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II. 2.4 «Naturae clamat ab ipso vox tumulo»: Jacopo e l’etica sepolcrale

II.3. F RAGMENTA EPISTOLARI

II.3.1. Feticci e frammenti

Nella nostra analisi sull’identità narrativa dei personaggi, il feticcio è apparso come un elemento ricorrente e importante per la rappresentazione della passione: ritratti, nastri e vestiti sono tutti elementi che si sostituiscono all’oggetto amato, nel quale l’eroe trova altrettanti rispecchiamenti di sé. Vorremmo ora argomentare in modo più preciso la correlazione tra l’oggetto- feticcio e la lettera come “frammento” in modo da mettere in risalto il rapporto tra la scissione identitaria e la progressiva disgregazione formale nel romanzo epistolare della crisi dei Lumi.

293 M. Recalcati, Un cammino nella psicoanalisi. Dalla clinica del vuoto al padre della testimonianza (Inediti

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Giorgio Agamben, a partire da assunti freudiani, ha affermato che il feticcio, «che si tratti di una parte del corpo o di un oggetto inorganico, è […] nello stesso tempo, […] simbolo di qualcosa e, insieme, della sua negazione, esso può mantenersi solo a patto di una lacerazione essenziale, nella quale le due reazioni contrarie costituiscono il nucleo di una vera e propria frattura dell’Io (Ichspaltung)»294. Il feticcio è dunque l’oggetto simbolo di

una coscienza tormentata tra il desiderio e la negazione di esso. A partire da questa formulazione, il filosofo estende il concetto di feticcio anche ad alcuni procedimenti letterari, affermando che alcuni tropi del linguaggio poetico sembrano presentarsi come particolari forme di feticismo. Tra gli esempi più evidenti si collocherebbero la sineddoche o la metonimia dove: «il termine sostituito è a un tempo negato e evocato dal sostituto con un procedimento la cui ambiguità ricorda da vicino la Verleugnung freudiana»295. Proprio per la presenza di queste figure in letteratura, Agamben propone di applicare il concetto anche a una «specie particolare di procedimento metonimico»296, ovvero, il riconoscimento artistico accordato – nella letteratura moderna e post-moderna - al non-finito, all’opera frammentaria e allo schizzo, attraverso i quali si possono intravedere i tratti di un «qualcosa (il poema assoluto) che non può mai essere evocato integralmente, ma solo reso presente attraverso la sua negazione»297. Il frammento, come il feticcio, consisterebbe nel sostituire una “parte” al tutto: attraverso l’opera incompiuta la letteratura tenta di accedere, sotto il segno della negazione, alla trascendenza dell’Uno. Come ha messo in evidenza anche Lucia Omacini in un saggio recente sul frammento in letteratura, «emblème de la finitude de l’homme et de son aspiration de complétude, le fragment est le lieu où s’inscrivent la séparation et l’unité reconquise, l’œuvre inachevée et l’œuvre totale tout aussi vouée à l’inachèvement par un mouvement progressif infini»298.

Come non accostare questa teoria del frammento al procedimento messo in atto nel romanzo epistolare dove la lettera si sostituisce all’oggetto d’amore, negando l’unione assoluta con l’amato/a nel momento stesso in cui afferma il suo desiderio di possederlo? La lettera, come il feticcio, è un’assenza presente per la sua capacità di evocare e negare, di avvicinare virtualmente e distanziare fisicamente. La peculiarità della lettera nel romanzo

294 G. Agamben, Stanze, op.cit., p. 40. 295 Ibidem.

296 Ibidem. 297 Ibidem.

298 L. Omacini, Théorie et pratique du fragment, Actes du colloque international de la Società Universitaria

per gli Studi di Lingua e Letteratura Francese (SUSLLF). Venise 28-30 nov. 2002, Ginevra, Slatkine, 2004, p.

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epistolare è che essa suggerisce questo rapporto feticistico sia a livello intra-diegetico sia a quello extra-diegetico. Vediamo perché.

A livello della storia, la missiva nega la presenza dell’oggetto d’amore: scrivere

all’amato/a o dell’amato/a implica, necessariamente, una distanza da lui/lei. Roland Barthes

ha scritto che la lettera d’amore è un processo metonimico poiché l’innamorato fa riapparire l’immagine dell’amato/a, per associazione, in tutto ciò che gli ricorda la figura di lui/lei:

Qu’est-ce que ça veut dire, « penser à quelqu’un » ? Ça veut dire : l’oublier (sans oubli, pas de vie possible) et se réveiller souvent de cet oubli. Beaucoup de choses, par association, te ramènent dans mon discours. « Penser à toi » ne veut rien dire d’autre que cette métonymie. Car, en soi, cette pensée est vide : je ne te pense pas ; simplement je te fais revenir (à proportion que je t’oublie)299

È questo processo che consente alla lettera d’amore di essere al contempo espressiva, perché carica della volontà di rendere intelligibile il desiderio, e vuota perché rende conto di un’assenza, di una dimenticanza, di una lontananza dall’oggetto amato. All’interno della

Nouvelle Héloïse questo procedimento è costante: ad esempio, la descrizione di Saint-Preux

del paesaggio del Valais nella missiva XXIII, 1300 è influenzata dal ricordo delle forme del corpo dell’amata. Attraverso le colline e le campagne, viene rievocata la figura di Julie. La narrazione si sostituisce all’oggetto desiderato, ricostruendo il corpo dell’amata nello spazio virtuale della lettera.

E a livello extra-diegetico? La missiva a cui il lettore ha accesso non si presenta essa stessa come sostituzione e negazione di qualcos’altro? Le lettere appaiono come parti di un manoscritto di cui soltanto l’editore è in possesso, mentre chi legge deve accontentarsi della versione copiata dall’editore, modificata, ritoccata e, forse, corrotta rispetto all’originale.

