5. La Vita nuova
5.5 L’autobiografia di un poeta
La storia del rinnovamento interiore ispirato dall’amore per Beatri-ce è, al tempo stesso, la storia della poesia di Dante, dagli esordi corte-si alla maturazione di una poetica portatrice di valori inediti e più ele-vati. La poesia della lode rappresenta senz’altro la conquista di un nuo-vo ideale linguistico e retorico, improntato al supremo valore della dul-cedo, come Dante stesso vorrà ribadire nell’incontro purgatoriale con Bonagiunta, dove la celebre formula dolce stil novo identifica proprio la canzone manifesto della nuova poetica (Purg. XXIV, 49-51: «Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore / trasse le nove rime, cominciando / Donne ch’avete intelletto d’amore»). Ma la svolta delle «nuove rime» è soprat-tutto ideologica, come precisa la risposta offerta al medesimo Bona-giunta («I’ mi son un che, quando / Amor mi spira, noto e a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo significando», Purg. XXIV, 52-54), che rivendica la superiore assolutezza di una poesia frutto di un’ispirazione tutta in-teriore (vd. anche Epoca 1, Capitolo 4).
Per comprendere la novità della posizione dantesca, bisogna pensarla in rapporto all’ideologia cortese, al cui interno si era mossa fino ad allora la poesia d’amore in volgare. Sin dai primi trovatori, il canto poetico viene concepito, e si giustifica, come una richiesta amorosa rivolta alla donna.
Basti pensare alla canzone Madonna, dir vo voglio di Giacomo da Lenti-ni, che apre emblematicamente il più importante canzoniere della poesia italiana delle origini, il Vaticano Latino 3793 (vd. Epoca 1, Capitolo 2).
La canzone, come il suo modello trobadorico a firma di Folchetto di Mar-siglia, A vos, midontç, è costruita, sin dal principio, come un’allocuzione a madonna finalizzata alla richiesta di mercé. Il poeta manifesta il proprio sentimento per ottenere, in conformità con l’originaria metafora feudale, il guiderdone, la ricompensa per il proprio servizio amoroso. Tale ricom-pensa, indipendentemente dalla sua specifica natura (variabile da un cen-no di benevolenza all’amplesso), coincide appiecen-no con il joi, la ‘gioia’ amo-rosa, il compimento del desiderio.
Quando Dante, nella prima parte del libello, compone le sue poesie d’amore al fine di ottenere il saluto di Beatrice, in cui ripone la sua feli-cità, non fa altro che proseguire, seppure sublimandone alcuni tratti, ta-le modello culturata-le di origine trobadorica. Nel momento in cui il saluto gli viene negato, il suo amore perde il proprio fine e la poesia la propria giustificazione. Vistasi preclusa ogni possibile corrispondenza, il poeta entra così in una fase che si può definire «cavalcantiana», nella misura in cui non può far altro che denunciare, in modo autoreferenziale, il pro-prio stato di angoscia, scomponendo e analizzando ossessivamente il proprio dolore. Ma Dante si rende presto conto – come verosimilmente si era reso conto lo stesso Cavalcanti a un certo punto della sua vicenda intellettuale – che la poesia per questa via finisce in un vicolo cieco, si chiude in una circolarità viziosa. Dopo i «tre sonetti, ne li quali parlai a
«Le nuove rime»
La poesia cortese come richiesta di guiderdone
La perdita del saluto
questa donna però che fuoro narratori di tutto quasi lo mio stato», Dan-te, comprendendo che niente può essere più aggiunto o intrapreso, si rassegna al silenzio: «credendomi tacere e non dire piú però che mi pa-rea di me assai aver manifestato» (Vn XVII, 1).
È in questo drammatico momento di impasse esistenziale e poetica che si presenta al poeta l’intuizione della lode. Il dialogo con una donna gentile, e senz’altro dotata d’intelletto d’amore, conduce Dante alla pre-sa di coscienza dell’insufficienza di una poesia autoreferenziale, scritta soltanto per «notificare la propria condizione», e alla scoperta di una lo-de lo-dell’amata disinteressata, frutto di un amore autosufficiente, che non brami più ricompense terrene, ma abbia in sé la propria beatitudine, sul modello dell’ideale della caritas, l’amore incondizionato verso Dio. La maturazione di questi nuovi valori apre nuove e straordinarie possibilità all’amore e alla stessa poesia, che assume come proprio oggetto «quello che non [...] puote venire meno», la lode infinita di Beatrice, e si sottrae così all’effimera dinamica cortese della richiesta/compimento/rifiuto, in cui rientrava ancora la perdita del saluto. Si comprende allora perché Dante, per introdurre la canzone inaugurale della nuova poetica, la stes-sa che lo identificherà di fronte a Bonagiunta, posstes-sa affermare che la sua
«lingua parlò quasi come per se stesso mossa, e disse: ‘Donne ch’avete intelletto d’amore’» (Vn XIX, 2).
