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3.4 “Il tempo che fa”: volubilità emotiva e variabilità climatica

Abbiamo già fatto un breve riferimento alla teoria dei climi elaborata da Montesquieu che avrà un grande successo verso la fine del Settecento e, in seguito, nell’epoca romantica. All’interno dell’Essai sur l’origine des langues Rousseau riprende questa dicotomia per supportare la sua opposizione tra le lingue del Sud, più vicine alle lingue primitive e a

334 Michel Delon, «Gli scrittori “emigrati dall’interno” in epoca napoleonica» in Daniela Gallingani (a cura di)

Napoleone e gli intellettuali. Dotti e “hommes de lettres” nell’Europa napoleonica, Bologna, Il Mulino, 1996,

p. 158.

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predominanza vocale, e le lingue dure del Nord dove si sarebbe persa la melodia naturale del linguaggio. Il tema, come è noto, diventerà una sorta di cliché in epoca romantica, grazie ai trattati e ai romanzi di Madame de Staёl, in particolare in Corinne ou l’Italie (1807). Importa mettere in rilievo il fatto che, come nota Yvonn le Scanff, il nuovo modello paradigmatico di questa Naturphilosophie è quello di una visione della natura (sia umana che naturale) come organismo vivente e non più come materia inerte336. La rappresentazione del paesaggio rende conto di questa transizione verso il paradigma biologico nella misura in cui esso diventa “luogo d’incontro” tra l’uomo e l’ambiente fisico.

Nei romanzi epistolari costituenti il nostro corpus, la simbologia climatica è chiamata a rendere conto delle continue oscillazioni nella psicologia del personaggio e ad illustrare le sensazioni di piacere e dolore che variano incessantemente nell’animo dell’eroe. L’uomo sensibile, secondo le parole di Saint-Preux stesso, è caratterizzato da un andamento psichico simile alla variabiltà del meteo: « Vil jouet de l’air et des saisons, le soleil ou les brouillards, l’air couvert ou serein règleront sa destinée, et il sera content ou triste au gré des vents »337.

Allo stesso modo, Oberman scrive in una delle sue lettere all’amico: «Je suis moi-même plus incertain, plus variable que ce climat bizarre. Ce que j’aime aujourd’hui, ce qui ne me déplaît pas, lorsque vous l’aurez lu me déplaira peut-être, et le changement ne sera pas grand»338. Come ha scritto Michel Baridon a proposito della rappresentazione del paesaggio

naturale nel Settecento: «L’homme sensible établit donc son rapport au monde par un

continuum sensoriel et affectif dont les modulations incessantes vont crescendo ou

diminuendo»339. Questo andamento oscillatorio delle emozioni sembra trovare nella

metafora climatologica un punto di riferimento per stabilire un nuovo tipo di relazione tra sé e il mondo. Nelle Rêveries, Rousseau scrive di voler applicare le «baromètre à mon âme»340, come se fosse possibile registrare ogni più piccola fluttuazione, ogni più infimo cambiamento del proprio cuore. La lettera o la pagina di diario diventa così il luogo in cui si dà forma alla metafora climaterica e dove, attraverso di essa, l’eroe tenta di comprendere il legame che intrattiene con il mondo che lo circonda e di stabilire una relazione simbolica con esso. Inoltre, attraverso l’atto di tracciare i propri stati d’animo passeggeri, alla missiva è affidata una vera e propria funzione terapeutica. All’iperestesia del soggetto essa offre una possibilità di anamnesi. Andrea Battistini ha notato che il diario, dalla forma così simile a

336 Yvon Le Scanff, «L’origine littéraire d’un concept géographique : l’image de la France duelle», in Revue

d'Histoire des Sciences Humaines, n.5, 2001/2, p. 65.

337 J.-J. Rousseau, «La Nouvelle Héloïse», op. cit., p. 89. 338 Senancour, Oberman, op.cit., p. 358.

339 Michel Baridon, Les jardins. Paysagistes – jardiniers – poètes, Paris, Robert Laffont, 1998, p. 819. 340 J.-J. Rousseau, «Les rêveries du promeneur solitaire», op.cit., pp. 1000-1001.

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quella del romanzo epistolare monodico, ha una funzione sedativa su chi scrive, grazie alla lentezza analitica del suo incedere341. Jean Starobisnki ha rilevato una funzione analoga

della scrittura rousseauiana: essa vorrebbe creare l’illusione di una limpidezza e di una trasparenza totale che consenta all’io di coincidere interamente con la sensazione presente e anestetizzi di conseguenza le zone dolorose dell’io342.

