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Le problematiche sociali della mobilitazione valutate attraverso le ri chieste di raccomandazione

Vivere, sopravvivere e prosperare in zona di guerra Mediazione clientelare e rapporto tra società e potere durante la

6. Le problematiche sociali della mobilitazione valutate attraverso le ri chieste di raccomandazione

Per peso quantitavo e qualità degli argomenti riscontrati nella macro-area “mobilitazione e problemi connessi”, palesati in 2.175 fascicoli, il 23,42% del to- tale di quelli raccolti da Ugo Da Como nella serie rossa relativamente al colle- gio elettorale di Lonato e in forma più estesa alla provincia di Brescia, si è reso necessario fissare il punto di osservazione sulle dinamiche della mobilitazione in zona di guerra in tutta la loro completa accezione. L’estrema varietà dei temi trattati, nella diretta relazione con un genuino sentimento popolare, permette di evidenziare molte declinazioni del sentire quotidiano della guerra (sciagura o fonte di opportunità?), le resistenze e lo spirito adattivo del corpo sociale di fronte all’autoritarismo militare, le concatenazioni di rapporti causa-effetto e i fattori moltiplicativi che concorsero durante la guerra a snervare lo spirito de- gli italiani.

6.1. L’assistenza, i sussidi e le pensioni

Quantitativamente, le richieste di raccomandazione riscontrate per la mo- bilitazione civile pervenute dal collegio elettorale e dal Bresciano non sono par- ticolarmente cospicue. Si tratta di 115 fascicoli relativi all’operato di comitati di preparazione morale, di altri 53 dedicati a questioni attinenti i profughi, 40 a iniziative patriottiche. Sono presenti alcune richieste di provvedimenti contro la crisi economica provocata dalla guerra (es. 27 per lavoro per disoccupati o rim- patriati) e per la salute pubblica (18), annonari (32), a favore dell’agricoltura (16). Assai differenziata è la presenza delle richieste di raccomandazione per con-

28 Adcstr, n. 3603. 29 Adcstr, n. 3603.

cessione di sussidi e pensioni giunte a Da Como durante il periodo 1914-1917. Nella serie “blu” del Gabinetto Sottosegretario al Tesoro Govv. Salandra I-Bosel- li, quella cioè attinente i precipui compiti di istituto del suo mandato in qualità di sottosegretario, se ne trovano più di un migliaio provenienti da tutta Italia. Allo stesso modo esse costituiscono la quasi totalità dei 4.100 fascicoli di rac- comandazione raccolti in 11 mesi di mandato nel suo incarico di ministro per l’assistenza militare e le pensioni di guerra nel governo Nitti I (23 giugno 1919 - 21 maggio 1920). Nella serie rossa del Gabinetto Sottosegretario al Tesoro Govv. Salandra I-Boselli, invece, le circa 200 richieste giunte a Da Como riguardano soprattutto casi particolarmente difficili o necessitanti di ulteriori rinforzi, pra- tiche respinte dalle commissioni comunali per le quali si richiede un intervento adeguato a supporto.

Durante la mobilitazione, l’iter burocratico per le richieste di sussidi di guer- ra si svolgeva all’interno delle apposite commissioni comunali e con l’appoggio dei comitati di preparazione morale alla guerra. Un sistema così concepito, la- sciato alla discrezione di un volontariato di parte, presentò non poche distorsio- ni, in quanto i comitati finirono spesso per esercitare funzioni di controllo delle tendenze politiche della società: era infatti in loro potere «includere o escludere le famiglie – in base alla loro fede patriottica – dall’elargizione dei sussidi e del lavoro a domicilio, e fornire alle autorità locali nomi di cittadini “sospetti”»32.

