CAPITOLO III MARGINI DI MANOVRA
3.6 Dibattito tra ricapitalizzazione e costituzione di una bad bank
Il dibattito, apertosi nel mondo finanziario sulla scelta tra ricapitalizzazione e la costituzione di una bad bank avviene perché si trattata di due soluzioni che intervengono sul grado di leva finanziaria83:
nel primo caso si incide sul denominatore ovvero sul livello di patrimonio: il rischio di bad assets rimane in capo alla banca che mantiene il precedente livello del costo medio ponderato del capitale, ma tale situazione trova supporto nella più adeguata dimensione dell’equity, il cui specifico costo tende a diminuire quanto più l’aumento di capitale consente di rimborsare i debiti maggiormente onerosi;
nel secondo caso si opera sul numeratore, eliminando dall’attivo le attività tossiche e fortemente svalutate, compiendo così un’opera di risanamento e di pulizia, in tale
81 PAVARINI E. , L’equilibrio finanziario, McGraw-Hill, Milano 2006.
82 LINCIANO L. , La crisi dei mutui subprime: problemi di trasparenza e opzioni di intervento per le autorità di
vigilanza, Quaderni di finanza della Consob n.62, Settembre 2008.
83 Il problema classico nella gestione dei rischi bancari è di raggiungere un grado di leva finanziaria ottimale che
consenta un’adeguata remunerazione del capitale senza incorrere in pericoli di insolvenza. Il livello ottimale di leva dipende da numerosi fattori, ad esempio, la rischiosità dell’ambiente in cui la banca opera e di grado di protezione offerto dalle banche centrali, con riferimento ai rischi sistematici.
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evenienza il costo medio ponderato del capitale diminuisce notevolmente e con esso il costo dell’equity.
Per quanto riguarda l’immissione di risorse patrimoniali, la quantificazione dei capitali necessari deve assumere come parametro di riferimento minimale il coefficiente di solvibilità, che la banca deve inderogabilmente soddisfare con riferimento, non soltanto al volume ed alla composizione dell’attivo attuale, ma anche all’attività che si intende svolgere
e ai rischi che si intendono assumere84.
La bad bank sul piano economico ha una migliore capacità di svolgere i propri compiti in forza di una sua attitudine a rivelarsi organismo o , più precisamente, intermediario
finanziario specializzato85. In generale la scelta di costituire organismi specializzati
nell’attività di gestione e ricupero dei bad assets nasce sempre dall’esigenza di risanare una banca che ha manifestato uno stato di crisi più o meno grave. L’idea è quella di razionalizzare ed accertare la gestione di un servizio che altrimenti verrebbe gestito in maniera frammentaria con risultati e costi disomogenei.
Tuttavia nel contratto di outsourcing si devono considerare obiettivi, costi, comportamenti e responsabilità, tutti elementi che possono mettere cedente e bad bank su posizioni talvolta non coincidenti, anche perché il trasferimento di risorse al cessionario comporta una ridefinizione organizzativa e commerciale: il rischio è che la scelta possa essere determinata da motivazioni contingenti, ad esempio esuberi del personale, piuttosto che da reali motivazioni di efficienza, le quali richiedono invece un’attenta valutazione delle
risorse effettivamente disponibili e della loro qualità 86.
La costituzione di una bad bank è pertanto solo un aspetto di un piano di risanamento più articolato e complesso poiché in molti casi gli iter legislativi dei piani di salvataggio adottati dalle autorità di vigilanza si sono rivelati lunghi e controversi e le perdite subite dalla bad
bank sono state ripianate dalle banche cedenti, ovvero, in un modo o nell’altro, dallo Stato87.
84 L’intera regolamentazione prudenziale di vigilanza ruota attorno al concetto e alle dimensioni del patrimonio, in
termini di adeguatezza, che non significa misura ottimale, ma un livello minimale al di sotto del quale la banca non potrebbe operare, allo scopo di ridurre le probabilità che si verifichino insolvenze.
