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ANCORA SULLA DISCIPLINA DELLE ASSUNZIONI

Nel documento Cronache Economiche. N.002, Anno 1983 (pagine 45-51)

OBBLIGATORIE

Pio Filippo Becchino

Nel precedente fascicolo di questa rivista abbiamo esaminato alcuni mezzi che le ditte tenute ad occupazioni obbligatorie per la legge n. 482/1968 (e secondo il pro-getto, di quella legge sostitutivo, attual-mente in discussione alle Camere) hanno a disposizione, ed entro quale limite sia loro consentito utilizzarli, qualora si sentano lese, per contrastare l'azione della P.A. Ci accingiamo ora a completare l'argo-mento, venendo a parlare della possibilità per le aziende di conteggiare, nella percen-tuale riservata all'obbligo, i soggetti, assun-ti tramite il collocamento ordinario, rico-nosciuti inabili in corso di rapporto di la-voro nonché quelli riconosciuti invalidi prima dell'atto di avviamento ma avviati anch'essi dal collocamento ordinario. Ci troviamo oggi ancora di fronte la vec-chia normativa, formulata dalla citata L. 482 in modo letteralmente dubitoso, che sembrò risolta dal secondo comma dell'art. 9 del D.L. n. 17 del 29/1/1983.

Detto Decreto tuttavia non era nato se non «per contenere il costo del lavoro» e non aveva quindi lo scopo né la pretesa di mo-dificare definitivamente o rimpiazzare, sui punti da esso trattati, la normativa impo-sta dalla L. 482: in altre parole, la discipli-na generale del collocamento obbligatorio (che sostituirà la menzionata legge del 1968, rivestendo a nuovo l'istituto) è tutto-ra « in fieri » e sta seguendo un suo diverso iter, non pregiudicato dall'intercorso II comma dell'art. 9 del D.L. n. 17 (illusoria meteora) né dalla sua non conversione né dalla «non decisione» adottata con la legge n. 79 del 25/3/1983. Quest'ultimo stru-mento non solo non ha risolto il nostro problema (non ammettendo né respingen-do, semplicemente togliendo di mezzo la soluzione adottata dal D.L. n. 17) ma au-tomaticamente ha rimandato alla prece-dente dibattuta incertezza. Per il «conteg-gio globale» degli invalidi riconosciuti tali in costanza di rapporto non s'è dunque av-vicinato il tempo delle scelte; il tentativo formulato dall'art. 9 del D.L. n. 17 (che avrebbe potuto costituire un dato di riferi-mento in proposito) è stato solo un fiorelli-no timido, spaventato dalla stagione fiorelli-non aperta ed ostile.

Per meglio comprendere la portata del ri-cordato secondo comma dell'art. 9 del D.L. n. 17, vediamo quali fossero e siano le situazioni che, dall'epoca della Legge n. 482/1968, nelle imprese si presentano: si

può dunque, ancor oggi, verificare il fatto che, con l'immissione, diciamo «ufficia-le», nelle ditte degli invalidi avviati obbli-gatoriamente dall'Ufficio provinciale del lavoro, quelli già occupati nelle stesse ditte (e fruenti delle percentuali d'invalidità de-terminate dall'Organo sanitario competen-te, previste dalla L. 482) vengano restituiti o respinti alle mansioni proprie della pro-duzione. Questo può succedere se le azien-de hanno concesso sua sponte agli invalidi divenuti tali in costanza di rapporto posti di particolare riguardo od attenzione con l'assegnazione di lavori scelti a misura d'uomo. E cioè la ditta (con più di 35 di-pendenti esclusi gli apprendisti) che si tro-va già in precedenza gratro-vata di personale invalido (non avviato obbligatoriamente, sia pure, ma invalido tuttavia nel grado ri-chiesto), vedendosi ora intestataria di uno 0 più avviamenti obbligatori (cui non do-vrebbe quindi non conseguire l'assunzione) può sentirsi economicamente sbilanciata nei costi di gestione e reagire ridisegnando la mappa degli incarichi e funzioni di ogni suo subordinato polivalente; il che com-porta la quasi certa o almeno probabile perdita dell'occupazione per l'invalido già occupato presso la ditta cui era stato av-viato con nulla-osta ordinario e quindi non munito di «ordine» di assunzione a termi-ni di collocamento obbligatorio.

