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Ancora ad analoghe conclusioni deve giungersi per le so- so-cietà di gestione immobiliare, che hanno dato luogo alle più vivaci

regola:IVAj = ti IVA v

10. Ancora ad analoghe conclusioni deve giungersi per le so- so-cietà di gestione immobiliare, che hanno dato luogo alle più vivaci

questioni. Anche in questo caso il reddito ricorrente del periodo di imposta, pur dovendo essere determinato secondo le disposizioni ine-renti ai redditi fondiari, sarà un reddito di impresa. Ma, e per questo genere di società la questione è ben evidentemente rilevante, saranno sempre tassabili le plusvalenze realizzate con la cessione degli immo-bili gestiti. Questa conclusione, cui poteva agevolmente pervenirsi an-che sotto il vigore del t.u. del 1958, è ormai di tutta evidenza (21). È quindi superata la questione, variamente risolta nelle sentenze ci-tate al n. 1, se l'attività di gestione immobiliare sia nei singoli casi, in ragione della consistenza dell'organizzazione dei servizi, oggetti-vamente commerciale (22), e se anche ai fini civilistici la società im-mobiliare possa essere considerata sempre una impresa (23). Il sol fatto della esistenza di una società commerciale riconduce nel red-dito di impresa ogni sua attività e tutti i beni ad essa appartenenti. Né può, come si vedrà al n. 14, ammettersi che una società immobi-liare possa essere una società semplice.

Diverso problema è se nella società immobiliare, ove l'attività consista in qualcosa di più articolato di un mero godimento, la de-terminazione del reddito debba farsi secondo il conto economico e

(21) FAI.SITTA, La tassazione delle plusvalenze, cit., 25 ss. ; PEHRONE,

So-cietà immobiliari: profili tributari, in Dir. e prat. trib., 1980, I, 843 e 846. (22) MICHELI, Reddito di impresa, cit., 399.

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non su base catastale e se, parallelamente, i beni immobili o taluni di essi debbano considerarsi strumentali (24). La questione è stata assai dibattuta, ma con una impostazione distorta, al fine di stabilire se gli immobili posseduti dalle società, in base ad una inesatta interpre-tazione dell'art. 40 del D.P.R. n. 597, potessero definirsi tutti stru-mentali e come tali non soggetti alla imposizione separata all'ILOR

ex art. 4, 5° comma D.P.R. n. 599 del 1973 (25). Questo problema è

ormai risolto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione nel senso della tassazione separata (26) ; e probabilmente la ragione della com-plicata norma dell'art. 52 del D.P.R. n. 597 che impone la determi-nazione catastale dei redditi ricompresi nel reddito di impresa va ri-cercata proprio nella finalità di rendere possibile l'imposizione sepa-rata ai fini ILOR, sulla base di un'unica determinazione (con unica dichiarazione ed unico accertamento) rilevante per le due diverse im-poste (diversamente lo stesso immobile avrebbe prodotto redditi disu-guali ai fini delle due distinte imposte e non si sarebbe avuto il dato disponibile per la liquidazione dell'ILOR ove il reddito degli immobili fosse finito nel coacervo del conto dei profìtti o delle perdite). Supe-rato questo episodio, risulta evidente che gli immobili detenuti in go-dimento, anche se dati in locazione, non sono beni strumentali in quanto direttamente produttivi, a meno che la società non abbia una complessa organizzazione di prestazione di servizi (locazione di case arredate con i relativi servizi qualcosa che si avvicini piuttosto alla industria alberghiera) nel qual caso non potrebbe nemmeno parlarsi di società di gestione immobiliare ma di società che è sicuramente ed a tutti gli efletti una impresa commerciale (27).

(24) PEBRONE, Società immobiliari, cit., 848 ss.

(25) TREMONTI, Appunti sul'imposizione tributaria del reddito dei

fab-bricati, in questa Rivista, 1978, II, 191; CICOGNANI, La tassazione del reddito

degli immobili posseduti dalle società ex art. 2200 cod. civ., in Dir. e prat. trib., 1980, II, 7; CIANI, Osservazioni in tema di strumentalità degli immobili, in questa Rivista, 1978, II, 265; MOSCHETTI, La tassazione degli immobili

stru-mentali per l'esercizio delle imprese commerciali ai fini delle imposte sai red-diti, in Imp. dir. erar., 1978, I, 49; LIZZTTX, La tassazione degli immobili

de-stinati ad attività commerciali, in Boll, trib., 1976, 1113; ID„ Ancora sulla

tassazione degli immobili destinati ad attività commerciali, ivi, 1977, 1056; ID., Ancora sulla non avulsione del reddito di impresa ai fini ILOR del

red-dito degli immobili non gestiti direttamente, in Dir. e prat. trib., 1978, II, 564; ID., Ancora sulla non avulsione del reddito di impresa ai fini ILOR del reddito

degli immobili non gestiti direttamente, ivi, 1979, II, 20; ID., Ulteriori

occa-sioni perdute per definire il reddito di impresa, ivi, 1979, II, 527 ; ROSA, Regime

dei redditi degli immobili appartenenti a società commerciali nelle imposte dirette, in questa Rivista, 1981, II, 4 ; MISCALI, Brevi considerazioni, cit., 879 ss.

(26) Cass. 6 maggio 1982, n. 2836, in Oiust. civ., 1982, I, 2353.

(27) PEBRONE, Le società immobiliari, cit., 852 ss., il quale esattamente paragona questa ipotesi alla locazione finanziaria.

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Anche in questo caso la situazione tributaria non è una ingiu-stificata affermazione di una ragione fiscale. Se la società è di mero godimento e totalmente mancante di una organizzazione di impresa, la sola ragione che può giustificare la creazione di una società com-merciale, oltre quella di eludere altre imposte, è per l'appunto quella di compiere affari, che esulano dalla mera amministrazione, con ope-razioni di vendita, trasformazione e simili, cioè proprio con il fine, sia pure eventuale, di realizzare plusvalenze.