Inoltre, la corresponsione dei sussidi delegata a commissioni comunali e comi- tati favoriva le tattiche di amministratori e cittadini disonesti che intendevano trarre profitto dalla situazione contingente: già durante il primo anno di guer- ra si delinea una prima fase di intensi movimenti speculativi intorno al capitale fondiario. La stagnazione e la mancanza di mobilità all’interno del mondo con- tadino, conseguente alla leva di massa con la parossistica contrazione dell’offer- ta di manodopera nelle campagne e il ripiegamento verso un’economia semi- autarchica, concede grande libertà d’azione a notabili, mediatori e faccendieri, che disponendo di risorse di liquidità si accaparrano facilmente le proprietà dei piccolissimi proprietari rovinati finanziariamente dalla guerra. La mancata con- cessione dei sussidi governativi per le famiglie dei piccoli proprietari combat- tenti33, spesso pilotata all’interno delle amministrazioni comunali nelle quali i

possidenti agrari rivestono ruoli rilevanti, è un espediente che accelera questo processo di accumulazione capitalistica della proprietà terriera, favorito appun- to dalle politiche della mobilitazione, che si prolungò senza soluzione di con- tinuità fino alla crisi agraria del ’29, ponendo la Lombardia e la provincia di Brescia nelle posizioni di vertice della statistica nazionale di questo fenomeno34.

L’appoggio di Da Como alle pratiche di sussidio forniva perciò un valore aggiunto che indirizzandosi verso il governo andava a sindacare o condizionare in modo particolare l’operato dei sindaci del suo collegio sui casi di mancata o

32 Giovanna Procacci, Il fronte interno. Organizzazione del consenso e controllo sociale, in Un paese in

guerra, cit., p. 21.

33 Ascc, 1916, CA0168, 8a, 2a, f. 1. Adcstb, n. 5717. Emilio Sereni affermò che «è fuor di dubbio che i

capitalisti speculatori hanno avuto una parte di primissimo piano [nelle movimentazioni della pro-

prietà terriera del primo dopoguerra]. […] Si erano costituite delle vere e proprie “bande “ di specu- latori – come la cosiddetta “banda Bonnot” in Piemonte ed in Lombardia, la “banda dello Zoppo” in Toscana, e così via – che realizzarono in pochi anni benefici ingentissimi, acquistando vaste tenu- te, e rivendendole a lotti, a prezzi talora triplicatri o quadruplicati. […] Il più largo movimento della proprietà terriera è determinato, per una parte importante, da acquisti operati da strati contadini: è proprio questa larga richiesta di terre da parte di contadini, anzi, che offre alle “bande” la base e la possibilità dei loro acquisti a scopo speculativo». Emilio Sereni, La questione agraria nella rinascita nazionale italiana, Einaudi, Torino 1946 (2ª edizione 1975), pp. 103-104.

34 I numeri complessivi di questo fenomeno di mutazione della struttura del capitale fondiario so-

no desumibili dalle conclusioni dall’Inchiesta Lorenzoni (Giovanni Lorenzoni, Inchiesta sulla piccola proprietà coltivatrice formatasi nel dopoguerra, XV, relazione finale. L’ascesa del contadino italiano nel dopoguerra, Istituto Nazionale di Economia Agraria, Roma 1938), seppur condividendo le riserve evi- denziate in particolare da Emilio Sereni, che stigmatizzò la benevola attenzione di Lorenzoni e Ser- pieri verso i movimenti delle classi borghesi o neo-borghesi agricole, cui corrispondeva una notevole approssimatività velata di paternalismo, quando non di fastidio, per le reali condizioni della società contadina negli strati più bassi: «specie nel volume del Serpieri e nella Relazione finale del Lorenzoni, a questi “scienziati” fascisti i pregiudizi di classe precludono infatti ogni possibilità di analisi seria ed obiettiva della realtà sociale delle campagne italiane» (E. Sereni, La questione agraria nella rinascita nazionale italiana, cit., p. 103). In sintesi dei 16,5 milioni di ettari della superficie agraria coltivabi- le italiana, «il 6% (circa un milione di ettari) passò, negli anni della guerra e del dopoguerra, quasi completamente per libera contrattazione, in proprietà di coltivatori diretti» (Pier Luigi Ballini, L’in- chiesta dell’INEA sulla piccola proprietà coltivatrice. La Relazione finale di Giovanni Lorenzoni, p. 170, in Le Inchieste Agrarie in età liberale, «Quaderni dei Georgofili», 2017). Circa 500 mila furono i nuo- vi acquirenti: circa ¾ erano già piccoli proprietari autonomi o più spesso particellari; per il restante, circa 125 mila, si trattava invece di proprietà ex novo. «Mai prima né fino all’inizio degli anni Trenta, si era assistito, “nel nostro paese, ad un trapasso così grandioso di terra, forse un sedicesimo della terra lavorabile, da una classe sociale all’altra”» (Ibidem. In virgolette, citazione da Luigi Einaudi, I contadini alla conquista della terra italiana nel 1920-1930, «Rivista di storia economica», a. IV, 1939, n. 1-4, pp. 294). L’Italia settentrionale segnò un trasferimento di circa 450 mila ettari della superficie coltivabile, ovvero il 7,1%. Veneto e Lombardia «fecero registrare l’accrescimento massimo della pic- cola proprietà coltivatrice (11%)». Valutando in confronto i dati dei censimenti del 1911 e del 1921, emerge che in alcune regioni del Nord Italia vi furono spostamenti molto significativi e differenzia- ti della percentuale di proprietari terrieri sul totale della popolazione rurale: «nel Piemonte (da 43 a 64), nella Lombardia (da 18 a 26), nel Veneto (da 22 a 29), nell’Emilia (da 13 a 20)». Salvatore F. Romano, Le classi sociali in Italia dal medioevo all’età contemporanea, Einaudi, Torino 1965, p. 399.