1 datori di lavoro infatti, specie i piccoli, non sempre sono in grado e quindi si adat-tano con difficoltà a gestire, sul piano eco-nomico-produttivo, un organismo che, qualora fosse sovraccarico d'inabili, rice-vuti sia dal collocamento ordinario (e suc-cessivamente riconosciuti), sia dal colloca-mento obbligatorio (senza il permesso di globalizzare ogni invalido nella quota d'obbligo), potrebbe avvicinarsi più al mo-dello di ente che a quello d'impresa: si ri-corda infatti che detti lavoratori possono essere utilizzati per la sola resa, a volte scarsissima, che ognuno può ancora dare, in un contesto ove spesso le varie immis-sioni di personale, idoneo solo parzialmen-te, potrebbero rendere necessaria o la crea-zione ad hoc di eventuali posti speciali e debolmente utili (ma fino a che punto ciò può ripetersi?) o la destinazione a lavori non appaganti.

Si aggiunga che l'imprenditore è tenuto ad utilizzare tutti i sottoposti con la massima cura ed il riguardo che ad ognuno di essi soggettivamente compete, così che non ne

scapiti né la loro salute né la loro persona-lità (art. 2087 c.c., art. 32 della Costituzio-ne italiana, preambolo della CostituzioCostituzio-ne deirO.I.L.).

A giustificazione di tali atteggiamenti di estrema cautela dei datori di lavoro, si preci-sa che, fra invalidi in costanza di rapporto e protetti avviati come tali in quota d'ob-bligo, non poche ditte raggiungono percen-tuali superiori al globale 15% previsto dal-la L. 482. Pertanto, prima del D.L. n. 17 e nuovamente oggi, dopo la L. n. 79/1983, come conseguenza ad avviamenti obbliga-tori effettuati dall'Organo di Stato (a mez-zo di atti amministrativi non tenenti alcun conto degli invalidi già presenti in ditta) si assisteva ed assiste ad una conflittualità, sorda o palese, esplicantesi in tentativi (po-sti in essere da numerosi datori di lavoro) di sbarazzarsi degli invalidi di più difficile utilizzo , previa l'assegnazione ad essi di compiti scarsamente consoni, costituenti l'anticamera del licenziamento oppure mezzi defatiganti per indurre, non sempre correttamente, all'autolicenziamento. La Costituzione in proposito non poneva differenze fra le due cennate situazioni am-ministrative, limitandosi a dire: Art. 38, III comma — «gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale», donde non era lecito trarre il benché minimo motivo per argomentare che i lavoratori inabili non iscritti nelle li-ste del collocamento obbligatorio debbono essere tutelati in modo difforme da quello in cui lo sono quelli iscritti, rendendo pos-sibile una loro collocazione (e conseguente discriminazione prò parte) in due sottoca-tegorie a diversa protezione (assai spesso, come due cani sopra un osso solo) schiera-te l'una contro l'altra.

E qui occorre richiamare brevi osservazio-ni: i posti di riguardo (fattorino, telefoni-sta, custode, ecc.) presso tutte le aziende sono bensì (quasi sempre) coperti da perso-nale invalido, ma di rado (a meno di au-menti dell'organico) a quei posti se ne pos-sono aggiungere altri simili, in modo che i nuovi invalidi avviati riescano a ottenere un più sicuro e agevole spazio od aspirare a averlo. Tali posti non sono istituibili a volontà, in quanto la loro esistenza è con-nessa alle esigenze aziendali, che di solito sono imprescindibili e che pertanto ne li-mitano il numero, il quale risulta perciò di gran lunga inferiore a quello delle assun-zioni d'obbligo.

Va quindi quasi sempre affrontato il pro-blema di un inserimento dell'invalido, aspirante al collocamento, nella vera e propria attività produttiva dell'azienda af-fidandogli ovviamente mansioni confacenti alle sue condizioni fisiche. E qui comincia-no le difficoltà: difficoltà reali, che comincia-non emergono dall'astratto esame delle norme, ma si manifestano nella pratica attuazione delle stesse: assegnati a compiti di produ-zione, infatti, gli invalidi, più esposti degli altri lavoratori sani ai pericoli dell'ambien-te (hanno meno forza, meno autodifesa, meno attenzione o controllo, incorrono in maggiori possibilità d'infortunio, anche se adibiti con cautela ai lavori dei sani) crea-no e comportacrea-no sempre problemi estre-mamente seri. La natura della minorazio-ne, le varie particolari situazioni aziendali, le aspirazioni che gli interessati avanzano, le mansioni disponibili, la stessa località di occupazione ecc., di volta in volta si osta-colano, rendendo difficoltosa l'attività im-prenditoriale (come prima avevano resa ostica l'azione collocativa). E non si può non tenere conto dei dati menzionati nel precedente periodo, per la ragione che, in caso contrario, si possono raggiungere solo occupazioni di brevissima durata, per tace-re delle rinunce, con lo scontento sia degli invalidi sia delle aziende.

