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Angelo Landi e Mario Lucin

Due artisti bresciani al servizio dell’Ufficio Stampa e Propaganda Luigi Capretti

Nel panorama della produzione degli artisti bresciani nel periodo della Gran- de Guerra, parrebbe logico trovare una consistente quota di opere ispirate ai te- mi della situazione bellica, dato che le vicende militari avevano investito piutto- sto pesantemente il nostro territorio, con la “guerra bianca” in montagna, con i preparativi di guerra nelle valli, con bombardamenti in città, oltre che natural- mente col grande numero di uomini mandati al fronte.

E anche a livello personale diversi artisti furono coinvolti, alcuni perché di- rettamente arruolati e finiti in prima linea, riportandone anche gravi conseguen- ze, altri perché colpiti negli affetti familiari. Possiamo ad esempio citare i pittori Edoardo Togni e Angelo Fiessi e gli scultori Achille Regosa e Guido Scalvinelli che subirono in vario modo (ferimento o squilibrio psichico) le conseguenze della loro esperienza al fronte. Cesare Bertolotti ebbe invece la vita segnata per sempre dalla morte dell’unico figlio Giuseppe, ferito in combattimento e morto poi in campo di prigionia. Eppure di queste vicende legate alla guerra si trova scarsissima eco nelle opere “ufficiali” degli artisti.

Anche nelle mostre organizzate durante la guerra (primavera e autunno 1916)1 per aiutare gli artisti in difficoltà, o i mutilati e invalidi, i riferimenti del-

le opere a temi bellici furono pochissimi e indiretti; da queste mostre possiamo citare solamente una scultura di Claudio Botta e un dipinto di Emilio Magoni ispirati all’invasione del Belgio. Questo evento, che aveva segnato l’inizio del- la guerra, aveva colpito con la sua brutalità l’immaginazione di numerosi arti- sti italiani; tra i bresciani anche Emilio Rizzi2, col suo dipinto 2 agosto 1914, e il

quasi sconosciuto Fredo Franzoni, con la grande tela Lo sbarco dei rifugiati belgi realizzata e conservata in Inghilterra3.

49 «Si dovrebbe aggiungere che la difesa dell’esattezza dei ricordi ha anche una dimensione etica, di

tutela di una identità più consapevole – e quindi più libera – delle persone e delle comunità». Remo Bodei, Libro della memoria e della speranza, il Mulino, Bologna 1995, p. 37.

50 Quinto Antonelli, Ricordare la Grande Guerra: riflessioni all’alba del centenario, «Studi Trentini»,

a. 93 (1914), n. 1, pp. 53-78.

1 Luigi Capretti, Francesco De Leonardis, La Società per l’Arte in famiglia, catalogo della mostra,

Brescia, AAB, 30 novembre 2013 - 8 gennaio 2014, pp. 29-30.

2 Luigi Capretti, Francesco De Leonardis, Gli artisti bresciani e la Grande Guerra, catalogo della

mostra, Brescia, AAB, 29 novembre 2014 - 7 gennaio 2015, p. 152.

Si ispirarono al tema bellico anche pochi dipinti di Romolo Romani, Artu- ro Castelli, Eliodoro Coccoli, Battista Barbieri, Giovan Battista Nodari4, quasi

tutti mirati più all’allegoria che alla rappresentazione realistica. Anche Gaetano Cresseri, nelle decorazioni della Loggia, e Giuseppe Ronchi, in quella del Brolet- to, realizzate negli anni 1916-1917, si ispirarono alla guerra, ma sempre in modo allegorico (e oltretutto Cresseri lo fece solamente dopo essere stato duramente attaccato da Alfredo Giarratana5 per essersi disinteressato del tema). Riferimen-

ti più autentici e sentiti si ritrovano invece negli album di disegni eseguiti da chi al fronte riusciva a schizzare veloci appunti dal vivo, come Virgilio Vecchia, Vittorio Trainini, Giuseppe Denti e Giovanni Fasser6.