85 DACREMA P. , Alcuni profili teorici e pratici del bad banking, Newfin Working Paper, 1999. 86PORZIO C. , Securitisation e crediti in sofferenza, BAncaria Editrice,2001.
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Ciò significa che ai costi del fallimento molto spesso si preferiscono i costi delle perdite degli organismi specializzati.
Il verificarsi di uno stato di crisi e la ricerca della soluzione più idonea rappresentano insieme dei momenti traumatici che investono la proprietà, gli organi aziendali, i dipendenti ed i vari soggetti che all’esterno hanno rapporti con la banca. Nei suoi aspetti operativi la fase di gestione della crisi è estremamente complessa in quanto, ogni soluzione teoricamente percorribile, presenta controindicazioni per qualche soggetto. Si tratta di organizzare livelli decisionali, strutture e procedure che abbiano il compito specifico di fronteggiare la situazione di emergenza venutasi a determinare. Tuttavia non sempre all’interno della banca sono disponibili le professionalità necessarie per svolgere le analisi, per disegnare il piano di interventi e per realizzarlo; occorrerà allora far ricorso a soggetti qualificati opportunamente affiancati dai più idonei elementi della struttura.
Quello delle cosiddette bad bank è un fenomeno nato in quest’ultimi anni, che ha coinvolto i maggiori gruppi bancari italiani e internazionali, ma è tornato in voga soprattutto
recentemente con il progetto del piano Paulson 88 il quale prevedeva , inizialmente, che lo
Stato acquistasse i titoli tossici detenuti dalle banche. Il compito della bad bank, più volte detto, è quello di alleggerire le banche da attività tossiche e difficili da smaltire, nonché dalle perdite derivanti da quest’ultime, in modo tale da lasciare la banca originaria libera di funzionare regolarmente : divisione tra la parte good e bad della banca. Dal punta di vista operativo i bad assets verranno isolati nella situazione patrimoniale di quest’ultima e contestualmente si procederà a una scissione azionaria: potrà essere utilizzata la forma di sottoscrizione di azioni privilegiate da parte del governo, oppure quella di azioni ordinarie che potranno essere vendute sul mercato. Gli azionisti della società scissa consegnano le azioni detenute e ricevono in cambio nuove azioni della stessa ed azioni della società beneficiaria.
Anche nel caso della Lehman Brothers era stato presentato un piano di salvataggio che passasse mediante la creazione di una bad bank finanziata per una parte dalla stessa
Lehman, mediante un’operazione di scissione e per il resto dallo Stato; una quota di capitale
insomma doveva essere trasferita insieme agli asset problematici. È mancata la volontà politica di salvarla e tutto è andato in fumo.
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La creazione della bad bank comporta necessariamente l’immissione di mezzi patrimoniali esterni pubblici o privati: diviene così fondamentale stabilire qual è il ruolo, ma soprattutto, cosa comporta a livello organizzativo, gestionale e operativo un simile intervento. Come è noto la sottoscrizione di azioni di una società prevede l’acquisizione di diritti patrimoniali, diritto ad eventuali dividendi, e diritti amministrativi, diritto di voto, di partecipazione alle assemblee, nonché la partecipazione ad eventuali perdite. In particolare c’è il timore che lo Stato, partecipando al progetto della bad bank, diventi non solo compratore di titoli tossici, ma anche gestore della stessa, a sua volta collegata all’intermediario in difficoltà, e che le perdite, che molto probabilmente scaturiranno dalla
dismissione dei titoli illiquidi, verranno sopportate dai contribuenti 89 .
