• Non ci sono risultati.

Nonostante la Vita nuova intenda configurare una ricerca lirica con-clusa e in sé perfetta, Dante non interrompe la strada della sperimenta-zione poetica, continuando a comporre rime fino agli anni in cui inizierà a porre mano al «poema sacro». Per orientarsi nella composita e articola-ta produzione della maturità, torna ancora utile seguire l’ordinamento di Barbi, che, nella consapevolezza di non poter ricostruire la reale storia Le Epistole

Da Treviso al Casentino

della lirica dantesca, permette almeno di individuare nuclei di poe sie te-maticamente e stilisticamente omogenei e di metterli in relazione, in al-cuni casi, con diversi momenti della biografia del poeta.

Nel Convivio Dante afferma che le rime d’amore composte per la

«donna gentile» da cui è attratto nella parte finale della Vita nuova han-no un significato allegorico ed esprimohan-no il suo amore per la Filosofia (vd. infra, §8). Non siamo sicuri che il significato originario di queste ri-me fosse tale. È invece evidente il senso di tale operazione: Dante, negli anni della piena maturità e dell’esilio, intende presentarsi come cantor rectitudinis e non più come poeta d’amore. Oltre che alle due canzoni che Dante stesso commenta nel Convivio, cioè Voi che ’ntendendo e Amor che ne la mente, si può assegnare un valore allegorico anche ad al-tri componimenti amorosi a esse legati in vario modo, ma che, almeno esteriormente, rientrano nei canonici modi del suo stilnovismo.

Alcune poesie oppongono comunque una certa resistenza a essere intese allegoricamente, come le rime per la «pargoletta», che mettono in scena una passione per una giovinetta, sublimata mediante le movenze e le immagini proprie della lode beatriciana, come nella ballata I’ mi son pargoletta (1-10 e 18-24):

Nota metrica: Ballata di endecasillabi con schema YZZ, ABAB, BZZ.

Testo: Rime, ed. Barbi-Pernicone, p. 472.

«I’ mi son pargoletta bella e nova1, che son venuta per mostrare altrui de le bellezze del loco ond’io fui.

I’ fui del cielo, e tornerovvi ancora

per dar de la mia luce altrui diletto2; 5 e chi mi vede e non se ne innamora

d’amor non averà mai intelletto,

Le rime allegoriche

Le rime per la «pargoletta»

1 bella e nova: ‘bella e mai vista prima, mera-vigliosa’.

2 per… diletto: ‘per di-lettare ognuno del mio splendore’.

Figura 4

Giovanni di Paolo, Esilio di Dante, scacciato da Firenze, 1440-1450,

miniatura dalla Divina Commedia di Dante Alighieri di Alfonso d’Aragona re di Napoli;

Londra, British Library, codice Yates Thompson, 36, f. 159r., Par. XVII, vv. 106-142.

ché non mi fu in piacer alcun disdetto3 quando natura mi chiese a colui

che volle, donne, accompagnarmi a vui. 10 […]

Queste parole si leggon nel viso d’un’angioletta che ci è apparita:

e io che per veder lei mirai fiso4, 20 ne sono a rischio di perder la vita;

però ch’io ricevetti tal ferita da un ch’io vidi dentro a li occhi sui, ch’i’ vo’ piangendo e non m’acchetai pui5.

L’aspro rimprovero di Beatrice sulla montagna del Purgatorio, che pare alludere proprio ai componimenti in questione, sembra confermare che vadano intesi in senso letterale: «Non ti dovea gravar le penne in giuso, / ad aspettar più colpo, o pargoletta / o altra novità con sì breve uso» (Purg. XXXI, 58-60).

Al tempo stesso non mancano canzoni di stile più elevato e di mag-giore impegno dottrinale, che, pur non derogando al tema amoroso, si aprono a considerazioni di ordine universale, come Amor, che movi tua virtù dal cielo (1-15):

Nota metrica: Canzone. Stanze di endecasil-labi e settenari con lo schema AbBC AbBC, CDdEFeF.

Testo: Rime, ed. Barbi-Pernicone, p. 483.

