E SPAZI A VERDE (4 a parte)
1.5. Parchi in territori montani
Al di là del problema accennato, estensibi-le alla generalità dei luoghi interessati da parchi naturali, ritengo si debba distingue-re tra parchi di montagna e parchi in terri-tori diversi dalla montagna e, tra i primi, tra parchi alpini e parchi in altri ambiti montani (ad esempio, per l'Italia, appenni-nici).
Questa ulteriore sub distinzione per i par-chi di montagna è necessaria, se si voglio-no evitare i malintesi in cui è facile incor-rere quando si consideri il territorio un'en-tità ovunque uguale, con le stesse connota-zioni storiche e gli stessi problemi. Il che, è appena il caso di alludervi di sfuggita, pro-prio non è.
Si prendano le Alpi. Esse sono diverse da valle a valle, da regione a regione, e tutta-via hanno molti tratti in comune.
Nell'arco alpino europeo ci si trova dinan-zi ad una popoladinan-zione, ad uno svolgimento della storia, a modi di vivere, a civiltà e a condizioni climatiche, che adombrano ca-ratteri pressoché paralleli da valle a valle e da versante a versante. Perfino certi feno-meni (demografici, economici, di
trasfor-mazioni territoriali) impegnano negli stessi archi temporali, con le stesse modalità, gran parte delle Alpi, con varianti singolari ma territorialmente localizzate in poche e ben definite aree.
Orbene nelle Alpi, in passato, pascoli, bo-schi, incolti, erano per lo più concessi in diritto d'uso alle popolazioni locali. Non lo erano i coltivi, magri di frutti alle alte quote, i prati, e in genere i terreni agrari dei fondi valle e delle porzioni delle basse valli più prossime alla pianura o alla coro-na prealpicoro-na. S'è voluto a bella posta ri-cordare questo particolare perché sembra non del tutto azzardato ipotizzare nell'arco alpino un grande parco naturale, situato nel cuore dell'Europa, istituito e governato dagli stati europei interessati e forse, do-mani, dalla federazione europea. Un gran-de parco di proprietà prevalentemente pubblica, com'era un tempo collettivo l'u-so di spezzoni consistenti di questi luoghi, ma alla cui gestione dovrebbero partecipa-re le popolazioni locali, raggruppate in as-sociazioni di valle, com'erano un tempo riunite nelle Comunità o Università di val-le. Laddove alle istituzioni a livello supe-riore (Regioni e Stati) dovrebbero spettare compiti di indirizzo, di coordinamento, di distribuzione eventuale di risorse finanzia-rie, con una parola, di programmazione generale in un quadro unitario degli ob-biettivi da raggiungere.
Una tale ipotesi, tenuto conto della vastità del territorio, consentirebbe di dare respiro non solo continentale alla salvaguardia ambientale e culturale delle Alpi, in uno con la utilizzazione intelligente ed econo-mica delle risorse presenti, da quelle uma-ne a quelle culturali, silvo-pastoraii, idri-che, minerarie, climatiidri-che, ecc. Con la dif-ferenza, rispetto al perdurante stato di sfruttamento indiscriminato e arruffone, da un lato, e di rassegnato abbandono dall'al-tro, che vi sarebbe un blocco di intenti fon-dato su una visione d'insieme e ragionata dei problemi, nell'assenza di quei falsi pie-tismi o di quelle demagogiche promesse, assolutamente incapaci di aprire un qual-siasi spiraglio di soluzione, che tanto dan-no recadan-no alle residue popolazioni alpine. Altre sono le condizioni della catena ap-penninica, caratterizzata da quote altitudi-nali, orografia, clima, tempi e qualità geo-logici, ordinamenti colturali, status della proprietà, tipi di culture, che si discostano profondamente a seconda della latitudine e
da versante a versante, rendendo difficil-mente ipotizzabile l'idea di un parco, nella fattispecie interregionale, degli Appennini. Il che non esclude affatto che possano rea-lizzarsi, nel quadro di un piano di assetto del territorio appenninico, dei parchi na-turali regionali e interregionali, ma con lo scopo primario di riqualificare ecologica-mente ed economicaecologica-mente l'intera area, con evidenti vantaggi anche (e non solo, quindi) per le parti a valle più densamente popolate, specie per quelle costiere. Nel concetto appena espresso non si può non scorgere qual è la base della filosofia di tutto il discorso sulle aree montane, compresi i parchi naturali. La pianura e le coste si salvano a cominciare dal territorio che gli è a monte. Nello stesso tempo le montagne, e con esse i parchi naturali, si salvano se le popolazioni della pianura e delle aree costiere concordano sulla loro essenzialità nei rispettivi confronti, e per-ciò sulla necessità di impegnarsi concreta-mente per evitarne la desertificazione, con-correndo nella promozione di condizioni e modi di vita simili o uguali a quelli di cui esse godono. È una questione di reversibili-tà di interessi, da cui non si può prescinde-re se si vuole affrontaprescinde-re con prescinde-realismo i pro-blemi della montagna, all'interno dei quali si colloca la questione dei parchi naturali. Invero così non è, ed i cittadini e i contadi-ni della pianura continuano a vedere nella montagna il luogo della villeggiatura esti-va, degli sport invernali, della gita domeni-cale, dimentichi del tutto dei suoi reali problemi, delle sue funzioni ecologiche. Ora, poi, che tanto si parla di parchi natu-rali, nella migliore delle ipotesi gli sembra incredibile che essi debbano localmente in-contrare tanto tenaci resistenze e opposi-zioni.
