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Il distretto armiero valtrumplino

«Col miraggio di mirabolanti ordinazioni»

4. Il distretto armiero valtrumplino

La Grande Guerra e lo sforzo industriale a essa legato presentarono notevoli opportunità per le imprese armiere italiane: in questa fase, infatti, esse riuscirono a lanciare nuovi prodotti, oltre che a diffondere quelli già presenti nel catalogo, conseguendo un cospicuo aumento del fatturato41. Si aprì pertanto un nuovo

capitolo per le numerose aziende bresciane che si dedicavano alla produzione militare, ma di considerevoli trasformazioni furono protagoniste anche quelle aziende tradizionalmente specializzate nella produzione di armi da caccia. In altre parole, è possibile affermare che anche il distretto armiero valtrumplino, «totalmente investito dalle commesse gestite e redistribuite dall’arsenale gover- nativo»42, venne coinvolto nel totale assorbimento dei settori metallurgico e me-

talmeccanico provinciali da parte degli ordinativi statali.

La mobilitazione per il distretto si concretizzò, innanzitutto, attraverso un

37 P. Ferri, Grande industria e banca d’affari, cit., p. 106.

38 Mario Romani, Tra Ottocento e Novecento: gradualità e accelerazioni dello sviluppo industriale, in

Bergamo e il suo territorio, a cura di Giorgio Rumi, Gianni Mezzanotte, Alberto Cova, Cariplo, Mi- lano 1997, p. 341; il contesto accennato, per il suo rilievo, viene richiamato anche in A. Cova, Il si- stema produttivo e le sue dinamiche. Congiuntura e struttura, cit., p. 13.

39 E. Borruso, Struttura produttiva e gruppi imprenditoriali. L’esperienza di Brescia tra le due guerre

(1917-37), cit., p. 56.

40 Franco Nardini, La genialità e il coraggio di Giulio Togni, figlio di ‘fontanieri’ camuni, hanno costruito

l’odierna Atb salvata e rilanciata dall’alleanza tra Falck e Stato-imprenditore, in La Banca Credito agrario bresciano e un secolo di sviluppo. Uomini, vicende, imprese nell’economia bresciana, vol. II, cit., p. 405.

41 Fabio Degli Esposti, Stabilimenti industriali o falansteri? La lunga parabola degli arsenali (1800-

1930), in Storie di armi, a cura di Nicola Labanca, Pier Paolo Poggio, Unicopli, Milano 2009.

42 Piergiorgio Bonetti, I canali industriali di Gardone: storia del Consorzio sponda destra del Mella, La

forte impulso all’attività della locale Regia Fabbrica d’Armi che, dopo aver spe- rimentato un ridimensionamento nel primo decennio del Novecento, era già stata oggetto di una strategia di rilancio negli anni della guerra in Libia. Oltre ai già citati impressionanti risultati sotto il profilo occupazionale, l’arsenale fa- ceva registrare un forte incremento anche in termini di output. La produzione venne incentrata su parti d’arma, proiettili sia da 149 che da 75 millimetri e, soprattutto, sui moschetti 1891, di cui la Regia fabbrica arrivò a produrne men- silmente più di 2.000 unità nel periodo di massimo sforzo bellico43. Lo stabili-

mento poté conseguire tali risultati produttivi grazie a significativi investimenti che ne determinarono un ampliamento sia in termini dimensionali, passando da 18 mila a 100 mila mq di superfice, sia di equipaggiamento, venendo dotato, oltre che di binari ferroviari per la movimentazione delle merci, anche di una vasta gamma di macchinari e di nuove turbine alimentate da energia idraulica o da un impianto a diesel44.

In virtù della riorganizzazione produttiva legata alla mobilitazione industria- le, lo stabilimento gardonese dell’arsenale di Brescia assunse una posizione di rilievo nella gestione e nel coordinamento dei rapporti con le imprese armie- re valtrumpline. In un periodo difficile per il comparto delle armi da caccia, la Regia Fabbrica di Gardone divenne snodo fondamentale per il distretto locale nella esternalizzazione di particolari fasi della produzione di armi: a esso, co- me ai grandi stabilimenti direttamente coinvolti nel sistema della ausiliarietà, guardavano storiche aziende, quali la Beretta e la Bernardelli, così come le altre molteplici officine disseminate in tutta la valle45.