inadeguata concessione. Il sottosegretario interveniva frequentemente anche in favore dei familiari di caduti in guerra, che essendo rimasti privi di mezzi di so- stentamento necessitavano di una velocizzazione dei procedimenti burocratici per la definizione della pratica pensionistica di reversibilità ai superstiti, o che richiedavano a termini di legge il riconoscimento del “diritto di insistenza”35 per

non venir sfrattati da cascine e poderi. Non deve stupire poi il trovare tra que- ste richieste di sussidio, insieme al popolo minuto, anche rappresentanti delle professioni liberali, nobili, ex deputati e loro parenti36, e anche artisti37, colpiti

dalla crisi di guerra.

6.2. I problemi dell’occupazione militare: i danni materiali

Il tema dell’occupazione militare del territorio a seguito dei provvedimenti di inclusione del Bresciano nella zona di guerra, e quello dei conseguenti dan- ni di guerra provocati dai militari, è di certo uno dei più rilevanti dal punto di vista qualitativo. L’archivio Da Como ci restituisce uno spaccato impietoso di questa particolare situazione, sia nella fattispecie “materiale”, sia nelle sue con- seguenze “morali”.

In prima analisi si rilevano numerose opposizioni ai provvedimenti di incet- ta, sequestro o requisizione di beni, come pure le richieste di liquidazioni di pa- gamenti per i beni ceduti o le prestazioni (lavoro, affitti, etc.) effettuate a favore dell’esercito. Nel contesto del Basso Garda, quello vicino a Da Como politico, non si verificarono eccezioni, né nella massività del prelevamento operato dai militari sulla struttura economica del territorio, né nelle dimostrazioni di mal- contento di coloro che dovettero subire incette, requisizioni, sequestro forzoso

dei beni, o che furono vittime di danni di guerra. Come conseguenza del senso di precarietà e di incertezza sull’intangibilità dei propri beni immediatamente avvertita all’inizio della mobilitazione, generata dall’invasività dei militari sulla vita economica e sociale delle comunità interferite, e dell’evasività dell’inten- denza nel liquidare in tempi ragionevoli quanto sottratto ai civili, gli agricolto- ri e i proprietari di immobili opposero resistenza passiva, fino a praticare degli

escamotages per sottrarre i propri beni all’inventario e al successivo ammasso o

requisizione. A questi espedienti, tuttavia, l’intendenza militare rispose dispie- gando un apparato di controllo di prim’ordine, in grado di eseguire uno stilli- cidio di ispezioni e di infliggere sanzioni durissime.

