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ANALISI CRITICA DEI NPL

CAPITOLO III MARGINI DI MANOVRA

ANALISI CRITICA DEI NPL

Sono anni ormai che il sistema finanziario italiano si trova in cattive condizioni, ma la crisi è arrivata sulle prime pagine di tutti i giornali soprattutto a partire dal fallimento di quattro banche popolari (Banca Etruria, Carichieti, Banca Marche e Cassa di Risparmio di Ferrara) è divenuta particolarmente visibile e preoccupante.

Da un lato la parziale applicazione della direttiva europea BRRD, il cosiddetto bail in, ha portato perdite tra azionisti e investitori, tra cui molti risparmiatori comuni che

hanno contestato la perdita dei loro risparmi, sostenuti da numerose forze

politiche. Dall’altro, le banche italiane hanno cominciato a soffrire ad ogni guaio del mercato più delle loro concorrenti europee. All’inizio del 2016, con i timori sul rallentamento dell’economia cinese, le banche italiane hanno perso decine di punti percentuali in pochi giorni; la stessa situazione si è ripetuta dopo il referendum britannico. Governo, Banca d’Italia e l’associazione di categoria delle banche (ABI), sono tutti d’accordo su qual è la soluzione da adottare: usare soldi pubblici per salvare le banche, sospendendo la BRRD per evitare che azionisti e investitori ci vadano di mezzo. Ma si tratta di una soluzione molto difficile da percorrere.

Il problema è che le banche italiane sono in difficoltà oramai da parecchi anni. I loro problemi sono noti e sono in buona parte di origine locale: dirigenti un po’ antiquati, frequenti collusioni con la politica, molte più filiali e dipendenti di quanti siano giustificati dalle loro dimensioni, e una sorte di campanilismo finanziario che ha portato alla nascita di decine di istituti minuscoli e spesso poco efficienti.

Più precisamente il problema di più lunga durata quello dei cosiddetti NPL, cioè i crediti deteriorati che “pesano” sui bilanci delle banche e rendono difficile erogare nuovi prestiti.

Questi crediti deteriorati sono frutto in parte della crisi economica, che ha fatto sì che diversi privati e imprenditori non fossero più in grado di ripagare gli interessi sui prestiti ricevuti. Altre volte sono il frutto di scelte imprudenti e sconsiderate da parte degli amministratori delle banche. A causa delle regole che impongono un rapporto tra patrimonio e prestiti erogati, questi NPL bloccano la capacità delle banche di prestare nuovi soldi e quindi causano un grave danno a tutto il sistema economico, oltre a far temere per la solidità delle banche più deboli ed esposte a questo problema. Il problema è emerso con

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sempre più chiarezza anche grazie alle ispezioni e agli stress test della BCE, che hanno rivelato la difficile situazione italiana.

Il governo vorrebbe fare attuare come soluzione sia aumentare il patrimonio delle banche, sia ridurre la quantità dei NPL, ma usando soldi pubblici. È una soluzione che è appoggiata da tutti quelli che in genere vengono chiamati “poteri forti”: la Banca d’Italia, l’associazione delle banche, Confindustria e persino il Fondo Monetario Internazionale. Il problema è come farlo. Non solo la soluzione pratica è ancora piuttosto incerta, ma c’è un altro grosso ostacolo da superare: la procedura di bail-in.

Le nuove regole europee concedono agli stati la possibilità di salvare le banche, ma semplificando molto, la concedono solo nella misura in cui parte del salvataggio viene fatta pagare ai proprietari, cioè gli azionisti, e agli investitori della banca, cioè gli obbligazionisti, e in casi estremi anche a coloro che hanno depositato nella banca grosse somme di denaro.

Questa norma sembra più che sensata, ma prima di usare i soldi di tutti i cittadini per salvare una banca è bene che il conto venga pagato da chi quella banca l’ha gestita, cioè gli azionisti, e poi da chi ha scommesso sulla sua solidità, cioè gli obbligazionisti. In questo modo si “responsabilizzano” queste figure, che sapendo che dovranno pagare parte del fallimento, sono incentivate ad amministrare in maniera efficiente. Per questa ragione, la BRRD è stata votata anche dall’Italia nel 2013, senza che all’epoca nessuno avesse da ridire.