Paradigmatica delle trasformazioni che intervennero nel distretto armiero valtrumplino è la vicenda della Beretta. Con l’approssimarsi del conflitto, e an- cor di più nell’anno del suo scoppio nel 1914, gli ordinativi di armi da caccia, su cui le fabbriche di Gardone e degli altri comuni valligiani avevano gioca- to le proprie fortune negli anni precedenti, cominciarono a ridursi. Pertanto, con l’intento di trovare nuove opportunità, Pietro Beretta acquistò dalla Regia marina 150 cannoncini a tiro rapido Hotchkiss che vennero riadattati per esse- re venduti come equipaggiamento per i dirigibili italiani. Inoltre, a partire dal

1914, la Beretta mise a disposizione parte del proprio impianto per la riparazio- ne e l’adeguamento dei vecchi fucili da guerra 1891 e ricevette una importan- te commessa dalle Officine Villar Perosa per la produzione della storica Mitra- gliatrice Leggera in calibro 9 mm Glisenti. Infine, ottenne in subappalto dalla Società Metallurgica già Tempini la produzione di canne per mitragliatrice Fiat Modello 1914, instaurando così un proficuo rapporto che sarebbe durato fino al termine delle ostilità46.

L’anno seguente la storica azienda armiera brevettò una nuova pistola semi- automatica, la modello 15, destinata all’equipaggiamento degli ufficiali che di- venne una delle armi militari di maggior successo durante la Prima guerra mon- diale. Entrata stabilmente nel catalogo dell’antica casa gardonese, la modello 15 influì in maniera determinante sul suo futuro, facendola entrare con successo anche nel mercato delle armi corte. In altre parole, grazie alla guerra, la Beret- ta non riuscì solo a mantenere elevati i propri livelli produttivi, ma sviluppò e consolidò anche nuove professionalità in ambito militare che si sarebbero ri- velate assai preziose all’indomani della conclusione del conflitto47. Sempre in

quest’ottica è da leggersi il percorso fatto dalla Beretta con la trasformazione della sopramenzionata mitragliatrice di Villar Perosa che permise di mettere a punto il primo moschetto italiano. Questo non solo attirò, da subito, nel 1918, le attenzioni del ministero della Guerra ma, fatto oggetto di importanti aggior- namenti, venne adottato da diversi corpi armati nei due decenni successivi48.

Come la Beretta, anche la Bernardelli, un’altra importante azienda del di- stretto, aveva continuato, pur nelle difficoltà date dalla situazione dei mercati, la produzione di fucili da caccia e di diverse parti d’armi. A ogni modo, già dai primi mesi dell’inizio della Grande Guerra, la maggior parte della manodopera era stata destinata alle commesse ricevute dalla Regia Fabbrica: in particolare, tra queste vi erano parti d’arma per le pistole semiautomatiche 1889 e per il fu- cile moschetto 1891. Le istituzioni militari divennero così il veicolo attraverso

43 Gianfranco Simone, Ruggero Belogi, Alessio Grimaldi, Il 91, Ravizza, Milano 1970, p. 57. 44 P. Bonetti, I canali industriali di Gardone, cit., p. 82; Armando Albesio, Dall’arsenale alla S.F.A.E.,

in Antologia Gardonese, a cura di Giovanni Zucca, Apollonio, Brescia 1969, pp. 236-237.

45 Massimiliano Del Barba, Storia del distretto armiero gardonese. Il caso della Vincenzo Bernardelli

(1865-1997), Fondazione Luigi Micheletti, Brescia 2008, pp. 72-73.

46 Marco Morin, Robert Held, Beretta. La dinastia industriale più antica al mondo, Acquafresca,

Chiasso 1980, pp. 214-216.

47 Sergio Onger, Ivan Paris, Giuseppe Beretta: una lunga storia dentro un secolo breve, in Cultura, ri-

cerca e società. Da Giuseppe Beretta (1906-1993) all’intervento delle fondazioni, a cura di Antonio Por- teri, Laterza, Roma-Bari 2012, p. 46.