11. Altra ipotesi problematica di società è quella fra profes-sionisti. A parte il serio sospetto di liceità di un tale contratto di so-cietà (28) dal punto di vista dell'ordinamento delle professioni, si du-bita che un raggruppamento di professionisti possa essere una vera società o ancor meno una impresa. Si osserva infatti che se anche il patto sociale prevede il concorso nelle spese e la ripartizione dei pro-fitti, in realtà ad esercitare la professione sono i singoli soci e non la società; comunque l'attività di professione intellettuale anche quan-do implica una organizzazione si ritiene poco compatibile con il concetto di impresa (29). Poiché forme di organizzazione fra profes-sionisti sono tuttavia frequenti, si sono sviluppate diverse teorie che tentano di dare una qualificazione al fenomeno, per lo più evitando di sfociare nella società commerciale, che sembra essere sempre più inconciliabile con l'esercizio professionale.

Il legislatore tributario non ha ignorato questa realtà, ed ha riconosciuto che possono crearsi società o associazioni per l'esercizio in forma associata dell'arte o della professione senza entrare nell'area del reddito di impresa, potendo tali entità essere equiparate alla so-cietà semplice (art. 5, lett. c, D.P.R. n. 597 del 1973}. Ma se i pro-fessionisti preferiscono creare, ammesso che sia possibile, una so-cietà in nome collettivo o in accomandita semplice o addirittura una società con personalità giuridica, non possono non andare incontro ad un regime diverso.

Nel caso della società con personalità giuridica è ovviamente ne-cessario che anche il reddito proveniente da attività professionale, come ogni altro reddito, sia da definire di impresa, perché queste so-cietà non sono capaci di produrre altre categorie di redditi (art. 5,

(28) Si deve però ritenere che ai fini tributari una società attiva è sicu-ramente soggetta all'imposta fino a quando non viene cancellata dal registro.

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D.P.R. n. 598 del 1973). Ma quando pure potesse immaginarsi che la società non organizzata ad impresa sia da considerare come un ente non commerciale, non sarebbe mai possibile arrivare a qualificare i redditi riferibili all'attività professionale come di lavoro autonomo, perché per gli enti non commerciali il reddito complessivo è formato soltanto dai redditi fondiari, dai redditi di capitale e dai redditi (non principali) di impresa; non è pensabile che una società di capitali possa produrre redditi da lavoro autonomo (art. 19, D.P.R. n. 598 del 1973).

Sulla base della identità del regime di tutte le società commer-ciali, tante volte sottolineato, in forza del quale le norme sull'IRPEG si richiamano sistematicamente a quelle sul'IRPEF, facendo questa volta un cammino a ritroso si deve ritenere che anche nelle società in nome collettivo e in accomandita semplice non è concepibile la produ-zione di un reddito di lavoro autonomo. Ciò del resto è riconfermato dal fatto che mentre rispetto ai redditi fondiari e di capitale le norme espresse dagli artt. 40 e 44 del D.P.R. n. 597 dichiarano rientranti nei redditi di impresa i proventi di tal natura affluenti a società com-merciali, una norma generale di eguale portata non si rinviene per i redditi di lavoro autonomo, e si rinviene invece con riferimento ai redditi derivanti dall'utilizzazione economica dei marchi, delle opere dell'ingegno e delle invenzioni industriali (art. 49, lett. b), che sono le sole attività intellettuali compatibili con la vita dell'impresa.

E poiché, come si è osservato, la costituzione in uno dei tipi di società commerciale è quanto meno equivalente ad una organizzazione in forma di impresa, anche in base al 3° comma dell'art. 52 si deve giungere alla conclusione che l'attività professionale (o di prestazione di servizi a terzi benché non rientrante nell'art. 2195 c.c.) produce un reddito di impresa se questo fa capo ad una società commerciale. Del resto le considerazioni che portano a disconoscere l'esistenza dell'organizzazione ad impresa quando sia esercitata una professione intellettuale (30), valgono soltanto nei confronti della persona tìsica del professionista non certo nei confronti di una società, e meno che mai di capitale.

In conclusione la pur problematica società di professionisti, quando comunque esista e produca un reddito, va ricondotta fra le

(30) FANTOZZI, op. loc. ult. cit. Peraltro Cass. 17 giugno 1982, n. 3679, in

Giur. it., 1982, I, 1, 1676 riconosce che l'esercizio di una professione intellettuale non è incompatibile con l'acquisto della qualità di imprenditore ai fini della soggezione al fallimento.

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imprese. Di ciò si può ricavare una ulteriore conferma nelle norme del D.P.R. 31 marzo 1975, n. 136 relative alle società di revisione. Di questa nuova entità è ancor assai controversa la natura, appunto perché l'organizzazione societaria è volta ad una attività piuttosto professionale; di conseguenza le norme da un lato tendono a perso-nalizzare la società di capitali, prescrivendo che gli amministratori abbiano determinati titoli professionali e che questi rispondono per-sonalmente (art. 8, nn. 2 e 12), dall'altro stabiliscono che la società semplice deve, contro i principi, essere registrata (art. 8, n. 3); ma dal complesso della normativa si evince che se non sia stata prescelta la forma della società semplice, e più che mai nelle società con per-sonalità giuridica, si crea necessariamente una impresa commerciale.

È appena necessario rilevare che quando una società con attività anche professionale sia legittimamente costituita con una vera e pro-pria organizzazione che le fa perdere il carattere di una società di professionisti, il problema tributario non si pone affatto (31).

12. Tutto quanto sin qui esposto deve valere anche per la