S'è detto nella migliore delle ipotesi, per-ché l'informazione a proposito è ancora troppo superficiale ed è raro che raggiunga la massa della gente fornendole comunica-zioni documentate.
Ma torniamo all'oggetto delle preoccupa-zioni che sono implicite nel titolo del para-grafo. Una risposta, sebbene indiretta, a tali preoccupazioni, mi sembra di averla data. Quanto meno per le aree montane, nelle quali i parchi naturali dovrebbero di-ventare, in una prospettiva di lungo perio-do, aree prevalentemente pubbliche da
or-ganizzare con finalità essenzialmente eco-logiche e, in subordine, silvo-pastorali,
di-dattiche, di ricerca scientifica e turistico-ricreative, limitatamente a quelle porzioni del territorio che presentano elevati gradi di idoneità al riguardo e sempre che le re-lative attività non contrastino con la fun-zione principale del parco. In tale ottica, e tenuto conto che da secoli le nostre monta-gne sono state sedi di insediamenti, sia pure destinati esclusivamente alla popola-zione locale, è plausibile presumere che la loro esistenza non debba neppure essere messa in discussione. Semmai i problemi sono altri: ovverossia se, in qual misura, a quali condizioni e con quali mezzi i vecchi insediamenti sono recuperabili; se sono ammissibili ampliamenti, di quale entità, per chi, dove e come; se altri insediamenti, del tutto nuovi e con caratteristiche che tengano conto dei bisogni odierni, delle nuove tecniche, delle nuove concezioni ar-chitettoniche, sono da consentire: ed anche qui, di quale entità, per chi, dove e come. Le questioni enunciate non sono affronta-bili al livello puramente locale; devono piuttosto essere viste globalmente in ambiti di piano di piccola scala (regionale prima, comprensoriale poi) e alla scala interco-munale attraverso i piani di Valle, fissando la priorità e le pre-condizioni per la previ-sione e progettazione degli interventi. Tut-to ciò senza affatTut-to negare l'esigenza dei parchi naturali, all'interno della cui pro-gettazione si dovranno stabilite quali sono le parti di territorio da conservare intatto o da indirizzare al recupero naturalistico (e sono le riserve naturali integrali, orientate e speciali), quali da destinare e ripristinare al pascolo, al bosco, a colture speciali (ad esempio ad erbe officinali), e gli interventi che si reputano indispensabili per una frui-zione attiva dell'ambiente: col camminare, nella buona stagione, con lo sci di fondo o alpinistico nelle stagioni dell'innevamento, predisponendo quanto necessario per ren-dere possibili tali fruizioni (dal sentiero alla mulattiera, dalla segnaletica al rifugio, dall'attrezzatura ricettiva alberghiera all'a-rea di sosta, al punto di ristoro e di riparo); col riposo e la contemplazione della natu-ra: organizzando per tutti le attrezzature e i servizi d'informazione per meglio far co-noscere e apprezzare il territorio a parco (aree di servizio nei punti di accesso). Si ritorna, per altra via, al concetto già espresso del parco naturale montano inteso come area vasta a destinazioni e funzioni diversificate, nella quale cioè coesistono
attività non incompatibili tra loro.
Permanendo queste condizioni non si vede l'essenzialità dell'istituzione del parco: poiché ciò che conta è da un lato impedire ulteriori e più devastanti operazioni di de-grado del territorio, lesive di già precari equilibri, e dall'altro riassettarlo in modo da ridurre quanto più possibile gli impedi-menti alla sua utilizzazione, che dovrà es-sere indirizzata verso attività e forme d'uso in armonia con i principi conservativi pri-ma enunciati.
Il parco, quindi, può anche esserci, perché è opera in regola con le istituzioni, ma può anche non esserci. Né vale l'osservazione che senza parco vien meno la fruizione pubblica, dal momento che non risulta sia-no necessarie particolari autorizzazioni per circolare in montagna. I montanari, e non solo loro, si spostavano in passato da un punto all'altro della loro valle, da una val-le all'altra, e da un versante all'altro, ser-vendosi di una fitta rete di mulattiere e sentieri costruita e mantenuta dall'intera comunità. E ancora oggi, chi ha pratica di montagna sa che essa è percorribile, quan-do non ci siano ostacoli causati dal lungo abbandono, nella sua interezza (sulle Alpi Occidentali, ad esempio, è facile passare i confini e dall'Italia giungere in Francia, o in Svizzera e viceversa, senza accorgerse-ne).
