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II. 1.3 «Kein guter Historienschreiber»: le aporie della rappresentazione

II.2. M ONUMENTI , SPECCHI E FETICCI : L ’ IDENTITÀ DELL ’ EROE

II.2.3. Werther e la caduta delle immagini-riflesso

È probabilmente superfluo mettere in evidenza il narcisismo di Werther su cui la critica si è già spesso soffermata217. Vorremmo allora sviluppare la questione del narcisismo in

relazione a quella dell’identità, mettendo così in evidenza aspetti meno frequentemente evocati dell’opera goethiana. Dal nostro punto di vista Werther fa esperienza di tutta una serie di false identificazioni e di riflessi illusori nel corso del breve anno e mezzo che lo conduce al suicidio. Sembra che Goethe abbia messo in scena solo il parossismo della malattia narcisistica di Werther: il momento in cui l’eroe è costretto a constatare lo smacco dell’io come identità medesima. L’amore per Lotte appare solo l’ultima di una serie di identificazioni alienanti che lo fa infine sprofondare nel baratro del proprio nulla.

A differenza di Saint-Preux, Werther è ben consapevole della propria incostanza, come testimonia una delle prime lettere inviate a Wilhelm, il 13 maggio: «Ich will nicht mehr geleitet, ermuntert, angefeuret seyn, braust dieses Herz doch genug aus sich selbst, ich brauche Wiegengesang, und den habe ich in seiner Fülle gefunden in meinem Homer. Wie oft lull ich mein empörendes Blut zur Ruhe, denn so ungleich, so unstet hast Du nichts gesehn als dieses Herz»218.

Provocatorio sin da subito, Werther non afferma, come Saint-Preux, che il proprio cuore è un fedele specchio dell’immagine dell’amata; bensì esso è ungleich. Il suo cuore è inuguale, non medesimo, non coincidente219. Werther, dunque, sa già, quando inizia a

scrivere all’amico, che la propria identità non è una totalità immutabile: la dialettica tra «mêmeté» e «ipséité» pende già in favore della seconda. Eppure, nel corso della vicenda, l’eroe si comporta come se non sapesse o volesse dimenticare che il suo cuore è incostante,

217 Uno studio fondamentale sulla questione è quello di Wolfgang Kaempfer, «Das Ich und der Tod in Goethes

Werther», in Recherches germaniques, 9, 1979, pp. 55-79. Lo studioso prende le mosse, per il suo studio, dalla

teoria freudiana secondo cui l’amore ha sempre uno sfondo narcisistico: l’altro è lo specchio che dà unità al sé. Anche Stefania Sbarra analizza il narcisismo wertheriano mettendolo in relazione con la vita dell’autore e con l’influenza rousseauiana sull’opera di Goethe. Cfr. S. Sbarra, La statua di Glauco, op.cit., in particolare il capitolo «Gorthe e Rousseau: desiderio e colpa», pp. 144-178. Riportiamo qui un passo saliente: «La madre, amante della vita di corte, si sottrae così al figlio: l’interruzione traumatica della simbiosi con la madre provoca una fissazione nella fase narcisistica e di conseguenza un disturbo della personalità che impedisce al soggetto di distinguere tra rapporti soggettivi e rapporti oggettivi, condannandolo a una dimensione di assoluta autoreferenzialità. Questo narcisismo è la radice del rapporto di Werther con la natura, legittimata esclusivamente come fonte di piacere, e nasconde una tendenza autodistruttiva che si esplicita nel romanzo come la storia di una regressione»: Ibidem, p. 159.

218 J.-W. Goethe, «Die Leiden des jungen Werthers. Fassung A», op.cit., p. 16. Il corsivo è nostro.

219 La lingua tedesca è più rigorosa rispetto a quella francese nel concetto di “stesso”: gleich indica infatti

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poiché nella narrazione si tratterà continuamente di ricercare un’immagine di sé come medesimo220.

Il primo riflesso del sé è costituito certo da Omero: l’eroe si rifugia nella lettura per trovare riparo dalla propria stessa mutevolezza. L’identificazione di sé con il mito letterario è identificazione con il “monumento” nella misura in cui nella poesia arcaica l’eroe trova il riflesso dei propri sentimenti e dei propri desideri, sublimati attraverso il destino illustre degli eroi del passato.

