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5. La Vita nuova

5.4 Amore e ragione

Il racconto del primo incontro con Beatrice del secondo capitolo intende comunicare al lettore la certezza di assistere a una vicenda straordinaria:

Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto, quanto a la sua propia girazione1, quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la qual fu chiamata da molti Beatrice, li quali non sapeano che si chiamare2. [2]

Ell’era in questa vita già stata tanto, che nel suo tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte d’oriente delle dodici parti l’una d’un grado3, sí che quasi dal principio del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi quasi da la fine del mio nono. [3] Apparve vestita di nobilissimo colore, umile ed onesto, sanguigno4, cinta e ornata a la guisa che a la sua giova-nissima età si convenia. [4] In quel punto dico veramente che lo spirito de la vita, lo qual dimora nella sacretissima camera de lo cuore, comin-ciò a tremar sí fortemente, che apparia ne li menimi polsi orribilmente5; e tremando disse queste parole: «Ecce deus fortior me, qui veniens do-minabitur michi»6. [5] In quel punto lo spirito animale, lo qual dimora nell’alta camera ne la quale tutti li spiriti sensitivi portan le loro perce-zioni, si cominciò a maravigliar molto, e parlando spezialmente a li spi-riti del viso, sí disse queste parole: «Apparuit iam beatitudo vestra»7. [6]

In quel punto lo spirito naturale, lo qual dimora in quella parte ove si ministra ’l nudrimento nostro8, cominciò a piangere, e piangendo disse queste parole: «Heu miser, quia frequenter impeditus ero deinceps!»9. [7] D’allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima, la qual fu sí tosto a lui disponsata10, e cominciò a prendere sopra me tanta sicur-tade e tanta signoria per la vertú che li dava la mia imaginazione, che mi convenia11 fare tutti li suoi piaceri compiutamente. (Vn II, 1-7)

1 Nove… girazione:

‘erano passati quasi no-ve anni’; fiate ‘volte’.

2 fu chiamata… si chia-mare: ‘anche coloro che non ne conoscevano il nome la chiamavano Beatrice’ (ma l’inter-pretazione del passo è discussa).

3 lo cielo… grado: cor-risponde a otto anni e un terzo.

4 sanguigno: ‘rosso scu-ro’.

5 che apparia… orribil-mente: ‘che il tremore si avvertiva in modo d’ora in avanti sarò spesso impedito!»’.

10 disponsata: ‘sposata, unita’.

11 mi convenia: ‘dovevo’.

Figura 3

Henry Holiday, L’incontro di Dante con Beatrice, 1883;

Liverpool, The Walker Art Gallery.

Ogni parte della narrazione concorre alla creazione di tale inedito orizzonte di attesa: l’aura miracolosa che accompagna il nome della «glo-riosa donna de la mia mente» (II, 1); la collocazione dell’evento in un supe-riore ordine cosmico (II, 2); la rivelazione di pochi ma emblematici tratti di lei (II, 3); la rappresentazione analitica della genesi del sentimento, elabo-rata sui modelli della pneumatologia aristotelica e al tempo stesso densa di allusioni scritturali (II, 4-6); e infine il riconoscimento di un asservimento ad Amore totale e incondizionato (II, 7). Prima della conclusione, Dante aggiunge però un’ultima informazione preliminare (II, 9):

E avvegna che1 la sua imagine, la qual continuamente meco stava, fosse baldanza d’Amore a segnoreggiare me2, tuttavia era di sí nobilissima vertú, che nulla volta sofferse ch’Amore mi reggesse3 sanza ’l fedel consi-glio de la ragione in quelle cose là ove cotal consiconsi-glio fosse utile a udire.

Per quanto l’immagine dell’amata occupasse senza tregua la mente del poeta e alimentasse il desiderio amoroso, il potere di Amore era così nobile da non esercitare mai il proprio dominio senza la guida della ragione. Benché in un contesto tanto eccezionale possa apparire secondaria, l’idea di un amore governato dalla ragione rappresenta la vera novità della storia che Dante sta per raccontare, segnando una manifesta rottura rispetto alla concezione canonica, che, sorretta da un’amplissima tradizione culturale, vuole invece amore e ragione co-me forze opposte e inconciliabili. Nella prima parte del libello, tale nozione sembra tuttavia rimanere all’interno della precettistica corte-se: il superiore consiglio della ragione appare come una riedizione dell’ideale di riserbo e autocontrollo, cui il poeta amante deve sempre ispirare la propria condotta.

