• Non ci sono risultati.

La protezione delle opere d’arte durante la Grande Guerra

Storie di capolavori Maria Paola Pasini

Il «maggio radioso», che vide l’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra, era appena iniziato ma la tensione ovunque nel paese era molto alta. Nei mesi pre- cedenti si erano susseguiti in tutta la penisola dibattiti e manifestazioni pubbli- che a favore della posizione interventista. Si intensificarono all’inizio del mese di maggio. Cortei venivano organizzati in tutte le maggiori città. I comizi spes- so sfociavano nella violenza.

In questo clima di tensione andava crescendo anche la preoccupazione per il patrimonio storico-artistico nell’Italia nord-orientale. Se il paese fosse entra- to nel conflitto che cosa avrebbe potuto accadere ai suoi tesori? Come tutelare le opere mobili e immobili, gli edifici, le collezioni, i capolavori nazionali di- rettamente minacciati dai pericoli di una guerra sempre più probabile, sempre più vicina?

Per scongiurare il rischio di distruzione o di “rapina” da parte del nemico venne avviato un piano straordinario di protezione concentrato nel nord Italia. Le misure adottate furono prevalentemente di competenza delle Sovrintenden- ze dei monumenti, create con la legge 386 del 1907 e dipendenti dal ministero dell’Istruzione, con il coordinamento del Comando supremo italiano con sede a Padova. Le azioni vennero condotte con l’aiuto delle autorità civili ed ecclesia- stiche, degli ispettori onorari dei monumenti, dei locali comandi dei pompieri, di alcuni contingenti militari1.

Molti edifici storici furono protetti in loco con misure piuttosto precarie. Migliaia di capolavori di pittura, sculture, manoscritti, avori, monete, gioielli antichi vennero trasportati lontano della linea del fronte che si estendeva per oltre 400 chilometri dallo Stelvio a Monfalcone e portati al sicuro. I materiali

1 Per una sintesi degli interventi eseguiti a protezione degli edifici storici durante la Grande Guerra

regione per regione: Protezione dei monumenti: Veneto, Lombardia, Emilia, Romagna, Toscana, Mar- che, Lazio, Puglie, Sardegna, «Bollettino d’arte», fasc. VIII-XII (agosto-dicembre 1917), pp. 179-312.

In alto, l’affresco di Giuseppe Mozzoni con una Scena di battaglia della Grande Guerra, dipinto nell’Aula magna dell’edificio scolastico di Rovato (1935). Al centro, il rilievo di Claudio Botta che rappresenta la Tenacia dello sforzo, collocato sulla facciata dello stesso edificio.

Sotto, il grande dipinto di Emilio Rizzi con la Messa al campo, già nella Casa del Combattente di Brescia e ora nelle collezioni dei Musei Civici d’Arte e Storia.

preziosi furono trasferiti nel centro Italia e quindi, al termine della guerra, re- stituiti – non senza qualche difficoltà – alle comunità di provenienza.

Il piano di protezione governativo fu coordinato dal ministero dell’Istruzione e attuato, per quanto riguardava la Lombardia (in parte anche il Veneto), sulla base delle direttive del sovrintendente di Milano Ettore Modigliani2 che pubbli-

cò i dettagli in un’ampia relazione3. Il programma nel suo complesso consentì

di scongiurare gravi perdite. Tuttavia le distruzioni e i danneggiamenti, soprat- tutto degli edifici religiosi, non mancarono4.

Il contributo intende concentrare l’attenzione sulle azioni di tutela del patri- monio artistico condotte tra il 1915 e il 1920, in prossimità delle zone lombarde e più approfonditamente nella città e nella provincia di Brescia, con particola- re riferimento alle traversie affrontate da alcune delle opere mobili oggetto del piano di protezione, del loro allontanamento e del loro rientro nelle località di partenza5. La ricerca si basa prevalentemente sulla documentazione dell’Archi-

vio del Comune di Brescia, dell’Archivio di Stato di Brescia, dell’Archivio dei Musei Civici di Brescia, dell’Archivio centrale dello Stato di Roma e di Archivi comunali e parrocchiali della provincia di Brescia, oltre alla bibliografia già esi- stente sull’argomento.

