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entrate che bussa a casa e chiede la giustificazione di quell'acquisto e la provenienza di quei soldi”.

- E quindi nessuno compra più barche?

“Pochissimi. Da un anno arriva gente che vorrebbe cambiare barca, magari per fare una regata, ma mi dice di non fargli la fattura, perché non vuole denunciare l'acquisto”.

- E lei?

“Io devo fare la fattura, le barche sono registrate, così come lo sono le automobili e i motorini”.

- Ma questo succedeva anche prima del redditometro, o no?

“Sì, ma il terrore mediatico e politico che è stato creato, argomentando che con questo sistema si stana l'evasione, ha paralizzato tutto. La nautica è un settore importante, non vendiamo solo le barche grosse agli arabi ma anche quelle piccole. È una perdita per lo Stato stesso, perché l'indotto va in crisi, l'Iva non viene incassata e si perdono eccellenze come la nostra. Lo Stato ha fatto una operazione masochista”.

- Qual è la situazione della sua azienda oggi?

“Io ho una decina di dipendenti, siamo in cassa integrazione per 15 giorni al mese, sul territorio nazionale avevamo una vendita pari al 60% della produzione, è venuto meno tutto, non c'è più un italiano che si può permettere di comprare una barca”.

- O le comprano da altre parti.

“Sì, infatti ci sono cantieri che ne stanno approfittando, come in Croazia e Slovenia, dove hanno tolto l'Iva o l'hanno messa al 5% e dove se qualcuno compra una barca non viene segnalato tramite nessun ente o agenzia delle entrate. Più o meno lo stesso avviene in Francia e Germania. Devono essere loro a vendere barche? In Australia c'è il divieto di importazione di barche, così tutelano la loro produzione. Noi facciamo il contrario. Ora gli stranieri si stanno prendendo il 90% del mercato. Gli ultimi arrivati sono i polacchi, aprono cantieri, non fanno pagare l'Iva, e vendono. Loro stanno vendendo in tutta Europa. E noi stiamo perdendo e tremando. E pensare che nel mio settore, quello dei catamarani, eravamo leader in Europa e non solo. Tutti gli europei che adesso stanno aprendo cantieri ci hanno rubato il know how. Sono venuti pure i giapponesi e i thailandesi, vi rendete conto?”

Si parla molto spesso di crisi in termini molto generici, senza però pensare ai settori che hanno dato maggior prestigio al nostro Paese. Tra questi senza dubbio c’è la marina italiana, una delle maggiori ricchezze sia in campo economico che militare che il nostro Paese può vantare.

La crisi purtroppo ha toccato anche questo punto strategico molto fortemente e si è cercato di correre subito ai ripari. Il centro focale di tanti convegni politici è stato, ed è ancora, la precarietà e il rischio di fallimento di alcune case produttrici nel campo della nautica. Tanti di questi convegni nazionali ma anche di portata internazionale sono stati tenuti durante il 53°

Salone Nautico Internazionale di Genova. Tanti i temi affrontati e discussi. Tante ovviamente le soluzioni e le strategie da mettere in atto.

Per quanto riguarda una panoramica trattata a somme linee dei mercati nautici asiatici, si è potuto osservare quanto in espansione e in crescita essi siano. La Corea de Sud si è accostata a questo settore con enorme interesse evidenziando una crescita di stazioni nautiche particolarmente evidenti e sentite da tutti i paesi circostanti, grazie ad un supporto governativo molto forte. Il Giappone si presenta in capo alla lista,in quanto il suo mercato nautico rimane il più sviluppato tra i paesi asiatici.

C’è da dire però che una certa contrazione si è fatta sentire anche qui. I Paesi del Golfo si presentano invece con una situazione riguardante questo settore piuttosto stabile con una forte sicurezza, in futuro ancora più rosea grazie all’aumento delle marine. In queste zone iniziano a prendere vita sempre più i saloni nautici con vendita di nuovissime barche, ma anche con zone dedicate all’usato garantito.

In Italia la crisi è ben diversa,in quanto si è fatta sentire con una taglio netto, portando i giovani specializzati in questo settore alla disoccupazione ancora prima di entrare nel settore. Nel mondo nautico sono infatti ben oltre 20.000 i disoccupati, per non parlare dei tanti imprenditori che si trovano a dover chiudere i propri cantieri dopo aver chiesto invano prestiti o appoggi di qualunque altro genere ad un Governo che non fa altro che chiudere tutte le porte aumentando i controlli fiscali anziché sostenere le eccellenze italiane con degli sgravi fiscali che diano maggiore sostegno alle medie aziende del settore. Puntare sull’internalizzazione come metodo vincente di un’azienda è tra i punti strategici che l’Italia deve prefissarsi.

