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II. UNA FORMA TRA DISGREGAZIONE E INNOVAZIONE: L’EROE COME SOGGETTO UNICO

II.1. D AL PERSONAGGIO LETTORE DI MISSIVE ALL ’ EROE NARRATORE DI SÉ

II.1.2. L’eroe scrittore: marginalità e velleità letterarie

La differenza principale tra il romanzo epistolare polifonico e il romanzo monodico, oltre alla riduzione delle voci narranti, è data dal fatto che, mentre il primo mette l’accento sulla lettura della missiva dell’altro, il secondo è focalizzato sulla redazione di essa. Nel primo caso, la lettera diviene il fulcro del legame tra i personaggi: questi ultimi si caratterizzano innanzitutto per il loro essere “lettori” delle missive di altri. Nel secondo, il protagonista, assurto a voce solitaria del racconto, non è più tanto lettore di missive quanto narratore della propria storia attraverso le lettere stesse.

Nella missiva successiva a quella in cui Werther racconta il primo incontro con Lotte, il 19 giugno, l’eroe afferma di essersi soffermato sino a tarda notte a scrivere: «Wo ich neulich mit meiner Erzählung geblieben bin, weis ich nicht mehr; das weis ich, daß es zwey Uhr des Nachts war, als ich zu Bette kam, und daß, wenn ich dir hätte vorschwäzzen können, statt zu schreiben, ich dich vielleicht bis an Tag aufgehalten hätte»97. Nella

Nouvelle Héloïse, Saint-Preux si presentava come l’innamorato che passa le giornate

parigine chiuso nella propria stanza a leggere e ricopiare le missive di Julie; Werther, al contrario, passa le proprie notti a scrivere all’amico. Mentre Saint-Preux mette in evidenza il suo essere un assiduo lettore delle missive dell’amata, Werther diventa un assiduo narratore della propria storia. Che cosa implica questo slittamento nella costruzione narrativa e nella rappresentazione della figura dell’eroe?

Gérard Genette distingue in Figures III il «récit d’événements» dal «récit de paroles»98. Il primo sarebbe caratterizzato da un massimo di informazione: esso si basa sulla trasposizione di “fatti” attraverso varie tecniche mimetiche che tendono a non tenere conto di “chi parla”. Nel «récit de paroles» viene invece messa in evidenza la voce narrante, ponendo così l’enfasi sullo scarto che sussiste tra eventi diegetici e linguaggio, tra i “fatti” e la loro narrazione attraverso uno stile proprio a colui che parla.

A carattere generale, possiamo dire che nel romanzo epistolare è il «récit de paroles» ad essere dominante perché è la lettera con il suo contenuto discorsivo e la sua prospettiva

97 J.-W. Goethe, «Die Leiden des jungen Werthers. Fassung A», op.cit., p. 54. 98 G. Genette, Figures III, op.cit., p. 186.

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unica ad essere messa in risalto. In questo genere narrativo, il lettore si trova sempre posto di fronte ad una voce che, narrando, dà forma al proprio ethos più tramite il modo in cui si racconta che non attraverso ciò che racconta.

Ci si potrebbe allora aspettare che con la riduzione alla focalizzazione unica del romanzo monodico questo aspetto fosse messo meno in evidenza rispetto a quello polifonico, dal momento che qui la focalizzazione è “fissa” mentre quella del polifonico è “multipla”99 e il

lettore si raffronta dunque con modi di narrazione sempre diversi che gli fanno percepire con più evidenza lo scarto tra l’evento in sé e la voce che lo racconta. Tanto più che il romanzo epistolare polifonico impiega spesso il racconto ripetitivo, ossia, lo stesso evento viene narrato da più personaggi, i quali lo inquadrano così a partire da diverse angolature. Tuttavia, nel romanzo monodico la questione non è così semplice come si potrebbe pensare, poiché in esso entra in gioco la questione dello scarto temporale che aumenta la distanza tra “evento” e “narrazione” dei fatti.

