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DEGLI ENTI LOCALI IN PIEMONTE

Nel documento Cronache Economiche. N.002, Anno 1983 (pagine 71-79)

Agata Spaziante

E N E R G I A E T E R R I T O R I O

Il drastico aumento del costo dell'energia in questi ultimi dieci anni ha messo in evi-denza come riduzione degli sprechi ed uso razionale delle fonti costituiscano di fatto la prima e, nell'immediato, la più impor-tante fonte virtuale da sviluppare.

Condurre una «politica energetica» signifi-ca certamente in prima istanza intervenire nel settore con azioni specifiche destinate a razionalizzare l'impiego di queste sempre più care e sempre più scarse materie pri-me.

Né può giustificare oggi una diminuita at-tenzione al problema il fatto che negli ulti-mi due anni i consuulti-mi si siano fortemente ridotti mentre l'offerta di derivati del pe-trolio è andata rapidamente crescendo ed i prezzi hanno subito una flessione: è noto come gli esperti del settore attribuiscano questa inversione di tendenza non ad inter-venti funzionali a tale scopo, ma alla reces-sione economica mondiale ed ai mutamen-ti verificamutamen-tisi negli ulmutamen-timi anni nel mercato mondiale dell'energia.

Continua dunque ad essere più che mai ne-cesario sostenere prioritariamente in tutte le direzioni il processo di trasformazione del modello energetico, in Italia come in tutto il mondo, verso le fonti diverse da quella petrolifera (prime fra tutte quelle rinnovabili) e verso l'uso razionale dell'e-nergia.

E noto però che non solo sotto questo pro-filo è rilevante una politica energetica. Gli interventi in questo settore, al pari di tutte le politiche infrastrutturali, hanno anche un notevole ruolo strumentale rispetto alle politiche localizzative dei diversi settori (residenza, industria, agricoltura, commer-cio). Essi possono cioè contribuire, in di-versi modi, a conseguire una determinata distribuzione sul territorio di queste fun-zioni.

Viceversa, il modo in cui industria, resi-denza, commercio sono collocate sul terri-torio può essere determinante per la possi-bilità di effettuare certi tipi di interventi destinati a perseguire obiettivi di razionali-tà nell'uso delle fonti energetiche, sia nel versante della domanda che in quello del-l'offerta.

A titolo di esempio delle forti correlazioni fra politica energetica e politica

territoria-le, si può ricordare come la produzione combinata di elettricità e calore ed il teleri-scaldamento sono più convenienti là dove esiste una densità abitativa che consenta la distribuzione del calore attraverso reti non tropo estese. Viceversa la presenza di infra-strutture di questo tipo può rappresentare un fattore localizzativo interessante per le imprese in grado di cedere calore, consen-tendo loro un recupero di efficienza del proprio processo produttivo, e può quindi agire, al pari di altre infrastrutture, quale incentivo per orientarne le scelte insediati-ve insediati-verso aree a tale scopo destinate ed at-trezzate.

La relazione energia-territorio, che implica sempre anche effetti rilevanti sull'ambiente è molto evidente e diffusamente percepita quando ci si riferisce a particolari aspetti del problema, quale il dibattuto tema della installazione di centrali nucleari con tutti gli effetti positivi e negativi che essa com-porta per l'area direttamente coinvolta. Questa relazione è però avvertita come meno forte, quando il problema energetico si propone in termine di esigenza di rispar-mio o meglio di razionalizzazione del suo uso.

Gli effetti della politica territoriale sui con-sumi e sulla stessa domanda, sebbene non tutti di dimensione appariscente, sono cer-tamente rilevanti e così pure sono sensibili gli effetti che una politica di razionalizza-zione dell'uso energetico può esercitare sui piani e sui programmi di trasformazione e sviluppo del territorio. Si pensi ai vantaggi che possono derivare all'agricoltura dal re-cupero a fini energetici di sottoprodotti e rifiuti della attività agro-alimentari; a quel-li che possono conseguire agricoltura e in-dustria per la penetrazione capillare della rete del metano nelle aree collinari e nelle sacche della pianura in cui le attività risen-tono maggiormente della crisi; a quelli che possono determinare lo sviluppo e l'intro-duzione di tecnologie per la conservazione dell'energia e l'uso di fonti rinnovabili nel-la ristrutturazione del patrimonio edilizio esistente e nella realizzazione di nuovi in-sediamenti; a quelli che si possono ottene-re in certi settori dell'industria (termo-elettromeccanico, impiantistico, edilizio, informatico) per la ricaduta produttiva de-terminata dallo svilupo di una domanda di componenti e manufatti rispondenti a que-sti requisiti; a quelli che tutti queque-sti inter-venti possono determinare sulle condizioni