Dal nostro punto di vista, l’effetto terapeutico affidato alla lettera e la ricerca continua da parte dell’eroe di fenomeni metereologici che spieghino il proprio stato interiore sono intimamente legati: narrazione, identità e scorrere del tempo vanno a costruire un’esperienza psichica unica.

Nelle missive inviate da Saint-Preux dal Valais (XXIII, 1; XXVI, 1)343, si delinea tutto un processo terapeutico attraverso l’esperienza della montagna e della variazione climatica che la caratterizza. Abbiamo visto che la lettera XXVI, 1 porta la passione di Saint-Preux a uno stato di crisi: la vicinanza-distanza rispetto all’amata sfocia - per un momento - nella possibilità del suicidio; la pulsione mortifera viene però superata e sottoposta a una sublimazione per mezzo dell’edificazione del “monumento”. Se facciamo ora un passo indietro nella storia, ci accorgiamo che la scalata del monte e il desiderio di suicidio a Meillerie vanno letti come due episodi contigui: la crisi narrata nella lettera XXVI,1 è una conseguenza dell’azione terapeutica intrapresa nella lettera XXIII,1. Per la guarigione, in Rousseau, è sempre necessario il raggiungimento del punto più elevato della malattia: solo la crisi è capace di rilasciare un sentimento calmante e di liberazione344. Nel corso del

romanzo la rappresentazione di elementi conflittuali e problematici segue sempre questo schema: l’angoscia viene portata a un parossismo che sfocia in pulsioni violente, a cui fa seguito un ritorno a una situazione di stabilità. La scalata della montagna intrapresa da Saint-Preux viene descritta proprio come un processo terapeutico, la cui funzione principale è quella di guarire l’anima dell’eroe dalla malinconia d’amore. Che al centro della missiva vi sia il resoconto del proprio stato interiore, in accordo con quello del paesaggio, viene svelato da Saint-Preux stesso: «Il faut réserver notre correspondance pour les choses qui nous touchent de plus près l’un et l’autre. Je me contenterai de vous parler de la situation de mon âme»345.

341 Andrea Battistini, Lo specchio di Dedalo, Lo specchio di Dedalo. Autobiografia e biografia, Bologna, Il

Mulino, 1990, p. 36.

342 J. Starobinski, La transparence et l’obstacle, op.cit., p. 103.

343 J.-J. Rousseau, «La Nouvelle Héloïse», op.cit., pp. 76-84 e pp. 89-93.

344 Ch. Martin, «Les monuments des anciennes amours : lieux de mémoire et art de l’oubli dans La Nouvelle

Héloïse», op.cit., p. 343.

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Jacques Berchtold ha messo in evidenza che l’intertesto su cui si costruisce tutta la relazione della missiva è un episodio letterario che Petrarca racconta in una lettera, nota come Ascesa al monte Ventoso, che il poeta inviava simbolicamente alla propria guida spirituale: Sant’Agostino. Petrarca vi racconta di aver intrapreso la scalata per “curarsi” dal suo male d’amore per Laura346. Così nella Nouvelle Héloïse, allacciando la moderna teoria

dei climi all’impresa spirituale petrarchesca, la scalata del monte e il paesaggio invernale della cima sono chiamati a guarire il deuteragonista dalla sua passione fatale, opponendo ai “fuochi” dell’amore un paesaggio glaciale e sterile. Vediamo come la pratica terapeutica e il processo di scrittura siano intimamente legati:

J’attribuai, durant la première journée, aux agréments de cette variété, le calme que je sentais renaître en moi. J’admirais l’empire qu’ont sur nos passions les plus vives, les êtres les plus insensibles, et je méprisais la philosophie de ne pouvoir pas même autant sur l’âme qu’une suite d’objets inanimés. Ce fut là que je démêlai sensiblement de la pureté de l’air où je me trouvai la véritable cause du changement de mon humeur, et du retour de cette paix intérieure que j’ai perdue depuis si longtemps347.

