldig. […] Und doch – bin ich ganz unschuldig? Hab ich nicht

ihre Empfindungen genährt?»: J.-W. Goethe, «Die Leiden des jungen Werthers. Fassung A», op.cit., p. 10.

312 «Ach, daß die Freundin meiner Jugend dahin ist, ach daß ich sie gekannt habe! […] War unser Umgang

nicht ein ewiges Weben von feinster Empfindung, schärfstem Witze, dessen Modifikationen bis zur Unart alle mit dem Stempel des Genies bezeichnet waren? Und nun! – Ach ihre Jahre, die sie voraus hatte, führten sie früher an‘s Grab als mich. Nie werd ich ihrer vergessen, nie ihren festen Sinn und ihre göttliche Duldung»:

Ibidem, p. 20.

313 «Todt, Lotte! Eingescharrt der kalten Erde, so eng, so finster! – Ich hatte eine Freundin, die mein Alles war

meiner hülflosen Jugend, sie starb und ich folgte ihrer Leiche, und stand an dem Grabe. Wie sie den Sarg hinunter ließen und die Seile schnurrend unter ihm weg und wieder herauf schnellten, dann die erste Schaufel hinunter schollerte, und die ängstliche Lade einen dumpfen Ton wiedergab, und dumpfer und immer dumpfer und endlich bedeckt war! »: Ibidem, p. 248.

314 M. Cerutti analizzando il sonetto foscoliano Forse perché, sostiene che il lessico e il contenuto di questa

poesia permettano all’autore di concedersi una «sospensione, sia pure temporanea, dell’attenzione rivolta al dato storico, la rimozione della capacità e della volontà di assumerne coscienza critica, dunque la rimozione, in altri termini, dell’esercizio di questa raison eminentemente giacobina e illuministica; e per converso il rendersi disponibile, l’aprirsi a stimoli di ordine emotivo, insieme oscuri e gradevoli»: Marco Cerutti, «Esperienza dell’irrazionale ed evasione dalla storia nel sonetto foscoliano Forse perché» in Neoclassici e giacobini, Milano, Silva editore, 1969, p. 237. Il sonetto venne composto nel 1803, poco dopo la stesura del secondo Ortis, e Cerutti motiva la propria ipotesi attraverso una serie di citazioni, tratte dalle lettere di Foscolo, in cui emerge un chiaro desiderio di «rinchiudersi nei recinti dell’io» Ibidem, p. 236.

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né a questi né a verun altro suo scritto»316. Anche qui notiamo che l’impossibilità della rappresentazione e l’assenza del contenuto divengono dei principi valorizzanti come era già emerso in Rousseau e Goethe: evocando la storia finita, senza mostrarla nel romanzo, Foscolo rinvia a un oggetto rimosso e catalizza così l’attenzione del lettore.

Infine, anche Senancour pare impiegare la forma epistolare per la frammentarietà che la caratterizza. Nell’Oberman, i motivi della partenza dell’eroe da Parigi per la Svizzera, evocati nella prima lettera, non sono mai completamente esplicitati; il protagonista accenna vagamente a una divergenza tra i propri desideri e la volontà paterna, senza però chiarirne le motivazioni: «Aurais-je dû me plier à une condescendance momentanée; tromper un parent en lui persuadant que j’entreprenais pour l’avenir ce que je n’aurais commencé qu’avec le désir de le cesser?»317.

La narrazione del romanzo epistolare si apre così sull’ellissi della storia precedente: ne consegue che l’identità stessa dell’eroe, che sembra riposare su quella porzione di storia omessa, si costruisce a partire da una mancanza. Questi deragliamenti della narratio epistolare fanno sì che la ricerca identitaria avvenga più per rimandi, richiami ed echi che per mezzo di una coerenza logica serrata.

Un altro fattore di ambiguità in quanto alla funzione tempo è dovuta alla frammentazione narrativa provocata dalla divisione in lettere. La sequenza cronologica lineare, determinata dalla successione di eventi, scanditi dalle date, si scontra con la sovrapposizione dei piani temporali in ciascuna unità- lettera, dove passato, presente e futuro si trovano a convergere. Quello interno alla missiva appare come un tempo agostiniano, nella misura in cui esso si configura come ricordo e come attesa: passato che riaffiora nel presente della scrittura e futuro che si delinea nel momento stesso in cui l’eroe scrive.