Nel romanzo epistolare polifonico tutta l’azione drammatica tende a giocarsi a livello dello scambio epistolare: l’evento è il linguaggio stesso. Il personaggio esprime le proprie reazioni alle missive degli altri, commenta ciò che gli altri hanno espresso, chiarifica ciò che è stato mal compreso e attraverso questo “discorrere”100 si sviluppa la maggior parte dell’azione. È questa la specificità del genere narrativo che, come fa notare Maria Antonietta Terzoli, dà forma a «un libro che sembra costruirsi da solo»101. Poiché tutto

avviene nelle lettere, l’azione appare sempre simultanea alla narrazione e provoca così un appiattimento temporale del racconto. Si potrebbe dire, con Paul Ricoeur, che «un pur roman à voix multiples […] ne serait plus du tout un roman, mais une sorte d’oratorio donné à lire»102.

Diverso è quanto avviene nel romanzo epistolare monodico dove, con la riduzione del campo d’azione del destinatario, viene meno la portata evenemenziale della missiva: il racconto non si configura più come un “botta e risposta”, ma si deve nutrire di elementi esterni alla corrispondenza. La storia narrata appare al lettore come una ricostruzione

99 «Fixe» e «multiple» sono anch’esse categorie impiegate da G. Genette per parlare di focalizzazione interna.

Ibidem, pp. 206-207.

100 Cfr. Roland Barthes, Fragments d’un discours amoureux, Paris, Éditions du Seuil, 1977, p. 7: «Dis-cursus,

c’est, originellement, l’action de courir ça et là, ce sont des allées et venues, des « demarches », des « intrigues ». L’amoureux ne cesse en effet de courir dans sa tête, d’entreprendre de nouvelles démarches […] Son discours n’existe jamais que par bouffées de langage, qui lui viennent au gré de circonstances infimes, aléatoires».

101 Maria Antonietta Terzoli, «Strategie narrative e finzione di verità nel romanzo epistolare», in Simona

Costa, Monica Venturini (a cura di), Le forme del romanzo italiano e le letterature occidentali dal Sette al

Novecento, Tomo I, Pisa, Edizioni ETS, 2010, p. 36.

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postuma dell’evento da parte dell’eroe. Il tempo del monodico è un tempo principalmente “intercalato”103 poiché si sposta continuamente dalla rievocazione di eventi passati al

presente di narrazione. Come scrive Genette:

Le journal et la confidence épistolaire allient constamment ce que l’on appelle en langage radiophonique le direct et le différé, le quasi-monologue intérieur et le rapport après coup. Ici, le narrateur est tout à la fois encore le héros et déjà quelqu’un d’autre : les évènements de la journée sont déjà au passé, et le « point de vue » peut s’être modifié depuis ; les sentiments du soir ou du lendemain sont pleinement du présent, et ici la focalisation sur le narrateur est en même temps focalisation sur le héros104

Ciò che l’analisi di Genette mette in luce è che, nel diario e nella confidenza epistolare, laddove apparentemente vi è una prospettiva unica, la narrazione è in realtà bifocale perché il punto di vista presente si sovrappone a quello del giorno precedente o della mattina. La prerogativa di questi generi narrativi è quella di poter alternare la trasposizione immediata dei pensieri dei personaggi – sorta di stream of consciousness- alla rievocazione postuma di fatti in rapporto ai quali è stato già introdotto nella narrazione uno scarto temporale. Sembra essere questa la novità di generi narrativi come il diario o la confidenza epistolare a una voce: benché lo scarto temporale sia minimo (qualche giorno o poche ore), la prospettiva tradisce già una distanza rispetto all’evento. La prerogativa di questi generi è dunque quella di poter registrare l’oscillazione del punto di vista attraverso il tempo, ponendo il personaggio in continua contraddizione con se stesso.

La possibilità di poter mettere in scena questa variabilità della visione è dovuta innanzitutto alla perdita della funzione conativa della missiva. La confidenza con l’amico apre la missiva stessa alla possibilità del ritorno su di sé attraverso uno sguardo dell’Altro che si presenta come comprensivo e confortevole. Torneremo in seguito sulla questione dell’amico come alter ego; per il momento vorremmo mettere l’accento sul fatto che la diversa funzione del destinatario e la riduzione della corrispondenza a un solo personaggio fa propendere il romanzo epistolare verso le forme narrative memorialistiche dove il narratore ricostruisce eventi passati della propria esistenza. L’eroe non scrive più spinto dal desiderio di avere un effetto sull’Altro-destinatario, quanto per una necessità di riflessione sulle proprie vicende e di ricerca della propria identità.