Con l’esperienza maturata nella prima ondata della primavera-estate 1915, già a partire dagli accantonamenti immediatamente successivi, le tecniche di occultamento dei beni agricoli da parte dei proprietari di ogni censo andaro- no sempre più perfezionandosi, e a esse si aggiunse una costante vigilanza de- gli agricoltori sulle proprietà per stimare in tempo reale i danni arrecati dalle truppe. I proprietari di immobili, e le autorità dei comuni ai quali l’intendenza militare occupava scuole ed edifici pubblici, si dimostrarono assai combattivi e smaliziati nel difendere i propri diritti. Negli archivi comunali interessati e nei carteggi dell’amministrazione militare riscontrati nell’Aussme di Roma, si evi- denzia l’aumento parossistico di stati di consistenza iniziali e finali, inventari estremamente dettagliati, redatti in contraddittorio, relativi all’uso e alle condi- zioni degli immobili occupati prima e dopo la loro requisizione. Questo sistema consentiva di evidenziare i danni e le alterazioni arrecate e di accelerare i tempi di liquidazione delle spettanze.

Unitamente alle incette regolamentate e alle requisizioni forzose di cui ap- pena si è parlato, assai frequenti furono anche le requisizioni “per vie di fatto” e gli appropriamenti indebiti praticati dai militari. La loro casistica rientra a pie- no titolo nei “danni di guerra”, anche per le difficoltà con le quali i proprietari si dovevano misurare per ottenerne i risarcimenti. Senza preavviso, all’insaputa dei proprietari, avvenivano appropriazioni di beni, occupazioni di campi e fab- bricati, vere e proprie spoliazioni di raccolti: tagli indiscriminati di piante, sfalci di erba e foraggi, raccolta di frutta, pascolo abusivo, attraversamento di campi coltivati per transito di reparti montati. Di fatto, l’esercito si comportò frequen- temente in zona di guerra come un invasore od occupante un territorio nemico.

Se per trarre delle conclusioni dovessimo basarci sulle sole richieste di racco- mandazione pervenute al deputato circoscrizionale (96 fascicoli della serie rossa) specifiche di richieste per risarcimenti da danni di guerra, incette, requisizioni

35 Nel tentativo di garantire un clima di pace sociale il governo varò alcuni speciali provvedimenti

a favore dei combattenti e delle loro famiglie: «Non si volle che le famiglie dei lavoratori della terra chiamati a combattere per la difesa del paese potessero essere espulse dalla terra a cui erano addette o costrette a pagare i canoni in moneta cresciuti. Fin dal 1916 furono prorogati, senza mutamento di condizioni, tutti i contratti agrari di colonia parziaria, di salario fisso e di piccolo affitto, anche a favore delle famiglie del contadino morto in guerra, se di essa facessero parte uomini atti alla colti- vazione del fondo». Luigi Einaudi, La condotta economica, cit., p. 192.

36 Adcstr, fascicoli: 76 marchese T.G. (personale e per sussidio); 473; 647 (cognata ex deputato S.);

1224 nobildonna vedova B. (ammissione in collegio figli o sussidio): 1227 (cognata deputato G.F.); 2259 nobildonna B. (sussidio di guerra); 2771 nobildonna B. (borse di studio per i figli); 4376 avvo- cato G.C.C.N. (sussidio per lui); 4402 nobildonna B. (posto in metallurgia per figlio); 4843 cognata P. avv. B.; 5068 nobildonna B. (personale); 5431 contessa D.T.L.T.E. (personale); 5791.

e occupazioni di suoli e fabbricati provocati nell’occupazione dai militari, sa- rebbe molto difficoltoso comprendere il vero impatto dell’occupazione militare sul territorio del Basso Garda. A far luce sul reale peso di questa contingenza ci vengono in aiuto gli archivi dei comuni interferiti, dove sono depositate le pratiche inviate in prima istanza all’amministrazione militare. Furono infatti i comuni stessi a dirimere per quanto possibile i contenziosi tra i civili e militari in queste fattispecie; Da Como intervenne direttamente solo in alcuni casi se- gnalatigli da notabili del collegio, da deputati e senatori suoi amici, oppure per poche persone che si rivolsero a lui direttamente (tra queste vi erano nobili e possidenti che cercavano di ottenere una via preferenziale per il ristoro di quan- to dovuto loro dallo Stato).