Amor, che movi tua vertù dal cielo come ’l sol lo splendore,

ché là s’apprende1 più lo suo valore dove più nobiltà suo raggio trova;

e come el fuga oscuritate e gelo, 5 così, alto segnore,

tu cacci la viltate altrui del core, né ira contra te fa lunga prova2; da te conven che ciascun ben si mova

per lo qual si travaglia il mondo tutto; 10 sanza te è distrutto

quanto avemo in potenzia di ben fare, come pintura3 in tenebrosa parte4, che non si può mostrare

né dar diletto di color né d’arte. 15

Rappresentano invece un capitolo a sé, ben definito tematicamente e linguisticamente, le cosiddette rime «petrose», in cui l’impenetrabile durezza del cuore della donna diviene senhal della stessa e impone la ci-fra stilistica altrettanto aspra e difficile. Distaccandosi dall’armoniosa dulcedo stilnovista, Dante sperimenta per la prima volta un linguaggio lirico artificioso e fortemente espressivo, foneticamente e sintatticamen-te connotato, emulando, anche nell’inedito metro della sestina, l’arduo

3 non… disdetto: ‘non mi fu negata nessuna bellezza’.

4 fiso: ‘fissamente’.

5 non m’acchetai pui:

‘non ho più trovato tre-gua’.

Le canzoni di stile elevato

1 s’apprende: ‘si trasmet-te, penetra’.

2 fa lunga prova: ‘può re-sistere a lungo’.

3 pintura: un dipinto.

4 in tenebrosa parte:

‘nell’oscurità’.

Le rime petrose

tecnicismo del trobar car del provenzale Arnaut Daniel, che in Purga-torio additerà come il «miglior fabbro» della lingua volgare. L’amore per la donna Pietra è una passione ossessiva e sensuale, alimentata da un desiderio inappagato che tormenta il poeta al punto di fargli vagheggia-re un violento amplesso con la stessa donna (Così nel mio parlar 59-73):

Ohmè, perché non latra1

per me, com’io per lei, nel caldo borro2? 60 ché tosto griderei: «Io vi soccorro».

E fare’l volentier, sì come quelli che ne’ biondi capelli

ch’Amor per consumarmi increspa e dora

metterei mano, e piacere’le allora3. 65 S’io avessi le belle trecce prese,

che fatte son per me scudiscio e ferza4, pigliandole anzi terza5,

con esse passerei vespero e squille6:

e non sarei pietoso né cortese, 70 anzi farei com’orso quando scherza;

e se Amor me ne sferza7,

io mi vendicherei di più di mille8.

Per quanto nella Vita nuova Dante si fosse dichiarato contro «coloro che rimano sopr’altra matera che amorosa» (XXV, 6), prima gli studi fi-losofici e poi le vicende biografiche lo conducono verso la trattazione di tematiche morali, come la leggiadria (Poscia ch’Amor del tutto m’ha la-sciato) e la nobiltà (Le dolci rime d’amor ch’i’ solia), inizialmente intro-dotte in deroga alla tematica amorosa. Nei primi anni dell’esilio Dante assume con maggior decisione le vesti del cantore della rettitudine, con canzoni sostenute da uno stile più elevato e da un forte impegno parene-tico: Tre donne intorno al cor mi son venute, sul tema della giustizia, e Doglia mi reca nello core ardire, sulla virtù della liberalità. Tuttavia, l’ultima delle canzoni dantesche, Amor, da che convien, scritta all’inizio del 1307, subito dopo il soggiorno presso il marchese Moroello Malaspi-na, mette in scena un ritorno della passione d’amore incontrollata e vio-lenta, e dei ben noti modelli espressivi cavalcantiani.

8. Il Convivio

8.1 Genesi, struttura e modelli

Il Convivio è un prosimetro che consiste in un autocommento alle canzoni composte negli anni precedenti. L’operazione appare, nella sua sostanza, analoga a quella della Vita nuova, ma proprio rispetto al

libel-1 latra: ‘grida come un cane’.

2 borro: ‘fossato, botro’.

3 e piacere’le allora: ‘e allora le piacerei’.

4 ferza: ‘frusta’.

5 anzi terza: ‘prima della terza ora canonica’, cioè le nove del mattino.

6 con… squille: ‘starei con lei fino ai vespri (l’ora del tramonto) e alla campana della sera’, quindi tutto il giorno.

Nota metrica: Canzone. Stanze di endecasil-labi e settenari con lo schema ABbC ABbC, CDdEE.