103 G. Genette, Figures III, op.cit., p. 229. 104 Ibidem, p. 230.

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Se a livello della costruzione narrativa lo slittamento dell’eroe da lettore a scrittore di missive ha come conseguenza un’enfasi maggiore sullo scarto temporale, qual è l’effetto riguardo alla rappresentazione dell’eroe? Come afferma Terzoli «l’atto stesso dello scrivere e del raccontare viene di continuo messo in scena»105. L’atto di redazione delle missive

diventa un “evento” che “produce” la storia per mezzo della riflessione metaletteraria che questa suscita: l’eroe appare sempre più ai nostri occhi come scrittore in atto. Il protagonista si narra e dà forma alla propria identità narrativa sotto gli occhi del lettore tematizzando la propria stessa esperienza di scrittura, commentando ed esplicitando continuamente perché, quando e come scrive.

Quali sono le prerogative dell’eroe scrittore? Innanzitutto, l’adozione di un punto di vista marginale rispetto alla società borghese diventa la condizione stessa della nascita dell’opera: secondo Francesco Orlando «il privilegio di smascherare e interpretare sono propri dell’estraneo o dell’escluso»106. La figura dell’eroe, esiliato dalla società ma assurto a

narratore di una storia personale di interesse collettivo, porta alla luce contraddizioni latenti della società borghese e ne mette in risalto gli elementi conflittuali. Abbiamo visto che la posizione di Saint-Preux come commentatore esterno nelle ultime tre parti della Nouvelle

Héloïse anticipa quanto avviene nel romanzo monodico. Nei romanzi di Goethe e Foscolo le

vicende di una famiglia borghese vengono infatti raccontate tramite la visione di colui che è al contempo dentro e fuori rispetto ad esse. Werther, arrivato da poco nella cittadina in cui Lotte vive, si innamora della giovane e si avvicina così alla famiglia di lei, costituita dal padre, dai fratellini e dal futuro marito Albert. Similmente, poco dopo l’arrivo sui Colli Euganei, Jacopo Ortis fa la conoscenza di Teresa che vive con il padre e la sorellina e che ben presto sposerà Odoardo. In Oberman, una situazione simile sembra delinearsi verso la fine della vicenda quando il protagonista eponimo vive accanto a Fonsalbe, il fratello di Mme Del*** con la quale si accenna ad una possibile storia d’amore che non avrà mai inizio.

Sembra essere proprio questa condizione di marginalità a conferire all’eroe l’autorità per prendere la parola. Come ha ben mostrato René Girard, l’eroe della letteratura romantica è un personaggio che tende ad identificarsi con l’eccezione. In guerra con la norma il personaggio prova «un besoin de justification si pressant qu’il est toujours à la recherche de l’exception; il lui faut s’identifier étroitement à celle-ci contre tous les autres hommes. […]

105 M. A. Terzoli, «Strategie narrative e finzione di verità nel romanzo epistolare», op.cit., p. 36. 106 Francesco Orlando, Illuminismo, barocco e retorica freudiana, Torino, Einaudi, 1997, p.162.

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La «victime» à sauver n’est jamais qu’un prétexte pour s’affirmer glorieusement contre tout l’univers»107.

Gli eroi del corpus scelto presentano già alcuni tratti che anticipano questa tendenza nella misura in cui si identificano con l’elemento “centrifugo”: l’estraneo che si avvicina alla società solo per sovvertirne l’ordine. Nella Nouvelle Héloïse l’arrivo di Saint-Preux a Clarens e la narrazione “marginale” da lui intrapresa sembrano indurre il sistema della famiglia Wolmar ad una crisi, portando allo scoperto il desiderio femminile occultato dall’ordine etico e patriarcale. Allo stesso modo, in Werther, la società pastorale ed idilliaca di Wahlheim si rovescia ben presto in un teatro di scene lugubri e mortifere e il testo lascia sempre più indovinare che la stessa relazione tra Lotte e Albert viene messa in crisi dalle vicende dell’eroe. In Jacopo Ortis e in Oberman torna il tema rousseauiano della donna vittima, costretta a sposare un fidanzato che non ama e che è descritto dagli eroi come un uomo “senza passioni”. Secondo l’eroe foscoliano, Odoardo, il promesso sposo di Teresa, è emblema della «ragione fredda, calcolatrice»108, mentre Oberman descrive il marito di Mme

Del*** come «une sorte de financier fort instruit quand il s’agit de l’or, mais nul dans tout le reste»109.