L’immissione di capitale investe tutte le principali variabili strategiche, tecniche, organizzative e gestionali e pertanto è necessario stabilire dei criteri chiari che definiscono beni i confini tra lo stato proprietario e lo stato regolatore perché solo così si possono realizzare interventi che abbiano tempi certi, garanzie di trasparenza e di tutela del mercato e degli interessi pubblici. La paura più grande degli intermediari in questione è che l’espansione del ruolo dello Stato, nata per contrastare temporaneamente la crisi, duri a lungo e porti a cambiamenti significativi nella divisione dei compiti tra Stato e mercato anche nei paesi in cui tradizionalmente il settore pubblico ha un ruolo più contenuto.
La realizzazione della bad bank consente di razionalizzare ed accertare la gestione dei crediti problematici che altrimenti avverrebbe in maniera frammentaria, con risultati e costi disomogenei. L’idea è che una volta acquisiti i titoli tossici, l’intermediario specializzato dovrà procedere alla loro liquidazione attendendo che, migliorate le condizioni del mercato, diminuisca la differenza tra il valore di mercato degli asset e quello nominale. L’obiettivo è infatti quello di massimizzare il valore di vendita in un’ottica di lungo periodo, per questo motivo le attività devono essere cedute ad un valore che tenga conto di un mercato normalizzato e delle possibili rivalutazioni future. Si verrebbe a creare in tal modo un operatore che decide quale tipologia di pratiche passare al ricupero stragiudiziale, quale processare al proprio interno e quale passare invece ai legali esterni : il tutto adoperando una strategia di aggressione delle insolvenze, con un’unica logica di approccio ai fornitori.
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Ovviamente un’efficace ed efficiente gestione degli attivi problematici dipende dalle risorse umane, tecnologiche e finanziarie di cui la bad bank sarà dotata: nelle esperienze passate le società di gestione dell’attivo delle Casse del Sud hanno svolto l’attività di ricupero ricorrendo al personale delle banche cessionarie sollevando quindi qualche dubbio
sull’efficacia del processo di realizzo 90. Ecco che sarebbe opportuno ricorrere ad una
capacità finanziaria ed ad una gestione dei flussi finanziari del tutto autonome. Inoltre una simile operazione, per essere efficace, non dovrebbe essere spinta da logiche di profitto a breve termine, ma coinvolgere tutti i mercati e quindi presupporre un coordinamento internazionale difficilmente attuabile in tempi brevi.
Per concludere la bad bank non deve essere concepita come un mero strumento di
salvataggio delle banche italiane, ma come un’opportunità per il rilancio dell’economia 91.
90 In generale, dietro posizioni di crediti deteriorati, esiste un’incapacità della struttura sia nell’analisi di fido sia in
quella successiva di monitoraggio della clientela affidata, ciò significa che le risorse umane, che inizialmente sono state responsabili del deterioramento degli asset, successivamente sono state chiamate a gestirne il ricupero.
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CONCLUSIONI
Questa tesi ha avuto come obiettivo quello di analizzare il problema dei non performing
loans e le possibili soluzioni per le banche : la cessione dei prestiti, la securitisation, la bad bank e il Fondo Atlante. Fondamentale è che la gestione di questi crediti problematici
mediate una di queste operazioni è una scelta rilevante per ripristinare la fiducia dei mercati e creare valore per gli azionisti.
Da questo lavoro è emerso che le banche si trovino a dover fronteggiare problematiche che derivano dalla subprime mortgage financial crisis e della sovereign debt crisis. Conseguenza di queste crisi è stata la presenza di questi elementi di debolezza nei bilanci bancari, dimostratisi una minaccia per la solvibilità delle banche stesse; essendo il sistema bancario il reale motore dell’economia in Italia, è estremamente importante che le banche in questione riescano a pulire i propri bilanci dai NPL per continuare ad elargire credito alle imprese e famiglie.