La vera, reale incidenza dei danni materiali di guerra sulla popolazione e le proprietà si palesa nell’enorme numero di contenziosi aperti, accolti dai muni- cipi e portati a Da Como per mezzo dei sindaci in una nota riepilogativa. Risul- ta perciò che nella sola zona di accantonamento del Basso Garda del XIII Cor- po d’Armata e dei reparti subentranti fino al 20 maggio 1916, si evidenziano a Da Como oltre 3.800 pratiche di contenzioso tra civili, società, amministrazio- ni comunali ed enti contro l’intendenza militare, che ammette in una replica: «Conviene però tener presente che […] se per alcune [pratiche] è sufficiente una mezza giornata per far luogo all’accertamento, per altre ne occorre una o più»38.

In vista di nuovi accantonamenti di truppe nella campagna gardesana, pochi mesi dopo vengono palesati i rischi per la spoliazione dei vigneti da parte dei soldati, e le richieste dei «comuni del collegio elettorale di Sua Eccellenza» sono riassunte in una class action preventiva39 che prende forma da un fascicolo invia-

togli dal senatore Pompeo Molmenti, e indirizzato successivamente da Da Como al ministro della Guerra, generale Vittorio Italico Zupelli. Si evidenziano a Da Como anche altri aspetti dell’occupazione inquadrabili nella casistica dei danni di guerra: come la particolare cura operata dai militari, anche ufficiali, nel deva- stare le abitazioni occupate specie se di pregio e appartenenti a proprietari non residenti. Gli esempi in proposito sono numerosi: mobili e suppellettili lanciati dalle finestre; gare di tiro a segno con quadri e vasellame; mobili antichi e par-

quets bruciati per riscaldarsi, lordure ovunque (pavimenti, pareti, scale, etc.)40.

Non sono soltanto i militari a compiere danneggiamenti contro le proprietà altrui: gli strati più poveri della popolazione spesso approfittarono della presenza dei militari cercando di accaparrarsi materiali in dotazione all’esercito o dando- si al saccheggio delle altrui proprietà. Il 12 agosto 1915 a Calcinato i proprietari della filanda Anelli Bianchi ne denunciarono il saccheggio da parte di numerosi civili che ne fecero «orribilmente scempio» dopo la partenza della brigata Sassa- ri41, e richiesero al 7º Bersaglieri che la stessa non fosse invasa giornalmente «da

una turba di borghesi, specialmente ragazzi d’ambo i sessi» unitamente «ai pove- ri del paese»42 ai quali i soldati offrivano gli avanzi del loro rancio. Nei carteggi

ufficiali comprovanti le liquidazioni dei danni provocati dall’accantonamento dei militari della brigata Sassari43, l’intendenza militare ammise una rifusione

per il danno provocato da 1.550 soldati per 50 giorni di presenza nella filanda in misura notevolmente inferiore a quella stimata dai periti di parte come addebi- tabile ai civili dopo la partenza dei militari per l’asportazione e il saccheggio dei macchinari e degli altri beni contenuti nello stabilimento.

6.2. I problemi dell’occupazione militare: i danni morali

Parafrasando Emilio Lussu, giovane sottotenente della brigata Sassari ac- cantonato a Calcinato nel giugno-luglio 1915, viene da chiedersi quanto l’amor proprio delle generazioni che vissero la guerra può aver accantonato i lati oscuri di quell’esperienza, contribuendo alla monumentalizzazione della memoria col- lettiva e delle sue stereotipie44. Lo studio delle accresciute difficoltà sorte nella

società civile e nelle famiglie nel fronteggiare i nuovi problemi apportati dallo stato di guerra e dall’occupazione massiccia e continuata del territorio da parte dei militari, fa filtrare uno spiraglio di luce che lascia intravedere i contorni del- le ripercussioni sociali e morali del presente e del futuro, delle tendenze reattive e isolazioniste manifestatesi nel corpo sociale.