ambientali principalmente nelle città, ma più in generale in tutto il territorio. È noto che i soggetti istituzionali cui com-pete il controllo del territorio sono gli enti locali e più precisamente: la Regione, di-rettamente e con i comitati Comprensoria-li; i Comuni, singoli o riuniti in consorzi; le Comunità Montane. È dunque su di essi che si riversa il compito di prestare la do-vuta attenzione, assieme alle molte altre variabili rilevanti per l'uso del territorio, anche a quella «energetica», sia per la sua intrinseca importanza per lo sviluppo so-cio-economico delle aree, sia per i suoi ef-fetti indotti sullo stesso uso del territorio. In realtà il ruolo degli enti locali in tema di risparmio energetico può essere molto più e molto meno di quanto appena detto. Può essere molto più perché l'azione degli enti locali può esercitarsi ben al di là del solo controllo dell'assetto territoriale, in numerose altre direzioni a partire dalle quali l'azione a favore del risparmio di energia, più o meno direttamente, può ri-flettersi sulla politica del territorio: si pensi al fondamentale ruolo che possono svolge-re Comuni e Regioni a sostegno della ricer-ca, della sperimentazione e dell'applicazio-ne di tecnologie nuove; a sostegno della formazione di una «cultura» su questi pro-blemi; in appoggio alla costruzione di basi informative su tutti gli aspetti connessi al-l'uso dell'energia (domanda, consumi, mi-sura dell'efficienza dei vettori, degli im-pianti, ecc.).

Può però essere anche molto meno perché norme e piani per il controllo del territorio accusano il grave ritardo della cultura scientifica e tecnica di molte discipline, e fra queste anche dell'urbanistica, su questo terreno e quindi sovente non hanno ancora recepito al loro interno organici strumenti per assicurare agli enti locali il controllo di congruenza fra gli obiettivi che il governo a livello nazionale, sia pure con molti ritardi e contraddizioni, ha fissato attraverso il Piano Energetico Nazionale e le politiche perseguibili a livello locale.

Ritengo quindi che un sintetico esame del vasto ruolo possibile e dei principali stru-menti normativi e pianificatori di cui oggi dispongono gli enti locali, con riferimento alla Regione Piemonte, possa costituire un utile contributo alla comprensione dei rea-li margini di controllo della variabile «energia» nella più ampia azione di con-trollo dell'uso del suolo e del modo in cui

ad oggi questi margini possono essere uti-lizzati per condurre interventi di risparmio energetico.

L'interrogativo cui questa nota vuole dare una risposta, dunque, è duplice: quale ruo-lo, diretto o indiretto, possono svolgere gli enti locali in tema di risparmio energetico? in che misura leggi e piani consentono oggi, nella Regione Piemonte, di affrontare il problema ed in particolare quali margini esistono per realizzare un progetto di rete urbana di calore?

Entrambi gli interrogativi indicati possono risultare determinanti per comprendere di-mensioni e prospettive delle possibili ini-ziative in questo campo e valutare il qua-dro nel quale si possono poi collocare e di-battere le ipotesi tecniche.

Risposte precise e scelte tecniche sul pro-blema infatti non possono venire da leggi e piani: loro compito non è quello di pro-porre o impro-porre soluzioni ma quello di enunciare finalità, individuare i processi di trasformazione, indicare norme e modalità con cui procedere attraverso l'azione am-ministrativa verso i fini proposti.

La cogenerazione elettricità/calore e la rea-lizzazione di reti urbane di distribuzione del calore (cosi come altre soluzioni mi-ranti a ridurre la domanda di energia pri-maria a parità di domanda finale) costitui-scono solo una delle possibili soluzioni tec-niche attraverso le quali realizzare un ri-sparmio energetico.

