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La Grande Guerra e lo sviluppo della popolazione bresciana

Marco Trentini*

Introduzione

Il tema della capacità di ripresa della popolazione dopo la Grande Guerra costituì argomento di dibattito fin dall’inizio delle ostilità, con i demografi e gli statistici italiani che paventavano che il conflitto, che si preannunciava di massa, avrebbe avuto un forte impatto sulla dinamica della popolazione, a par- tire, ovviamente, dalla mortalità. Ma fu soprattutto dopo la guerra che il tema venne ripreso e scandagliato, anche con analisi di aspetti specifici di dettaglio e con approfondimenti territoriali.

Nei lavori pubblicati al tempo la guerra (complice evidentemente il clima politico e sociale) veniva trattata come un evento perturbatore in grado di pro- vocare l’allontanamento, temporaneo tuttavia, da una situazione demografica nota e in un certo qual senso equilibrata.

Un importante statistico del tempo, Gaetano Pietra, argomentava come la guerra potesse provocare, al pari di altre deviazioni eccezionali da una situazio- ne di equilibrio per effetto di episodi violenti, calamità improvvise e crisi acute, «ferite che si rimarginano con una certa rapidità e finiscono con il non lasciare traccia profonda»; questo in una popolazione «moralmente» sana1.

A minare la resistenza demografica, continua G. Pietra,

sarebbero invece i fattori morali, sociali e forse biologici a lento ma continuo in- sistente decorso, fra i quali l’emigrazione, lo spopolamento montano, il rallentato costume famigliare, lo scarso senso spirituale religioso, quindi il declino della nu-

* Grazie a Luigi Riva, demografo, per la consueta tagliente critica che ha migliorato, per quanto possibile, il testo. Grazie a Sergio Onger, storico, per aver rivisto il testo. Tutti gli errori sono ovvia- mente miei.

1 Gaetano Pietra, Gli esodi in Italia durante la guerra mondiale (1915-1918), «Metron», Vol. XIII, 3

zialità e delle nascite, che minano la resistenza demografica delle nazioni e dei po- poli sino a determinarne ineluttabilmente la loro scomparsa2.

Il riferimento teorico era fornito dalle tesi di Corrado Gini sulla crescita e decadenza delle popolazioni secondo cui, per rimanere alla sintesi di G. Pietra, «gli organismi sociali, come quelli biologici, sarebbero dotati di poteri di rie- quilibrazione, tendenti a far sì che gli organismi in parola passino dai periodi patologici a nuovi periodi di equilibrio»3 .

L’idea sottostante è che la guerra sia un fattore di disturbo su un sistema in equilibrio, e che, cessata la fase endemica, le forze naturali insite nel sistema demografico possano operare per consentire al sistema di ritornare al supposto precedente equilibrio.

Si tratta di un approccio organicista alle vicende demografiche che lascia in secondo piano il processo attraverso il quale il sistema demografico (dopo uno shock che ha compromesso l’equilibrio demografico) si riporta in una situazio- ne di nuovo equilibrio.

Le analisi del tempo già avevano segnalato (a livello nazionale e regionale) l’impatto della guerra su mortalità, nuzialità e natalità, e come al termine del periodo bellico i tre indicatori avessero registrato la tendenza al ritorno al regi- me precedente4. Per quanto riguarda la mortalità si ritornava a un regime ca-

ratterizzato da un trend di riduzione (fatta salva l’epidemia di influenza inizia- ta nel 1918), mentre nuzialità e natalità, dopo il drammatico crollo del periodo bellico, registravano aumenti superiori alla media del periodo prebellico, che furono tuttavia riassorbiti nell’arco di alcuni anni5.

L’ampiezza del recupero della natalità e della nuzialità e il tempo entro il quale avviene il ritorno a un nuovo equilibrio demografico, sono gli elementi che intendiamo sviluppare in questa nota, facendo riferimento alla provincia di Brescia, ma scendendo nel dettaglio territoriale al livello più fine disponibile, vale a dire il circondario.

