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Anche se il sonetto A ciascun’alma presa e gentil core, composto all’incirca nel 1283, non fosse stato in assoluto la sua prima prova poe-tica, comunque gli esordi lirici di Dante non possono collocarsi molto più indietro. Dante non ha mai raccolto le sue rime in un canzoniere, disponendole secondo un ordinamento d’autore (fanno eccezione le poesie comprese nella Vita nuova e nel Convivio, che però sono parte integrante di opere a sé), come farà, ad esempio, Petrarca. Le moderne edizioni delle Rime dantesche, che raccolgono tutte le poesie che ci so-no giunte sotto il so-nome di Dante, riflettoso-no, nella selezione e nell’ordi-namento, le scelte dei rispettivi curatori. L’ordinamento che oggi con-tinua a essere più familiare ai lettori è quello fissato a suo tempo da Michele Barbi per l’edizione nazionale del 1921 sulla base di criteri biografici, stilistici e tematici.

La produzione giovanile compresa tra i primi anni Ottanta e i primi anni Novanta è quella destinata a essere sottoposta a un’attenta selezio-ne ai fini della costituzioselezio-ne del libro della Vita nuova. E non ci sono dub-bi che i risultati più alti e innovativi di tale stagione siano da identificare con le rime che nel libello rispondono alla «poetica della lode» e che Dante stesso nell’incontro purgatoriale con Bonagiunta vorrà definiti-vamente consegnare alla memoria dei posteri con il nome di «dolce stil novo» (Purg. XXIV, 49-62; vd. Epoca 1, Capitolo 4): la canzone Donne ch’avete intelletto d’amore, i sonetti Tanto gentile e tanto onesta pare e Vede perfettamente onne salute, e tutti gli altri componimenti che, ispi-rati da un amore assoluto e disinteressato, realizzano l’ideale linguistico e melodico del nuovo stile (vd. infra, §5).

Ma l’armonia tematica e formale delle poesie della lode costituisce il punto d’arrivo – peraltro tutt’altro che definitivo – di un percorso che, fin dai primi prodotti ancora compromessi con la precedente tradizione cor-tese e guittoniana, è stato contraddistinto da una forte vocazione speri-mentale. Non sono infatti poche le rime che, per la loro natura eversiva rispetto all’ideale armonico del dolce stile, se non rispetto all’amore stes-so per Beatrice, stes-sono poi rimaste fuori dal progetto della Vita nuova.

I primi esperimenti lirici sono ancora connotati in senso cortese, sia sul piano linguistico, per i ricercati provenzalismi e sicilianismi, sia sul piano dei temi e delle metafore, ancora di matrice feudale. È il caso del-la canzone La dispietata mente, che pur mira, che sviluppa il tema troba-dorico della lontananza, con il poeta che rimpiange il suo «dolce paese»

e prega l’amata rimasta lì di assicurargli la sua benevolenza:

La dispietata mente, che pur mira1 di retro al tempo che se n’è andato, da l’un de’ lati mi combatte il core;

e ’l disio amoroso che mi tira

ver’ lo dolce paese c’ho lasciato, 5 La raccolta delle rime

Dentro la Vita nuova:

il «dolce stil novo»

Fuori dalla Vita nuova:

lo sperimentalismo

L’eredità cortese

1 pur mira: ‘guarda sol-tanto’.

Nota metrica: Canzone. Stanze di dodici endecasillabi e un settenario con lo schema ABC ABC, CDEeDFF e congedo YZZ.

Testo: Rime, ed. Barbi-Maggini, p. 178.

d’altra part’è con la forza d’Amore;

né dentro i’ sento tanto di valore che lungamente i’ possa far difesa2, gentil madonna, se da voi non vene:

però, se a voi convene 10

ad iscampo di lui mai fare impresa3, piacciavi di mandar vostra salute4 che sia conforto de la sua virtute.

Ma già a un clima e a ideali differenti appartengono una serie di com-ponimenti ispirati da un’inedita grazia e leggerezza, di parole e di imma-gini, come la ballata – genere già cavalcantiano – Per una ghirlandetta, che canta, con felice levità di movenze, l’amore per una «Fioretta»:

Per una ghirlandetta ch’io vidi, mi farà sospirare ogni fiore.

I’ vidi a voi, donna, portare

ghirlandetta di fior’ gentile, 5 e sovr’a lei vidi volare

un angiolel d’amore umìle1; e ’l suo cantar sottile dicea: «Chi mi vedrà

lauderà ’l mio signore». 10

Se io sarò là dove sia Fioretta mia bella e gentile, allor dirò a la donna mia che port’in testa i miei sospire.