Fu piuttosto a guerra finita che il tema esplose, come ricordo della tragica vicenda, ma ancor più come celebrazione della vittoria. Lo si riscontra anche nelle mostre organizzate dalla Società per l’Arte in Famiglia nel 1919, dove ve- nivano presentate opere sul tema da Angelo Albertini, Tita e Giuseppe Moz- zoni, Giannetto Vimercati, Paolo Cassa, Giacomo Sottini7. Di particolare in-

teresse l’operazione fatta da Battista Barbieri nella primavera del 1919, con un viaggio in Istria e Dalmazia, da cui riportò una ottantina di quadri di piccolo formato, che furono esposti a Brescia in due mostre, come una specie di repor- tage da quelle terre al centro delle rivendicazioni italiane nel dopoguerra per la “vittoria mutilata”8.

Comunque l’impressione fondamentale, sottolineata anche sulla stampa dai recensori delle mostre, risultava quella della voglia di rimuovere il pensiero delle brutture della guerra per continuare a dedicarsi ai soggetti più amati, al paesag- gio in particolare; c’è anche da dire che in realtà il fenomeno non si verificava solo a Brescia, ma era abbastanza diffuso. Sembra quasi che la rappresentazio- ne degli eventi di guerra fosse stata delegata ai moderni mezzi tecnici già svi- luppati, fotografia e cinema, con cui era difficile competere, se non forse per le potenzialità del colore.

Oltre ai fotografi, ci fu una categoria di artisti a cui la rappresentazione fu affidata, e fu quella dei pittori e soprattutto dei disegnatori, arruolati dall’eser- cito proprio con questo compito, dapprima più a fini quasi documentaristici,

poi, a guerra diventata lunga e feroce, a fini di propaganda. Tra i bresciani que- sta figura fu incarnata da Angelo Landi e Mario Lucini.

Prima di affrontare le personalità di questi artisti ci pare opportuno illustra- re brevemente gli inizi e la successiva evoluzione dei servizi di propaganda degli eserciti a livello europeo, e italiano in particolare. Per quanto riguarda gli inizi, un testo fondamentale li riassume così:

L’organizzazione della propaganda nel corso della Grande Guerra ebbe molte ca- ratteristiche comuni, sia tra gli Alleati, Italia compresa, sia tra gli Imperi Centrali. Tranne che per la Germania, nei primi mesi del conflitto l’iniziativa fu fondamen- talmente privata e non coordinata da istituzioni governative, perché si riteneva che il conflitto avrebbe avuto rapida conclusione. In un secondo momento venne isti- tuzionalizzata solamente la contro-propaganda: l’esecutivo civile creò dei servizi par- ticolari al suo interno, seppure con caratteri di eccezionalità, che ne giustificavano la scarsa aderenza ai principi liberali. Quando fu chiaro che la guerra non sarebbe stata di breve durata, si mobilitò anche l’apparato militare e si investì massiccia- mente nella propaganda: il suo sviluppo rimase ancora legato all’eccezionalità della guerra, ma si ricorse a specialisti e a tutte le tecniche conosciute9.

In tutte le nazioni si ricorse anche alla mobilitazione degli intellettuali, che del resto in ambedue i campi furono generalmente favorevoli all’entrata in guer- ra; vedremo poi per l’Italia, ma il loro schieramento nei territori absburgici era abbastanza impressionante, visto che furono coinvolti personaggi della levatura di Leo Spitzer, Stefan Zweig, Franz Werfel, Robert Musil, che fu persino diret- tore di un giornale di trincea a Bolzano10.

Anche in Italia inizialmente l’attività di propaganda patriottica fu indirizzata quasi esclusivamente alla popolazione civile e fu affidata alle associazioni private che si occupavano di assistenza. Da parte del governo si cercò confusamente di intervenire, costituendo infine, affidato al giurista Vittorio Scialoja, un ministe- ro per la Propaganda che però si occupava solamente di attività verso l’estero, e uno per l’Assistenza civile, che solo dall’estate del 1917 si occupò di propagan- da interna, sotto la guida dell’interventista repubblicano Ubaldo Comandini. Questi si trovò così a capo sia delle Opere federate di assistenza e propaganda nazionale (che coordinavano gli enti privati) sia del Commissariato generale per l’assistenza civile e la propaganda interna.