Il nostro Paese ha affrontato fino ad oggi principalmente un mercato di vendita molto ristretto. Promuovere infatti un prodotto innovativo iniziando le trattative con i Paesi in maggiore sviluppo nel settore è senza ombra di dubbio una delle strategie più sicure. Così facendo non solo si promuove e si agevola un’impresa italiana, ma si permette allo Stato di dedicare particolare attenzione, e di conseguenza maggiori aiuti dal punto di vista economico, al commercio dell’Italia con l’estero.

Punto strategico per far rifiorire un mercato in calo sarà sviluppare il concetto fortemente estero delle offerte promozionali. Con queste infatti ci sarà la possibilità di vedere in pochissimo tempo una elevata espansione del settore che intanto verrà sostenuto attraverso sgravi e pubblicità che il governo dovrà adottare come sua competenza. Ciò darà maggior risalto e valore alla nautica italiana, che vanta motori e strutture di eccellenza.

Nel pieno del crollo del mercato interno e della crisi internazionale, l’industria nautica italiana mantiene la leadership nel mondo, grazie a export, internazionalizzazione e flessibilità.

Una tempesta perfetta si è abbattuta sulla nautica da diporto. In cinque anni il fatturato è crollato del 60%, da 3,8 miliardi a meno di 2; nei cantieri gli addetti diretti si sono dimezzati (da 20.400 a 10.200). La crisi economica si è aggravata per gli interventi governativi penalizzanti, per il credit crunch che ha ucciso il leasing, per gli esagerati controlli fiscali in mare. Quando fisco e leggi mordevano meno, la nautica arrivava a generare un gettito IVA di 900 milioni. Non è un caso che ora l’85% del venduto sia destinato all’export, che permette alla nostra industria di difendere la leadership mondiale, specialmente nelle imbarcazioni di lusso e sopra i 24 metri. Ma è un’ancora di salvezza che potrebbe non tenere a lungo: anche quei mercati in crescita rallentano e presidiarli costa.

Nella nautica la nostra forza sono le piccole e medie imprese di famiglia, che emergono globalmente per i loro prodotti, ma che, fatta eccezione per Azimut-Benetti e Gruppo Ferretti (il cui azionista di maggioranza è cinese), sono sotto i 200 milioni di euro di fatturato e hanno margini di guadagno bassi o nulli.

Nemmeno il cantiere Sanlorenzo, terzo player mondiale nei motoryacht sopra i 24 metri, è immune dalla crisi: nel 2012 il suo fatturato è crollato del 19,7%, pur mantenendo un utile positivo. “Siamo l’unico grande cantiere che non ha tagliato il personale - tiene a precisare l’amministratore delegato Fulvio Dodich – Nonostante la geografia distributiva mondiale sia cambiata, con l’uscita di scena di Italia, Grecia e Spagna, abbiamo potuto contare in una grande espansione in America Latina: pochi mesi fa abbiamo firmato il contratto con un nuovo distributore a Panama e in Colombia. L’86% del nostro fatturato viene dall’estero”.

Intendete produrre fuori dall’Italia? - Gli è stato chiesto. “Noi non ci abbiamo mai creduto. Sono invece possibili delle partnership. In Brasile si costruisce sotto licenza per via di un muro doganale all’importazione, in Cina sono pensabili collaborazioni con industrie locali per la produzione, a marchio diverso, di barche piccole a completamento di linea. Nei mercati emergenti ci vuole una entry level che avvicini alla nautica, e un secondo prodotto che crei la clientela”.

Baglietto fa barche dal 1840: dal 1900 anche militari, i famosi Mas. Ma l’epopea sembrava finita per sempre. A scongiurare il peggio l’intervento di Beniamino Gavio,80 figlio del fondatore dell’omonimo gruppo. “Volevo farmi la barca e sono andato dai cantieri Cerri, l’azienda però non era messa troppo bene e ne ho preso la maggioranza. Nel 2011 mi hanno parlato di Baglietto e nel 2012 abbiamo fatto il rogito. Mi spiaceva che un’altra azienda italiana andasse in mano ad altri o a fondo. Poi c’era il discorso occupazionale: stava

scadendo la cassa integrazione e io credo nel nostro Paese e negli italiani. Oggi stiamo investendo: cinque milioni per gli impianti e l’area piazzali i cui lavori sono in corso”.