Pur nella loro generalità, però, gli orienta-menti e le finalità fissati da leggi e piani costituiscono un riferimento necessario per le scelte tecniche: dimensione e priorità as-segnati alla materia — in questo caso al ri-sparmio energetico — definiscono di fatto l'impegno che può essere dedicato alla ri-cerca delle soluzioni più efficaci.

Da questo impegno istituzionale dipende inoltre la possibilità che lo stesso dibattito sulla validità delle soluzioni esca da un ambito strettamente accademico e scienti-fico ed interessi tutta la collettività. Teleri-scaldamento o impianti' individuali? svi-luppo di fonti alternative al petrolio o compressione della domanda? aumento dell'efficienza nelle diverse fasi del ciclo energetico o valorizzazione delle fonti rin-novabili?: quando il problema diviene og-getto di scelte politiche e di interventi, e fa quindi parte a pieno titolo dell'azione di governo dell'area, la sensibilità collettiva viene sollecitata e mobilitata (anche se non

è raro il caso che sia la sensibilità colletti-va a sollecitare e mobilitare l'azione di go-verno).

Non bastano le dichiarazioni che i politici, a tutti i livelli, da qualche anno a questa parte fanno in tutte le occasioni per mani-festare il loro interesse e la loro convinzio-ne in merito alla centralità di una politica energetica per un corretto sviluppo econo-mico e territoriale.

Strumenti efficaci a disposizione del deci-sore pubblico ed azioni concrete sono la condizione necessaria perché questa varia-bile, al pari di quelle di più consolidata tradizione, entri veramente a far parte del-le politiche di controllo deldel-le trasforma-zioni.

IL C A M P O D ' A Z I O N E DEGLI E N T I L O C A L I

Pur nella consapevolezza di un ruolo pro-babilmente determinante e difficilmente controllabile dei privati in una parte consi-stente dei consumi di energia (si pensi ai consumi dell'industria, del commercio, delle attività di servizio private ma anche ai consumi familiari), è certamente cre-scente il margine che attraverso azioni molto varie (da quelle di informazione e sensibilizzazione a quelle di incentivo fi-nanziario, a quelli di vincolo normativo a quelle di iniziative sperimentali e di ricer-ca, a quelle di promozione ecc.) si apre al controllo del decisore pubblico: ed è inte-ressante chiarire il rapporto decisore cen-trale/decisore locale.

È fuori dubbio che all'ente locale debba spettare un compito determinante nel ri-durre l'attuale spreco di prezioso combu-stibile fossile. Si pensi all'energia usata per il riscaldamento degli ambienti (civili ed industriali): il combustibile usato a questo scopo corrisponde a quasi 1/4 di quello an-nualmente importato.

Qui appare immediatamente il rilievo che assume il ruolo dell'ente locale: i Comuni, cui compete l'amministrazione del territo-rio (e quindi di tutto l'edificato), sono ine-vitabilmente investiti della responsabilità di imporre un uso più razionale di queste risorse sempre più scarse e costose e là dove questa responsabilità non è avvertita diffilcimente si può pensare di ottenere ri-sultati consistenti.

dallo Stato il potere di normare il controllo del territorio, spetta soprattutto il compito di porre in atto tutti quegli interventi che stimolino e coordinino in tal senso l'azione diretta dei Comuni: il risparmio energetico diventa un fatto quantitativamente perce-pibile solo se è diffuso in modo rilevante e occorre quindi una azione estesa alla mag-gior parte del territorio e non limitata a pochi punti isolati.

Come non bastano gli interventi dimostra-tivi (la casa «a energia solare» o il singolo impianto di cogenerazione) a realizzare ri-sultati quantitativi in un comune, così non basterà l'iniziativa di pochi comuni sensi-bili a modificare il bilancio energetico di una regione.

Occorre dunque che le iniziative sperimen-tali diventino strumenti metodologici per una azione capillare e solo una concorde azione degli enti locali, con la loro possibi-lità di incidere sulle scelte territoriali, può promuoverla.

Esistono dunque molte e valide ragioni perché buona parte di questa azione sia condotta dagli enti locali e dai Comuni in particolare.

