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L’andamento della filiera, nei dati aggregati e nella percezione degli operatori La produzione nazionale è destinata al mercato nazionale per 366, 44 milioni di euro

3. Nautica e cantieristica: il contesto nazionale

3.2. L’andamento della filiera, nei dati aggregati e nella percezione degli operatori La produzione nazionale è destinata al mercato nazionale per 366, 44 milioni di euro

(90%) e alle esportazioni per 18,38 milioni di euro (10%), (di cui 15,01 milioni di euro verso Paesi europei. Nel 2012 e anni seguenti la nautica italiana è tornata a valori di fatturato analoghi a quelli del 2000, crollando dal record del 2008 (oltre 6,2miliardi) a 2,49 miliardi di euro. A portarla a questo livello ha contribuito la crisi che ha colpito il mondo proprio nel 2008. Ma c'è di più e di peggio.

A causare la caduta dei ricavi di un settore che, per fortuna, resta ancora il secondo al mondo dopo gli Usa e il primo nella nicchia dei superyacht, ci ha pensato anche una legge dello Stato. Ossia la sciagurata norma sulla tassa di stazionamento delle barche, introdotta nel 2011 dal decreto salva-Italia di Monti e, dopo sei mesi, trasformata in tassa di possesso, quando già migliaia di clienti dei porti turistici erano fuggiti all'estero. Quella norma ha fatto precipitare il fatturato del comparto da 3,42 miliardi a 2,49 in un anno ed ha mostrato, ancora una volta, la scarsa informazione, quasi storica ormai, di chi governa il Paese (con l'aggravante che in quel momento si trattava di un governo tecnico) nei confronti delle necessità di un settore che fa marciare il Paese.

Nel 2000 i ricavi del comparto sono pari a 2,43 miliardi di euro. Due anni dopo la circolare ministeriale che detta regole favorevoli al leasing nautico contribuisce a una notevole

cantieri nicchia

producono yacht custom e yacht in modo artigianale

cantieridi grande dimensione producono in serie yacht e megayacht per proprio conto

cantieri marginali di piccole/medie dimensioni producono yacht per conto terzi e per proprio conto in serie

crescita del mercato, che passa da 2,93 miliardi nel 2002 a 6,2 nel 2008. A ottobre di quell'anno però si innesca la crisi mondiale e inizia la discesa, con il crollo del fatturato a 3,36 miliardi, a metà del 2010.

“A quel punto - affermava Anton Francesco Albertoni, ex presidente di UCINA - la caduta sembrava essersi fermata (nel 2011 i ricavi della nautica erano a 3,42 miliardi). Poi però il governo Monti, col decreto “Salva Italia” ha introdotto la tassa di stazionamento sulle imbarcazioni superiori ai 10 metri ed è avvenuto un ulteriore tracollo,col fatturato nautico ridotto, nel 2012, a 2,49 miliardi, quasi lo stesso valore del 2000, con una contrazione del 27% sul 2011 e del 59% sul record storico del 2008.

I provvedimenti correttivi fatti dal governo Monti, prima rivedendo la tassa di stazionamento, che è diventata (ma dopo sei mesi di incertezza) tassa di possesso, poi varando una serie di misure a favore della nautica, hanno riportato un clima favorevole per il settore. L'Italia – come si è detto -è stata finora leader mondiale nella vendita di megayacht. E se è vero che il governo ha attuato alcune misure in favore del settore, è altrettanto vero che ha dimostrato poca attenzione a un problema molto serio per il comparto con la conseguenza che, per sopravvivere alla crisi globale, i produttori (per lo meno quelli che erano in grado di farlo) hanno dovuto incrementare la quota di produzione destinata all'export, fino a farla diventare prevalente rispetto a quella per il mercato nazionale. Ora sempre più aziende aprono siti produttivi all'estero e, fra qualche anno magari, si chiederanno se convenga ancora produrre in Italia: un rischio che il Paese non può correre. Per il valore reale e simbolico prodotto, (ricerca, sviluppo, immagine del settore) l'Italia resta tuttavia il primo produttore mondiale di megayacht, le barche sopra i 24 metri di lunghezza. Un primato che affonda le sue radici in un terreno fatto di creatività, genialità e grande sacrificio.