Le misure preventive

Un mese prima dell’entrata in guerra dell’Italia, il 26 aprile 1915, dal muni-

cipio di Brescia partì una lettera di convocazione per una riunione urgente del- la commissione per la Civica Pinacoteca Tosio Martinengo da tenersi il gior- no successivo. L’adunanza ebbe luogo il 27 aprile alla presenza dei componen- ti della commissione e di altre figure di spicco della società bresciana di quegli anni. Alla riunione parteciparono amministratori, uomini di cultura, artisti, il responsabile dei pompieri della città, «l’assessore Feroldi, il comm. Da Pon- te, Crasseri, Rovetta, Manziana, Fornasini; […] il dr. Rizzini e il bibliotecario Soncini, e l’ing. Fioretto»6. Il giorno successivo il direttore della Queriniana

Soncini preparò un elenco di libri preziosi tra cui il Codice purpureo, i codici danteschi, l’incunabolo di Petrarca, il codice liturgico del monastero di Santa Giulia che vennero riposti in una cassa chiusa da tre chiavi tuttora conservata nella sede della biblioteca7.

Il 4 maggio 1915, a palazzo Loggia, sede del comune, si riunirono, proprio con Modigliani, gli amministratori comunali, i rappresentanti delle fabbricerie di San Giovanni, San Clemente, San Francesco, il sovrintendente e l’ispettore ai monumenti.

La strategia adottata in seguito a quella riunione prevedeva di mettere al ripa- ro, senza trasferirli fuori dalla città, i tesori più preziosi. L’ipotesi di allontanar- li dalla città – in questa fase – non venne presa in considerazione dalla Giunta comunale. Modigliani non si oppose ma ricordò che, in forza della legge del 1909, il governo aveva il diritto-dovere, in caso di necessità, di prendere in cari- co il patrimonio storico-artistico sia comunale sia privato ai fini di tutela e pro- tezione. E di conseguenza deciderne un eventuale trasferimento-allontamento dalla linea del fronte, anticipando l’eventualità destinata a divenire concreta due anni più tardi.

In questo modo a Brescia e nell’intero nord Italia prese il via una vasta e im- pegnativa campagna di protezione dell’arte di città e provincia, la più imponente mai messa in atto fino a quel momento. Gli edifici di particolare pregio storico vennero protetti con dispositivi difensivi provvisori e spesso rudimentali: coper- ture con sacchi di sabbia, pannelli paraschegge, fasciature di tela con impasti di canapa e cemento, impalcature in legno (realizzate con materiale infiammabi- le, dunque, e quindi dannose per il rischio d’incendio). In alcuni casi vennero usati persino coperte e materassi per avvolgere i monumenti.

2 Ettore Modigliani (Roma 1873-1947). Fu sovrintendente a Brera dal 1908 al 1934. Mai iscritto al

Partito fascista, nel 1935 venne spostato all’Aquila come sovrintendente all’Arte medievale e moderna degli Abruzzi. Di origine ebrea, nel 1939, in seguito all’approvazione delle leggi razziali, venne espulso dall’amministrazione dello Stato. Furono numerosi i legami tra Brescia e anche successivamente al periodo della Prima guerra. Cfr. Gian Paolo Treccani, Ettore Modigliani, sovrintendente all’arte me- dievale e moderna per la Lombardia, e il cantiere piacentiniano di piazza della Vittoria a Brescia. Cro- naca di un dissenso (1927-1932), «Storia in Lombardia», 2 (1994), pp. 87-117.

3 Ettore Modigliani, Provvedimenti di tutela contro i pericoli della guerra attuati a cura della R. So-

vraintendenza alle gallerie e alle raccolte d’arte delle provincie lombarde, «Bollettino d’Arte», 15 (1920), Milano, pp. 115-170.

4 Una sintesi dettagliata riguardante le distruzioni degli edifici, il restauro e la ricostruzione post-

bellica si trova in Gian Paolo Treccani, Monumenti e centri storici nella stagione della Grande guerra, Franco Angeli, Milano 2015.