L’ipotesi di lavoro è che le condizioni imposte dalla conduzione della nuova

guerra di massa alle popolazioni siano state diversificate in relazione alle esigenze belliche: tutto essendo piegato alle necessità di guerra. Esigenze che portavano a massimizzare lo sforzo di “reclutamento” delle risorse essenziali per la vitto- ria, che erano prioritariamente i soldati, ma anche i viveri, i mezzi di trasporto, animali o meccanici, gli armamenti e via dicendo. Facevano parte delle esigen- ze belliche anche gli sgomberi dei paesi nelle zone del fronte e il controllo de- gli accessi alle aree di guerra e retrovia del fronte, che avevano un forte impatto sulle popolazioni ivi residenti.

La specifica “vocazione” di ogni territorio rispetto alle esigenze belliche, orientava la decisione relativa a quale risorsa prelevare. Così un territorio agri- colo (come la pianura bresciana) avrebbe dovuto fornire sia i giovani maschi per l’arruolamento sia i viveri e gli animali per il sostentamento e la mobilità delle truppe. Un territorio a vocazione industriale (come Brescia, o la Valle Trompia) avrebbe provveduto prioritariamente a fornire armamenti, mezzi di trasporto e altri prodotti industriali utili per la guerra, sicché i giovani maschi di tali aree, magari già con esperienze di lavoro di fabbrica, sarebbero stati più utili come operai negli impianti industriali invece che come soldati. In conseguenza di ciò la manodopera necessaria per altri ambiti meno strategici, ad esempio per i tra- sporti urbani, poteva anche essere fornita dalla popolazione femminile.

Le zone di montagna vicine al fronte (l’alta Valle Camonica soprattutto), ol- tre a sperimentare gli sgomberi forzati, avrebbero fornito i giovani maschi per l’arruolamento, in questo caso come alpini.

Le condizioni descritte fornirebbero una chiave di interpretazione della diffe- rente reattività demografica del territorio sia durante la guerra sia nel dopoguer- ra, con effetti anche di medio e lungo termine su sistema demografico.

L’analisi è descrittiva e condotta utilizzando i dati statistici ufficiali della pro- vincia di Brescia, disaggregati ai livelli territoriali disponibili (circondari, capo- luoghi di circondario e comuni), che consentiranno di supportare le nostre ri- flessioni con elementi quantitativi. All’analisi delle fonti dei dati è dedicato un punto specifico della nota.

A seguire dedicheremo alcune pagine a un inquadramento del tema della reattività di una popolazione a fronte di uno shock bellico e delle conseguen- ze demografiche della Grande Guerra, riprendendo le considerazioni di autori del tempo e attuali.

Chiudono la nota la rassegna bibliografica e un’appendice statistica in cui sono riportate alcune tabelle e grafici di dettaglio richiamati nel testo.

2 Ibidem. 3 Ibidem.

4 Citiamo solo la fondamentale opera di Giorgio Mortara, La salute pubblica in Italia durante e do-

po la guerra, Laterza-Yale University Press, Bari-New Haven, 1925.

5 Abbiamo fatto esplicitamente riferimento allo schema di analisi sviluppato da Massimo Livi Bac-

Le fonti6

Alla vigilia della Grande Guerra le statistiche ufficiali della popolazione7 van-

tavano una tradizione ormai cinquantennale: nel 1861 viene realizzato il primo Censimento generale della popolazione e nel 1862 si inizia la pubblicazione del movimento annuale della popolazione.

Per questo studio utilizziamo una selezione del materiale disponibile e in primo luogo i dati dei censimenti della popolazione del 1911 (10 giugno) e del 1921 (1 dicembre); accanto a questi utilizziamo le statistiche del movimento della popolazione dal 1910 al 1923, in modo da comprendere l’impatto delle vicende belliche di per sé, e comparativamente ai periodi di pace.