È noto come Rousseau, nella Seconde Préface alla Nouvelle Héloïse, crei volontariamente confusione riguardo allo statuto dello scambio epistolare costituito dalle lettere dei personaggi in modo da mantenere il lettore nell’impossibilità di discernere la verità, «à quoi tient une large part de la réussite esthétique et philosophique du roman»301.

Riprendiamo il passo della prefazione e vediamo come Rousseau non voglia né negare né

affermare l’esistenza del manoscritto:

299 R. Barthes, Fragments d’un discours amoureux, op.cit., p. 187. 300 J.-J. Rousseau, «La Nouvelle Héloïse», op.cit., pp. 76-84.

301 Yannick Séité, Du livre au lire. La Nouvelle Héloïse roman des lumières, Paris, Honoré Champion Éditeur,

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N. Quand je vous demande si vous êtes l'auteur de ces lettres pourquoi donc éludez-vous ma question ?

R. Pour cela même que je ne veux pas dire un mensonge. N. Mais vous refusez aussi de dire la vérité.

R. C'est encore lui rendre honneur que de déclarer qu'on la veut taire. […]

N. Je ne conclus pas ; je doute, et je ne saurais vous dire combien ce doute m'a tourmenté durant la lecture de ces lettres. Certainement, si tout cela n'est que fiction, vous avez fait un mauvais livre ; mais dites que ces deux femmes ont existé, et je relis ce recueil tous les ans jusqu'à la fin de ma vie.

R. Eh ! Qu’importe qu'elles aient existées ? Vous les chercheriez en vain sur la terre ; elles ne sont plus.

N. Elles ne sont plus ? Elles furent donc ?

R. Cette conclusion est conditionnelle : si elles furent, elles ne sont plus. […]

N. Ma foi, vous aurez beau faire, on vous devinera malgré vous. Ne voyez-vous pas que votre épigraphe seule dit tout ?

R. Je vois qu'elle ne dit rien sur le fait en question : car qui peut savoir si j'ai trouvé cette épigraphe dans le manuscrit, ou si c'est moi qui l'y ai mise ? Qui peut dire si je ne suis point dans le même doute où vous êtes, si tout cet air de mystère n'est pas peut-être une feinte pour vous cacher ma propre ignorance sur ce que vous voulez savoir ?302

Rousseau rifiuta di affermare o negare la presenza di un referente reale, dietro al significante del testo, ossia, la serie di lettere. Importa sottolineare l’ultima parte di questo dialogo fittizio: facendo appello all’epigrafe (la citazione di Petrarca posta nella prima pagina) N. sembra convinto di poter smascherare la verità poiché essa rivela che Rousseau ha veramente conosciuto Julie303. Tuttavia, R. tradisce ancora una volta le aspettative del

lettore comune, affermando che la citazione era forse stata aggiunta nel manoscritto da lui trovato. Così facendo, l’autore inserisce una distanza ancora maggiore tra l’oggetto e il lettore: non solo il manoscritto è stato modificato da Rousseau, ma, forse, prima di lui qualcun altro vi ha già apportato delle variazioni in una serie infinita di rinvii che collocano l’origine di esso in un punto temporale indefinito. Il messaggio di Rousseau è che, in ogni caso, l’autografo originale è un oggetto perduto per il lettore. L’autore sembra aver compreso che il processo fantasmatico indotto dal romanzo epistolare per mezzo della finzione del manoscritto va conservato in quanto tale e perché tale: il procedimento è

302 J.-J. Rousseau, «La Nouvelle Héloïse», op.cit., pp. 27-29.

303 Su questo aspetto si veda anche Paul de Man, «Allegory (Julie)», in Id., Allegories of reading. Figural

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necessario proprio per la sua possibilità di rimandare all’infinito a un’origine irraggiungibile, a un oggetto perduto dietro all’oggetto posseduto, a un referente irrecuperabile dietro il significante.

Dunque, già nel processo stesso del romanzo epistolare, in generale, è iscritta una marca di incompiutezza. Come nota Magda Campanini, «Il topos del manoscritto ritrovato si fonde con la frammentazione del testo e con l’esibizione della sua decostruzione, situata proprio nel momento di apertura della narrazione, posta fin dall’inizio sotto il segno dell’incompletezza e della disorganicità»304. Grazie alla finzione del manoscritto infatti, il

supposto referente reale, ossia la presunta corrispondenza “storica”, viene dato come irrecuperabile e la serie di lettere si presenta così agli occhi del lettore come rifacimento, copia, frammento parziale di un’origine perduta.

Gli studi di Georges May sul romanzo hanno da tempo messo in evidenza come gli autori, fino al 1750, al fine di eludere la censura, facessero apparire le storie fittizie da loro narrate come dei documenti reali305. Tuttavia, se la necessità di giustificare l’esistenza stessa

del romanzo come genere, è un’ipotesi ancora valida per la prima parte del secolo dei Lumi, essa non spiega il motivo per cui la pratica del manoscritto ritrovato verrebbe impiegata così frequentemente fino alle soglie del Romanticismo.

Dal nostro punto di vista la finzione degli “autografi” assume nel periodo della crisi dei Lumi un’attrazione simile a quella esercitata dalle rovine, dai resti e dalle tracce: la loro capacità di evocare una completezza perduta fa assumere alle lettere la stessa funzione dell’oggetto feticcio, suggerendo al lettore l’esistenza di un’archè sempre remota o rimossa. Come ha affermato Jean-Louis Lecercle: «Le plus grand avantage esthétique du roman par lettres est le mystère où s’enveloppe chacun des personnages. Le lecteur ressent une impression de profondeur insondable. Il lui reste toujours quelque chose à deviner»306.