La prossimità del protagonista e del rivale d’amore come rivale tout court fanno sì che queste vicende diventino emblematiche delle contraddizioni interne alla società borghese. Come fa notare Girard, nel romanzo romantico e post-romantico da Stendhal fino a Proust, la distanza tra l’eroe e il rivale suo pari, spesso oggetto di una dissimulata venerazione, si fa sempre più esiguo110. Nei romanzi epistolari del corpus scelto la rivalità tra le due figure è

però ancora inserita all’interno di un conflitto tra Padri e Figli. Il marito della donna amata è infatti spesso un uomo più anziano, o, ad ogni modo, è una figura alleata del Padre per ideologia e/o statuto sociale, cosicché l’opposizione che l’eroe dimostra verso questo personaggio assume anche un carattere rivoluzionario. Con la focalizzazione interna da parte dell’eroe, la figura marginale assurge a esemplificazione dell’individuo non emblematico che «trae da sé stesso l’autorità necessaria per la speculazione»111: la

prospettiva singolare assurge a voce narrante di un destino collettivo.

La nostra ipotesi è che tale capacità di “rivelare” le verità della società con cui l’eroe si confronta venga tematizzata all’interno dei romanzi stessi attraverso la rappresentazione

107 René Girard, Mensonge romantique et vérité romanesque, Paris, Bernard Grasset, 1961, pp. 149-150. 108 U. Foscolo, «Ultime lettere di Jacopo Ortis [1802]», op.cit., p.144.

109 Senancour, Oberman, op.cit., p. 177-178

110 R. Girard, Mensonge romantique et vérité romanesque, op.cit., pp. 50-55.

111 G. Nicoletti, La memoria illuminata. Autobiografia e letteratura fra Rivoluzione e Risorgimento, Firenze,

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della figura del protagonista come artista e/o scrittore alle prime armi: in quanto tale esso si mostra dotato della sensibilità necessaria per cogliere le falle della società borghese contemporanea e l’antagonismo tra arte e società attraverso la fattispecie dei conflitti personali evocati nelle lettere. Tutti i personaggi dei romanzi monodici costituenti il corpus presentano infatti velleità artistiche, se non proprio letterarie. Werther disegna e traduce i canti di Ossian. Jacopo Ortis tenta di dedicarsi alla scrittura, ma, a suo dire, con scarsi risultati: «sebbene incominci con la più bella vocazione che mai, non so andar innanzi per più di tre righe. Mi propongo mille argomenti; mi s’affacciano mille idee; scelgo, rigetto, poi torno a scegliere; scrivo finalmente, straccio, cancello, e perdo qualche volta un’intera giornata»112. Anche Oberman è un aspirante scrittore e la sua vicenda si conclude proprio con la decisione di intraprendere la carriera letteraria; l’unica che si addice alla sua natura contemplativa113.

Le riflessioni artistiche degli eroi sollevano un confronto con l’atto stesso di redazione delle lettere in quanto atto estetico. Se nella Nouvelle Héloïse l’editore e i personaggi sottolineano il carattere spontaneo del loro corrispondere, nei romanzi monodici vi è una sempre maggiore riflessione meta-letteraria sull’atto di scrittura dell’epistola. Per Julie è la presenza della barriera sociale a rendere necessaria la scrittura per conversare con l’amato. È dunque l’impossibilità di esteriorizzare la propria passione a spingerla a contenerla all’interno dello spazio privato della missiva: «Tu sais bien, mon ami, que je ne puis t'écrire qu'à la dérobée, et toujours en danger d'être surprise. Ainsi, dans l'impossibilité de faire de longues lettres, je me borne à répondre à ce qu'il y a de plus essentiel dans les tiennes ou à suppléer à ce que je n'ai pu te dire dans des conversations non moins furtives de bouche que par écrit»114. Per l’eroina lo spazio dell’interiorità necessita ancora di essere giustificato da un ostacolo che impedisce l’azione sociale. Il ripiegamento interiore può avvenire solo laddove vi sia un elemento di repressione che non lascia altra modalità di affermazione e realizzazione all’io.

Per le figure maschili che dominano la scena nel romanzo monodico, la scrittura delle missive, pur essendo motivata da una condizione di passività dell’eroe, diviene anche uno strumento di riscatto sociale. La scrittura è al contempo spazio dell’intimo, in cui l’eroe è costretto da contingenze esterne, e spazio pubblico, poiché la redazione delle missive assurge allo statuto di letteratura per la sua funzione di testimonianza storica e di riflessione

112 U. Foscolo, «Ultime lettere di Jacopo Ortis [1802]», op.cit., p. 183.

113 Il progetto è annunciato nella lettera LXXVIII, 16 juillet, IX. Senancour, Oberman, op.cit., pp. 356-360. 114 J.-J. Rousseau, «La Nouvelle Héloïse», op.cit., p. 135.