Dopo l’applicazione parziale della direttiva nel caso delle quattro banche, le critiche però sono arrivate da quasi tutte le forze politiche, oltre che da giornali e singoli commentatori, come per esempio il presidente dell’ABI Antonio Patuelli è arrivato a dire che la BRRD è “anticostituzionale”. Uno dei problemi della BRRD, e che è stato evidente nel caso delle quattro banche popolari, è che un numero elevatissimo di obbligazioni subordinate, le prime a subire perdite in caso di dissesto di una banca, non sono state vendute a investitori “normali” che possiedono la competenza necessaria ad acquistare questi strumenti, ma sono state acquistate da privati cittadini, pensionati o risparmiatori senza alcuna conoscenza specifica.

Una “scappatoia” per questo il governo da giorni sta cercando di ottenere dall’Europa la possibilità di salvare le banche italiane senza applicare la BRRD, un’ipotesi che è già stata

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nettamente respinta dal Cancelliere tedesco Angela Merkel, ma su cui la Commissione Europea sembra in qualche misura più aperta.

Ma se anche questo ostacolo venisse superato, ce ne sono come minimo altri due, altrettanto ripidi. Il primo è decidere di quanto capitale avranno bisogno le banche e per stabilirlo è necessario dare un prezzo ai crediti deteriorati; secondo le banche, è possibile recuperare circa il 40% del loro valore rivalendosi sulle garanzie sottostanti che in genere sono immobili per l’acquisto dei quali la banca ha concesso un mutuo. Ma al momento, chi prova a rivendere davvero questi crediti sui mercati ottiene tra il 10 e il 20% del loro valore.

Tuttavia va ricordato che per avere successo, sia al Fondo Atlante che alla Bad bank, devono affiancarsi altri interventi complementari come il miglioramento delle procedure interne di gestione dei NPL e le procedure giudiziali e stragiudiziali più rapide ed efficaci, infatti nel 2015 il Governo ha approvato un pacchetto di riforme che stanno dando un importante impulso all’efficienza del meccanismo di recupero crediti.

Ovviamente sia per il fondo d’investimento alternativo che per le bad bank, non ci sono solo lodi. Per quanto riguarda il primo c’è stata una “mezza bocciatura” da parte del

Financial Times, secondo il quale la “liquidità sarebbe insufficiente” e verrebbe ripartita in

maniera illogica, prendendola dalle banche grandi e ben gestite ed erogandola a quelle piccole ed inefficienti, così facendo ci sarebbe il rischio di indebolire tutto il sistema bancario italiano. Per quanto riguarda la seconda rimane il nodo della valutazione a cui poter conferire i crediti deteriorati agli SPV, perché una valutazione troppa bassa potrebbe incidere negativamente su bilanci e coefficienti patrimoniali delle banche, al contrario, una valutazione troppo alta potrebbe risultare in elevati costi per l’ottenimento della garanzia (sempre a condizione che l’erogazione di queste garanzie avvenga a prezzi di mercato).

Standard & Poor’s, aggiungono a riguardo, che la costituzione di una bad bank è una cosa

positiva, ma che da sola non risolve tutto e che, oltretutto, non si otterranno benefici simili a quelli ottenuti in Irlanda e Spagna.

Scontata è l’affermazione che il problema delle sofferenze bancarie non si risolve una volta per tutte, seguendo l’una o l’altra strada. Verrebbe risolto il problema delle sofferenze pregresse, ma non quelle che si creano nel presente e di quelle che si creeranno nel futuro; per queste la soluzione sta nel ritorno alla crescita dell’economia. Non per nulla il problema che si sta cercando di risolvere si è creato lungo anni di crisi, dal 2007 al 2014. I crediti

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deteriorati sono un effetto e non una causa della crisi, anche se possono diventare a loro volta la causa indebolendo le banche. La soluzione vera sta in un ritorno della domanda, della voglia di spendere, rischiare ed investire, innescata da maggior fiducia e da politiche economiche volte a favorire la crescita.

Come dice il Governatore Visco “ il consolidamento della ripresa economica è condizione indispensabile perché la riduzione dello stock di esposizioni deteriorate prosegua” e proprio per questo , a mio parere, è sempre possibile fare di più.

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