Come ha notato Berchtold, man mano che Saint-Preux si avvicina al manto nevoso del paesaggio invernale, si crea un legame tra l’innevamento e l’amnesia salutare: «L’hibernation est assimilée au phénomène d’une éclipse (dans l’ordre visuel, tout disparaît), mais aussi (dans l’ordre de la mémoire), à une amnésie (la mémoire vive des désordres passionnels s’occulte heureusement)»348. È dunque sotto il segno dell’oblio che

avviene la cura del male d’amore: è sempre il lavoro del lutto (impossibile) ad essere al centro della vicenda sin dalle prime lettere del romanzo. Solo nella cima della montagna, attraverso il distacco dalle cose terrestri, l’anima riacquista la tranquillità e consente la dimenticanza: «On oublie tout, on s’oublie soi-même, on ne sait plus où l’on est»349. Tuttavia, importa chiedersi se sia veramente la scalata della montagna, o, piuttosto, il procedimento letterario ad esso connesso a consentire questa cura dell’anima. Il processo terapeutico della scalata sembra essere reso possibile solo tramite la scrittura e soprattutto perché essa consente un rapporto intertestuale con le guide spirituali del passato. Ciò

346 J. Berchtold, « L’effet thérapeutique du séjour en montagne. Le Haut-Valais de Saint-Preux et le Ventoux

de Pétrarque » in Odile Richard-Pauchet, Christine de Buzon (éds.), Voyages thérapeutiques et voyages de

santé chez les écrivains, Paris, Classiques Garnier, 2015, pp. 263-282.

347 J.-J. Rousseau, «La Nouvelle Héloïse», op.cit., p. 78.

348 J. Berchtold, « L’effet thérapeutique du séjour en montagne. Le Haut-Valais de Saint-Preux et le Ventoux

de Pétrarque », op.cit., p. 272.

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significa che la terapia consiste innanzitutto nel lasciarsi attraversare dalla parola altrui per mezzo della redazione della missiva.

Lo stratificarsi dei richiami intertestuali su cui la lettera si costruisce suggerisce che è meno la naturalità del luogo che l’esperienza interiore vissuta tramite l’imitazione del modello a consentire la cura di sé: persino la lettera di Petrarca a cui Saint-Preux si richiama, l’Ascensione al monte Ventoso, era costruita sulla falsariga di un altro testo: le

Confessioni di Sant’Agostino. Esattamente come Petrarca si affida ai passi

dell’autobiografia religiosa agostiniana, leggendone alcune frasi durante la sua scalata, così Saint-Preux si richiama al poeta italiano di cui vengono citati alcuni versi all’interno della lettera: «Qui non palazzi, non teatro o loggia, /ma 'n lor vece un abete, un faggio, un pino, /trà l'erba verde e 'l bel monte vicino / levan di terra al ciel nostr' intelletto»350. La citazione sembra essere reinterpretata liberamente quando Saint-Preux scrive che durante la salita:

Les méditations y prennent je ne sais quel caractère grand et sublime, proportionné aux objets qui nous frappent, je ne sais quelle volupté tranquille qui n’a rien d’âcre et de sensuel. Il semble qu’en s’élevant au-dessus du séjour des hommes, on y laisse tous les sentiments bas et terrestres, et qu’à mesure qu’on approche des régions éthérées, l’âme contracte quelque chose de leur inaltérable pureté351

Il topos della salita in montagna è presente anche nell’Ortis, nella lettera del 14 maggio, dove la filiazione al modello rousseauiano e in particolare alla lettera XXIII, 1 è evidente: «Jer sera appunto io scendeva a passo passo dal monte. Il mondo era in cura alla notte, ed io non sentiva che il canto della villanella, e non vedeva che i fuochi de’ pastori. Scintillavano tutte le stelle, e mentr’io salutava ad una ad una le costellazioni, la mia mente contraeva un non so che di celeste, ed il mio cuore s’innalzava come se aspirasse ad una regione più

sublime assai della terra»352.

Bisogna tuttavia notare almeno due differenze importanti rispetto all’ipotesto rousseauiano: innanzitutto Saint-Preux descrive un paesaggio invernale, mentre quella di cui parla Jacopo è una sera primaverile il cui fascino è dato soprattutto dal «giorno che

350 Ibidem. Cfr. F. Petrarca, Canzoniere, op.cit., p. 12, X: «Gloriosa columna in cui s’appoggia». 351 Ibidem, p. 78. Il corsivo è nostro.

352 U. Foscolo, «Ultime lettere di Jacopo Ortis [1802]», op.cit., p. 197. Il corsivo è nostro. Foscolo sembra

essere stato particolarmente influenzato dai proprio modelli europei per le diverse rappresentazioni della natura. Per una comparazione dettagliata delle lettere ortisiane con La Nouvelle Héloïse e Werther si veda l’esauriente saggio di E. Neppi, Il dialogo dei tre massimi sistemi, op.cit., in particolare per la rappresentazione dei paesaggi nelle lettere qui evocate si veda il capitolo «I due volti della natura», pp. 209-217.