Testo: Rime, ed. Barbi-Pernicone, p. 568.

lo giovanile, Dante, pur rivendicando la continuità d’esperienza, rimar-ca le distanze nel rimar-capitolo introduttivo del trattato:

E se nella presente opera, la quale è Convivio nominata e vo’ che sia, più virilmente1 si trattasse che nella Vita Nova, non intendo però a quella in parte alcuna derogare, ma maggiormente giovare per questa quella; veg-gendo sì come ragionevolemente quella fervida e passionata, questa tem-perata e virile2 essere conviene. Ché altro si conviene e dire e operare ad una etade che ad altra; per che certi costumi sono idonei e laudabili ad una etade che sono sconci e biasimevoli ad altra, sì come di sotto, nel quarto trattato di questo libro, sarà propia ragione mostrata. E io in quella dinanzi, all’entrata della mia gioventute parlai, e in questa dipoi, quella già trapassata. (Conv. I i 16-17)

Presentato come opera della piena maturità, il Convivio, nonostante le apparenti analogie, è profondamente diverso dal libello giovanile: per i contenuti filosofici, che scaturiscono dall’«allegorica esposizione» delle canzoni, e per le finalità didascaliche, dichiarate sin dal titolo che richia-ma la metafora di fondo del banchetto della conoscenza (la «mensa dove lo pane delli angeli si manuca»): Dante si propone di raccogliere le bri-ciole di scienza cadute dalla mensa dei sapienti e di offrirle a coloro che, impediti dalle circostanze della vita, sono esclusi dal sapere (I i 7-8).

La stesura dell’opera si colloca nei primi anni dell’esilio, come Dante stesso precisa dicendo di essere già andato «peregrino, quasi mendican-do, […] mostrando contra mia voglia la piaga della fortuna» per «le par-ti quasi tutte» d’Italia. Sulla base di un accenno all’intenzione di scrive-re il De vulgari eloquentia (vd. infra, §9), si può ipotizzascrive-re che il primo libro risalga al 1304, mentre il quarto, con il quale il trattato si interrom-pe, dovrebbe essere stato composto tra il 1306 e il 1308, giacché in IV xiv 12 si accenna a Gherardo del Camino, capitano di Treviso, come già morto (fatto avvenuto nel marzo 1306) e in IV iii 6 tra i successori di Fe-derico II non si cita Enrico VII di Lussemburgo, incoronato re dei Ro-mani il 27 novembre 1308.

La scelta di comporre un trattato filosofico in volgare con intento di-dascalico si spiega bene con la situazione in cui Dante si viene a trovare nei primi anni dell’esilio, quando, ormai escluso dalla politica attiva, ve-dendosi sempre più isolato e temendo compromesso il proprio nome, si affida alla possibilità di riaccreditarsi, in primo luogo presso le stesse cor-ti centro-settentrionali che lo ospitavano, come intellettuale impegnato nella formazione etico-culturale delle élites italiane. Tali ragioni di fondo, cioè «timore d’infamia» e «desiderio di dottrina dare», sono argomentate da Dante nell’introduzione, in cui giustifica la scelta di parlare di sé:

Veramente, al principale intendimento tornando, dico [che], come è toc-cato di sopra, per necessarie cagioni1 lo parlare di sé è conceduto: ed in tra l’altre necessarie cagioni due sono più manifeste. L’una è quando san-za ragionare di sé grande infamia o pericolo non si può cessare2; e allora si concede, per la ragione che delli due [rei] sentieri prendere lo men reo è quasi prendere un buono. E questa necessitate mosse Boezio3 di se

me-1 più virilmente: ‘in mo-do più maturo’.

2 temperata e virile: ‘mi-surata e matura’.

Tempi di composizione

«Timore d’infamia»

e «desiderio di dottrina dare»

1 cagioni: ‘ragioni’.

2 non… cessare: ‘non si può evitare’.

3 Boezio: Severino Boe-zio (circa 475-525), au-tore della Consolatio Philosophiae.

desimo a parlare, acciò che sotto pretesto di consolazione escusasse la perpetuale infamia del suo essilio, mostrando quello essere ingiusto, poi che altro escusatore non si levava4. L’altra è quando, per ragionare di sé, grandissima utilitade ne segue altrui5 per via di dottrina; e questa ragione mosse Agustino nelle sue Confessioni a parlare di sé, ché per lo processo della sua vita, lo quale fu di [meno] buono in buono, e di buono in miglio-re, e di migliore in ottimo, ne diede essemplo e dottrina, la quale per [al-tro] sì vero testimonio ricevere non si potea. (Conv. I ii 12-14)

