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Controversa è sempre stata la ammissibilità della società occasionale. Nella dottrina commercialistica la vivace discussione si

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13. Controversa è sempre stata la ammissibilità della società occasionale. Nella dottrina commercialistica la vivace discussione si

è particolarmente soffermata, oltre che sul difetto di professionalità, sull'aspetto della mancanza dell'organizzazione ad impresa, dal che si sono fatte discendere le soluzioni più diverse. Tuttavia proprio la ampiezza del dibattito sta a dimostrare che il fenomeno esiste nella realtà ed è giuridicamente rilevante. Peraltro è stato osservato che

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la società unius negotii può anche assumere, in relazione alla dimen-sione dell'affare, una validità nel tempo ed acquisire i caratteri della professionalità e della organizzazione. Esperienze legislative recenti (art. 20, legge 8 agosto 1977, n. 584) hanno dato rilevanza alla crea-zione di raggruppamenti di imprese, che in taluni casi possono crearsi come società e che, se pure unius negotii, danno luogo ad una orga-nizzazione che dura nel tempo ed opera professionalmente.

Ai fini tributari l'evento produttore di reddito è in ogni caso rilevante sotto l'aspetto oggettivo e soggettivo. Di conseguenza non nasce problema quando una società sia costitutia formalmente, anche se non sia stata registrata.

Più difficile è il problema della società occasionale di fatto sia sul punto se possa considerarsi esistente un organismo sociale, sia sul punto se il fenomeno debba inquadrarsi nel reddito di impresa e nei redditi diversi (35).

È bensì vero che nella definizione del reddito di impresa viene sottolineato l'elemento della professione abituale (art. 51) e in re-lazione a ciò vengono raccolti nel titolo VI, quali redditi diversi, i redditi da attività commerciale non abituale. Ma ciò vale per i sog-getti individuali per i quali è necessario distinguere la professionalità dalla occasionalità a molteplici effetti ; non vale invece per le società per le quali la professionalità è implicita nella stessa esistenza e non è previsto come necessario un minimo di durata. Nemmeno è di osta-colo la mancanza di organizzazione che suole presumersi come con-seguenza della occasionalità (per vero la occasionalità non è necessa-riamente incompatibile con l'organizzazione). Si è viso infatti che la organizzazione è immancabile in ogni società e che, comunque, non è elemento necessario quando sia esercitata una attività commerciale. E particolarmente la società di fatto, la cui esistenza è rivelata ap-puno dall'esercizio della attività o dal risultato (produzione di un reddito in forma associata) può realizzare soltanto un reddito di im-presa e mai un reddito occasionale ex art. 77. A ben vedere si può parlare di occasionalità di un reddito soltanto riguardo ad un sog-getto che produca abitualmente redditi di un'altra categoria ; di fron-te ad una società non esisfron-te questa possibilità e quindi ogni reddito deve essere di impresa. Di conseguenza la episodicità, al di sotto di una minima consistenza, potrà portare ad escludere l'esistenza della

(35) La sent. 6 aprile 1982, n. 2104, citata al n. 1, ha escluso che la società occasionale possa essere una impresa.

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società, ma non a far ritenere non imprenditoriale l'attività prove-niente da un organismo sociale.

Sarà naturalmente necessario che la società abbia prodotto un reddito in quanto tale, agendo autonomamente, distinguendo dai sin-goli soci, e con propri mezzi che siano stati conferiti; ma quando ciò risulti la natura societaria non può essere esclusa se l'oggetto sociale consiste nella gestione di un unico affare.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione, sotto il vigore del t.u. del 1958, ha esaminato il problema con una impostazione che non appare corretta; ha infatti fermato l'attenzione non sulla creazione di una società (di fatto) occasionale, bensì sulla esistenza di una « altra » organizzazione di persone e di beni non personificata, come prevista nel 1° comma dell'art. 8 del t.u. ; e riconosciuto in via gene-rale che la capacità giuridica tributaria è più estesa di quella di diritto comune (36), ha poi affermato che tali organizzazioni non sono per loro natura imprese. Di conseguenza mentre ha escluso che questo tipo di organizzazione possa realizzare una plusvalenza per cessione di avviamento (37), ha ritenuto che, sempre ai fini della plus-valenza, debba essere dimostrato l'intento di speculazione. Questo è stato positivamente riconosciuto nel caso che una società di capitali abbia costituito i suoi beni in enfiteusi a favore dei soci e che con-cedente e enfìteuti si siano riuniti, appunto in una organizzazione non personificata, per vendere a terzi congiuntamente i propri diritti che ricompongono l'intero diritto di proprietà (38). È stato invece giudi-cato di più diffìcile dimostrazione l'intento di speculazione nel caso di raggruppamento del pacchetto delle azioni con lo scopo di cederle unitariamente (39).