Refitting, yacht o navale militare? “Se avremo commesse faremo refitting, sul fronte militare stiamo prendendo contatti. Voglio inserire persone nuove e trovare un modello gestionale che permetta controllo di costi e qualità. Per la vendita non ho dealer; faremo poche barche l’anno per un prodotto di nicchia”.

L’affollamento di norme e la burocrazia a cui deve far fronte un armatore spesso lo spinge verso soluzioni più veloci offerte da altri paesi.

Si registra, ormai da anni, una crescente passione per le attività sportive legate al mare. È ormai superata la concezione secondo la quale la nautica da diporto riguardi interessi produttivi, sportivi e ricreativi di una ristretta minoranza elitaria. Infatti, chi ha avuto qualche rapporto con il mare, sa che la passione per la navigazione e per le attività sportive, come la pesca o la vela, rappresenta un patrimonio appartenuto da sempre a tutte le classi sociali. È indubbio, comunque, che il progresso economico degli ultimi decenni ha permesso di allargare ad un numero sempre più elevato di persone la passione per il mare. Tuttavia, per quanto non possa essere considerato un fenomeno elitario, il diporto nautico rimane comunque uno sport-passione tipico di aree geografiche economicamente avanzate, nelle quali l’individuo, una volta soddisfatte le esigenze primarie, e in ampia misura anche quelle secondarie, ricerca nuove passioni a cui dedicarsi.

L’Italia, proprio per la sua conformazione, cultura e tradizione, presenta una forte vocazione ed attitudine al turismo da diporto, il quale rappresenta una grande opportunità per l’intera economia del Paese, anche grazie agli investimenti pregressi ed in atto che coinvolgono le diverse infrastrutture portuali. Per anni la filiera nautica ha registrato tassi di crescita di assoluto rilievo, unici nel panorama manifatturiero italiano, fino ad arrivare a conquistare la leadership mondiale nel segmento della costruzione di yacht.

Questo mutamento di rapporto tra il mondo del turismo nautico e la società è anche il risultato una serie di provvedimenti amministrativi e legislativi adottati dagli ultimi governi, con i quali si sono penalizzati e scoraggiati l’acquisto e l’uso di un’imbarcazione.

La nautica da diporto è stata oggetto, nella XIV legislatura, di un’ampia riforma nata anche dal riconoscimento del settore del diporto nautico come settore produttivo strategico per il sistema economico italiano e finalizzata a favorire l’incremento del turismo nautico.

Urge inoltre la necessità di sostenere la ricerca per favorire la costruzione di imbarcazioni a basso tasso di inquinamento e ridurre al massimo i danni ambientali. Il trasporto marittimo del futuro infatti non potrà non tener conto della protezione dell’habitat marino. La progettazione di una nave deve confrontarsi con metodi, processi e tecnologie nel rispetto delle politiche ambientali, senza dover per questo rinunciare ai comfort di bordo.

L’Istituto IPSEMA- Assicurazioni auspica la stipula di un protocollo d’intesa anche con il Ministero dell’Ambiente.“La sicurezza della nautica da diporto significa insieme sicurezza del diportista, del personale navigante e dei passeggeri. Da parte nostra abbiamo sostenuto lo sviluppo attraverso la rimodulazione del piano tariffario delle aliquote contributive con una forte riduzione pari infatti al 50%, operata nel 2006, a favore del diporto. Il nostro obiettivo rimane, sempre nel rispetto più totale degli indirizzi del Governo in merito al contenimento dei costi della spesa pubblica, quello di favorire l’aumento della competitività delle imprese sostenendo così anche la crescita dell’occupazione e ridurre, nello stesso tempo, la contribuzione a carico dello Stato”.

In queste ore tutti gli addetti del mondo della nautica da diporto si interrogano su come sarà possibile accettare un provvedimento che, al di là di ogni ragionevole volontà di contribuzione alla profonda crisi che investe l’economia italiana, di fatto distrugge un settore di eccellenza dell’Italia nel quale operano centinaia di migliaia di addetti, sia nella produzione che nella portualità ed attività connesse, in una nazione che, geograficamente protesa nel Mediterraneo, ha una vocazione naturale verso il mare ed il diporto. Ovviamente non è in discussione la necessità di contribuire, ed in misura equa, al superamento della crisi, ma ciò che crea profonda preoccupazione sono i metodi semplicistici e classisti con i quali il mondo della nautica da diporto è stato coniugato con i sinonimi di ricchezza e di evasione fiscale. Nello stesso provvedimento che colpisce il mondo della nautica da diporto, a prescindere dai redditi dichiarati dai possessori ed utilizzatori di barche sopra i dieci metri, non c’è traccia di:

a) azioni, agevolazioni o provvedimenti specifici per lo sviluppo del settore atti ad invertire la tendenza della crisi dell'industria della nautica, che versa ormai da qualche anno in una crisi profonda, con tutte le conseguenze economiche per l'economia italiana in generale;

b) misure a favore della cantieristica per evitare la chiusura di tanti stabilimenti e la conseguente perdita di posti di lavoro ad alta professionalità, difficilmente recuperabili;

c) lotta al fenomeno diffuso e crescente dell’evasione fiscale;

d) azioni decise e concrete per abbattere i costi della politica (pochi semplici provvedimenti basterebbero da soli a far recuperare quanto e di più si pensa di recuperare con l'intervento sulla nautica).

Inoltre è altrettanto grave l'intenzione di colpire indistintamente ed in maniera pesante tutte le imbarcazioni, italiane e straniere stazionanti nelle acque italiane, con la conseguenza di far fuggire dall'Italia tutte le imbarcazioni straniere, in particolare le più grandi, portatrici di importanti voci di entrata per l'economia dei territori dove sono ormeggiate o navighino.

La crisi a livello globale sta modificando i caratteri dell’offerta di molti settori produttivi, fra questi appaiono particolarmente penalizzati i produttori di beni di lusso, come dimostra l’andamento recente della domanda del mercato dei megayacht rispetto ai dati consolidati

nell’ultimo decennio. Molti osservatori e operatori qualificati del settore concordano nel ritenere che per reagire adeguatamente a questa crisi saranno determinanti le scelte imprenditoriali di chi saprà anticipare gli spostamenti della domanda mondiale e investire per prepararsi a soddisfarla: in primo luogo in termini di innovazione, riorganizzazione e integrazione. La gestione dei numerosi servizi richiesti nel corso del ciclo di vita delle unità da diporto (after market), con riguardo particolare ai super e megayacht, appare una significativa e strategica componente di questo riposizionamento.

Il ciclo di vita della produzione e gestione di un’imbarcazione da diporto dà impulso ad un sistema di relazioni anche di carattere intersettoriale con imprese di settori che non sono tradizionalmente considerate nell’ambito del comparto della nautica da diporto.

La stessa unità da diporto è un prodotto complesso derivante “dall’assemblaggio” di molti prodotti e servizi. In aggiunta, la gamma delle produzioni da diporto è in continua evoluzione, vuoi per l’innovazione delle tecnologie dei materiali e dei processi produttivi, vuoi per l’allargamento delle fasce di utenza determinata da riduzioni di prezzi, facilità di utilizzazione e strategie di marketing (vedi in particolare il sempre più diffuso fenomeno del chartering). Al contempo si è evoluto anche il modello di comportamento del diportista che non si ferma più al porto ma va oltre i suoi confini interagendo e dunque usufruendo di molti servizi del territorio circostante.

I dati a disposizione per l'interno comparto nautico italiano indicano per il 2010 un fatturato globale pari a 3,4 miliardi di euro, derivanti per l'82,5% dalla produzione nazionale (fatturato interno, esportazioni) e per il restante 17,5% dalle importazioni.

Figura 4 – Fatturato globale anno 2010

Fonte: nostra elaborazione

Confrontando i dati relativi al 2012 con quelli del 2008(anno nel quale la cantieristica italiana ha conosciuto la sua maggiore espansione) si può osservare come il fatturato

82.50% 17.50%

0 0

Fatturato globale anno 2010 (€ 3,4 miliardi)

Produzione nazionale Importazioni

complessivo scenda quasi del 60%, attestandosi su un valore di 2,5 miliardi di euro, perdendo circa 3,7 miliardi in termini assoluti, per la maggior parte (oltre 2 miliardi) in termini di vendite di produzione italiana sul territorio nazionale.