Il secondo riflesso di sé del protagonista è costituito, come nella Nouvelle Héloïse, dall’immagine dell’amata. Werther si innamora di Lotte perché, come ha mostrato Wolfgang Kaempfer, l’eroina rappresenta l’immagine della purezza e della completezza («Ideal der Vollkommenheit»221). Tuttavia, ciò che va forse messo in rilievo è il fatto che anche nel caso dell’innamoramento, l’immagine dell’amata prende forma solo attraverso il filtro letterario. Ciò che permette all’eroe il riconoscimento di sé nell’immagine di Lotte - l’eliminazione della differenza tra l’Io e l’Altro - è il sentire pronunciare da lei un nome che produce un’eco immediata nel cuore dell’eroe: «sie legte ihre Hand auf die meinige und sagte - Klopstock! Ich versank in dem Strome von Empfindungen, den sie in dieser Loosung über mich ausgoß»222». Richard Alewyn ha giustamente sottolineato l’importanza di questa particolare scena affermando che il dialogo tra Lotte e Werther pare essere una comunicazione tra “iniziati”: il loro è un linguaggio che non può essere compreso se non da chi ne percepisce il significato in modo immediato e spontaneo come fanno i personaggi stessi223. Klopstock, è, in un certo senso, un riferimento “parlante”: qualcosa che dice molto

più di quanto effettivamente non esprima e che proprio per questo produce una

220 Wolfgang Kaempfer interpreta questa ricerca di completezza e di perfetta unità nel Werther attraverso una

visione psicoanalitica. Sarebbe il traumatico distacco dalla madre ad aver provocato la fissazione malinconica dell’eroe: «Wenn solche älteste, wesentlich symbiotische Erfahrung nicht völlig aufgegeben werden konnte, wenn am frühen Introjekt (der Mutter) festgehalten werden musste, weil diese sich zu früh oder zu abrupt (jedenfalls „traumatisierend) aus der Symbiose loste und die tief enttäuschenden Zuge eines normales Menschen annahm, dann bildet sie sich nur mangelhaft in die Strukturen um, welche das Uber-Ich konstituieren, oder mit anderen Worten: aus der archaischen Erfahrung der Vollkommenheit. Diese bleibt an jene gebunden, so dass sekundär Erfahrungen (Objekte) gesucht (und gefunden) werden müssen, welche der „idealen Erfahrung“ oder dem „erfahrenen Ideal“ entsprechen»: W. Kaempfer, «Das Ich und der Tod in Goethes Werther», op.cit., p. 66.

221 Ibidem.

222 J.-W. Goethe, «Die Leiden des jungen Werthers. Fassung A», op.cit., pp. 52-54.

223 Secondo Richard Alewyn con questo riferimento Werther inaugurerebbe una nuova epoca letteraria:

«Darum kann es von Werther eine Losung genannt werden, ein Wort also, an dem zwei Eingeweihte sich erkennen und das dem nichts sagt, dem es nicht alles sagt. Werthers Verstehen muss sich also auf das Ungesagte zu verstehen, das sich auf Lottes Lippen zu den zwei unansehnlichen Silben formt, wem es also gelange, Werthers Verstehen zu verstehen, der hatte mehr erhellt als nur ein Episode von Goethe Roman sondern zugleich eine geschichtliche Umwälzung, durch die das Wesen und die Funktion von Dichtung starker verändert worden ist als jemals zuvor»: Richard Alewyn, «„Klopstok!“», in Euphorion, 73. Band, 4. Heft, 1979, p. 359.

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comunicazione senza parole. Il fenomeno ricorda così quei sospiri e quegli sguardi silenziosi di cui parla Julie quando ricorda il primo anno vissuto accanto a Saint-Preux, quando la loro passione era ancora protetta dal non-detto e dall’implicito. In modo simile, Jacopo e Teresa nell’Ortis scopriranno la loro intima intesa e la condivisione di una stessa sensibilità grazie alla loro comune passione per Petrarca224.