Ciò che pare effettivamente importante è ripristinare nei territori montani condizio-ni di vivibilità, ricettività e percorribilità accettabili. Teoricamente è un compito che spetterebbe alle Comunità Montane3 7, ma esse hanno altri guai a cui badare, mol-to più grossi e pressanti, ed ecco, allora, che la Regione vi subentra per mezzo dei parchi naturali, che istituisce e poi forma con finanziamenti, organizzazione e pro-getti ad hoc. Col pericolo, si badi, di co-struire un bel po' di sovrastrutture più o meno burocratiche, gestite dall'apparato dei partiti politici, prima che dal governo
locale38. '
Riprendendo il discorso degli insediamenti esistenti, mi limito a rilevare che essi do-vranno essere disciplinati, organizzati, se caso riprogettati, ricucendoli nelle smaglia-ture esterne alle vecchie enucleazioni, con un rigore ed un'attenzione particolarissimi, badano altresì a comprimere nella massi-ma misura possibile gli immassi-mancabili (e ine-vitabili) fenomeni di rendita parassitaria39. Queste operazioni richiedono
l'elaborazio-ne di strumenti urbanistici esecutivi per ognuna delle strutture insediative agglome-rate individuate come ricuperabili dal pia-no del parco (o dal piapia-no regolatore inter-comunale di Comunità Montana), correda-ti dei progetcorreda-ti degli intervencorreda-ti pubblici e di una regolamentazione molto precisa degli interventi affidati all'iniziativa dei privati. È superfluo sottolineare l'importanza del-l'impegno che si richiede, con siffatta pro-posta, all'ente di gestione del parco e alle altre istituzioni territoriali operanti nel parco.
D'altra parte, o si riesce a governare cor-rettamente le trasformazioni che interessa-no le agglomerazioni di contorinteressa-no delle aree protette, ricuperandole a condizioni di vi-vibilità e di accettabilità estetica, o si ri-nuncia al parco. Quale senso avrebbe, in-fatti, l'avere da un lato un territorio, quello non costruito, ineccepibile nella sua con-servazione paesaggistica e naturalistica, e dall'altro un territorio, quello costruito, che ne è l'esatto opposto?
Ecco una contraddizione che va ad ogni costo evitata, convincendo in primo luogo le popolazioni locali perché si facciano esse stesse portatrici di detta esigenza. Pur conscio che trattasi di opera irta di dif-ficoltà, la ritengo condizione necessaria per garantire, insieme alla tutela dei caratteri peculiari dell'area, o delle aree protette, si chiamino «parco» o in qualunque altro modo poco importa, anche e soprattutto la piena rivitalizzazione delle comunità inte-ressate. Al qual proposito bisognerà pre-ventivamente dimostrare alle comunità stesse, conti alla mano e corretta informa-zione sulle esperienze compiute e in corso, che i benefici della presenza del parco sono davvero superiori ai sacrifici che gli si chiede istituendolo (più posti di lavoro, più reddito dalle attività tradizionali e turisti-che, più gratificazioni e sicurezza sociale, migliori condizioni di vita).
Troppi ragionamenti sinora fatti per con-vincere le popolazioni locali che il parco rappresenta per esse un effettivo vantaggio, reggono su presupposti deboli e spesso poco attendibili: non basta proclamare che l'afflusso di visitatori consente cospicue entrate finanziarie nel settore turistico (per lo più gestito da operatori esterni alla zona), che la creazione di alcuni posti di guardaparco aiuta l'occupazione (nemme-no sempre i guardaparco so(nemme-no assunti tra la popolazione del luogo), o che
l'agrituri-smo potrà (ma quando e con quali opera-tori?) contribuire al risanamento dell'eco-nomia. Sono palliativi e prospettive insuf-ficienti a placare i timori, a fugare le diffi-denze e le ostilità. Tanto più quando si espongono dati e cifre, quali quelli sul nu-mero e sulle spese dei visitatori, fondati su informazioni molto rozze o addirittura scarsamente attendibili, per sorreggere le quali si richiamano dati e cifre desunti da esperienze straniere assai più avanzate del-le nostre40.