Figura 4 – Andamento del fatturato negli anni 2008-2014

Fonte: nostra elaborazione

Si osserva innanzitutto una composizione molto diversa degli sbocchi di mercato rispetto al passato: le esportazioni superano ormai i due terzi della produzione totale dell’intero comparto, raggiungendo quasi il 90% nella cantieristica, e presentano una flessione attorno al 37% dal 2008 al 2014. La produzione nazionale per l’Italia si riduce del 77%, attestandosi su livelli minimi nella serie storica. La crisi è confermata anche dal dato relativo alle importazioni, in calo di oltre il 65%. Sempre dal 2008 a oggi, il fatturato complessivo appare ben più che dimezzato, come si osserva anche dal dato relativo al contributo della nautica al PIL, che scende del 62%, mentre gli addetti diretti passano da oltre 35.000 a circa 19.000: sono dati che fanno riflettere sulla crisi in atto, che sta colpendo il settore con toni drammatici. Al fine di individuare il posizionamento dell’industria della nautica da diporto nel contesto produttivo nazionale, é utile effettuare un confronto fra l’andamento del PIL di settore e quello dell’economia nazionale. Nel 2012 il tasso di crescita del PIL è stato negativo (-2,4%) e, in base alle più recenti stime OCSE di maggio 2013, l’andamento del PIL per l’anno in corso vedrà una contrazione dell'1,5% (contro il -1% dell'outlook del novembre scorso). Il ritorno alla crescita non e previsto nel 2014, anche se una variazione positiva dello 0,5% rispetto al 2013. Il dato per il 2015 é previsto in crescita dell’1,3%,riflettendo cosi sia un miglioramento ciclico, sia una ripresa della crescita potenziale del PIL stesso.

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Anno 2008 Anno 2012 Anno 2013 Anno 2014

Fatturato anni 2008-2014 (in miliardi)

Fatturato anni 2008-2014 (in miliardi)

Il fatturato della cantieristica italiana per l’anno 2012 è pari a € 1.296.820.000, di cui €1.264.660.000 derivanti da produzione nazionale (98%) e € 32.160.000 ascrivibili alle vendite di prodotti importati (2%).

Figura 5 – Fatturato cantieristica italiana nell’anno 2012

Fonte: nostra elaborazione

La produzione nazionale è stata venduta per il 14% (€ 176.490.000) sul mercato italiano e per il restante 86% (€ 1.088.170.000) è stata destinata ai mercati esteri, con una prevalenza verso i paesi extraeuropei (69%).

Figura 6 – Vendite della produzione nazionale nell’anno 2012

Fonte: nostra elaborazione

98% 2%0

Fatturato cantieristica nell'anno 2012

Produzione nazionale Prodotti importati 14% 17% 69% 0

Vendite della produzione nazionale nell'anno 2012

Al mercato italiano Al mercato europeo Al mercato extraeuropeo

Per quanto riguarda le importazioni, il fatturato deriva in prevalenza da imbarcazioni provenienti da paesi europei (67%), mentre il valore delle importazioni da paesi extra UE rappresenta il 33% del totale (rispettivamente € 21.400.000 e € 10.760.000).

Figura 7 – Importazione di imbarcazioni nell’anno 2012

Fonte: nostra elaborazione

La maggior parte di unita da diporto importate è stata successivamente collocata sul mercato italiano (€ 22.230.000, pari al 69%), mentre solo il 31% (€ 9.930.000) di fatturato deriva da unita riesportate. Considerando produzione nazionale ed importazione di unita da diporto congiuntamente, si può notare come la maggior parte del fatturato (85%) sia destinata all’estero, per un valore di € 1.098.100.000. La quota di fatturato derivante da imbarcazioni vendute in Italia ammonta invece a € 198.720.000, pari al 15% del totale.

Figura 8 – Destinazione della fatturazione complessiva

Fonte: nostra elaborazione

67% 33%

0 0

Importazione di imbarcazioni nell'anno 2012

Da paesi europei Da paesi extraeuropei

85% 15%

0 0

Destinazione della fatturazione complessiva (prodotta ed importata) nell'anno 2012

Al mercato estero Al mercato italiano

La situazione di stabilità rispetto all’anno precedente, che emerge dai numeri contenuti in questo rapporto, appare migliorativa delle prime stime effettuate a dicembre 2013 e porta nel complesso a valutare come plausibile l’arresto della curva discendente del fatturato di settore, seppur con i dati tornati ai livelli dell’anno 2000. Per sfuggire alle illusioni di un’analisi superficiale dei dati, risulta necessario approfondire le dinamiche dell’industria nautica: considerando che il fatturato della cantieristica dipende ormai per oltre il 90% dall’export, una concreta inversione di tendenza per l’intero settore non potrà prescindere dal ritorno della fiducia sul mercato italiano e del Mediterraneo, target primario della maggior parte dei nostri