48 Paolo Roffia, La Pietro Beretta fabbrica d’armi dai primi del 1900 ai giorni nostri: la definitiva con-

quista della leadership italiana e le basi per il ruolo di competitor mondiale, in Giuseppe Bruni, Bettina Campedelli, Paolo Roffia, Saggi storici di ragioneria. Ricerche e analisi di imprese longeve, vol. I, Pietro Beretta fabbrica d’armi, Università di Verona, Verona 1997, pp. 190-191.

cui l’azienda gardonese, entrata nel mondo della media industria proprio du- rante le avvisaglie della depressione e della crisi economica che aveva colpito dal 1908 anche il distretto, cercò di compensare la perdita delle quote conquistate nel periodo prebellico sul mercato di armi civili49.

La strategia diede in poco tempo i suoi frutti visto che determinò un velo- ce incremento delle disponibilità finanziarie dei fratelli Bernardelli. Essi deci- sero di impiegare tali risorse in due modi principali: nell’acquisto di terreni e nell’ampliamento della capacità produttiva della loro azienda. Innanzitutto, nel novembre del 1916, i Bernardelli procedettero all’acquisto di terreni in Gardone Val Trompia, nelle vicinanze del fiume Mella. Tali fondi, acquistati dall’azien- da in contanti il 24 novembre 1916 per un prezzo di 950 lire, comprendevano 3.000 mq di seminativo arboreo, 260 di gelseti, 320 di terreno lasciato a pascolo e 620 di bosco ceduo. In seconda battuta, sulla base dei continui ordinativi pro- venienti dalla Regia Fabbrica, a margine dello stabilimento principale, di fianco alla chiusa del canale che portava acqua alla turbina idroelettrica, i fratelli co- struirono un nuovo laboratorio di circa 100 mq di ampiezza dotato di una sega elettrica: in questo modo anche il reparto falegnameria, guidato da Ludovico Bernardelli, venne dotato di una propria specifica sede distaccata dalle lavora- zioni metallurgiche50.

Vennero coinvolte nelle commesse della Regia Fabbrica anche le numerose officine di Lumezzane, le quali, grazie a tali commesse, oltre a intensificare le tradizionali lavorazioni di armi bianche, accessori d’armi e varie minuterie me- talliche, poterono integrarle con quelle di armi da fuoco e loro componenti. Vennero coinvolte la Saleri Bortolo e F.lli, la Prandelli Bortolo & F.lli, la Ama- dio e Luigi Bonomi e la piccola Amadio Luigi che misero le proprie officine a disposizione delle commesse statali, principalmente di spolette e inneschi. Prima protagonista fra le ditte valgobbine fu però la Gnutti, alla quale, già negli anni di avvicinamento alla Grande Guerra, l’arsenale aveva iniziato ad assegnare la produzione di canne grezze per il fucile modello 91. A tali commesse, rinnovate all’entrata del paese nel conflitto, fecero seguito ordinativi di calcioli in ferro, estrattori, traversi di cilindro e alzi graduati per il congegno di sparo, decisivi nello spingere la ditta a dotarsi di moderni macchinari. Giunsero così sempre più consistenti ordini sia per le canne grezze del famoso fucile, sia per la realiz- zazione delle canne delle mitragliatrici modello Fiat 14.

Dopo essere entrata a far parte del gruppo degli stabilimenti ausiliari nel di- cembre del 1916, la ditta valgobbina, oltre a continuare la consolidata e intensa produzione di baionette, vanghette e picozze, ebbe modo di cimentarsi nella fornitura di una grande varietà di nuovi prodotti: parti di ricambio in acciaio o bronzo per l’artiglieria, bombarde per areoplani, proiettili per cannoncini da trincea calibro 30 mm, shrapnels da 75/906, tappi di ogive stampati per granate da 206 mm, inneschi per spolette da 910, punte da ogiva per granate in acciaio da 206 e granate di vario tipo51.