Costruire una nave da diporto è un lavoro molto complesso: nella sua realizzazione si devono fondere le competenze più diverse: dall'ingegnere all'architetto, dall'artigiano al tecnico elettronico, dal sarto al meccanico. Provate a immaginare cosa significa costruire un’imbarcazione di 70 metri di lunghezza: è un oggetto immenso e imponente. Proprio come i castelli dei secoli passati, residenze signorili di famiglie nobili e al tempo stesso simbolo di potenza e dominio, una nave di questo tipo è un vero palazzo sull'acqua e un emblema di ricchezza, per la cui ideazione e realizzazione sono coinvolti centinaia di uomini.

Il valore dei diversi settori in cui si articola l'export della nautica italiana comprende, tra gli altri, 2,7 miliardi di dollari per quello dei grandi yacht, 55 milioni di dollari per le imbarcazioni pneumatiche e 130 milioni di dollari per quelle a vela. Il contributo positivo dato dal comparto della nautica da diporto al “surplus” commerciale con l'estero è cresciuto di cinque

volte nell’ultimo trentennio, passando dallo 0,3% del 1991 all'1,5% del 2014. L'industria delle barche è la quinta voce dell'export nazionale.

La nautica da diporto è ancora oggi, nonostante la crisi, il comparto che dimostra la più alta capacità di generare ricchezza e occupazione nell'ambito del cluster marittimo, essa rappresenta un valido strumento strategico per lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese e ha un moltiplicatore del reddito di 4,5: per 1.000 euro investiti in questo settore, si mette in moto una produzione di 4.500 euro. Nel corso dell'ultimo decennio la nautica è diventata un vero e proprio settore industriale, meritevole di ammirazione e rispetto: un risultato che deve rendere orgogliosi tutti gli imprenditori del comparto.

“Sebbene nell'ultimo anno il fatturato globale sia diminuito del 30,5%, - spiegava Anton Francesco Albertoni, ex presidente di UCINA -siamo un settore trainante e dinamico che può ancora vantare una leadership mondiale nel segmento delle grandi barche, detenendo il 51,3% del portafoglio ordini. La sfida del domani si gioca non solo nel mantenimento di questo primato, ma anche, e forse ancor di più, sul piano della competitività globale, sulla ricerca e sulla creazione di vera qualità”. Nel mondo ci sono solo 200 cantieri che costruiscono megayacht e nei 40 italiani si produce la metà di tutte le barche sopra i 24 metri. La ragione risiede nel nostro talento e nell'eccellenza che abbiamo trasformato nel motore della creatività e dell'innovazione. Oggi più di ieri è fondamentale investire sulla cultura del merito e della ricerca scientifica, riacquistando la propensione al rischio e alla sperimentazione per avere come obiettivo la valorizzazione e lo sviluppo del nostro sistema-paese.

Va pieni giri il comparto oltre i 70 metri, ma la quota nazionale è bassa. Il periodo nero della nautica italiana rischia di assumere un'ulteriore connotazione negativa. Il Paese, infatti, grazie all'aumento delle vendite in export, che hanno parzialmente corretto il crollo del mercato interno, è riuscito finora a mantenere la leadership mondiale nel settore dei grandi yacht (sopra i 24 metri), ora però esiste il rischio concreto che questa leadership possa essere abbattuta. A giocare a sfavore dell'Italia c'è una delle ragioni che finora l'hanno tenuta a galla e cioè l'andamento di una crisi globale che ha colpito soprattutto la classe media, favorendo invece lo sviluppo dei grandi patrimoni. La crisi economica che ha colpito il settore della nautica è profonda. I cantieri navali chiudono perché l’industria nautica italiana arranca e per far capire l’entità delle perdite basta andare a vedere i dati che l’UCINA, la Confindustria del comparto nautico, ha reso noti per l’anno 2013.

Negli ultimi quattro anni l’industria ha segnato un calo di fatturato del 59%, la produzione è arrivata a toccare una contrazione dell’88% e a pagare di più sono naturalmente i piccoli cantieri.