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sulla società contemporanea. Va però messo in risalto che il compito di sottolineare lo statuto letterario e esemplare delle missive è riservato all’editore, mentre la riflessione letteraria degli eroi tende a mettere in evidenza l’impossibilità dell’azione, il loro essere bloccati in un’impasse che ne vanifica i tentativi creativi.

Oberman sogna di figurare, attraverso la scrittura, nel novero dei Grandi della storia: «Il y a quelque chose qui soutient l’âme dans ce commerce avec les êtres pensants de divers siècles. Imaginer que l’on pourra être à côté de Pythagore, de Plutarque, ou d’Ossian dans le cabinet d’un L*** futur, c’est une illusion qui a de la grandeur ; c’est un des plus nobles hochets de l’homme»115. Tuttavia, ancorato all’idea illuminista e rousseauiana della scrittura

come engagement e mezzo di istruzione dei popoli, le sue stesse convinzioni morali gli impediscono di intraprendere la scrittura di un libro : «Faire un livre pour avoir un nom, c’est une tâche : elle a quelque chose de rebutant et de servile ; et quoique je convienne des raisons qui semblent me l’imposer, je n’ose l’entreprendre, et je l’abandonnerais»116.

L’affermazione della figura dell’eroe come scrittore avviene dunque soltanto per mezzo della negazione e il carteggio diviene il sostituto, se non il surrogato, di una carriera letteraria negata: Jacopo e Oberman vorrebbero fare letteratura, ma i tempi storici, la loro condizione di isolamento, la difficoltà nel mantenere una posizione etica, impediscono loro di riuscire in questa prova. Finiscono così per scrivere lettere, affidando ai potenziali lettori il compito di riconoscerne la validità letteraria: «Né mi stancherò di scriverti; tutt’altro conforto è perduto; né tu, mio Lorenzo, ti stancherai di leggere queste carte ch’io senza vanità e senza rossore ti ho sempre scritto ne’ sommi piaceri e ne’ sommi dolori dell’anima mia. Serbale. Presento che un dì ti saranno necessarie per vivere, almeno come potrai, col tuo Jacopo»117.

La riflessione artistica degli eroi rispecchia inoltre le velleità degli autori stessi dal momento che Goethe, Foscolo e Senancour sono, al momento della stesura dei romanzi, all’inizio della propria carriera letteraria. La tematizzazione dell’eroe come “artista” o “scrittore” sembra dunque far slittare il romanzo epistolare verso la forma del romanzo autobiografico, dal momento che rende esplicita la funzione di controfigura assunta dal protagonista.

È noto il fatto che Goethe, da giovane, avesse veramente riflettuto sul suicidio e, tuttavia, secondo Giuliano Baioni, al momento della stesura del romanzo l’autore «sa benissimo di

115 Senancour, Oberman, op.cit., p. 356. 116 Ibidem, p. 365.

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non essere Werther o di non essere più Werther»118. In tal caso il processo artistico come sublimazione equivale tanto a superamento cronologico dell’età giovanile quanto a superamento della condizione idealistico-illusoria per mezzo della distanziazione introdotta dalla scrittura.

Nella storia editoriale dell’Ortis, che è molto travagliata dal momento che l’autore riprese in mano l’opera numerose volte nel corso della propria vita119, Jacopo assurge a

controfigura di Foscolo: lo sviluppo del romanzo e dell’eroe seguono le tappe della vita dello scrittore. In particolare, si nota una differenza sia nella trama sia nello stile tra il primo

Ortis, redatto prima della partenza di Foscolo come volontario nell’esercito (1798), e il

secondo edito per la prima volta nel 1802. Antonietta Maria Terzoli mette in evidenza questa maturazione dello scrittore tra le due stesure, percepibile anche a livello delle capacità narrative: «L’incremento di pertinenza simbolica e narrativa –che è quanto dire un più maturo controllo del sistema letterario- appare une delle differenze più forti tra primo e secondo Ortis, tra il libro di un ragazzo promettente e quello dello scrittore affermato»120.