Tornando al Werther, nella seconda edizione del romanzo l’effetto di immediatezza è ancor maggiormente enfatizzato con l’aggiunta della seguente frase dopo il nome del poeta: «Ich erinnerte mich sogleich der herrlichen Ode, die ihr in Gedanken lag»225. La

rimemorazione dell’elemento condiviso, il nome di Klopstock che rimanda alla poesia

sentimentale tedesca, provoca un effetto di immediato («sogleich») riconoscimento nell’Altro: un’illusione di medesimezza.

L’innamoramento va dunque compreso e interpretato, nel Werther, tramite il prisma del

ricordo. Il mito di Narciso non è più sufficiente a spiegare quanto avviene nel romanzo

goethiano perché Werther conosce già se stesso quando incontra Lotte: sa già di essere un’entità scissa e incostante. Il riconoscimento nell’Altro avviene allora solo attraverso la rimemorazione della traccia mnemonica comune: è il ricordo dell’illusione di unità e completezza che riaffiora. Nel momento stesso in cui l’eroe si abbandona all’illusione questa è incrinata dalla sua consapevolezza dell’impossibilità di essere uguale a sé. Per questo le immagini di eros nel romanzo si convertono immediatamente in immagini di

thanatos: l’eroe goethiano celebra in realtà una gioventù désabusée sin dalla prima riga del

romanzo. La voce solitaria del protagonista assume la forma di una lamentatio tesa ad esprimere la fugacità di tutte le cose, come mostra la lettera del 28 agosto appena due mesi dopo il primo incontro con Lotte:

Ich küsse diese Schleife tausendmal, und mit jedem Athemzuge schlürfe ich die Erinnerung jener Seligkeiten ein, mit denen mich jene wenige, glückliche, unwiederbringliche Tage überfüllten. Wilhelm es ist so, und ich murre nicht, die Blüthen des Lebens sind nur Erscheinungen! Wie viele gehn vorüber, ohne eine Spur hinter sich zu lassen, wie wenige sezzen Frucht an, und wie wenige dieser Früchte werden reif.226

224 Il primo e unico bacio tra Jacopo e Teresa avviene proprio sotto l’aura di Petrarca, da loro invocato come

protettore dell’amore puro; nella sua casa i due amanti si erano recati in visita qualche lettera prima. U. Foscolo, «Ultime lettere di Jacopo Ortis [1802]», op.cit., pp. 195-196.

225 J.-W. Goethe, «Leiden des jungen Werthers. Fassung B», op.cit., pp. 53-55. 226 J.-W. Goethe, «Die Leiden des jungen Werthers. Fassung A», op.cit., pp. 110-112.

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La storia di Werther è la storia dello sfacelo subitaneo di ogni cosa; di un cupio dissolvi: «Meine Großmutter hatte ein Mährgen vom Magnetenberg. Die Schiffe die zu nahe kamen, wurde auf einmal alles Eisenwerks beraubt, die Nägel flogen dem Berge zu, und die armen Elenden scheiterten zwischen den übereinander stürzenden Brettern»227.

La nostra ipotesi è che la dissoluzione dell’eroe nel Werther, messa in risalto dal dissolversi di tutte le immagini idilliache e dalla disgregazione formale della narrazione nel secondo libro, sia dovuta alla caduta progressiva di tutte le false identificazioni a cui il protagonista cede o finge di cedere nella prima parte. Secondo Ricoeur nei romanzi che mettono in scena una perdita di identità dell’eroe si assiste a una perdita contestuale di configurazione narrativa: «ces cas déroutants de la narrativité se laissent réinterpreter comme mise à nu de l’ispéité par perte de support de la mêmeté»228.