La necessità di un amore intimamente razionale si carica per la pri-ma volta di un nuovo valore nelle oscure parole di Amore apparso in sogno a Dante dopo che Beatrice gli ha negato il saluto, lasciandolo nello sconforto:

Ond’io, assicurandomi, cominciai a parlare cosí con esso: «Signore de la nobiltade, e perché piangi tu?». E quelli mi dicea queste parole: «Ego tanquam centrum circuli, cui simili modo se habent circumferentie par-tes; tu autem non sic»1. [5] Allora, pensando a le sue parole, mi parea che m’avesse parlato molto oscuramente, sí ch’io mi sforzava di parlare, e di-ceali queste parole: «Che è ciò, signore, che mi parli con tanta oscurita-de?». E que’ mi dicea in parole volgari: «Non domandare piú che utile ti sia». (Vn XII, 4-5)

Gli studiosi si sono a lungo interrogati sulle ragioni del pianto di Amo-re e sull’enigmatica autodefinizione offerta dal dio in risposta alla doman-da di Dante, la cui successiva richiesta di chiarimenti viene giudicata inopportuna. Tuttavia, pare pressoché certo che le lacrime del dio rapsentino, come nella speculare messa in scena del primo sogno, una pre-monizione della morte di Beatrice, e che a tale evento, che non può anco-ra essere apertamente rivelato, facciano riferimento anche le parole che il

1 avvenga che: ‘benché’.

2 fosse baldanza… me:

‘mi dominasse alimen-tata da Amore’.

3 che nulla… reggesse:

‘mai consentì che Amo-re mi guidasse’.

«Ego tanquam centrum circuli»

1 «Ego... sic»: «Io so-no come il centro del cerchio, rispetto al quale tutti i punti della circonferenza stanno nell’identico rapporto;

non così tu».

dio offre in risposta alla domanda di Dante. L’autodefinizione intende co-municare che il sentimento del poeta è ancora immaturo, poiché non coincide con l’ideale di perfezione in cui Amore invece si riconosce. Una volta privato del saluto, Dante ha infatti perso quel segno esterno di bene-volenza in cui egli aveva riposto tutta la sua beatitudine. Amore inizia dunque a presentare a Dante l’esigenza di maturare un sentimento diver-so, autosufficiente e assoluto, non più vincolato a ciò che «puote venire meno». Desiderando il saluto di Beatrice, Dante ha infatti riposto il fine del proprio amore al di fuori di sé: si è perduto dietro le fragili dinamiche della sua storia cortese. Paragonandosi al centro del cerchio, da cui i punti della circonferenza sono equidistanti, il dio spiega invece come l’amore debba avere in sé il proprio centro, cioè la propria perfezione, e non ricer-carla al di fuori di sé, nei singoli episodi biografici, che, invece, come pun-ti della circonferenza devono rimanere equidistanpun-ti dal centro, che ne è origine e misura. Dante non è però ancora pronto per comprendere tutto ciò. Solo dopo essere passato attraverso la crisi del gabbo e la conseguente rinuncia alla stessa parola lirica, il poeta riesce a maturare dentro di sé, grazie al colloquio rivelatore con una donna ‘loica’, un sentimento disin-teressato e assoluto, presupposto di una poesia inesauribile.

Nel seguito della storia, questo perfetto equilibrio interiore viene però pericolosamente messo in crisi dalla morte di Beatrice, che espo-ne il poeta, caduto in uno stato di cupa disperazioespo-ne, a nuove tentazio-ni amorose. L’attrazione per una donna gentile, che si è mostrata com-passionevole verso di lui, è inconciliabile con l’amore assoluto per Bea trice. Il problema non è soltanto tradire la memoria di Beatrice, ma ricadere nelle insidiose geometrie di una passione terrena. C’è in-somma il rischio di un fatale decentramento: perdere l’intimo ideale di un amore razionale e in sé compiuto per riavventurarsi attraverso le strade incerte del desiderio. Per questo motivo la passione per la don-na pietosa, non appedon-na si rivela come tale, viene subito vissuta da Dan-te come un conflitto tra la ragione e il desiderio.

Ma alla fine un’apparizione interiore dell’amata Beatrice restituisce a Dante la «costanza della ragione», che scaccia il «malvagio desiderio»

come proprio «avversario», in quanto opposto a quell’ideale di amore perfetto, tanto faticosamente conquistato:

Contra questo avversario de la ragione si levòe un die1, quasi nell’ora de la nona, una forte imaginazione in me, che mi parve vedere questa glo-riosa Beatrice con quelle vestimenta sanguigne2 colle quali apparve pri-ma alli occhi miei; e pareami giovane in simile etade ne la quale pripri-ma la vidi. [2] Allora cominciai a pensare di lei, e ricordandomi di lei secondo l’ordine del tempo passato, lo mio cuore si cominciò dolorosamente a pentere3 de lo desiderio, a cui sí vilmente s’avea lasciato possedere al-quanti die contra la costanzia de la ragione: e discacciato questo cotale malvagio desiderio, sí si rivolsero tutti li miei pensamenti a la loro genti-lissima Beatrice. (Vn XXXIX, 1-2)

Prima di dedicare il finale del libello alla visione celeste della glorio-sa Beatrice, Dante celebra così il trionfo della ragione, che sostiene e

Il «malvagio desiderio»

e la «costanza della ragione»

1 si levòe un die: ‘mi si manifestò un giorno’.

2 sanguigne: ‘rosso scu-ro’.

3 a pentere: ‘a pentirsi’.

guida il suo amore per la «gentilissima», salvaguardandone l’autosuffi-cienza e l’inviolabilità.