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Non sembrano peraltro ragionevoli né i dubbi di legittimità costituzionale né le critiche delle norme esaminate, che si basano sulla

regola:IVAj = ti IVA v

7. Non sembrano peraltro ragionevoli né i dubbi di legittimità costituzionale né le critiche delle norme esaminate, che si basano sulla

premessa non dimostrata che la società senza impresa sia un feno-meno ben possibile secondo il diritto privato e compatibile con le leggi tributarie del t.u. del 1958 e veggono nella riforma l'imposizione dura di una presunzione non rispondente alla realtà economico-sociale.

In punto alla legittimità costituzionale si è già visto (15), in relazione alla legislazione anteriore, che se nell'ambito dei soggetti aventi personalità giuridica (o tassabili in base a bilancio) si impone una distinzione tra enti commerciali e non, la stessa esigenza non si presenta per le società commerciali. Trasportando lo stesso problema nella nuova normativa, si vede chiaramente che quando pure la norma civilistica potesse tollerare l'anomalia di un soggetto non commerciale rivestito della forma di una società commerciale, bene a ragione la norma tributaria può non riconoscere una tale figura.

Si è profilato un dubbio di eccesso di delega, ma se pure la norma delegante non scendeva al dettaglio di situazioni assai particolari quale quello della società senza impresa, certamente non impediva che una soluzione al dubbio potesse essere data dal legislatore delegato, tanto più perché trattavasi di recepire un principio già accolto nella legislazione anteriore.

Il paventato contrasto con l'art. 53 Cost., in quanto la norma porrebbe una presunzione assoluta di produzione di reddito da parte di soggetti che esercitano attività diverse da quelle elencate nell'art. 2195 c.c., non ha nemmeno fondamento. Il richiamo alla capacità con-tributiva non è innanzi tutto appropriato giacché la norma non riguarda la quantità del reddito e la misura del prelievo, ma piuttosto la sua qualificazione in una delle categorie che, nell'ambito dell'unica imposta sul reddito complessivo, non dà luogo a diversa entità di im-posizione. Dalla qualificazione del reddito discendono conseguenze sul procedimento (modalità di accertamento in base al conto dei pro-fitti e delle perdite) e taluni effetti che sono certamente di contorno (imputazione nel periodo di imposta per competenza o per cassa, diversità delle regole di deduzione della passività) e in qualche caso possono essere anche di vantaggio (ad es. per le società di capitali il riporto delle perdite ex art. 17 del D.P.R. n. 598 del 1973). È stato osservato (16) che talune categorie di contribuenti hanno, in certi

(15) Supra, n. 5.

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momenti, manifestato la preferenza alla classificazione del proprio reddito come di impresa, per sfuggire alla ritenuta di acconto, salvo a mutare tendenza dopo la dichiarazione di incostituzionalità del-l'ILOR sul lavoro autonomo. Ciò se da un lato dimostra che non si può confrontare una qualificazione giuridica di categoria di reddito con il principio della capacità contributiva, d'altro canto avvalora la necessità di escludere simili possibilità di elastico incasellamento.

Il problema in buona sostanza torna ad incentrarsi sulle plusva-lenze e sulla loro tassabilità per il sol fatto della realizzazione (art. 54) ovvero solo se sono il frutto di operazioni di speculazione (art. 76) e, quando al reddito di impresa possa contrapporsi un reddito di la-voro autonomo, sull'imponibilità in ILOR.

Ma la soluzione legislativa, costituzionalmente legittima, non sembra nemmeno criticabile sotto altri profili. Una volta fissato il principio che l'organizzazione è elemento sufficiente a caratterizzare il reddito di impresa indipendentemente dall'esercizio di un'attività commerciale (art. 51 3° comma), ed una volta ritenuto che il concetto di organizzazione assunto dalla norma è molto esteso, si che è da considerare imprenditore anche il modesto artigliano (17), sembra, coerente l'affermazione che una società commerciale sia solo perché tale organizzata. Si potrebbe anche sostenere che ad una tale solu-zione potesse arrivarsi per via di interpretasolu-zione dell'art. 51, indi-pendentemente dalle numerose norme che sono state ricordate al n. 6.