Esempio supremo di questa lode incondizionata, anche per la limpi-dezza del dettato e l’essenzialità del lessico, è il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare (Vn XXVI, 5-7), in cui Dante descrive la meraviglia su-scitata dal passaggio di Beatrice:
Nota metrica: Sonetto con schema ABBA ABBA CDE EDC.
Testo: Vita nuova, ed. Pirovano, pp. 219-222.
Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand’ella altrui saluta, ch’ogne lingua deven tremando muta, e gli occhi no l’ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare 5 benignamente d’umiltà vestuta1;
e par che sia una cosa2 venuta dal cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sí piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core 10 che ’ntender no la pò chi no la prova:
e par che de la sua labbia3 si mova un spirito soave pien d’amore, che va dicendo all’anima: Sospira.
L’apparizione della «gentilissima» è avvolta in un’aura miracolosa, accresciuta da una fitta serie di allusioni a passi scritturali e comunque apertamente dichiarata ai vv. 7-8. È interessante notare lo scarto rispetto al precedente cavalcantiano, implicitamente evocato mediante la ripresa di parole e immagini, di Chi è questa che vèn, che pure sublima in
termi-Una poesia autosufficiente
La poetica della lode
1 benignamente… vestu-ta: ‘benevolmente ve-stita d’umiltà’; come se fosse l’umiltà incarnata.
2 una cosa: ‘un essere’.
3 labbia: ‘labbra, volto’.
ni trascendenti il passaggio dell’amata. Mentre il sonetto cavalcantiano si conclude con la presa d’atto dei limiti dell’intelletto umano incapace di concepire appieno l’oggetto d’amore (vv. 12-14: «Non fu sí alta già la mente nostra / e non si pose ’n noi tanta salute, / che propiamente n’aviàn canoscenza»), quello dantesco culmina in un sospiro che è manifestazio-ne dell’imanifestazio-neffabile stato di grazia infuso dalla donna.
In chiusura del libello, dopo che Beatrice ha trionfato sulla tentazio-ne per la donna pietosa, con l’ultimo sotentazio-netto, Oltre la spera che piú larga gira, paiono profilarsi possibilità ancora più straordinarie per la poesia dantesca, che si eleva fino a contemplare l’anima di Beatrice che risplen-de nell’Empireo (Vn XLI, 10-13):
Nota metrica: Sonetto con schema ABBA ABBA CDE DCE.
Testo: Vita nuova, ed. Pirovano, pp. 286-287.
Oltre la spera che piú larga gira1 passa ’l sospiro ch’esce del me’ core:
intelligenza nova2, che l’Amore piangendo mette in lui, pur su lo tira3.
Quand’elli è giunto là dove disira, 5 vede una donna, che riceve onore,
e luce sí, che per lo suo splendore lo peregrino spirito la mira.
Vedela tal, che quando ’l mi ridice, io non lo ’ntendo, sí parla sottile4 10 al cor dolente, che lo fa parlare.
So io che parla di quella gentile, però che5 spesso recorda Beatrice, sí ch’i’ lo ’ntendo ben, donne mie care.
È difficile pensare, soprattutto per ragioni cronologiche, che la mera-vigliosa visione e il proposito di voler scrivere un’opera senza preceden-ti dedicata a Beatrice, cui Dante accenna nei paragrafi finali, subito do-po il sonetto:
Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire piú di questa benedetta infino a tanto che io potessi piú degnamente trattare di lei. [2] E di venire a ciò io studio quanto posso, sí com’ella sa veracemente. Sí che, se piacere sarà di colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dire di lei quello che mai non fue detto d’alcuna. (Vn XLII, 1-2) possano già preannunciare la Commedia così come noi la conosciamo.
Ma è indubbio che, più di ogni altra opera successiva, la Vita nuova si costituisce come irriducibile presupposto del «poema sacro»: per l’ecce-zionalità riconosciuta alla propria vicenda autobiografica, per l’intuizio-ne di un amore che trascende la dimensiol’intuizio-ne terrena, per il potere salvi-fico attribuito a Beatrice assunta in cielo, per la scoperta della poesia come supremo strumento euristico.
«Quello che mai non fue detto d’alcuna»
1 Oltre… gira: il cielo cristallino, oltre il quale c’è l’Empireo, ove è Dio.
2 intelligenza nova:
‘una straordinaria in-telligenza’.
3 pur su lo tira: ‘lo attira verso l’alto’.
4 sottile: ‘sottilmente’.
5 però che: ‘per il fatto che’.