La seconda metà della Nouvelle Héloïse, così povera di eventi e costruita interamente sulla riscrittura del passato degli eroi è un esempio evidente di questa tendenza. Come è noto, una delle questioni principali su cui ruota la narrazione, dopo le nozze dell’eroina, è se Saint-Preux potrà essere definitivamente integrato nella comunità di Clarens come precettore dei figli della coppia Wolmar. Il progetto, inizialmente nascosto ai due ex- amanti, viene svelato da Wolmar a Claire in una missiva: «Je n’ai point voulu vous expliquer mon projet au sujet du jeune homme avant que sa présence eût confirmé la bonne opinion que j’en avais conçue. Je crois déjà m’être assez assuré de lui pour vous confier

316 Ibidem, p. 277.

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entre nous que ce projet est de le charger de l’éducation de mes enfants»318. La lettera

costituisce lo snodo drammatico principale in questo momento della vicenda poiché, al di là delle divagazioni su economia, educazione e vita familiare, tutta la fabula degli ultimi tre volumi ruota intorno alla nuova funzione di Saint-Preux nel sistema di Clarens: il deuteragonista dimenticherà la sua passione per Julie? Sposerà Claire? Diventerà precettore dei figli dell’antica amante? Per Wolmar, tutta la questione sarà determinata dal superamento da parte di Saint-Preux dell’antica passione, come scrive ancora nella lettera a Claire: «Ce n’est pas de Julie de Wolmar qu’il est amoureux, c’est de Julie d’Etange; il ne me hait point comme le possesseur de la personne qu’il aime, mais comme le ravisseur de celle qu’il a aimée. […] Il l’aime dans le temps passé : voilà le vrai mot de l’énigme. Ôtez- lui la mémoire, il n’aura plus d’amour»319. L’intera missiva, ma forse sarebbe possibile dire,

tutta la seconda metà della Nouvelle Héloïse, si costruisce su questo equilibrio tra memoria del passato e possibilità nel futuro, tra la storia che non è più e quella che non è ancora.

Questa tensione tra ricordo e attesa è, a ben guardare, una tensione verso la non-tensione:

La Nouvelle Héloïse mira constantemente a una sorta di acronia in cui la differenza tra

passato, presente e futuro venga annullata. Ciò che Jacques Derrida ha scritto a proposito del linguaggio dell’homme naturel sembra essere valido anche per la struttura del romanzo: «Le temps de cette langue est la limite instable, inaccessible, mythique, entre ce déjà et ce

pas-encore: temps de la langue naissante, comme il y avait un temps de la « société

naissante ». Ni avant ni après l'origine»320. Il tempo nella seconda metà della Nouvelle

Héloïse è un tempo del già passato (la storia d’amore) e del non ancora (Saint-Preux come

precettore dei figli di Julie). Clarens appare come il luogo ideale in cui potrebbe realizzarsi il tempo mitico auspicato da Rousseau: «Tous les soirs, Julie, contente de sa journée, n'en désire point une différente pour le lendemain, et tous les matins elle demande au ciel un jour semblable à celui de la veille; elle fait toujours les mêmes choses parce qu'elles sont bien, et qu'elle ne connaît rien de mieux à faire»321.

Similmente, Werther ammira estasiato le figure della campagna di Wahlheim che sembrano ancora godere di un tempo “circolare”, scandito solo dal passare delle stagioni e non ancora contaminato dal tempo lineare moderno: «Ich sage dir, mein Schaz, wenn meine Sinnen gar nicht mehr halten wollen, so linderts all den Tumult, der Anblick eines solchen Geschöpfs, das in der glüklichen Gelassenheit so den engen Kreis seines Daseyns ausgeht,

318 J.-J. Rousseau, «La Nouvelle Héloïse», op.cit., p. 507. 319 Ibidem, p. 509. Il corsivo è nostro.

320 J. Derrida, De la Grammatologie, op.cit., p. 346. 321 J.-J. Rousseau, «La Nouvelle Héloïse», op.cit., p. 553.

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von einem Tag zum andern sich durchhilft, die Blätter abfallen sieht, und nichts dabei denkt, als daß der Winter kömmt»322.