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muore»353. Come avviene spesso nell’opera di Foscolo, i diversi intertesti si sovrappongono: qui è infatti percepibile anche l’influenza dantesca (nella Divina Commedia «che paia il giorno pianger che si more»)354.

In secondo luogo - e questo è l’elemento di scarto più importate rispetto a Rousseau - Jacopo non sale, bensì scende dalla montagna. Laddove la scalata spirituale consentiva a Saint-Preux di anestetizzare il dolore dell’esistenza, innalzandosi verso regioni eteree, quella di Jacopo è una discesa dall’alto verso le zone basse e pulsionali dell’essere. Quando si trova sulla cima della montagna l’eroe si perde in elucubrazioni, divagando sulle possibilità della pittura e sul ruolo dei maestri letterari che nutrono la sua immaginazione; man mano che scende, invece, i suoi pensieri fanno ritorno all’idea cruda della morte: «Abbiate pace, o nude reliquie: la materia è tornata alla materia; nulla scema, nulla cresce, nulla si perde quaggiù; tutto si trasforma e si riproduce»355.

Poche lettere dopo, nella missiva del 25 maggio, la descrizione del paesaggio riprende i toni della Nouvelle Héloïse e la salita in montagna si fa anche qui terapia calmante e anestetizzante: «Sono salito su la più alta montagna […] nella terribile maestà della Natura la mia anima attonita e sbalordita ha dimenticato i suoi mali, ed è tornata per alcun poco in pace con se medesima»356. Si può attribuire questo cambiamento della trattazione del tema della montagna all’interno dell’Ortis al fatto che tra la lettera del 14 maggio e quella del 25 dello stesso mese sono trascorsi due eventi importanti per Jacopo: il bacio con Teresa e la morte dell’amica Lauretta. Vedremo in seguito che la vicinanza di questi due eventi non è casuale: per il momento, ci basti mettere in evidenza che la salita in montagna, per Jacopo, diventa terapeutica solo dopo che il risveglio dei sensi e la morte dell’amica sono venuti ad esacerbare le pulsioni mortifere dell’eroe e l’esperienza di amnesi, già vissuta da Rousseau e Petrarca, si fa allora necessaria.

353 Ibidem, p. 196.

354 Dante Alighieri, Commedia, con il commento di Anna Maria Chiavacci Leonardi, v. II, Purgatorio, Milano,

Mondadori, 1994, p. 234 (VIII, 6).

355 U. Foscolo, «Ultime lettere di Jacopo Ortis [1802]», op.cit., p. 196. Nell’edizione del 1798 vi era una

correlazione esplicita tra questo ritorno a una visione materialistica e l’arrivo alla pianura: «Mi sono trovato al

piano presso la chiesa: suonava la campana de’ morti, e un senso d’umanità trasse i miei sguardi sul cimiterio»

U. Foscolo, «Ultime lettere di Jacopo Ortis [1798]», in Id., Edizione nazionale delle opere di Ugo Foscolo, v.

IV, Ultime lettere di Jacopo Ortis, op.cit., p. 60. Inoltre, in questa edizione - diversa anche a livello diegetico dalle seguenti perché qui Teresa è una donna sposata, con cui Jacopo ha una relazione molto tormentata- l’eroe, scendendo dalla montagna incontra l’amata e esclama: «mi sento pigliar per un braccio… o anima mia, come gli affetti patetici che t’inondavano si sono subito convertiti in piacere!» Ibidem, p.60. Il ritorno a sensazioni più sensuali e “basse” era quindi ulteriormente sottolineato dal contatto fisico stabilito con Teresa.

356 U. Foscolo, «Ultime lettere di Jacopo Ortis [1802]», op.cit., p. 204. Si veda anche E. Neppi, Il dialogo dei

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Nella stessa lettera in cui parla delle capacità curative della montagna, Jacopo scrive: «Così vaneggio! Cangio voti e pensieri, e quanto la natura è più bella, tanto più vorrei vederla vestita a lutto. E veramente pare che oggi m’abbia esaudito. Nel verno passato io era felice: quando la natura dormiva mortalmente io era tranquillo! – ed ora?»357. La missiva di

Jacopo svela una predilezione per la natura dall’aspetto malinconico/luttuoso che rispecchia lo stato d’animo del protagonista: nel paesaggio invernale e nella natura dormiente egli ritrova quella condizione soporifera di stasi che sola riesce a calmare le agitazioni della sua anima. Ciò che il testo non dice è il fatto che questo assopimento della condizione iperestesica non avviene tanto per mezzo dell’effetto calmante dell’ambiente naturale quanto per l’evocazione dei modelli letterari, attraverso i quali prende forma l’esperienza dell’eroe.