La crisi,iniziata nel 2009, é occupazionale: come sempre si ripercuote sui lavoratori, perché le aziende in crisi come prima cosa tagliano i posti di lavoro. Nel 2012 si contavano solo 19.000

addetti diretti, il 19% in meno rispetto a quelli che lavoravano nel settore nautico nel 2008. Una crisi profonda, come abbiamo già detto, che mette in ginocchio un settore che nel 2007 produceva il 3,6% del Pil italiano e che nel 2012 né raggiungeva a stento l’1,2%. Effettuando una analisi sull’andamento del contributo del settore della nautica da diporto al PIL italiano si osserva come esso sia sceso dal 2008 al 2010 a € 2.792.288.000, in seguito agli effetti della crisi economica; nel corso del 2011 vi e stata una timida ripresa (+2%), che ha portato il contributo al PIL al valore di € 2.848.920.000. Nel 2013 il fatturato dell’industria nautica ha subito una contrazione più importante rispetto a quella del prodotto interno lordo italiano, al quale contribuisce quindi in maniera minore rispetto all’anno precedente (-29,9%; € 1.998.160.000) per assestarsi con un lieve calo (2,1%) nel 2013 sul valore di € 1.955.780.000. Il 2014 vede una lieve risalita del 2% che porta tale valore a 1.995.570.000

Figura 2 – Andamento occupazionale 2008-2012

Fonte: nostra elaborazione

E’ da sperare che razionalizzando la cornice normativa di riferimento si siano poste le basi per il rilancio competitivo di un comparto di così grande importanza per il sistema produttivo italiano e che si siano create le condizioni per il superamento della crisi economica e occupazionale che esso ha registrato in questi ultimi anni, anche a causa di una forte crescita della concorrenza internazionale, soprattutto da parte dei Paesi confinanti. “L'aggiornamento della disciplina della navigazione marittima è una necessità imposta dalle profonde trasformazioni subite dalla tecnica - afferma Ranucci76 -e dall'economia del trasporto marittimo, anche alla luce dell'evoluzione avvenuta nella normativa comunitaria e

76Raffaele Ranucci senatore del partito democratico 17,000 18,000 19,000 20,000 21,000 22,000 23,000 Anno 2008 Anno 2012

Numero occupati 2008-2012

Numero occupati 2008-2012

internazionale dalla promulgazione del codice della navigazione, adottato con il regio decreto del 1942, ad oggi”.

La nautica, anche e soprattutto quella viareggina, è ben lontana dal poter essere dichiarata fuori pericolo: il 2013 è stato un anno di fatturato in calo e l’onda lunga della crisi ha colpito duramente le aziende meno strutturate, e il 2014 non si presenta più roseo. Una situazione difficile, che rispecchia quella - in generale - dell’economia provinciale: i dati dell’Associazione industriale per l’anno 2013 segnalano produzione e fatturato che si aggirano intorno all’invariato -0,3% per il primo semestre e+0,4% per il secondo. L’export è in ripresa con il +3,2%, anche se nel terzo trimestre la crescita è stata nulla. Per la cassa integrazione ci sono meno richieste di trattamenti ordinari da parte delle imprese industriali e sul fronte del credito diminuiscono gli impieghi. Il comparto nautico, quanto a produzione, ha visto un aumento del 10% nei primi nove mesi, secondo i recenti dati del “Global Order Book”. Per la prima volta dopo molti anni il numero delle commesse dei grandi yacht sopra i 24 metri è in aumento, ma nel 2013 c’è stata una crisi di fatturato: è un segno che per poter vendere si riduce il prezzo. Va anche rimarcato che, mentre la tendenza va verso i grandi yacht da oltre 100 metri, in Italia non c’è nemmeno uno di questi giganti del mare in costruzione. Segno di una crisi che continua e che, dal 2008, a Viareggio ha significato la perdita del 26% del personale, con l’effetto collaterale di correre il rischio di perdere quelle capacità artigianali che ci permettono di realizzare imbarcazioni di qualità.

A mettere in grave difficoltà il mercato è la pressoché totale assenza dei compratori italiani: il 90% della produzione è diretta verso l’estero con una buona ripresa della piazza americana. Con un panorama del genere non è difficile immaginare come sarà il prossimo anno: nel 2014 molte aziende dovranno riorganizzarsi, soprattutto quelle più piccole77.

Il settore della nautica tende a soffrire la crisi come tutti gli altri settori. Ma esiste un tipo di mercato, quello del lusso e dei megayacht, che non va mai in crisi, visto che di persone ricche o con moltissimi soldi, ce ne sono sempre di più, ma il settore che tende ad andare invece in crisi è quello “di mezzo” ovvero il mercato della piccola nautica.

Tale comparto soffre molto. In termini di vendite la perdita nel 2011 e' stata del 20% rispetto al 2010. Ma ciò nonostante, i produttori di piccole imbarcazioni che non necessitano di immatricolazione - si va da un minimo di cinque metri fino a un massimo di 10 metri di lunghezza – sono stati presenti al Salone Nautico di Genova che si è aperto il primo ottobre 2014.