Per Rousseau, il bene e la virtù risiederebbero proprio in questo annullamento della progressione lineare del tempo; esulando così dalla visione mondana, storica e cronologica di esso. La festa campestre della vendemmia rappresenta l’apice dell’annullamento temporale, come di quello della differenza tra i ceti: «chacun boit à la santé du vainqueur, et va se coucher content d'une journée passée dans le travail, la gaieté, l'innocence, et qu'on ne serait pas fâché de recommencer le lendemain, le surlendemain, et toute sa vie»323. Secondo Jean Starobinski, la vendemmia, spettacolo che imita l’innocenza primaria, ha l’effetto di riportare il tempo al suo moto circolare «au point de faire croire que la fin rejoint le commencement […] la conscience peut s’immerger à nouveau dans la spontanéité irréfléchie d’où son histoire l’a arrachée»324. Durante la parentesi felice della vendemmia,

viene annullata l’imposizione di un ordine storico e lineare, effetto della civilizzazione. Tuttavia, come per l’idillio di Clarens, tale illusione è minata dall’interno; con la morte di Julie l’equilibro tra ricordo e attesa si altererà a vantaggio del primo termine e il romanzo si concluderà sotto il segno di una memoria che ruota infinitamente intorno all’oggetto del proprio lutto impossibile: Julie.

Nel Werther, troviamo un riferimento al passo della Nouvelle Héloïse sulla vendemmia, ma la cui valenza è rovesciata. Il protagonista, nel pronunciarlo, è già consapevole del fatto che per lui non ci sarà un domani poiché ha già preso la decisione di morire: «Die Kleinen ließen ihn nicht lange in Ruhe, sie verfolgten ihn, sprangen an ihn hinauf, erzählten ihm: daß, wenn Morgen und wieder morgen, und noch ein Tag wäre, daß sie die Christgeschenke bey Lotten holten, und erzählten ihm Wunder, die sich ihre kleine Einbildungskraft versprach. Morgen! rief er aus, und wieder Morgen, und noch ein Tag!»325.

322 J.-W. Goethe, «Die Leiden des jungen Werthers. Fassung A», op.cit., p. 32. 323 J.-J. Rousseau, «La Nouvelle Héloïse», op.cit., p. 611.

324 J. Starobinski, La transparence et l'obstacle, op.cit., p. 116.

325 J.-W. Goethe, «Die Leiden des jungen Werthers. Fassung A», op.cit., p. 226. La frase della Nouvelle

Héloïse sembra essere stata particolarmente cara a Goethe che, oltre ad averla impiegata nel romanzo, vi fa

riferimento anche nella propria autobiografia e in una lettera a Charlotte Bluff. Nell’autobiografia, l’autore si richiama direttamente all’intertesto rousseauiano: «Und so nahm ein gemeiner Tag den andern auf, und alle schienen Festtage zu sein; der ganze Kalender hätte müssen rot gedruckt werden. Verstehen wird mich, wer sich erinnert, was von dem glücklich-unglücklichen Freunde der Neuen Heloise geweissagt worden: „Und zu den Füßen seiner Geliebten sitzend, wird Hanf brechen, und er wird wünschen Hanf zu brechen, heute, morgen und übermorgen, ja sein ganzes Leben». (J. W. Goethe, Aus meinem Leben. Dichtung und Wahrheit, herausgegeben von Klaus-Detlef Müller, Sämtliche Werke. Briefe, Tagebücher und Gespräche. I. Abteilung:

Sämtliche Werke, hrsg. von Dieter Borchmeyer et. al., Band 14, Frankfurt am Main, Deutscher Klassiker

Verlag, 1986, p. 592). Si veda anche la lettera inviata da Goethe a Charlotte Bluff prima di lasciare Wetzlar (11 settembre 1772): «Und ich gehe, zu den liebsten besten Menschen, aber warum von Ihnen. Das ist nun so, und mein Schicksal, dass ich zu heute, morgen und übermorgen nicht hinzusetzen kann – was ich wohl offt im

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Non a caso sono proprio i bambini, questo simbolo dell’innocenza così ricorrente nel

Werther, a pronunciare la frase detta da Saint-Preux; frase che il protagonista goethiano

ripete, ma con l’amara consapevolezza di essere per sempre bandito dall’idillio. Un secondo tempo viene così a delinearsi nella narrazione del Werther: l’intertesto rousseauiano sovrappone infatti una temporalità altra al tempo del romanzo. La citazione rimanda,