In particolare gli effetti negativi sui bilanci bancari possono essere di natura sia economica che finanziaria. Dal punto di vista finanziario i ritardi della clientela nei rimborso dei capitali erogati e le richieste di ulteriori prestiti da parte di controparti in difficoltà provocano un irrigidimento e una maggiore imprevedibilità dei flussi relativi all’attività di impiego rispetto a quelli relativi all’attività di raccolta, con effetti di squilibrio sul cash flow di gestione. Dal punto di vista economico, causa della contrazione dei ricavi da interessi vi è una riduzione del margine di interesse unitario, inoltre incidono negativamente sul risultato di esercizio anche gli elevati oneri connessi sia ai maggiori accantonamenti prudenziali dovuti al maggior rischio di credito, sia alla crescente quota di perdite da insolvenza non coperta dall’apposito fondo, che dovrà essere fronteggiata da una corrispondente dotazione patrimoniale. Tale capitale di rischio ha un costo non trascurabile che incide sul tasso di remunerazione dell’equity per azionisti.
Risulta pertanto opportuno cercare di individuare le principali cause che hanno portato a un così forte e repentino deterioramento nella qualità del portafoglio crediti delle banche.
Il peggioramento della qualità dei crediti viene generalmente ricondotto a periodi congiunturali negativi, pertanto la fase di recessione economica sia a livello nazionale che
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internazionale sarebbe la principale causa dell’incremento delle sofferenze, in quanto ha comportato una diminuzione dei profitti per le imprese e dei flussi di reddito per le famiglie, e ciò ha influenzato significativamente la capacità di questi segmenti di clientela di ripagare i prestiti ricevuti.
La qualità dei crediti bancari risulta pertanto condizione fondamentale per un regolare funzionamento del settore finanziario di un sistema economico sia in una prospettiva microeconomica, cioè dei singoli intermediari che ne fanno parte, ma soprattutto in una prospettiva macroeconomica, che mira alla stabilità del sistema finanziario nel suo complesso. A livello microeconomico, le banche operando in un contesto sempre più competitivo che rende necessaria una continua ricerca del mantenimento del proprio equilibrio economico patrimoniale, devono essere in grado di gestire prestiti con determinanti standard qualitativi per avere un grado di efficienza maggiore rispetto ai propri concorrenti. A livello macroeconomico, invece, la migliore qualità dei crediti erogati all’interno di un sistema finanziario contribuisce a influenzare le caratteristiche di stabilità del sistema stesso e, inoltre, si ripercuote sullo sviluppo operativo della politica monetaria, la cui efficacia appare certamente più incisiva in presenza di un circoscritto grado di rischiosità dei finanziamenti erogati dagli istituti di credito.
Iniziano però a vedersi delle possibilità di ripresa del settore conseguenti alla nascita di un possibile mercato degli NPL in Italia. Gli Istituti di credito Italiani, al contrario di quanto accaduto nel resto del Continente, non hanno reagito per tempo al problema, ma anzi hanno continuato a tardare l’avvio di tali operazioni di disinvestimento.
Le banche italiane hanno iniziato ad attirare capitali dall’estero, i quali sono alla costante ricerca di rendimenti elevati e sono consapevoli che l’NPL business, per la sua rischiosità intrinseca, può offrirne. Gli NPL italiani diventano, pertanto, sinonimo di business per diversi operatori come Hedge Funds e Private Equity, che vedono l’opportunità di investimenti per la grandezza potenziale del relativo mercato italiano e perché ritenuto particolarmente redditizio.
Si è parlato molto all’interno dell’elaborato di un problema chiave che ha ostacolato però tali operazioni, ossia il price gap. Anche questo aspetto sembra ridimensionarsi attualmente, grazie, da un lato ai primi segnali di ripresa del settore, che stimolano i distressed investors ad entrare nel mercato nazionale e dall’altro, grazie alla politica della BCE di stimolare la
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pulizia e la trasparenza dei bilanci spronando le banche stesse a portare avanti strategie simili. Gli NPL sono dunque la nuova priorità delle banche italiane per tornare ad essere competitive con le altre realtà creditizie del continente.
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