“Le ultime risorse le hanno investite lì - spiega l’imprenditore Umberto Capelli78 - perché non essere presenti al salone di Genova vuol dire uscire dal mercato. La piccola nautica in Italia - sottolinea – non è composta da aziende importanti che fanno grandi volumi, o che hanno una

77Fonte UCINA

grande organizzazione. Sono tutte imprese artigianali che dal 2008 sicuramente non hanno incrementato il proprio lavoro. Si trovano oggi con pochissime risorse e guardano al futuro con incertezza”.

“Sono tanti i fattori di crisi. Oltre alla situazione economica generale, con il suo corollario di notizie negative che non invogliano certo all'acquisto di un bene legato allo svago - spiega ancora Umberto Capelli - c'è poi anche in Italia la difficile gestione post-vendita: difficoltà nel trovare posto nei porti che privilegiano i clienti con barche più grandi, perché portano più soldi, assenza di porti a secco per via dei vincoli del demanio, assenza di scivoli che consentano di trasportare la barca con il carrello e metterla in acqua a costo zero”.

“Tempi duri in Italia per i costruttori di piccole barche. Per la maggior parte artigiani, non sono attrezzati per affrontare i mercati stranieri e si rivolgono quindi al mercato interno, quello che in Europa quest'anno ha perso di più. Chi poteva permettersi una barchetta ora non può più e l'acquisto di un'imbarcazione è forse oggi l'ultimo pensiero per l'italiano di ceto medio”.

A questo si aggiunge la concorrenza dei Paesi che dispongono di strutture di grandi dimensioni, produzioni industriali delocalizzate molto importanti, che sono in grado di praticare prezzi più bassi.

A voler essere ottimisti, si assiste tuttavia ad un fenomeno giudicato positivo: chi comprava un'imbarcazione medio-grande ora scende di misura, un po’ perché ci sono meno soldi, un po’ per la paura di possedere una grande imbarcazione. La passione sicuramente rimane e la tendenza per alcuni é di rivolgersi ad un prodotto più flessibile

Si riporta un’intervista al dott. Alessandro Liberatori79, esperto del settore, riguardante i mercati internazionali. “Secondo lei quali sono i mercati più interessati al made in Italy nella nautica?”

“Le principali aree geo-economiche di destinazione delle nostre esportazioni nautiche sono: Americhe (48,2 % dell’export), Unione Europea (26,5 %), Asia (15,5 %), Europa extra UE (7,1

%) Africa (2 %), Oceania (0,6 %)”.

79 Dott. Alessandro Liberatori è un dirigente dell’ITA (Italian Trade Agency), agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane.

Figura 3 – Destinazioni dell’esportazione

Fonte : nostra elaborazione

Nella classifica per Paesi gli Stati Uniti rimangono il primo mercato per il “made in Italy” nautico, assorbendo quasi il 17 % delle nostre esportazioni. A livello mondiale, gli USA sono il più grande mercato della nautica da diporto, sia in termini di numero di appassionati (65 milioni), che di imbarcazioni in uso (16,8 milioni) e di fatturato generato (stimato intorno ai 30 miliardi di dollari). La ripresa dell’economia statunitense e la positiva immagine della produzione italiana di settore lasciano intravedere incoraggianti opportunità per ampliare la nostra quota di mercato.

La crisi della nautica porta alla fuga dei giovani impiegati nel settore della nautica: una generazione senza speranze cerca una nuova vita fuori da Viareggio e dall’Italia. Molte aziende, soprattutto in Darsena sono crollate sotto i colpi della crisi. Sono scattati i licenziamenti e la cassa integrazione nei grandi cantieri navali e, a ruota, in tutte le ditte satelliti. In pochi anni progressivamente sono rimasti senza lavoro fabbri, carpentieri, saldatori, operai specializzati, tubisti, idraulici, elettricisti, tappezzieri. Un’intera generazione letteralmente falcidiata, fatta fuori nel nome del risparmio e della spending review.

- Cosa è successo?

“L'unica causa della crisi è il redditometro”. - Ma è nato per combattere l'evasione...

“Ma in realtà è servito a bloccare tutto. Non è cambiato nulla nei confronti dell'evasione. Nel settore nautico i soldi che la gente aveva li ha nascosti da altre parti e ora sono ancora più nascosti. Tutti hanno paura di tirar fuori le barche, perché il giorno dopo c'è l'Agenzia delle

48.20%

26.50% 15.50%

7.10% 2.00% 0.60%