Al medesimo clima è da ricondurre anche il sogno d’evasione va-gheggiato nel sonetto Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io, che celebra l’amicizia come intima condivisione di valori in nome d’Amore, poi as-sunto dalla critica come manifesto della nuova poesia fiorentina, ovvero dello stilnovismo inteso in senso lato.

Rimandano invece a una ben più drammatica esperienza d’amore, e a un magistero cavalcantiano ormai assimilato in profondità, alcuni com-ponimenti che riguardano Beatrice, ma come oggetto di una passione cu-pa e cu-patologicamente sofferta, cui il poeta si sa destinato sin dalla nasci-ta, come racconta in E’ m’incresce di me sì duramente:

Lo giorno che costei nel mondo venne, secondo che si trova

nel libro de la mente che vien meno1,

la mia persona pargola sostenne 60

2 che… difesa: ‘che io posso resistere a lungo’.

3 se a voi… impresa: ‘se voi dovete adoperarvi per salvarlo’.

4 vostra salute: ‘il vostro saluto’. ‘nel-la memoria, che man mano viene a mancare’.

Nota metrica: Ballata di novenari e settenari con schema xyz, AB AB, byz.

Testo: Rime, ed. Barbi-Maggini, p. 203.

Nota metrica: Canzone. Stanze di endeca-sillabi e settenari con schema AbC AbC, CDEdFfEE.

Testo: Rime, ed. Barbi-Maggini, p. 235.

una passïon nova2,

tal ch’io rimasi di paura pieno;

ch’a tutte mie virtù fu posto un freno subitamente3, sì ch’io caddi in terra,

per una luce che nel cor percosse: 65 e se ’l libro non erra,

lo spirito maggior4 tremò sì forte, che parve ben che morte

per lui in questo mondo giunta fosse:

ma or ne incresce a quei che questo mosse. 70

Appartengono infine al genere comico-realistico i sonetti scambiati da Dante con l’amico poeta Forese Donati, caratterizzati dal registro basso e quotidiano delle accuse e offese che i due si rivolgono, ulteriore prova di una versatilità stilistica e di una perizia tecnica che daranno il frutto maturo nell’espressionismo e nel plurilinguismo della Commedia (vd. infra, §11.12).

Al medesimo sperimentalismo giovanile dantesco si sono volute per molto tempo ricondurre due opere pervenuteci anonime, il Fiore e il Detto d’Amore, che, giudicate «attribuibili» a Dante da Gianfranco Con-tini, uno dei maggiori filologi del Novecento, sono ancora oggi oggetto di discussione tra gli studiosi, sebbene sia ormai prevalente l’idea che non ci sono elementi dirimenti a favore della paternità dantesca. Entrambe le opere sono tràdite in copia unica, adespota e anepigrafa, da un mano-scritto fiorentino, databile, secondo gli studi più recenti, verso la metà del Trecento. Il Fiore è un poema allegorico composto da 232 sonetti che narrano la conquista della donna da parte dell’amante. L’opera si presen-ta, anche linguisticamente, come un rifacimento del Roman de la Rose,

poema allegorico in antico francese iniziato da Guillaume de Lorris, tra il 1225 e il 1237, e concluso, probabilmente verso il 1280, da Jean de Meung (vd. Epoca 1, Capitolo 6, §2).

Il Fiore è almeno successivo al 1283-1284, giacché in un sonetto fa riferimento all’as-sassinio del filosofo averroista Sigieri di Bra-bante, avvenuto in quegli anni. Il Detto d’A-more, composto da 480 settenari in rima ba-ciata, è pure un poemetto allegorico sull’a-more cortese debitore verso il Roman de la Rose. Gli indizi sulla base dei quali Contini si espresse a favore della paternità dantesca, che riguardavano sia riferimenti presenti nel testo (ad esempio l’autore del Fiore dice di chiamarsi Durante, di cui il nome Dante è la forma ipocoristica) sia corrispondenze di ti-po linguistico-stilistico con la lingua ti-poetica dello stesso Dante, appaiono oggi, anche al-la luce di verifiche approfondite condotte per mezzo di strumenti informatici, molto meno cogenti.

2 sostenne… nova: ‘patì una sofferenza inaudita’.

3 tutte… subitamente: ‘le virtù vitali all’improvvi-so si arrestarono’.

4 lo spirito maggior: ‘lo spirito della vita, che ha sede nel cuore’.

Il registro comico

Il Fiore e il Detto d’Amore

Figura 2

Giorgio Vasari, Ritratto di sei poeti toscani, 1544; Minneapolis, Institute of Art.