Potremmo dire che in Werther il processo dissolutivo è un processo di “messa a nudo” della propria ipseità, man mano che tutte le immagini-riflesso dell’eroe - le immagini di medesimezza- cadono o si trasformano in qualcos’altro. Si comprende allora perché la grande natura del 10 maggio diventi già il 18 agosto un “mostro che eternamente divora” [«ein ewig verschlingendes, ewig wiederkäuendes Ungeheur»229]; perché tutte le immagini del primo libro si rovescino nel secondo in scenari di morte e desolazione; perché, infine, anche l’atmosfera primaverile venga sostituita da scenari invernali: «Es geht mir nicht allein so. Alle Menschen werden in ihren Hofnungen getäuscht, in ihren Erwartungen betrogen»230. Persino il primo di tutti i riflessi, quello di Omero, viene ad essere soppiantato

da un altro: «Ossian hat in meinem Herzen den Homer verdrängt»231. È quella che Ricoeur

definisce «la mise en échec d'une suite indéfinie de tentatives d'identification, lesquelles sont la matière de ces récits à valeur interprétative au regard du retrait du soi»232.

Questa perdita d’identità diviene centrale in occasione del pellegrinaggio che Werther compie nella propria terra natale il 9 Maggio233, episodio narrato nel secondo libro. Il viaggio avviene in un momento cruciale della vicenda: subito dopo la fine del periodo cittadino - che ha provocato una ferita narcisistica e, con essa, la caduta dell’ultima delle illusioni, - e appena prima di fare ritorno a Wahlheim, dove avrà inizio la fase del cupio

dissolvi. La centralità dell’identità dell’eroe rispetto alla passione amorosa è ancora più

227 Ibidem, p. 84.

228 P. Ricoeur, Soi-même comme un autre, op.cit., p. 178.

229 J.-W. Goethe, «Die Leiden des jungen Werthers. Fassung A», op.cit., p. 108. 230 Ibidem, p. 158.

231 Ibidem, p. 170.

232 P. Ricoeur, Soi-même comme un autre, op.cit., p. 197.

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marcata nel Werther rispetto alla Nouvelle Héloïse, dal momento che il pellegrinaggio si configura proprio come desiderio dell’origine: nostos.

La rivisitazione dei luoghi della propria infanzia avviene in Werther sotto il doppio segno della memoria affettiva e letteraria; i temi dell’innocenza e della fabulazione tipica della prima gioventù si intrecciano infatti con la celebrazione di Omero e del mondo antico. La terra del padre, come il monumento della passione nella Nouvelle Héloïse, offre all’eroe un’immagine di immutabilità. L’atteggiamento del protagonista, restio ad accettare tutti i cambiamenti che sono avvenuti, conferma quest’interpretazione: «Ich kam der Stadt näher, alle alte bekannte Gartenhäusgen wurden von mir gegrüßt, die neuen waren mir zuwider, so auch alle Veränderungen, die man sonst vorgenommen hatte»234.

Tuttavia, il pellegrinaggio ha per Werther una funzione in parte diversa rispetto a quella che si è riconosciuta al monumento della passione in Saint-Preux. Mentre per quest’ultimo si tratta di rinnovare l’identificazione con un’immagine di sé passata, l’eroe goethiano constata con lucidità la non coincidenza tra il suo io presente e quello dell’infanzia: «Wie anders! Damals sehnt ich mich…»235. Il ritorno mette in evidenza che la medesimezza è impossibile e il pellegrinaggio si trasforma in commiato a un’immagine di sé in cui Werther non si riconosce più.

Ma se la vicenda di Werther è una storia di dissoluzione, di progressiva messa a nudo dell’ipseità, è lecito chiedersi che cosa rimanga dell’identità narrativa del personaggio una volta che questo si è spogliato di tutte le proprie false identificazioni. La storia di un’identità che perde consistenza è una storia che avanza verso il nulla: «Le soi ici refiguré par le récit est en réalité confronté à l'hypothèse de son propre néant»236. Con la morte di Werther che cosa rimane della storia di questa identità?