Il De consolatione Philosophiae di Boezio, cui Dante si richiama, non fornisce solo la giustificazione a parlare di sé stessi, ma si costitui-sce come un modello di riferimento: per la struttura di fondo, che pre-vede parti in prosa alternate a carmi filosofici, e per la personificazio-ne della Filosofia, che ha verosimilmente suggerito a Dante l’identifi-cazione allegorica della «donna gentile» con la stessa Filosofia. Altra opera influente è il Tresor, trattato enciclopedico in francese del mae-stro Brunetto Latini, con cui Dante da un lato condivide l’intento di-vulgativo di trasmettere il sapere alle nuove classi dirigenti, dall’altro però indirettamente polemizza, condannando apertamente la scelta di quelli che adottano un volgare straniero e non quello italiano. Per quel che riguarda i contenuti filosofici, Dante mostra una conoscenza am-pia dell’opera aristotelica, recepita attraverso la mediazione di Alber-to Magno e Tommaso di Aquino, nonché dei commentaAlber-tori arabi cir-colanti in traduzioni latine, come Averroè, Avicenna, Algazali. Gli elementi neoplatonici provengono in particolare dal Liber de causis, un trattato di metafisica del XII secolo tradotto in latino dall’arabo da Gerardo da Cremona. Infine, non vanno dimenticate le grandi opere enciclopediche medievali, come le Etimologie di Isidoro di Siviglia, il Liber derivationum di Uguccione da Pisa, lo Speculum naturale di Vincenzo di Beauvais.

Come accennato, Dante non porta a termine il Convivio, presumi-bilmente per dedicarsi alla Commedia. Ci sono giunti quattro libri o trattati: il primo si costituisce come un’introduzione all’intera opera; il secondo commenta, con ampie digressioni, la canzone Voi che ’nten-dendo il terzo ciel movete; il terzo la canzone Amor che ne la mente mi ragiona; il quarto la canzone Le dolci rime d’amor ch’i’ solia. Da quan-to dichiara lo stesso Dante, sappiamo tuttavia che il piano dell’opera prevedeva il commento a quattordici canzoni, incentrate su altrettanti temi filosofico-morali, per un totale dunque di quindici libri. Riguardo agli argomenti dei trattati successivi, sempre in base a riferimenti inter-ni, possiamo formulare qualche ipotesi: il settimo trattato forse si sa-rebbe occupato della Temperanza, il quattordicesimo della Giustizia, l’ultimo della Liberalità.

8.2 Il volgare come strumento di divulgazione del sapere

Nel capitolo introduttivo del primo libro Dante espone il senso e le finalità didattiche dell’opera. La trattazione muove da una citazione

4 poi che… levava: ‘poi-ché nessun altro interve-niva in sua difesa’.

5 ne segue altrui: agli altri.

Fonti e modelli

Un’opera incompiuta

Il desiderio di conoscenza

dalla Metafisica di Aristotele, massima autorità filosofica, per il quale «tutti li uomini natural-mente desiderano di sapere» e quindi la perfezione dell’anima umana e «la nostra ultima felici-tade» risiedono nella conoscen-za. Tuttavia, innumerevoli uo-mini sono esclusi dalla felicità del sapere, per ragioni imputa-bili alle circostanze della vita o per loro indole. A tutti questi Dante, mosso dalla «misericor-dia» che ogni uomo deve prova-re verso il prossimo, e soprattut-to verso i «miseri», si propone di offrire ciò che egli, che non è un filosofo, ha raccolto dalla mensa dei sapienti, accompagnando la «vi-vanda» delle sue canzoni con il «pane» di un commento che le renderà commestibili, cioè comprensibili in ogni loro parte.

Alla luce di questa fondamentale premessa, in cui Dante, caricando di significati oggettivi la sua missione politico-culturale di intellettuale esule, si propone come mediatore nei confronti di un pubblico ‘naziona-le’ più ampio possibile, si può comprendere la cruciale scelta del volgare come lingua di trasmissione della conoscenza filosofica:

Tornando dunque al principale proposito, dico che manifestamente si può vedere come lo latino averebbe a pochi dato lo suo beneficio, ma lo volgare servirà veramente a molti. Ché la bontà dell’animo, la quale que-sto servigio attende, è in coloro che per malvagia disusanza1 del mondo hanno lasciata la litteratura a coloro che l’hanno fatta di donna meretri-ce2; e questi nobili sono principi, baroni, cavalieri e molt’altra nobile gente, non solamente maschi ma femmine, che sono molti e molte in questa lingua, volgari, e non litterati. Ancora: non sarebbe lo latino stato datore d’utile dono, che sarà lo volgare. (Conv. I ix 2-6)