Chi scrive è a conoscenza dell'atteggiamen-to della P.A., che mira ad escludere dai conteggi relativi alle percentuali dei «pro-tetti» in azienda gli invalidi tali divenuti in costanza di rapporto e non avviati d'obbli-go o che ottend'obbli-gono il riconoscimento d'in-validità dopo l'instaurazione del rapporto di lavoro anche se assunti in modo ammi-nistrativamente valido; è a conoscenza del-l'intermedia soluzione adottata nel proget-to di riforma (benché non definitivamente elaborato) per la nuova disciplina del col-locamento obbligatorio (globalizzazione non ammessa, a meno che la residua capa-cità lavorativa dei soggetti riconosciuti ina-bili nel corso del rapporto risulti inferiore al 40%; fatta però salva la possibilità di sommatoria nei confronti degli invalidi del lavoro e per servizio: artt. 4 e 7 del proget-to citaproget-to); sa dei contrasti fra la dottrina e la giurisprudenza, con l'ultima S.C. con-traria essa pure alla globalizzazione, men-tre era stato a favore il Consiglio di Stato (per tutti vedasi Pulvirenti in «Il diritto del lavoro» sett. ottob. 1980, con la bibliogra-fia colà citata).

Premesso quanto sopra, lo scrivente ritiene che lo scopo vero ed ultimo della discipli-na (che è quello di tutelare categorie di prestatori di lavoro per la più parte affetti da anomalie che ne riducono il rendimen-to) sia realizzato anche nel caso di compu-to, in quota obbligatoria, degli invalidi di-ventati tali nel corso del rapporto di lavo-ro, non essendo stati avviati con atti am-ministrativi obbligatori.

Lo scopo della legge, effettivizzato attra-verso un'equa ripartizione del sacrificio economico (che tal genere di assunzioni comporta) fra tutti i datori di lavoro, è rag-giunto in ogni caso in cui di fatto le azien-de vi si sobbarcano: la causa azien-della normati-va è rispettata anche nelle seguenti ipotesi:

prima (di cui quasi sempre si parla):

invali-dità che sia stata riconosciuta in corso di rapporto di lavoro, nella percentuale pvista dalla legge, dopo un avviamento re-golare del collocamento ordinario, seconda (di cui quasi mai si parla): invalidità già presente e già riconosciuta in capo ad un soggetto che sia stato avviato dal colloca-mento ordinario su richiesta numerica, scorrendo le graduatorie dei disoccupati. Anche tali ipotesi rispettano i fini sociali della disciplina, non li stravolgono e nep-pure sembrano eluderli.

Nel particolare caso presentato dalla se-conda ipotesi e la cui soluzione non era presente nel D.L. n. 17 il quale la ignora-va, si potrebbe forse sostenere che il datore di lavoro (il quale ha chiesto al colloca-mento ordinario delle persone evidente-mente idonee, per categoria e qualifica, ad un certo lavoro) ha il dovere giuridico d'impiegare (e trattenere a tale lavoro, fat-to per persone idonee) un individuo meno-mato? O non sarà invece vero, com'è vero, che all'assuntore non resta che acconten-tarsi (adibendole a mansioni confacenti e minori) delle residue possibilità di rendi-mento dell'inabile, avviato dal colloca-mento ordinario come idoneo (come ido-neo assunto e quindi teoricamente assegna-bile a qualsiasi posto di lavoro), evidente-mente sempreché non l'abbia rifiutato su-bito essendosi accorto per tempo dell'erro-re? E ciò indipendentemente dal fatto che il collocamento per le categorie protette operi su base provinciale con graduatorie provinciali, mentre il collocamento ordi-nario (da cui è stato assegnato il soggetto di cui alla seconda ipotesi) opera su base ter-ritoriale, con graduatorie a base