Il rapporto fra cittadini e istituzioni, sem-pre più difficile perché gravato da crescen-te sfiducia e sospetto, si mantiene più spes-so su livelli di fiducia e collaborazione nel-l'ambito comunale, mentre il rapporto ten-de ad allentarsi ed a perten-dere efficacia e concretezza via via che il riferimento isti-tuzionale si allontana e sfuma verso di-mensioni più vaste e meno legate ai pro-blemi specifici dell'area e della sua popola-zione. Regione, Stato ed enti nazionali (ENEL, ENI, ITALGAS, ecc.) hanno cer-tamente possibilità molto più ridotte di interagire direttamente con il singolo (indi-viduo o famiglia o impresa), mentre qua-lunque politica di risparmio energetico passa attraverso una attiva partecipazione degli utenti e la consapevolezza di un be-neficio collettivo superiore al sacrificio in-dividuale. '

Ciò è particolarmente vero quando tale po-litica può significare notevoli e perduranti disagi non solo nelle consuetudini di vita del singolo individuo o della famiglia, ma nella vita di intere parti della città.

E questo il caso che si determina, ad esem-pio, quando una rete urbana di calore va collocata in aree già edificate.

Se una istituzione può, attraverso una ca-pillare informazione e

corresponsabilizza-zione degli utenti, ottenere il consenso ne-cessario a portare a termine azioni di così forte impatto sulla vita della città, questa è più facilmente il Comune che la Regione o lo Stato.

Inoltre solo a livello locale, pur nell'ambi-to di obiettivi e politiche di ordine più ge-nerale fissate ai livelli superiori, è possibile operare quel coordinamento nella gestione dei servizi pubblici (ad esempio attraverso le Aziende Municipalizzate o vere e pro-prie Società di servizio) dal quale dipende la possibilità tecnica di mettere in atto al-cune delle soluzioni più efficaci ai fini del-la razionalizzazione nell'uso dell'energia. Basti pensare che cogenerazione e teleri-scaldamento, ad es., comportano una tale trasformazione nel modo di fornire all'u-tente ciò di cui egli ha bisogno — calore ambientale e acqua calda sanitaria — da potersi considerare una vera e propria ri-voluzione nella filosofia dell'uso dell'ener-gia. Non si fornisce cioè all'utente una fon-te energetica (elettricità o gas o altro) ma il prodotto finale, sottraendo così all'utente l'impegno di trasformare in modo efficace la materia prima e trasferendolo all'ente di gestione perché operi tale trasformazione con il massimo della razionalità e seguen-do delle precise strategie. Ciò comporta certamente modifiche sostanziali nel meto-do di fornire tale tipo di servizio: occorrerà certamente muoversi verso una gestione globale dell'energia, destinata, nel caso del-l'energia termica, a fornire calore più che singole materie prime (elettricità, gas, ecc.).

Ciò non toglie che, per la struttura attuale del sistema di produzione e fornitura del-l'elettricità, le iniziative a livello locale in questo settore debbano sempre trovare for-me di collaborazione e integrazione con le politiche dell'ente di Stato, l'ENEL', ma comunque è evidente che al livello locale deve competere, alla fine, l'azione di coor-dinamento fra i diversi produttori e forni-tori della materia prima.

C'è da chiedersi allora, a fronte di queste consistenti possibilità di agire, quali stru-menti oggi hanno a disposizione gli enti lo-cali, a partire dal contesto istituzionale in cui può collocarsi la loro azione.

IL C O N T E S T O I S T I T U Z I O N A L E D E L L ' I N T E R V E N T O

A S C A L A LOCALE

In materia di risparmio energetico le com-petenze direttamente riconosciute alle Re-gioni sono estremamente scarse: le aree di potestà delle Regioni a statuto ordinario ed a statuto speciale non comprendono l'ener-gia2, né i decreti delegati del 1972 fanno cenno a compiti in questo settore3. È stato anzi ribadito, nel decreto concernente il trasferimento di funzioni statali alle Regio-ni che restano allo Stato le competenze in materia di risorse energetiche4.

Ad eccezione della localizzazione delle centrali elettriche (e neanche della loro ge-stione), l'intervento diretto delle Regioni in questo settore è escluso.