5. Potenziamento industriale e finanza locale

Gli anni della Grande Guerra portarono una consistente prosperità in ambi- to finanziario e bancario nonostante l’interruzione di molti rapporti commercia- li, l’estendersi di regimi di moratoria a livello internazionale e il largo tesoreg- giamento a cui ricorsero gli operatori economici nel momento stesso dell’inizio delle ostilità nel luglio del 191452. In effetti, con riferimento all’area lombarda

nel suo complesso, a parte le ripercussioni diverse che i provvedimenti imme- diatamente successivi allo scoppio del conflitto avevano determinato sui vari settori, è possibile affermare che, nei limiti in cui la situazione lo consentiva, molti istituti di credito cercarono di andare incontro alle esigenze della produ- zione. Le opportunità offerte dal conflitto, non solo in termini di profitto ma anche di trasformazione dei singoli sistemi creditizi locali, garantirono dunque nuovi spazi di operatività. Il sistema delle banche, fortemente sollecitato dal- la domanda pubblica di capitali, trovò la via principale per il collocamento di abbondanti risorse nell’impiego in titoli di Stato e, nell’ambito del credito alle imprese, essendo ormai irrilevante il tradizionale sconto della carta commercia- le, divenne di primaria importanza il sostegno recato all’ampliamento della base produttiva, ovvero al finanziamento del capitale fisso delle imprese direttamente e consistentemente coinvolte nello sforzo bellico53.

A Brescia, nella prospettiva di cogliere appieno tali occasioni, si mosse cer- tamente il Credito Agrario Bresciano (Cab), soprattutto grazie alla presidenza

49 M. Del Barba, Storia del distretto armiero gardonese, cit., pp. 73-74. 50 Ibidem.

51 M. Zane, Grande Guerra e industria bresciana, cit., pp. 82-84.

52 G. Gregorini, Banche e sistema finanziario, in Brescia nella Grande Guerra, cit., pp. 75-81. 53 Pasquale Galea, Il finanziamento delle attività industriali, in Storia dell’industria lombarda, in Svi-

luppo e consolidamento di un’economia industriale. Dalla prima alla seconda guerra mondiale, a cura di Sergio Zaninelli, vol. III, Il Polifilo, Milano 1992, pp. 178, 189.

di Giorgio Porro Savoldi tra il 1916 e il 1919. In effetti, come ha efficacemente sintetizzato Roberto Chiarini,

nel pieno della mobilitazione bellica viene al pettine un nodo già insorto negli anni precedenti. L’Istituto bancario – il Cab –, che a partire dall’inizio secolo ha corretto la sua politica finanziaria attenuando gli interventi nel “settore primario” per inten- sificarli nel “secondario” e “terziario”, ed allargando l’attività anche fuori dei confini provinciali, decide il superamento della primitiva forma cooperativa per adottare le più moderne ed agili vesti di società per azioni. Il passaggio apre la possibilità di un mutamento della compagine di controllo dell’azienda attraverso il rastrellamen- to delle azioni, il che fa insorgere un duro braccio di ferro tra l’“ala industrialista” e l’“ala degli agrari”. Lo scontro si prolunga per più di due anni. Solo nel 1918, do- po che il direttore della Cattedra ambulante (Antonio Bianchi) si è personalmente impegnato ad assicurare nelle mani degli agricoltori il collocamento di gran parte delle azioni emesse a seguito di un aumento di capitale, gli “agrari” si garantiscono il controllo della banca e quindi la prosecuzione della sua costante azione a favore dell’“industria dei campi”54.

Negli anni della Grande Guerra prevalsero dunque gli investimenti e le dispo- nibilità rivolte al comparto industriale: nel biennio 1916-17 il Cab strinse fecondi rapporti con molte imprese industriali, con sede al di qua e al di là dei confini pro- vinciali. I due principali poli di attrazione rimasero le Officine Meccaniche Togni e la Società Elettrica Bresciana ma, accanto a esse, si allungò la lista delle ditte non rurali a cui la banca offrì i propri servigi e aprì il suo portafoglio. Tra le altre, vale certamente la pena di ricordare: Manifattura Italiana d’Armi, Società Metallurgi- ca Bresciana (già Tempini), Officine Meccaniche Reggiane, Officine Meccaniche Italiane, Unione Elettrotecnica Bresciana, Società Elettrica Riviera di Ponente, Società di Elettricità Milani, Società Adriatica Elettricità, Calzificio Fratelli Am- brosio, Calzificio Rovetta e Lanti, Conceria Alessandro Coppellotti, Acquedotto Pugliese, Officine Ferroviarie Meridionali, Società Marittima Italiana, Società Al- ti Forni di Piombino, Società Italiana Cementi di Casale, Ceramiche Folzano55.