Due gli aspetti che tratteremo, ancorché in sintesi.

Il primo riguarda il dettaglio territoriale dei dati. Mentre le statistiche dei censimenti consentono di scendere a un livello di dettaglio comunale, le stati- stiche di stato civile e anagrafe, pur raccolte a livello comunale, vengono pub- blicate aggregate per provincia, circondario e per i capoluoghi di circondario8.

Il secondo aspetto riguarda la qualità dei dati: distingueremo tra censimenti e statistiche del movimento della popolazione.

È giudizio condiviso tra gli statistici, del tempo e contemporanei9, che i da-

ti del Censimento del 1911 sono sostanzialmente affidabili, mentre così non è per i dati del Censimento del 1921, che per altro vennero sottoposti a un lungo processo di correzione che, tuttavia, riguardò solo marginalmente la Lombardia. Le statistiche del movimento della popolazione, come è noto, derivano da due distinti, ancorché collegati, processi amministrativi comunali, il primo rife-

rito allo stato civile (matrimoni, nascite e morti dalla popolazione presente) e il secondo all’anagrafe della popolazione residente (immigrazioni ed emigrazioni).

Le statistiche di stato civile sono giudicate, ieri e oggi, complessivamente af- fidabili, e ciò presumibilmente perché la buona tenuta dei registri di stato ci- vile rispondeva a esigenze locali e generali di tipo economico e sociale (per i matrimoni), militari (per le nascite) e sanitarie (per le morti). Lo scoppio della guerra non modifica le modalità di registrazione di matrimoni e nascite, e quin- di, a parte i problemi di funzionalità degli uffici nelle zone di guerra (i comuni sgomberati come Limone e Temù) possiamo ritenere i dati di Brescia affidabili come nel periodo prebellico.

Cambiano invece le modalità di registrazione dell’evento morte, almeno per le zone di guerra. Mentre gli uffici comunali continuano a registrare le mor- ti (civili e militari) avvenute nel territorio di competenza (comprese le morti di militari in ospedali territoriali o di riserva inclusi nel proprio territorio)10 le

morti sul campo, o in ospedali da campo o fuori dal territorio nazionale, sono affidate per legge11 alle autorità militari, sicché nel periodo bellico abbiamo due

distinte fonti con definizioni, copertura e qualità diverse.

Quanto alla qualità, lasciamo parlare uno statistico del tempo. Secondo Giorgio Mortara12, la rilevazione di stato civile era «praticamente completa an-

che negli anni dal 1915 in poi»13, e «[n]ell’insieme, dunque, per la popolazione

civile si hanno notizie non del tutto complete. Ma affette da lacune e da errori relativamente lievi, anche per il periodo bellico». I maggiori problemi riguarda- vano le zone evacuate o invase, soprattutto a seguito della rotta di Caporetto.

Venendo alle registrazioni di morte dell’autorità militare, Mortara scrive: «Per quanto ci consta, non esiste ancora neppure un riassunto numerico com-

6 Questa parte è stata sviluppata in maniera ampia nel lavoro di L. Riva, M. Trentini, La Grande

guerra e la popolazione bresciana, in Brescia nella Grande guerra, Editrice Morcelliana, Brescia 2015, pp. 91-117. A esso rimandiamo.

7 Per semplicità parleremo genericamente quale fonte dei dati di Istat, intendendo la struttura isti-

tuzionale che nel tempo garantì la continuità del sistema delle statistiche pubbliche, indipendente- mente dalla collocazione organizzativa. I dati sono tratti da Istat, Popolazione residente e presente dei Comuni. Censimenti dal 1861 al 1971, Roma 1977; Istat, Movimento della popolazione secondo gli atti dello stato civile, dal 1910 al 1923; Istat, Censimento della popolazione del Regno d’Italia, 1911 e 1921, vo- lumi vari e Relazione generale.