Mentre un commento in latino avrebbe portato beneficio («scienza e virtù») solo a pochi, il volgare può portarlo liberamente a molti, in par-ticolare all’aristocrazia morale italiana composta da «principi, baroni, cavalieri e molt’altra nobile gente, non solamente maschi ma femmine», che sono stati esclusi dallo studio del latino, rimasto appannaggio di let-terati avidi di guadagni. Nonostante giudichi il latino di per sé superiore (Conv. I v), per «nobiltà» («è perpetuo e non corruttibile»), per «vertù»

(capacità di esprimere i concetti) e per «bellezza» (armonia della costru-zione), Dante riconosce nel volgare, con straordinaria preveggenza, il nuovo strumento da utilizzare per la divulgazione del sapere, per la for-mazione etica e culturale delle future classi dirigenti, e insomma per il-luminare tutti coloro che sono rimasti nell’oscurità: «questo sarà luce nuova, sole nuovo, lo quale surgerà là dove l’usato tramonterà, e darà lu-La scelta del volgare

1 malvagia... disusanza:

‘colpevole desuetudine’.

2 l’hanno fatta di donna meretrice: ‘da signora che era ne hanno fatto una prostituta’.

Figura 5 Luca Signorelli, Dante, 1499-1502;

Orvieto, Duomo, cappella di San Brizio.

me a coloro che sono in tenebre ed in oscuritade, per lo usato sole che a loro non luce» (Conv. I xiii 11).

8.3 L’amore per la filosofia

Il secondo e il terzo trattato sono tesi a rivendicare, tra ampie digres-sioni a carattere dottrinale, l’amore del poeta per la filosofia, reinterpre-tando allegoricamente in tale prospettiva la figura della «donna gentile»

che nella parte finale della Vita nuova conforta Dante per la perdita di Beatrice. Dante afferma che la canzone Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete fu composta poco più di tre anni dopo la morte di Bea trice pro-prio per la «donna gentile», nella quale è da riconoscere un’allegoria del-la Filosofia, al cui studio egli era approdato ricercando consodel-lazione in autori come Boezio e Cicerone. Quindi, cominciando «ad andare là dov’ella si dimostrava veracemente, cioè nelle scuole de li religiosi e a le disputazioni de li filosofanti», nel giro di circa trenta mesi aveva iniziato

«tanto a sentire de la sua dolcezza, che lo suo amore cacciava e distrugge-va ogni altro pensiero», fino a riconoscere la Filosofia come «figlia di Dio, regina di tutto, nobilissima e bellissima» (Conv. II xii). Senza nulla sot-trarre al valore che tali asserzioni hanno per lo stesso Convivio, si è già osservato come la condanna dell’amore per la «donna gentile» come «va-na tentazione» e «malvagio desiderio», nonché lo stesso trionfo conclusi-vo di Beatrice, cui si assiste nella Vita nuova, non sono in alcun modo compatibili con la rilettura dell’episodio promossa nel trattato filosofico.

Più che cercare di forzare il testo o la tradizione della Vita nuova, pare dunque utile interrogarsi sulle ragioni che hanno portato Dante a tentare una così spregiudicata rilettura, ragioni che sono probabilmen-te da ricondurre all’esigenza, evidenprobabilmen-temenprobabilmen-te avvertita come reale e pressante nel momento in cui egli si proponeva come guida culturale di una nuova aristocrazia morale, di rimuovere da sé l’immagine giovanile di poeta amoroso «fervido e passionato» (come viene definito nel Con-vivio lo stesso libello).

8.4 La questione della nobiltà

Nel quarto trattato, composto da trenta capitoli, il doppio di quelli dei due libri precedenti, Dante, commentando la canzone Le dolci rime d’amor ch’i’ solia, affronta l’arduo tema della nobiltà, che ai suoi occhi aduna in sé questioni di carattere etico, sociale e politico. La trattazione muove da una definizione attribuita all’imperatore Federico II, secondo cui la nobiltà è «antica ricchezza e belli costumi». Con una procedura ti-pica della quaestio, che prevede la propedeutica confutazione delle opi-nioni contrarie alla propria, e argomentando secondo lo schema del sil-logismo, Dante dimostra che la nobiltà non può derivare dal possesso di ricchezze, come crede il volgo, poiché queste non solo sono in sé vili e distribuite a caso dalla fortuna, ma accrescono continuamente la cupidi-gia a detrimento della tranquillità e della liberalità. Per nobiltade, che

La «donna gentile»

come allegoria della Filosofia

Una rilettura interessata

Una rilettura interessata