4 Ibidem, pp. 115-122, 150-151, 152. 5 Ibidem, pp. 19-20.

6 Ibidem, pp. 124-130.

7 L. Capretti, F. De Leonardis, La Società per l’Arte in famiglia, cit., pp. 163-167. 8 L. Capretti, F. De Leonardis, Gli artisti bresciani e la Grande Guerra, cit., p. 32.

9 Gian Luigi Gatti, Dopo Caporetto. Gli ufficiali P nella Grande Guerra: propaganda, assistenza, vi-

gilanza, Editrice Goriziana, Gorizia 2000, p. 22.

All’interno delle strutture militari, nel 1916 il governo aveva invece istituito, ai fini della propaganda interna, rivolta ancora alla popolazione e non ai mi- litari stessi, l’Ufficio stampa e propaganda presso il Comando supremo. Que- sto ufficio aveva il compito di produrre, oltre al materiale a stampa, anche fo- tografie e film, ma non era stato dotato di grandi mezzi. Nel frattempo alcuni comandi di Armata avevano autonomamente incentivato modeste iniziative di propaganda rivolte ai soldati.

Fu solamente dopo la rotta di Caporetto nell’ottobre del 1917 che si rese evi- dente quanto l’efficacia dell’azione militare italiana fosse gravemente menoma- ta dal fatto che, sia nei militari che nella popolazione civile, si era sempre più radicato un senso di estraneità alle motivazioni inizialmente condivise. I mezzi della repressione imposti duramente dal generale Cadorna avevano dimostrato la loro inutilità e si capì che era necessario investire uomini e mezzi finanziari in un grande sforzo di riconquista della partecipazione dei cittadini e delle truppe.

Perciò all’inizio del 1918 il comando supremo del generale Diaz affiancò all’Ufficio stampa e propaganda il Servizio P centrale, dove P stava per propa- ganda, che unificava quelli già sorti all’interno delle armate. Nel regolamento generale esso veniva definito come organizzazione «per i servizi di indagini, di propaganda e controspionaggio fra le truppe operanti e le popolazioni, e di pro- paganda sul nemico»11.

In pratica le esperienze delle singole armate venivano estese e inquadrate in una complessa struttura centralizzata, dove continuava a operare anche il Ser- vizio I (come “informazioni”), con un coordinamento a livello di comando su- premo costituito dagli uffici ito (Informazioni truppe operanti) e una ramifi- cazione a livello di armate in Sottosezioni P con un grado variabile di autono- mia. Ai livelli inferiori operavano gli Ufficiali P, in numero stimato di circa un migliaio, che gestivano i collaboratori, interloquivano con la truppa e riferivano ai corpi d’armata sulle sue reazioni. Ai livelli superiori del servizio si trovarono a collaborare in vario modo personaggi di notevole levatura intellettuale: ebbero posizioni di grande importanza il giornalista Ugo Ojetti, lo storico Gioacchino Volpe, il pedagogo Giuseppe Lombardo Radice, il giurista Piero Calamandrei.

In questa struttura furono inquadrati anche numerosi artisti che collabora- vano alla produzione di materiale di propaganda, sotto forma di giornali, ma- nifesti, cartoline, volantini. Tra questi si ritrovano i nomi di noti scrittori (Emi- lio Cecchi, Piero Jahier, Giuseppe Ungaretti, Curzio Malaparte, Salvator Gotta,

Guido da Verona), di noti artisti (Giorgio De Chirico, Carlo Carrà, Ardengo Soffici, Mario Sironi, Duilio Cambellotti) e soprattutto dei migliori disegnatori (Umberto Brunelleschi, Enrico Sacchetti, Antonio Rubino, Giuseppe Mazzoni, Luciano Ramo, Aroldo Bonzagni, Mario Bazzi, Leonetto Cappiello), che par- tecipavano assiduamente e con entusiasmo alla redazione di giornali destinati alla truppa. Infatti, come scrive Mario Isnenghi:

Soggettivamente – e sociologicamente – la partecipazione alla grande guerra mar- chia indelebilmente tutta una generazione e particolarmente coloro che vi hanno preso parte come ufficiali di complemento. Né solamente perché la stagione della guerra coincide con le attese e gli entusiasmi di gioventù. C’è una immedesima- zione più segreta, più intima. E l’angolatura del Servizio P. e dei giornali di guerra cui tanti di essi e dei loro affini attesero è forse la migliore per coglierne le ragio- ni. Schiacciati dal servizio militare in se stesso che li umilia fisicamente e psicolo- gicamente nell’anonimato […] gli intellettuali rifioriscono quando la loro passio- ne patriottica può allargarsi e trovar spazio confacente al ruolo nell’organizzazione culturale di guerra: quando cioè la stessa condizione militare ribadisce il ruolo e le prerogative specifiche dell’intellettuale12.

Grazie a contributi di tale livello, alcuni dei “giornali di trincea” (citiamo «L’Astico», «La tradotta», «La trincea», «La ghirba», «Il Montello», «San Mar- co»)ebbero negli ultimi mesi di guerra contenuto e presentazione particolar- mente curati e incontrarono notevole successo, ma in realtà più tra gli ufficia- li che tra i soldati, che li videro in molti casi come espressione dei comandi e degli uffici delle retrovie. Giustamente l’altissima incidenza dell’analfabetismo tra i soldati faceva dare molta importanza alle illustrazioni, ma forse la trup- pa era stata coinvolta, più che dai disegni dei grandi grafici, dalla spontaneità dei primi giornalini, più ingenui, ma più vicini ai problemi quotidiani della trincea.

Anche i bresciani Landi e Lucini si trovarono inseriti nelle strutture dei ser- vizi di propaganda, ma con modalità e risultati molto differenti tra loro.

Angelo Landi (Salò 1879 - Gardone Riviera 1944)

Nato a Salò da famiglia benestante, ricevette qui i primi elementi di educa-

zione artistica avendo come maestro Carlo Banali. Rifiutando la formazione pre- vista per lui dalla famiglia, passò per studi irregolari a Venezia, dove frequentò Augusto Sezanne, e a Milano, dove fu iscritto per breve tempo all’Accademia di Brera e dove finì per stabilirsi. Frequentò gli ambienti della Scapigliatura, da cui fu influenzato, come poi da Simbolismo e Liberty; partecipò a molte im- portanti esposizioni, e conobbe un discreto successo con ritratti e decorazioni, esercitando la professione sia in ambiente bresciano (particolarmente sul Gar- da) che in quello milanese.

Interruppe il suo brillante esordio di carriera nel maggio del 1915 arruolan- dosi come volontario nel battaglione lombardo volontari ciclisti automobilisti dove ebbe come compagni Anselmo Bucci e un gruppo di futuristi (Tommaso Marinetti, Antonio Sant’Elia, Umberto Boccioni). Dopo lo scioglimento del battaglione a dicembre 1915, fu arruolato e nel 1916 fu destinato al neo costitu- ito Ufficio stampa e propaganda del Comando supremo. In questa organizza- zione ebbe l’incarico di girare, come caporale motociclista, i diversi fronti, per produrre dipinti che ne raffigurassero le vicende, mettendo in evidenza lo sfor- zo militare italiano, il valore dei nostri soldati nonché la malvagità del nemico. Questo aspetto della sua produzione è stato particolarmente studiato da Lucia- no Anelli13, Barbara d’Attoma14 e Francesco De Leonardis15.