8 Sottraendo ai dati del circondario i dati del capoluogo (che costituisce la componente urbana del

circondario) otteniamo la componente rurale del circondario stesso.

9 Oltre alla già citata opera di G. Mortara, La salute pubblica in Italia, segnaliamo il testo di Ornel-

lo Vitali, Aspetti dello sviluppo economico italiano alla luce della ricostruzione della popolazione attiva, Università di Roma, Facoltà di Scienze statistiche demografiche e attuariali, Istituto di Demografia, Roma 1970.

10 Cfr. Istat, Movimento della popolazione secondo gli atti dello stato civile nell’anno 1915 (1918), p. VII

e 1916 (1920), p. VII.

11 Si tratta del Decreto Luogotenenziale 27 gennaio 1916, n. 108, col quale è data facoltà ai ministri

della Guerra e della Marina di correggere gli atti di morte dei militari morti in guerra, e del Decreto Luogotenenziale 30 gennaio 1916, n. 109, col quale è approvata l’istruzione intorno agli atti di mor- te, di nascita e ai testamenti in guerra.

12 G. Mortara, La salute pubblica in Italia, cit., p 20.

13 Ibidem, p. 18 e ss. L’autore stima nell’1% sul totale delle morti l’alterazione massima provocata dai

molteplici problemi del periodo: mancate o ritardate registrazioni, intralci al funzionamento degli uffici pubblici in particolare durante l’epidemia di influenza del 1918. I dati dei decessi civili fino al 1916 sono da ritenersi completi anche nelle zone prossime al fronte, mentre dal 1917 (con Caporet- to) vi sarebbero problemi di registrazione sostanzialmente nelle zone invase.

pleto degli atti di morte redatti dall’autorità militare durante il periodo belli- co»14.

Nel dopoguerra l’autorità militare iniziò la raccolta sistematica di informazio- ni anagrafiche e militari dei caduti per causa di guerra, dando inizio alla pubbli- cazione dell’Albo d’oro dei caduti dei caduti per l’Italia nella guerra mondiale15 che

costituisce l’unica fonte analitica disponibile (senza andare a consultare i singo- li fogli matricolari depositati negli archivi comunali o dei distretti militari) per stimare i decessi militari. Questa fonte è incompleta in quanto non comprende, volutamente, una parte dei decessi (erano espressamente esclusi i disertori e altri militari condannati a morte per reati militari). Inoltre presenta problemi nella comparazione dei dati, dal momento che individua i deceduti sulla base del co- mune di nascita, che non necessariamente coincide con il comune di residen- za, o del comune di incorporamento nel caso di emigranti rientrati dall’estero.

Per un’analisi di dettaglio rinviamo ai lavori di Alessio Fornasin per l’intero paese e di Luigi Riva e Marco Trentini per Brescia16.

La Grande Guerra come shock demografico

Il tema della guerra come shock demografico costituì oggetto di riflessione degli statistici e demografi del tempo già durante la guerra, con riflessioni che mostrano una certa attualità, ragione per cui a esse dedicheremo un piccolo spazio a mo’ di introduzione.

Prendiamo le mosse dalla sintesi sui rapporti tra guerra e popolazione che Lanfranco Maroi pubblicò nel 1920 su Metron17. L’autore inizia illustrando un

lavoro di Hersch del 191618 che, trattando le guerre franco-austro-tedesche degli

anni ’70 del XIX secolo, metteva in evidenza come la guerra avesse un effetto prolungato ben oltre il periodo di ostilità ed evidenziava come il «periodo de- mografico della guerra» fosse sempre più lungo della guerra stessa e costituito da due fasi successive. La prima distruttiva, connotata dagli effetti bruschi su natalità, nuzialità e mortalità, e la seconda riparatrice19, con un effetto «di rim-

balzo» della mortalità (considerata nelle due componenti civile e militare) al di sotto del livello medio precedente, e un aumento di natalità e nuzialità al di so- pra, con tempistiche legate all’ordine naturale dei fenomeni: prima i matrimoni, poi i concepimenti e quindi le nascite; per contro le morti a causa delle ostilità sarebbero immediatamente riconducibili alle vicende belliche.