prevalen-temente locale: è bensì vero che il menzio-nato soggetto è stato assunto per essere as-segnato come se fosse idoneo totalmente ad un certo lavoro, ma egli idoneo (di fatto e di diritto) no è; può essere perciò solo uti-lizzato per quanto può ancora rendere — i citati artt. 2087 c.c. e 32 della Costituzione parlano chiaro —; non si vede per contro, qual sia il motivo per cui debba scapitarne l'imprenditore che quel posto di lavoro ha saputo creare ed offrire: può trattarsi di av-viamento effettuato dal collocamento ordi-nario sulla scorta di dati insufficienti; può essere che il disoccupato, spinto dal biso-gno, si sia iscritto anche in liste ordinarie senza denunciare l'infermità; può essere che egli possa rendere (per certe mansioni) quasi come un idoneo, almeno durante la prova; è facile quindi che il datore di lavo-ro automaticamente domani si ritlavo-rovi il la-voratore nella forza effettiva; e allora sarà troppo tardi per chiarire il disguido: reste-ranno obiezioni, di varia natura, da parte dell'Organo di Stato, del lavoratore e del suo sindacato, tutte contrarie ad un suo li-cenziamento. Non sarebbe più semplice, sensato, agevole, che il datore di lavoro possa trattenere in organico la persona me-nomata sommandola (se la sua ditta ha la capienza minima necessaria), nelle denun-ce semestrali, agli altri avviati in perdenun-cen- percen-tuale d'obbligo da parte del parallelo collo-camento per le categorie protette?

Si deve osservare a questo punto che tutto il sistema delle protezioni legali ed il mec-canismo che le mette in essere ha solo fon-damento nel fatto dell'esistenza di certe ca-tegorie di lavoratori considerati socialmen-te degni di una particolare prosocialmen-tezione. E pertanto da escludere (come meglio in se-guito diremo) il privilegio che alcuni giudi-ci e saggisti sono stati tentati di dare — in nome della funzione pubblica esercitata — all'Organo di Stato incaricato di proteggere tali categorie e alle graduatorie da Esso for-mulate. In altri termini, non ha interesse pubblico, non giova alla società se la pro-tezione delle categorie cennate sia messa in atto dal secondo o dal terzo ufficio del se-condo reparto dell'U.P.L.M.O.; non giova ad alcuno una dicotomia rigidamente di-sgiuntiva «collocamento ordinario - collo-camento obbligatorio»: in entrambi i casi trattasi di pubbliche funzioni, esercitate con graduatorie separate e purtroppo scar-samente collegate, ma non per colpa dei soggetti protetti. Gioverebbe invece e

rap-presenterebbe un beneficio sul punto — si osserva per inciso — uno stretto collega-mento fra i due compiti degli Uffici del La-voro e fra i due tipi di collocamento, do-vendosi però tener presente il dettato del-l'art. 15 della Carta sociale europea: «le parti contraenti s'impegnano a prendere misure adeguate per il collocamento delle persone fisicamente minorate, specialmen-te per mezzo di servizi specializzati di col-locamento, di possibilità d'impiego protet-to ecc.». La prospettata riforma, per cui il collocamento obbligatorio sarà «funzione esercitata dagli organi competenti per il collocamento ordinario dei lavoratori» — così almeno si esprimeva il primo comma dell'art. 2 del progetto già citato — per po-ter costituire un avanzamento effettivo va rivista pertanto anche alla luce del menzio-nato enunciato della Carta sociale europea (che parla di servizi specializzati nell'indi-rizzare gli invalidi) affinché siano sempre i soggetti da proteggere (a qualunque organo od istituto predisposto o integrato dallo Stato facciano capo - IV comma art. 38 Costituzione italiana) ad essere sorretti e privilegiati e non invece le strutture ammi-nistrative esistenti o quelle che le sostitui-ranno.

La particolare funzione del collocamento obbligatorio non sembra perciò in pratica non rispettata nelle due ipotesi sopra for-mulate (relative a protetti avviati al di fuo-ri delle graduatofuo-rie del collocamento ob-bligatorio): in entrambi i casi non è

inter-venuta la sezione preposta presso l'U. P.L.M.O., ma altra sezione dello stesso Or-gano di Stato. Non è tuttavia intelligibile — se si sceglie il vantaggio delle categorie protette (nel loro insieme) e non quello supposto (potere, prestigio) degli organi preposti, privilegiare indirettamente questi ultimi e le graduatorie provinciali (in osse-quio ad una funzione pubblica più partico-lare della funzione pubblica del colloca-mento ordinario, secondo una scala di va-lori delle pubbliche funzioni ove svetti il collocamento obbligatorio e siano in su-bordine le altre). Uno dei risultati di tale concezione potrebbe essere costituito altre-sì dalla cristallizzazione di divisioni rigide negli organigrammi dell'organo preposto, a discapito degli stessi utenti inabili cui sola-mente deve essere prestata invece « la pro-tezione».