Per rispondere dobbiamo risalire a quanto detto riguardo alla doppia funzione del monumento in letteratura: esso esprime al contempo l’edificazione e la tomba; l’erosione determinata dal tempo e la vittoria su di esso. Come afferma Michel Riffaterre : «Le fait même de l’écriture, dans le moment même qu’elle énonce une destruction, représente la victoire du monument sur la ruine»237. La distruzione di Werther è, nel momento stesso in cui egli mette in scena la propria auto-dissoluzione, anche elevazione di un monumento alla propria memoria, come dimostrano le ultime lettere. L’ultima identificazione di Werther è quella con l’immagine stessa della propria tomba. Il desiderio di distruzione si traduce allora

234 Ibidem, p. 150. 235 Ibidem.

236 P. Ricoeur, Soi-même comme un autre, op.cit., p. 196.

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in una “pietrificazione” dell’Io: «Ach ich wollte, ihr begrübt mich am Wege, oder im einsamen Thale, daß Priester und Levite vor dem bezeichnenden Steine sich segnend vorüberging, und der Samariter eine Thräne weinte»238. La pietra tombale diventa al

contempo il segnale della caduta finale di tutte le illusioni, rappresentazione della vanitas di tutte le cose, e il simbolo di una permanenza nel tempo. Si può allora pensare che la mort de

toi che Goethe mette in scena sia quella dell’eroe stesso, la cui progressiva perdita d’identità

è al contempo una strategia di trasformazione delle lettere dell’eroe in opera d’arte. La volontà di Werther di essere seppellito con i feticci della propria passione - il frac azzurro che aveva indosso quando ha conosciuto Lotte e i nastri rosa che portava lei in quella stessa occasione239 - confermano la simbologia della morte come reificazione dell’identità dell’eroe, come sublimazione di sé in oggetto simbolo della passione amorosa.

In uno studio sulle opere giovanili di Goethe, Giuliano Baioni ha affermato che Werther rappresenta il primo esteta e dandy della letteratura europea, poiché le sue azioni sono regolate soltanto dalla moderna categoria del consumo240. La tematizzazione dell’eroe come

esteta, insieme all’assenza di uno scopo didattico esplicito dell’opera, sembrano fare del

Werther un romanzo precursore della teoria dell’art pour l’art. Ora, secondo Giorgio

Agamben, che si è interessato al rapporto tra l’artista esteta e la “cosa”, tra il dandy e la mercificazione della modernità, «la redenzione che il dandy e il poeta portano alle cose è la loro evocazione nell’attimo imponderabile in cui si realizza l’epifania estetica […] la condizione della riuscita di questo compito sacrificale è che l’artista porti fino alle sue estreme conseguenze il principio della perdita e dello spossessamento di sé»241. Werther

dunque è la storia di una progressiva perdita della propria identità del protagonista eponimo, man mano che tutti i riflessi del suo sé cadono, finché dell’io dell’eroe non rimane altro che quella pietra tombale, quella serie di lettere monumento, al quale il buon samaritano (figura, forse, del lettore sensibile?) renderà, passando, l’omaggio di una lacrima. La metamorfosi dell’eroe nella propria tomba, nel “sasso”, può essere interpretata nel Werther come un omaggio all’arte tout court esattamente come compito dell’artista dandy è identificarsi con l’anti-umano: «la quête della poesia moderna fa segno verso questa regione inquietante in cui non vi sono più uomini né dei, e dove solo si leva incomprensibilmente su se stessa come un idolo primitivo una presenza che è insieme sacra e miserabile, fascinosa e

238 J.-W. Goethe, «Die Leiden des jungen Werthers. Fassung A», op.cit., p. 262.

239 «In diesen Kleidern, Lotte, will ich begraben seyn. Du hast sie berührt, geheiligt. Ich habe auch darum

deinen Vater gebeten. Meine Seele schwebt über dem Sarge. Man soll meine Taschen nicht aussuchen. Diese blaßrote Schleife, die du am Busen hattest, als ich dich zum erstenmale unter deinen Kindern fand»: Ibidem.

240 G. Baioni, Il giovane Goethe, op. cit., p. 231. 241 G. Agamben, Stanze, op.cit., p. 59.

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tremenda, una presenza che ha a un tempo la fissa materialità del corpo morto e la fantomatica inafferrabilità del vivente»242.

Sotto il segno di questa reificazione avviene dunque la rinascita dell’eroe, le cui lettere,

post mortem, diventeranno oggetto “memorabile” per i posteri, come afferma l’editore: «Die

ausführliche Geschichte der letzen merkwürdigen Tage unsers Freundes»243.