Altri sono gli argomenti che gli Enti pub-blici, statali e regionali, responsabili delle politiche territoriali in difesa dell'ambien-te, devono sottoporre alla riflessione delle popolazioni dei territori protetti o proposti a parco. Su tutti, la garanzia che ogni provvedimento da essi emanato nelle linee della tutela rechi la previsione di adeguati finanziamenti finalizzati alla realizzazione di quanto occorre per risollevare le sorti dei territori interessati badando, in via prioritaria, ad arrestare lo spopolamento mediante una graduale ma continua cresci-ta economica, sociale, culturale, in uno col formarsi di condizioni ambientali soddisfa-centi. Per ottenere questi risultati non è sufficiente affidarsi esclusivamente alla istituzione del «parco», specialmente quando trattasi di parchi in aree montane, per loro «natura» limitative della frequen-tazione, anche a causa delle oggettive diffi-coltà che si frappongono all'accesso (note-voli distanze, reali e virtuali, dalle aree di concentrazione demografica e collegamenti con mezzi generalmente privati ed indivi-duali), all'uso, alla percorribilità (su mu-lattiere e sentieri in terreni accidentati e con forti dislivelli). Non c'è dubbio che il «parco» possa diventare un buon richiamo col tempo, soprattutto quando sia inserito in un sistema di aree protette e di «par-chi» (come quelli suggeriti per l'arco alpi-no e la catena appenninica), capace cioè di generare motivi di interesse e attrazione tu-ristici a scala europea ed extracontinente, ma per un periodo non breve sarà più un impiccio che un aiuto per la gente del po-sto: l'accumularsi di pratiche burocratiche, la complicazione delle procedure, il disa-gio verso i forestieri, sovente indotti al par-co da curiosità non sempre appagate (ad esempio, vedere la selvaggina) e imprepa-rati a capire i luoghi e gli autoctoni, sono difetti da mettere nel conto del passivo. A maggior ragione, quindi, bisogna forse
pro-cedere per altra via, che è quella indicata della conservazione nello sviluppo.
L'istituzione del parco può anche aspetta-re, né v'è da arrossire se nel nostro paese si ha una percentuale di territorio molto bas-sa riservata a « p a r c h i » a paragone di In-ghilterra o Germania o Stati Uniti o della stessa confinante Francia. Le ragioni di ciò sono note a tutti, e non è caso di dramma-tizzare. Importa invece decidersi a proteg-gere il territorio avvalendosi di coloro che hanno avuto il coraggio, magari costretto talvolta dalla disperazione e dalla debolez-za, di restarvi, aiutandoli sul serio, e lavo-rando per il futuro senza troppi calcoli sul presente, come si è usi fare — purtroppo — in termini di gratificazioni elettorali. La natura si salva salvando il territorio, co-struendo meno seconde case, meno strade inutili, meno impianti di risalita costosi e sovente passivi, m a anche recuperando i pascoli abbandonati, curando i boschi, mantenendo sentieri e mulattiere, adattan-do le vecchie case agli standards abitativi attuali, migliorando i servizi, togliendo dall'isolamento chi ci è obbligato dalle cir-costanze e da abitudini antiche ormai su-perate, pagando come si conviene coloro che prestano la loro opera per la salva-guardia dell'ambiente, qualunque sia il loro rapporto di lavoro con gli Enti istitu-zionali.
Se poi si preferisce, a questa via, quell'altra dei «parchi», si trovino motivi validi e i mezzi necessari per percorrerla. Motivo valido, a mio avviso, è che nelle parti più aspre della montagna c'è sempre meno gente che se la sente di viverci tutto l'anno; altro motivo è il pericolo di un abbandono senza ritorno che non sia quello di una corta vacanza estiva (come è successo e succede per certe parti delle Alpi francesi e svizzere ed anche nostrane, dove il ritorno stagionale dell'emigrato è spesso una con-suetudine che si è propagata anche alle nuove generazioni); pertanto un rimedio va cercato, e si può avere acquisendo al de-manio pubblico, poco a poco, le aree ab-bandonate, impiegandovi delle maestranze per risanarle e riabilitarle all'uso, studian-do e attuanstudian-do forme d'uso coerenti con le loro caratteristiche e sotto il controllo e con la regia degli Enti proprietari, fermi re-stando i principi di tutela cui si è ripetuta-mente accennato. Il rimedio è drastico, do-loroso, impopolare, m a è forse tra i pochi praticabili. Non so quanto possa essere
co-stoso; è però certamente meno costoso di tanti rimedi-cuscinetto che si propinano alla montagna, con uno stillicidio di dana-ro pubblico che ha l'unico fine dell'assi-stenza a chi va morendo. Se si ritiene utile proseguire nella politica delle mezze misu-re, per lo meno si faccia a ragion veduta, col proposito di utilizzare, in un domani imprecisato, i risultati di codesti investi-menti per il perseguimento del disegno tratteggiato. Così operando i parchi natu-rali diverranno una realtà e saranno — com'è corretto che siano — un patrimonio comune, da rispettare e accudire con la co-scienza di essere tutti responsabili della sua conservazione.
1.6. Parchi in territori non m o n t a n i