Rimanendo alla mortalità venivano elencati gli evidenti aspetti selettivi su maschi adulti, per quanto riguarda la mortalità diretta, segnalando invece co- me l’eccesso di mortalità indiretta si «produca in misura pressoché uguale tra i due sessi»20.

L’analisi per età veniva condensata con una frase ad effetto, «i grandi fanno la guerra ed i piccoli ne sono le principali vittime»21, che coglieva però un pun-

to che sarà evidente anche nell’analisi delle guerre mondiali. In ambito italiano il tema della capacità di recupero della popolazione veniva ripreso dagli stati- stici del tempo collegandolo al modello di Corrado Gini del ciclo di vita delle nazioni22.

Su questo punto riprendiamo le conclusioni del saggio di G. Pietra che evi- denzia (guardando proprio all’esperienza degli esodi di guerra) come «Nella compagine dei popoli le crisi acute, gli episodi violenti, le calamità improvvise, come possono essere gli esodi quali quelli da noi illustrati, sono ferite che rimar- ginano con una certa rapidità e finiscono per non lasciare traccia profonda»23.

14 Gli elementi di analisi di dettaglio si trovano ibidem, pp. 20-29.

15 Ministero della Guerra, Albo d’oro dei caduti della guerra 1915-1918, Roma, Provveditorato gene-

rale dello Stato 1926-1964, e Fulvio Zugaro, L’albo d’oro dei caduti per l’Italia nella guerra mondiale, «Bollettino dell’Ufficio Storico», Stato Maggiore del Regio Esercito, s. I, 4 (1926).

16 Alessio Fornasin, Le perdite dell’esercito italiano nella Prima guerra mondiale, Working paper, Uni-

versità degli studi di Udine, Dipartimento di Scienze economiche e statistiche, Udine, 1 (2014). Lu- igi Riva e Marco Trentini, 1… è Uno. I caduti bresciani nella Grande guerra. Nuove ricerche, Libere- dizioni, Brescia 2015.

17 Lanfranco Maroi, La guerra e la popolazione. Rassegna di demografia (1915-1920), «Metron», Vol. I

2 (1920), pp. 156-211.

18 Il testo di Liebman Georg Hersch, La mortalité chez les neutres en temps de guerre, è citato da L.

Maroi, La guerra e la popolazione, cit., pp. 172-174.

19 Ibidem, in corsivo nel testo. 20 Ibidem, p. 174.

21 Ibidem.

22 La teoria di Corrado Gini di cui stiamo trattando non riguarda tanto gli effetti della guerra, quan-

to piuttosto la guerra come effetto degli squilibri demografici. A tal proposito si veda Corrado Gi- ni, I fattori demografici della guerra, «Riforma Sociale», aprile-maggio 1915, e per il modello Corrado Gini, I fattori demografici dell’evoluzione delle nazioni, Boccia, Torino 1912.

23 G. Pietra, Gli esodi, cit., pp. 148-149, così prosegue: «Sarebbero invece i fattori morali, sociali e

forse biologici a lento ma continuo insistente decorso, fra i quali l’emigrazione, lo spopolamento montano, il rallentato costume famigliare, lo scarso senso spirituale religioso, quindi il declino del- la nuzialità e delle nascite, che minando la resistenza demografica delle nazioni e dei popoli siano a determinarne ineluttabilmente la loro scomparsa».

In altre parole la Grande Guerra sarebbe stata uno shock demografico, ma, agendo su corpi demografici «moralmente e socialmente sani», come quelli ita- liani del tempo, sarebbe stata sostanzialmente riassorbita, come mostrano le det- tagliate analisi demografiche sul Veneto e sulla Venezia Giulia degli esodi, senza lasciare tracce rilevanti nel tempo.