D'altra parte se la società è stata costituita per libera scelta, un tale atto non può rimanere senza effetti, e ciò particolarmente se si esaminano le singole categorie di redditi rispetto alle quali l'esistenza della società dà luogo ad un cambiamento di categoria a norma del-l'art. 6 del D.P.R. n. 597 ; nei redditi fondiari è del tutto naturale il godimento individuale o in comunione ; se pertanto si crea una società al solo fine del godimento si compie un atto che non può non avere una finalità che modifica, anche agli effetti tributari, la condizione anteriore ; lo stesso è a dirsi se per l'esercizio di una impresa agricola o di una attività professionale si crea una società commerciale invece che una società semplice. Gli effetti che discendono dalla creazione di un organismo societario sono rilevanti e spesso di grande utilità an-che agli effetti tributari; è quindi perfettamente razionale an-che un determinato soggetto sia sempre il medesimo in ogni situazione, fa-vorevole o sfafa-vorevole.

(17) Sull'argomento esiste ormai una vasta bibliografia che qui è super-fluo ricordare diffusamente; v. per tutti FANTOZZI, op. cit., 69 ss., 116 ss.

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Si deve infine rilevare che il qualificare la società come impresa non è l'effetto di una presunzione legale e nemmeno di una finzione giuridica. Le espressioni «sono considerate» e simili, rivelano l'in-tendimento del legislatore tributario di introdurre autonome qualifi-cazioni giuridiche, ma non pongono presunzioni, meno che mai asso-lute, che impediscano di verificare la realtà effettiva. Su questo punto appare invero contradittoria la costruzione del Micheli (18) che ri-conosce che l'art. 51 non stabilisce presunzioni ma configura un con-cetto di reddito di impresa, più ampio di quello civilistico, idoneo ad abbracciare ogni forma di reddito ed ammette che il legislatore della riforma ha fatto ampio ricorso al corretto mezzo della equipara-zione a fini fiscali di situazioni differenti per il diritto civile; ma poi considera una irragionevole presunzione la necessaria provenienza da impresa di redditi di soggetti che non esercitano una attività commerciale.

Si è già visto che anche nel diritto privato la società senza im-presa è una anomalia di dubbia legittimità ; di conseguenza non è né una presunzione né una finzione il dettare regole precise e meno ela-stiche che consentano di qualificare ex ante i redditi prodotti in si-tuazioni anomale, per evitare al massimo ogni incertezza (in questa direzione i vari « si considerano » sono una direttiva, più che oppor-tuna, doverosa). Ma, indipendentemente da tutto questo, il legislatore della riforma ha provveduto, come pure era necessario, a definire i fatti produttivi di reddito di impresa in base a criteri di ordine tributario anche indipendentemente dai concetti civilistici (19) e nel-l'ambito di queste definizioni, in continuità anche con il passato, è ri-sultata ben coerente e giustificata l'affermazione dell'indefettibilità dell'impresa ove esista la società commerciale.

Con ciò è risolto anche l'altro problema, accennato al n. 4, del regolamento tributario di fenomeni verificatisi che siano eterodossi sul piano civilistico: se una società commerciale (o più esattamente una società in nome collettivo ecc. secondo l'elencazione degli artt 6, D.P.R. n. 597 e 2, lett. a, D.P.R. n. 598) ha prodotto un reddito questo è soggetto all'imposta come reddito di impresa, anche se quella so-cietà può non considerarsi un imprenditore commerciale, o non poteva essere come tale registrata o non è soggetta a fallimento ovvero il contratto sociale è nullo o simulato. Questa scissione tra effetti civili

(18) Reddito di impresa, cit., 402, 406 e 416. (19) FANTOZZI, op. cit., 89.

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ed effetti tributari è assolutamente necessaria e, anche soltanto per questo, giustificata e razionale.

Possiamo in conclusione affermare che non esistono ragionevoli dubbi sulla qualificazione come di impresa di ogni reddito prove-niente da una società commerciale regolare. Restano allora da esa-minare soltanto alcune ipotesi di società che per particolari caratteri danno luogo a maggiori perplessità.

8. In base a quanto già esposto si deve ritenere che la società