Dovendosi prescindere dal dettato del D.L. n. 17, comma 2 art. 9, che tentò di recidere il nodo dovuto all'incertezza delle prece-denti contrastanti interpretazioni (anche in quanto detto comma non è stato convertito in legge), non si può che prendere atto del ritorno amministrativo all'indirizzo di non globalizzare tutti gli invalidi presenti in ditta considerando tali solo gli avviati dal collocamento obbligatorio. Le persone in-valide di cui alle due ipotesi sopraenuncia-te normalmensopraenuncia-te non hanno perciò altra sorte che la «non assunzione» (per gli in-validi avviati come idonei, su richiesta nu-merica, dal collocamento ordinario) oppu-re il licenziamento o la variante dell'auto-licenziamento indotto (sia per gli invalidi riconosciuti in costanza di rapporto sia per alcuni invalidi che come idonei avviati dal collocamento ordinario, hanno superato la prova in azienda e successivamente hanno reso nota la loro inabilità). Tutti questi in-validi, di solito rimessi o fatti rimettere in libertà, in modo diverso, dalle ditte in quanto non possono fruire del beneficio della globalizzazione (e soprattutto non possono farne fruire il datore di lavoro) con gli altri invalidi avviati dal colloca-mento obbligatorio, s'indirizzano o si ri-mettono nel giro burocratico del colloca-mento delle categorie protette, esplicantesi come segue: iter d'iscrizione, collocazione in graduatoria (e dove, in quale casella d'attesa?), approvazione della graduatoria da parte della commissione provinciale (che per la L. 482 potrebbe riunirsi anche solo una volta al trimestre), finalmente una

assegnazione (eventuale) ad una ditta (ma-gari scomoda da raggiungere, addirittura all'altro capo della provincia, o fornente retribuzioni su contratti non appetiti ecc.), ditta ove la persona avviata potrebbe esse-re non gradita od attesa, dimessa in perio-do di prova o assunta ed assegnata a servizi poco decorosi per indurla ad autolicenziar-si, ecc. ecc.

E allora, considerate le menzionate remo-re, gli intralci e le difficoltà, se una ditta chiede che gli invalidi di cui sopra (rag-giungenti, evidentemente, almeno i minimi di perdita di capacità lavorativa prescritti per la protezione) siano sommati agli altri invalidi avviati dal collocamento obbliga-torio in aliquota percentuale, perché non ammettere che tali invalidi possano, essi pure, come gli altri contribuire a coprire le quote dell'obbligo? In termini di economia del lavoro e di psicologia del lavoro, lo scrivente non riusciva (prima del D.L. n. 17) e di nuovo non riesce a vedere il lato positivo della «non concedibile globalizza-zione amministrativa», visto, fra l'altro, che l'iter del collocamento obbligatorio (appena accennato) danneggerebbe gli in-validi non conteggiati senza avvantaggiare altri o avvantaggiandoli solo per caso (in quanto altri invalidi destinati a quella stes-sa ditta ove erano stati occupati gli invalidi riconosciuti ma considerati di mero fatto, ai quali cioè non era stato concesso dall'U. P.L.M.O. l'ammissione alla quota dell'ob-bligo, potrebbero essere male accetti, osta-colati, posti in condizione di doversi licen-ziare, ecc.).

Un atteggiamento diverso non solo appare contrario alla logica ma anche ai fini della legge la quale, purtroppo ripetiamo, inten-de proteggere in modo effettivo e sostan-ziale i maggiori gradi d'invalidità e non è stata adottata per la tutela di alvei o canali che non s'incontrano, che la burocrazia si è costruiti e non ha potuto ancora elasti-cizzare o far convergere provvedendo a che, fra le funzioni esercitate, esista un'in-tercomunicazione o un minimo indispen-sabile congegno amministrativo d'incastro e di eventuale travaso.

Se le ragioni della L. n. 482 erano già state dalle aziende tenute in conto di fatto con l'occupazione (od il trattenimento in servi-zio) ed una giusta adibizione delle persone invalide ricevute dal collocamento ordina-rio, non pare vi sia motivo per non per-mettere loro di sommare per categoria ogni

Nel documento Cronache Economiche. N.002, Anno 1983 (pagine 45-51)