Ciò trova in generale il consenso dei giuri-sti5: si ritiene che non ci sia alcun motivo per attribuire alle Regioni tale competen-za, mentre queste sono certamente abilitate ad investire i profili «accessori» — energe-tici, nel caso specifico — delle proprie ma-terie, quale ad esempio quella urbanistica. Ciò almeno, finché le norme in questo set-tore rimangono una serie di fatti episodici, privi di una organica regolamentazione e quindi non rivestono il carattere di un complesso autonomo di poteri e funzioni: finché cioè non costituiscono una «mate-ria». Quando viceversa la normativa in tema di energia fosse diventata una « mate-ria» — e secondo alcuni ciò è già avvenuto con l'emanazione della legge 308 di cui si dirà più avanti — le Regioni dovrebbero cessare di intervenire nel settore con pro-prie iniziative che investono i profili «energetici» della propria azione, ad.es. in campo territoriale, perché ciò creerebbe conflitti di competenze con i soggetti stata-li cui la materia è assegnata (Ministro del-l'industria, CIPE, ecc.).

Si porranno quindi su questo argomento delicate questioni di interpretazioni giuri-diche, determinanti per stabilire i margini assegnati all'azione delle Regioni per con-temperare e comporre a livello locale le esigenze territoriali e quelle del risparmio energetico, talora contrastanti. Questi ar-gomenti esulano comunque dai temi di queste note e ci si limita ad accennarli. Quanto alle competenze dei Comuni in tema di contenimento del consumo,

an-ch'essi non hanno competenze specifiche e dirette ma possono controllare aspetti «energetici» di competenze diverse ad essi assegnate, in particolare quelle in materia di contollo dello sviluppo edilizio ed urba-nistico e quelle sul controllo degli impianti termici e delle emissioni.

Un aspetto sul quale i Comuni, attraverso il regolamento igienico-edilizio, avrebbero possibilità di notevole azione è quello della normativa tecnica sugli edifici: ma lo Stato si era già riservato6 in questa materia «la determinazione dei criteri generali tecno-costruttivi e le norme tecniche essenziali» e la legge 308 specifica ulteriormente tale riserva, assegnando al CIPE e ad alcuni Ministeri (Industria, Agricoltura, Lavori Pubblici) il compito di dettare le «norme per definire i criteri generali tecnico-costruttivi e le tipologie edilizie, nel settore dell'edilizia sovvenzionata e convenzionata e dell'edilizia pubblica, che facilitano l'im-piego di sistemi eliotermici per il risparmio e il recupero di energia»7.

L'azione normativa dei Comuni in questo settore è quindi molto limitata: l'efficacia dei loro interventi può essere soprattutto concentrata nella formazione dei piani (ge-nerali ed esecutivi) e dei programmi di at-tuazione, nei quali obiettivi in questo spe-cifico settore possono certamente essere in-seriti e perseguiti.

Molto rilevante è invece l'azione che i Co-muni possono svolgere nell'ambito del loro più caratteristico ruolo, che è essenzial-mente operativo e non normativo. In que-sto senso essi possono esercitare una vera e propria funzione imprenditoriale di grande importanza, sperimentando tecnologie e innovazioni in diversi settori nei quali il Comune è di fatto un grosso imprenditore: istruzione, opere di urbanizzazione, edili-zia, servizi pubblici, ecc.

11 rapporto decisore centrale/decisore loca-le a questo livello, si presenta dunque meno ambiguo e meno contraddittorio che a livello regionale, dove la comune capaci-tà normativa pone più facilmente in situa-zione di conflitto Stato e Regione.

La legge n. 308 del 21 maggio 1982, già precedentemente citata («Norme sul con-tenimento dei consumi energetici, lo svi-luppo delle fonti rinnovabili di energia e l'esercizio di centrali elettriche alimentate con combustibili diversi dagli idrocarbu-ri» ), costituisce una grossa novità nel qua-dro istituzionale, anche se appaiono

con-trastanti le interpretazioni in particolare sul rapporto Regioni/Stato in materia di ri-sparmio energetico che questa legge, molto attesa perché di lunga e laboriosa gestazio-ne, modifica in più modi8.

Vengono lasciate ovviamente alle ammini-strazioni centrali le competenze in materia di energia ed agli enti energetici nazionali i compiti in materia di offerta di energia, sebbene con una attenuazione del mono-polio dell'ENEL (è consentita infatti l'au-toproduzione di energia elettrica e la coge-nerazione elettricità/calore per impianti

Nel documento Cronache Economiche. N.002, Anno 1983 (pagine 71-79)