38 Adcstr, n. 3399. 39 Adcstr, n. 2634. 40 Adcstr, nn. 1226, 2881, 4223, 5697. 41 Ascc, 1915, CA0162, 15a, 6a, f. 1. 42 Ascc, 1919, CA0198, 8a, 2a, f. 4. 43 Adcstr, n. 3237.

44 «Anche adesso, a tanta distanza di tempo, mentre il nostro amor proprio, per un processo psi-

cologico involontario, mette in rilievo, del passato, solo i sentimenti che ci sembrano i più nobili e accantona gli altri, io ricordo l’idea dominante di quei primi momenti. Più che un’idea, un’agitazio- ne, una spinta istintiva: salvarsi». Emilio Lussu, Un anno sull’altipiano, Einaudi, Torino 1966 (1ª ed. Parigi 1938), p. 48.

La tendenza alla chiusura e all’esclusione dei forestieri era un carattere ancora ben radicato nella società rurale del primo Novecento. Già negli anni precedenti alla guerra, gli amministratori succedutisi alla guida del municipio di Calcinato, per esempio, avevano sollecitato l’interessamento di Da Como45 per il distacco

di una stazione dei Reali Carabinieri, «per un adeguato servizio di polizia, per curare l’ordine pubblico, garantire la proprietà fondiaria, la libertà delle perso- ne ed impedire il crescere delle male abitudini e delle associazioni sovversive»46,

debellare il “pericolo” rappresentato dall’immigrazione portatrice di elementi estranei che potevano favorire «le associazioni operaie sedicenti socialiste ed an- che il tentativo di propaganda anarchica e di costituzione di circoli anarchici»47.

Sul finire del 1914 Desenzano chiese, tramite Da Como, l’elevazione a tenenza della locale stazione dei RR.CC., e Montichiari il potenziamento della propria stazione, sempre per prevenire i frequenti furti campestri, gli abigeati e i dan- neggiamenti che si manifestavano quali fenomeni in crescita, come pure la pro- paganda anarco-socialista e i reati commessi contro la persona, come riscontra- bile nei numerosi rapporti medici48 che dimostravano in modo inequivocabile

che le liti per motivi familiari, di interesse, di contesa “campestre” (per esempio per l’uso e la regolamentazione delle acque irrigue) erano assai frequenti, e si concludevano spesso, anche per gli animi surriscaldati dall’alcool, con ferite da percosse, da bastonature, da armi da punta, forche e roncole.

Ancora nei primi giorni di guerra, dalla confinante cittadina di Castiglione delle Stiviere era l’onorevole Alceo Pastore in una missiva riservatissima a con- fidare al collega le sue preoccupazioni per un’imminente sollevazione anarchi- ca, di cui avrebbe avuto notizia da suoi informatori, e che avrebbe interessato l’intero circondario49.

È lecito perciò affermare, sulla base di tali premesse e dal riscontro delle do- cumentazioni archivistiche, che il corpo sociale non dimostrò una particolare benevolenza verso i militari, e manifestò piuttosto verso di loro tendenze isola- zioniste e reattive, dato che la loro presenza ebbe i caratteri di un’invasione del

ristretto orizzonte paesano e finì per acuire le molte situazioni critiche già esi- stenti e i problemi sociali correlati all’indigenza generale. Non vi fu poi ristoro nell’intervento della pubblica autorità, anzi! La tendenza autoritaria e repressiva che andava accentuandosi nel paese, determinando l’inasprimento delle posizio- ni dominanti verso gli strati subordinati all’interno della dinamica dei rapporti di classe, si trasferì tout court nell’esercizio del potere tra i vari ceti delle comu- nità e nei rapporti familiari. Problemi sociali già esistenti, quali ad esempio la prostituzione, vennero ad aggravarsi a causa della presenza continua dei militari nei paesi del Basso Garda divenuti sede di guarnigione50.

La promiscuità di guerra sortì effetti deleteri su alcune ragazzine particolar- mente ribelli che già avevano manifestato difficoltà nei tempi ordinari ad adat-