Le opere di Landi furono pubblicate su autorevoli riviste (in particolare «Emporium»16 e «L’Illustrazione Italiana»17) e in storiche pubblicazioni ufficio-

se dell’esercito come «Il Giornale del Soldato»18, ma soprattutto furono destina-

te fin dal progetto iniziale a comparire in mostre di propaganda che venivano organizzate in diverse città d’Italia. Questa sua attività, iniziata nel 1916, ven- ne apprezzata a livello ministeriale e lo fecero entrare nel ristretto numero de- gli artisti a cui venivano dedicate mostre personali, accanto ad Anselmo Bucci,

Aristide Sartorio e i fratelli Michele e Tommaso Cascella19. Nel 1918 fu quindi

affidata alle Opere federate di assistenza e propaganda nazionale l’organizzazio- ne (con tanto di piccolo catalogo) di una mostra interamente dedicata a 200 sue opere, prima in agosto a Roma al Palazzo dell’Esposizione, poi a Milano in dicembre nel Ridotto della Scala20. Nel 1920 la stessa organizzazione trasferì la

mostra, con ulteriori aggiunte, in Argentina per una tournée in varie città abi- tate da emigrati italiani, al seguito della quale Landi stesso visse a Buenos Aires tra il 1920 e il 1922. Tornato in Italia, partecipò con le sue opere ad altre mostre legate al tema della guerra, a Roma nel 1922 e a Monza nel 1924.

Il catalogo della mostra romana del 1918 riporta in realtà i titoli di 148 ope- re, tra disegni e dipinti; da essi si può constatare la vastità del territorio in cui Landi si era recato per visitare i vari fronti di battaglia. Una delle due sole ri- produzioni presenti riguarda l’Adamello (Trasporto di un ferito sull’Adamello), molti titoli si riferiscono al Carso (Sul Pecinka, Quota 121, Tragico avanzo -

San Michele), altri alla ritirata dall’Isonzo (Sulla via di Sacile, Durante la riti- rata dell’Isonzo), alla difesa sul Piave (La vedetta del Piave, L’isola dei morti sul Piave, Attacco di gas asfissianti sul Piave), ai bombardamenti aerei su Padova

(Padova martoriata, Il Santo bombardato, Una bomba nel teatro Verdi), al Ca- dore e al Trentino.

La recensione della mostra, pubblicata sul «Messaggero» e riportata dalla «Provincia di Brescia», lodò la capacità di Landi di costruire col materiale rac- colto «un vivissimo e completo racconto della nostra guerra»21. Il vasto mate-

riale, purtroppo perso in gran parte durante la ritirata di Caporetto, era com- posto da moltissimi schizzi tracciati dal vivo, e da dipinti (a olio o pastello) in cui essi venivano trasferiti.

Il giudizio della critica sulla produzione più “finita”, quindi prevalentemente a olio, si è diviso. Bruno Passamani, curatore della prima grande mostra retro- spettiva, a Salò nel 1980, rilevava in Landi una certa superficialità nell’affrontare il fenomeno della guerra e vedeva nelle sue opere «la dominanza del paesaggio, che tende a riassorbire l’elemento umano traducendolo in effetto di macchia», concludendo «Egli resta insomma, anche nell’inferno della guerra, il paesaggi-

13 Luciano Anelli, Angelo Landi da Salò. “Pittore vagabondo” dal Garda alle capitali d’Europa, Cata-

logo della mostra a Salò e Gardone Riviera, Roccafranca (Bs) 2006 (con contributi di Barbara D’At- toma e Marcello Riccioni).

14 Barbara D’Attoma, L’ambiente di San Benedetto del Tronto e la Grande Guerra di Angelo Landi,

«Commentari dell’Ateneo di Brescia» per l’anno 2007, Brescia 2012.

15 Francesco de Leonardis, Gli artisti bresciani e la Grande Guerra, in catalogo della mostra, Brescia,

AAB, 29 novembre 2014 - 7 gennaio 2015.

16 Luigi Angelini, Disegni di guerra. Il pittore Angelo Landi, «Emporium», vol. XLV, 270 (1917), pp.

427-432. RAFF, Le mostre di Milano, «Emporium», vol. XLIX, 290 (1919), pp. 102-109.