Non sembra però che sia stato invocato a proposito l'art. 8 del t.u. del 1958 (riprodotto nell'art. 2, lett. ò del D.P.R. n. 598 del 1973).

(36) 14 gennaio 1982, n. 231, in Riv. leg fiso., 1982, 1835. (37) 22 luglio 1980, n. 4784, in Rass. Aw. Stato, 1981, I, 391. (38) 14 ottobre 1980, n. 5509, in Giusi, civ., 1-981, I, 54.

(39) 1 febbraio 1980, n. 729, in Dir .e prot. trib., 1980, II, 3 ; 28 marzo 1981, n. 1786, in Riv. leg. ftec., 1982, 1704; in senso contrario 28 ottobre 1981, n. 5643, ivi, 1982, 1222. Si deve peraltro rilevare che la questione è stata malamente impostata perché si è individuata la plusvalenza nel trasferimento del patrimonio o dell'azienda attraverso il trasferimento delle azioni al che si è replicato che il trasferimento delle azioni, anche dell'intero pacchetto, non incide sulla proprietà dell'immobile che resta della società. Più corretta-mente il problema risulta impostato nella decisione della Commissione centrale, Sez. I, 24 maggio 1979, n. 6346, in Giur. imp., 1980, 468, che individua la plusva-lenza nel maggior valore che le azioni raggruppate hanno rispetto alle azioni singole.

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È questa una norma di chiusura diretta a raccogliere ogni ipotesi anomala che potrà presentarsi (o essere inventata), e ciò allo scopo di impedire che possa rimanere non assoggettato all'imposta un red-dito effettivamente prodotto a causa del difetto di capacità del sog-getto produttore. Ma non era necessario il ricorso a questa ipotesi estrema per qualificare un fenomeno ben più concreto ed usuale quale quello della società di fatto occasionale. Peraltro non è detto che la occasionalità sia meglio compatibile con le anomale organizzazioni piuttosto che con la società in nome collettivo. Le organizzazioni anomale, che hanno una somiglianza piuttosto con le associazioni e fondazioni (organizzazioni di persone e di beni), erano nell'art. 8 ri-comprese fra i soggetti tassabili in base a bilancio e sono oggi rag-gruppate fra i soggetti passivi dell'IRPEG ; non possono quindi essere utili per il problema delle società personali di fatto. Infine non è corretta l'affermazione che queste organizzazioni particolari non sono mai imprese ; si potrà se mai dire che non sono necessariamente im-prese, ma non si può certo escludere che possono esserlo. Oggi infatti l'art. 2 del D.P.R. n. 598, che non sembra affatto innovativo, com-prende le organizzazioni anomale, assieme a tutti gli altri enti privati e pubblici della lettera ù), fra gli enti commerciali quando hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali.

L'argomentare sulla base di questi inconsueti soggetti passivi è stata dunque una elusione del problema della società occasionale. La menzionata sentenza 14 ottobre 1980, n. 5509 ha invero ritenuto super-fluo scendere a verificare l'esistenza di una società di fatto essendo sufficiente l'accertamento di una più estesa soggettività tributaria, posto che nel caso deciso era stato positivamente dimostrato l'intento di speculazione (40). Ma in altri casi l'anomala organizzazione, non imprenditoriale, ha fatto da ostacolo all'ulteriore problema della so-cietà occasionale.

La società occasionale è sicuramente un fenomeno rilevante per il diritto tributario e non se ne può disconoscere la importanza e frequente ricorrenza. Questa società è da considerare una impresa com-merciale, come ogni altra società anche se di fatto, a meno che non si presenti per il suo oggetto come una società semplice. Diverso pro-blema è lo stabilire se in concreto possa essere indotta l'esistenza di una società da un fatto o da un risultato.

(40) Di simile contenuto la sentenza 11 novembre 1981, n. 5975, in Kiv.

leg. fise., 1982, 1571, 46. Riv. dir. fin. - 1 - 1983.

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14. Abbiamo già parlato (41) della società semplice e constatato