La preferenza per la notte e per lo statico inverno tornano anche nell’Oberman, dove l’eroe scrive all’amico: «Je ne sais si je sortirai de mes montagnes neigeuses; si j’irai voir cette jolie campagne dont vous me faites une description si intéressante, où l’hiver est facile, et le printemps si doux [..] je cherche la nuit comme le triste chat-huant»358.

Nel romanzo di Senancour compare anche il tema della scalata in montagna: Oberman racconta la propria salita nella lettera VII, il 3 settembre359, poco dopo il suo arrivo in Svizzera. La scalata assume così l’aspetto di un rito iniziatico volto a purificare l’eroe dall’esistenza mondana appena abbandonata e a sancire l’inizio di una nuova vita:

Là sur ces monts déserts, où le ciel est plus immense; où l’air est plus fixe, et les temps moins rapides, et la vie plus permanente […] là, l’homme retrouve sa forme altérable mais indestructible ; il respire l’air sauvage loin des émanations sociales ; son être est à lui comme à l’univers : il vit d’une vie réelle dans l’unité sublime. […] Les heures m’y semblent à la fois plus tranquilles et plus fécondes : et comme si le roulement des astres eût été ralenti dans le calme universel, je trouvais dans la lenteur et l’énergie de ma pensée, une succession que rien ne précipitait et qui pourtant devançait son cour habituel. Quand je voulus estimer sa durée, je vis que le soleil ne l’avait pas suivie ; et je jugeai que le sentiment de l’existence est réellement plus pesant et plus stérile dans l’agitation des terres humaines360

Anche qui la filiazione alla lettera scritta da Saint-Preux sul Valais è evidente. Come nella

Nouvelle Héloïse, l’arrivo sulla cima coincide con una purificazione spirituale e un distacco

357 U. Foscolo, «Ultime lettere di Jacopo Ortis [1802]», op.cit., p. pp. 205-206. 358 Senancour, Oberman, op.cit., p. 377.

359 Ibidem, pp. 90-96. 360 Ibidem, p. 92-93.

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dalle cose terrestri. Tuttavia, mentre Saint-Preux, dopo aver contemplato il paesaggio naturale descrive anche le società campestri del Valais, Oberman dà prova di un senso di alienazione dalla società più esacerbato. La propensione al non-tempo che abbiamo sottolineato nella Nouvelle Héloïse è presente anche qui, ma per Oberman è necessario il silenzio e l’allontanamento da qualsiasi richiamo sociale per raggiungere la stasi e potersi così abbandonare al corso libero dei pensieri. Comparando il corso degli astri alla fluidità del proprio pensiero, Oberman recupera un rapporto di analogia con il mondo circostante che non è possibile instaurare in pianura, dove l’agitazione delle cose umane distrae continuamente l’uomo dalla contemplazione di sé e del mondo.

È dunque in questa necessità di stabilire una relazione simbolica con il mondo esterno che sembra risiedere il significato dell’associazione tra stati d’animo e variazioni metereologiche, tra il flusso interno delle emozioni e lo stato atmosferico. L’anima appare a colui che si osserva come un’entità “climatologica”, soggetta a oscillazioni e variazioni continue. Allo stesso tempo, stabilire una relazione di contiguità tra il succedersi delle stagioni e le variazioni psicologiche consente di iscrivere la vicenda dell’eroe in un tempo che va al di là dell’umano e dell’effabile e che risponde a un disegno più ampio. L’eroe narra nelle lettere la propria storia la quale, tramite la metafora metereologica, diviene una storia iscritta negli astri, si fa Destino.

Le analisi qui condotte sulla nuova relazione che si instaura nel romanzo monodico tra il soggetto e il mondo portano dunque ad identificare un’ultima funzione assunta dalla lettera all’interno del genere epistolare della crisi dei Lumi.

Abbiamo visto che la strategia del manoscritto ritrovato, più che legittimare la pubblicazione del romanzo come avveniva all’inizio del Settecento, è ormai necessaria per rinviare il lettore all’infinto a un’origine irrecuperabile, evocando una completezza perduta