In riferimento a un’altra importante banca bresciana, la Banca San Paolo (Bsp), sulla base delle ricerche di Mario Taccolini56, è possibile affermare che il

profilo prudente e moderato della sua gestione ordinaria, pur limitandone par- zialmente il dinamismo57, le permise di evitare le potenziali conseguenze critiche

derivanti da disordini interni o squilibri internazionali. In questo senso la banca cattolica bresciana proseguì, in maniera cadenzata, nel cammino di consolida- mento sia in termini di capitalizzazione (crebbero consistentemente le riserve, mentre il capitale sociale rimase alle iniziali 100 mila lire fino al 1929)58, sia in

termini di diffusione sul territorio provinciale (nel 1923 raggiuse il numero di 11 sportelli in Brescia e provincia)59.

In base ai dati elaborati da Aldo De Maddalena, capaci di offrire una valu- tazione complessiva dell’andamento della Bsp nel decennio 1910-1920 (com- prensivo quindi del primo conflitto mondiale), l’istituto bancario in questione fu in grado di triplicare i propri fondi di riserva, che nel 1920 superarono i 2 milioni di lire, e di accrescere sia il volume della massa fiduciaria, sia il volume degli impieghi: la prima passò da quasi 28 milioni a oltre 80 milioni e 200 mi- la lire, mentre la seconda da poco più di 22 milioni a oltre 40 milioni di lire. Gli utili d’esercizio, inizialmente sotto le 158 mila lire, arrivarono a superare la quota di 921 mila lire, mentre l’annuale erogazione di beneficenza aumentò di oltre il 100% e raggiunse quasi l’ammontare di 108 mila lire. Sebbene gli am- ministratori della Bsp continuassero a operare con la massima cautela lungo i tradizionali e collaudati binari della propria politica d’investimento, senza farsi suggestionare dalle straordinarie opportunità scaturite dal frenetico svilupparsi delle iniziative industriali e commerciali legate alle esigenze belliche, furono es- si stessi ad ammettere che l’incremento del volume d’affari sperimentato dall’i- stituto fu determinato da una serie di condizioni che si verificano storicamente in condizioni di economia di guerra: sviluppo di determinate industrie, prezzi rimuneratori dei prodotti agricoli, lauti salari, accresciuta popolazione operaia60.

54 R. Chiarini, L’armonia e l’ardimento, cit., pp. 73-74.

55 Aldo De Maddalena, La Banca Credito Agrario Bresciano. Qualche sosta accanto a pietre miliari del-

la sua storia (1883-1965), in La Banca Credito agrario bresciano e un secolo di sviluppo. Uomini, vicende, imprese nell’economia bresciana, vol. II, Cab, Brescia 1983, p. 509.

56 Si veda ad esempio il contesto provinciale delineato nel fondamentale saggio di Mario Taccolini,

Le origini del Banco Ambrosiano: 1895-1896, in Mario Taccolini, Pietro Cafaro, Il Banco Ambrosiano. Una banca cattolica negli anni dell’ascesa economica lombarda, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 7-93.

57 Per certi versi di una maggior dinamicità davano prova anche le altre banche di ispirazione cat-

tolica, comprese le casse rurali. Su questi aspetti, per l’area camuna si veda in particolare Banca di Valle Camonica. 140 anni di storia, a cura di Oliviero Franzoni, Ubi-Banca di Valle Camonica, Breno 2012, p. 22. Per la storia di questo istituto e del contesto considerato si veda anche Insieme per vivere, a cura di Oliviero Franzoni, 8 voll., Banca di Vallecamonica, Breno 2002-2009.

58 Florio Gradi, Banca San Paolo di Brescia. Profilo economico-statistico, Cedoc, Brescia 1989, p. 79. 59 Gian Ludovico Masetti Zannini, Mario Taccolini, Banca San Paolo di Brescia. Una tradizione per

il futuro 1888-1988. Note storiche, Banca San Paolo di Brescia, Brescia 1988, pp. 37-51.