17 Impressioni di soldati pittori al fronte, «L’Illustrazione Italiana», XLIII, 40, 1 ottobre 1916, p. 280. 18 «Il Giornale del Soldato», XIX, 24, 17 giugno 1917, p. 175 (ill.).

19 Repertori del Museo Centrale del Risorgimento, n. 5. Pittori-Soldato della Grande Guerra, a cura di

Marco Pizzo, Roma 2005, pp. 35-36.

20 La mostra di impressioni di guerra del pittore Landi, «Il Corriere della Sera», 1 gennaio 1919. 21 L’esposizione di quadri della guerra del caporale Angelo Landi a Roma, «La Provincia di Brescia», 28

sta che ha scelto di essere con i paesaggi animati degli anni ’10»22. Questo seve-

ro giudizio è stato contestato da Luciano Anelli nel catalogo del 2006, indivi- duando al contrario, anche grazie all’esame di opere emerse da nuove ricerche, un Landi «fortemente ed emotivamente coinvolto non solo dal dinamismo del- le azioni belliche, ma anche partecipe alla vita quotidiana e dura del soldato»23.

Secondo l’interpretazione di Anelli, Landi rientrerebbe quindi nel primo dei due gruppi in cui il citato Marco Pizzo suddivide i pittori-soldato:

All’interno dell’attività dei pittori-soldato è possibile tracciare una qualche diffe- renza tra chi, come Anselmo Bucci, Aldo Carpi, Vito Lombardi e in qualche mo- do anche Cipriano Efisio Oppo, registrò nelle proprie opere singoli avvenimenti quotidiani della vita svolta sul fronte, e chi, come Lodovico Pogliaghi o Tommaso Cascella o Italico Brass ebbe una partecipazione più distaccata ritraendo la “guerra” come uno dei tanti temi che la realtà contemporanea gli poneva davanti agli occhi. Nel primo caso avremo quindi la realizzazione di una sorta di diaristica personale, soggettiva ed emotiva, mentre nel secondo assisteremo ad una visione quasi fred- da e distaccata dei nuovi scenari che il pittore e soldato aveva davanti agli occhi.

Un giudizio definitivo non è facile; nella produzione a olio pare possibile in realtà trovare opere che possono suffragare l’una o l’altra delle valutazioni criti- che, e comunque non si può trascurare il fatto che il numero delle opere “belli- che” di Landi giunte a noi è molto ridotto rispetto a quelle prodotte (Passama- ni ne calcolava circa 400 tra disegni e dipinti). Lo stesso problema si porrebbe quindi anche nel giudicare i disegni, di cui ci sono pervenuti pochissimi esem- plari, mentre poche decine di essi sono documentati da riproduzioni giornali- stiche o dalle fotografie raccolte in 4 album conservati dall’Istituto per la sto- ria del Risorgimento Italiano, presso il Vittoriano di Roma24. Ma nei disegni la

componente di tranquilla rappresentazione del paesaggio è totalmente assente e risalta invece «la capacità di partecipazione agli episodi bellici ed alle condizioni di vita (e di morte) dei soldati» espressa in forme anche molto crude: «i corpi semi-decomposti perché i commilitoni non hanno potuto recuperare il cadavere a causa del fuoco nemico […] i teschi spolpati fatti oggetto del fuoco “diversivo” del nemico, una mano staccata dal corpo ed aggrappata ad un filo spinato»25.

Resta da risolvere il dubbio (che si riproporrà con Lucini) di quanto la forma espressiva dei disegni più crudi fosse generata da una istintiva reazione alle tra- giche scene viste di persona, e quanto fosse in qualche modo imposta o almeno suggerita dalle direttive del Servizio per cui l’artista stava lavorando e al quale i disegni venivano consegnati: non possiamo dimenticare le finalità con cui era- no stati creati i vari servizi di propaganda e le direttive che da essi venivano im- partite ai vari livelli esecutivi. In realtà, confrontando i disegni di Landi con le opere degli altri artisti presentate nel volume curato da Marco Pizzo per l’Isti-