Il dibattito nel mondo demografico italiano sugli effetti più a lungo termine della guerra non si limitava alle conclusioni di Pietra: tutti i maggiori statistici e demografi del tempo si occuparono del tema sviscerandone aspetti generali e di dettaglio. L’enfasi che diamo al testo di Pietra è legata al valore dell’approccio utilizzato sia in termini di strumenti di analisi, sia soprattutto per la capacità di analizzare i fenomeni al livello di dettaglio territoriale pertinente, ad esempio aggregando i dati comunali secondo criteri strettamente legati alle caratteristiche dei fenomeni considerati: si pensi alla rilevanza data alla rete delle infrastruttu- re viarie e ferroviarie24.

La ricchissima appendice statistica, costruita con grande metodo e rigore, evidenzia le differenze di comportamento demografico dei territori, che Pietra lega sia ai fattori bellici (lo sgombero programmato o l’invasione sono eviden- temente situazioni con un impatto molto diverso sulle popolazioni locali) sia alle specificità di comportamento delle singole popolazioni. L’analisi tocca il te- ma della diversa reattività delle popolazioni locali in un contesto di crollo del sistema istituzionale, sociale ed economico, e costituisce un valido spunto per le nostre considerazioni.

La resilienza della popolazione bresciana nella guerra

L’obiettivo del lavoro è di approfondire un tema demografico specifico, vale a dire la reazione della popolazione bresciana nel conflitto e soprattutto la sua capacità di ripresa al termine dello stesso25.

In questo approccio è certamente di minore interesse l’andamento della mor- talità, sia militare sia civile, perché essa non dipende da fattori sotto il control-

lo individuale, ma è effetto di forze esogene, o parzialmente esogene, al sistema istituzionale, sociale ed economico. La mortalità potrebbe al più essere un in- dicatore indiretto della reattività della popolazione: ad esempio al termine della guerra l’andamento della mortalità civile potrebbe fornire qualche indicazione sulla tenuta del sistema sanitario e di assistenza.

Invece le dinamiche dei fenomeni demografici che sono sotto il controllo in- dividuale, come matrimoni, nascite e movimenti migratori, forniscono elementi utili per comprendere come le famiglie e gli individui reagirono e quale effetto aggregato a livello di popolazione ebbero tali comportamenti.

L’ipotesi di lavoro è che in un contesto di guerra totale26, dove tutto è piega-

to alle esigenze della vittoria, le risorse richieste ai territori siano state diversifi- cate in relazione alla specializzazione economica dei territori in funzione delle necessità belliche.

La guerra necessitava di fanti e, quindi, una strategia efficace era il recluta- mento nel mondo agricolo, che viveva in una condizione permanente di eccesso di offerta di lavoro; ma la guerra necessitava anche di viveri, di mezzi di traspor- to, animali o meccanici, di vestiario, e ovviamente di armi e munizioni. Una strategia analogamente efficace sarebbe stata di reclutare operai, e non soldati, nelle zone a vocazione industriale (quale esse fosse: armiera, meccanica, chimica e via dicendo) in modo da disporre della manodopera necessaria per produrre gli strumenti per la guerra.

Facevano parte delle necessità belliche gli stessi sgomberi dei paesi nelle zo- ne del fronte e il controllo degli accessi alle aree di guerra e retrovia del fronte, che impattavano sulle popolazioni residenti.

L’ipotesi è quindi che la specifica vocazione economica dei territori, nel qua- dro delle esigenze belliche, avrebbe orientato le decisioni relative a quale risorsa prelevare. Un territorio agricolo (come la pianura) avrebbe fornito sia i giovani maschi per l’arruolamento, ma anche i viveri e gli animali per il sostentamento