60 Aldo De Maddalena, Credito e banche a Brescia nei secoli XIX e XX, cit., pp. 1064-1065; per altri

Altrettanto rilevanti furono le trasformazioni che coinvolsero il Banco Maz- zola Perlasca (Bmp) e l’Unione Bancaria Nazionale (Ubn), sorti il primo nel 1903 e la seconda nel 1916, quest’ultima dunque proprio nel cuore dello sforzo bellico nazionale61. Senza entrare nel vivo della riflessione sulle origini di questi

due istituti di credito, entrambi particolarmente performanti e infine confluiti in un’unica banca a partire dal 1928, è possibile individuare un consolidamento della loro azione in termini di finanziamento allo sviluppo industriale anche e soprattutto negli anni del primo conflitto mondiale, con rilevanti consequen- zialità nelle fasi storiche successive62.

Dal punto di vista della valutazione dell’economicità di gestione, ad esempio dell’Ubn, l’assemblea del 6 aprile 1925 rappresentò l’occasione per la presenta- zione dei risultati conseguiti in poco meno di un decennio. Il capitale sociale, inizialmente pari a 4 milioni di lire, venne elevato a 12 milioni nel 1922, e pro- prio nel corso dell’assemblea del 1925 salì a 18 milioni. Le riserve, pari a 8.456 lire nel 1916, raggiunsero il livello pari a 1.339.146 lire nel 1924. L’entità dei de- positi a risparmio e dei conti correnti fruttiferi partì da 10.295.899 lire nel 1916, per raggiungere la ragguardevole cifra di 167.206.648 lire nel 1924. Gli effetti in portafoglio passarono da 5.467.129 lire nel 1916 a 115.498.287 lire nel 1924. Gli utili crebbero da 169.136 lire nel 1916 a 1.314.897 lire nel 1924, remunerando il capitale sociale con una percentuale che salì da un iniziale 4% a un finale 8%. La beneficenza, attiva solo a partire dall’esercizio 1920, da 28.494 lire arrivò a toccare le 158.745 lire sempre nel 1924. A tali esiti si giunse con questa progres- sione effettiva63:

anni capitale sociale riserve depositi a risparmio e c.c. fruttiferi

effetti

in portafoglio utili beneficenza

lire lire lire lire lire dividendo lire 1916 4.000.000 8.456,82 10.295.899,44 5.467.129,77 169.136,52 4 – 1917 4.000.000 17.436,73 12.648.454,99 9.603.941,32 179.598,25 4 – 1918 4.000.000 88.068,26 28.286.412,17 15.963.763,46 220.013,19 4 – 1919 4.000.000 131.115,56 49.851.598,19 24.224.282,07 243.047,30 5 – 1920 4.000.000 654.130,80 94.771.266,13 33.511.734,02 810.505,24 6 28.494,–.– 1921 4.000.000 1.174.668,52 124.587.805,51 49.532.612,32 843.881,37 7 26.006,19 1922 12.000.000 1.210.498,82 133.555.922,78 47.963.956,31 714.608,41 7 59.633,40 1923 12.000.000 1.273.401,87 149.181.163,90 69.709.796,88 1.258.059,27 8 142.546,90 1924 12.000.000 1.339.146,72 167.206.648,45 115.498.287,36 1.314.897,20 8 158.745,70

Nel complesso fu una crescita considerevole, a partire proprio dagli anni di economia di guerra, interrotta solo da una momentanea fase di arresto in cor- rispondenza con le note vicende della fine del 1921. Queste, caratterizzate dalla liquidazione della Banca Italiana di Sconto e significative soprattutto a livello nazionale64, incisero sull’andamento crescente degli effetti in portafoglio e de-

gli utili (di cui si segnala, comunque, soprattutto il balzo straordinario tra 1919 e 1920), così come sulla crescita dei depositi a risparmio che vennero momen- taneamente ridimensionati.

6. Nel mondo del lavoro

In maniera ancora più significativa e incisiva, le nuove condizioni di econo- mia di guerra modificarono sostanzialmente i meccanismi di funzionamento delle relazioni industriali insieme agli equilibri complessivi nel mercato del la-