5 Una parte dei risultati della ricerca è stata presentata anche in altre pubblicazioni: Maria Paola

Pasini, Capolavori in guerra, Morcelliana, Brescia 2016; Ead., Salvate la Vittoria! Arte e guerra: il caso bresciano (1915-1920), in A due passi dal fronte: città di retrovia e culture urbane nel prisma della Gran- de Guerra, a cura di Emilio Franzina e Mariano Nardello, Tre Lune, Mantova 2018, pp. 599-621.

6 Archivio di Stato di Brescia (da ora in poi ASBs), Comune, I vers., rubr. XIV, b. 1/2a, verb. G. c.,

27 aprile 1915.

Alcuni grandi monumenti, soprattutto statue di enormi dimensioni, furono smontati e portati in luoghi protetti. Fu il caso dei cavalli della Basilica di San Marco o dei monumenti equestri a Colleoni a Venezia, a Gattamelata di Do- natello a Padova, a Cangrande a Verona che vennero rimossi dalle rispettive se- di e trasportati al sicuro. Anche la grande pala dell’Assunta di Tiziano dei Frari fu allontanata da Venezia e trasportata su una chiatta lungo il fiume Po fino a Cremona. Un’operazione complessa che ebbe una vasta risonanza nell’opinione pubblica e di cui tratteremo successivamente.

A coordinare questa imponente impresa del nord Italia furono le Sovrinten- denze dei monumenti in accordo con il Comando supremo italiano, ufficio che ebbe sede dapprima a Udine e quindi a Padova. Sul territorio il coordinamento specifico dei singoli interventi e la loro esecuzione venne seguito dalle autorità civili ed ecclesiastiche, dagli ispettori onorari dei monumenti, dai locali coman- di dei pompieri, da alcuni contingenti militari.

Per quanto concerneva le opere mobili, va ricordato che migliaia di quadri, sculture, incunaboli, edizioni preziose, avori, monete e gioielli antichi furono dunque allontanati preventivamente dalle località più vicine alle zone di com- battimento. I pezzi più pregiati vennero imballati, chiusi in casse costruite ad

hoc, caricati su vagoni e trasferiti nel centro Italia e quindi, al termine della guer-

ra, restituiti alle comunità di provenienza. La fase della restituzione presentò in qualche caso difficoltà, lungaggini e qualche polemica. Nel complesso, tutta- via, il piano governativo di protezione del patrimonio storico-artistico, avviato durante gli anni del primo conflitto mondiale e accelerato dopo Caporetto, fu efficace, anche se si registrarono, nel corso della guerra, distruzioni e danneg- giamenti, soprattutto agli edifici religiosi.

Le fasi del salvataggio

Lo stesso Modigliani sintetizzò nella sua relazione del 1920 le varie fasi del sal- vataggio dei capolavori: dai primi interventi legati alla preparazione delle opere, all’individuazione delle più preziose e significative, all’imballaggio. Quindi nei mesi successivi all’offensiva austriaca del maggio 1916 sugli Altipiani «fu inizia- to lo sgombero di tutte le opere d’arte non solo dalle località in immediata vi- cinanza alle linee del fuoco, ma anche da quelle che si sogliono comunemente chiamare retrovie»8. Infine, con Caporetto nell’ottobre 1917, fu condotta l’eva-

cuazione completa di tutti gli oggetti di pregio.

Nel racconto del sovrintendente Modigliani sono contenuti i particolari ri- guardanti la raccolta delle opere d’arte trasferite dai più sperduti centri delle vallate lombarde e bresciane con l’aiuto dei militari agli ordini del capitano- giornalista-critico d’arte Ugo Ojetti9.

Autocarri per i trasporti del personale e degli oggetti, carri ferroviari e trasporti, le- gname, chiodi, materiali da imballaggio, attrezzi e anche mano d’opera militare in qualche caso ove fu indispensabile, prontamente concessi dalla Intendenza dell’E- sercito e dai Comandi di divisione, misero in grado di compiere il lavoro con la maggiore – relativa, s’intende – celerità e senza incidenti di sorta.

Centri d’imballaggio furono stabiliti per la Valle Camonica a Breno, per il lago d’I- seo a Lovere, per l’Alta Valtellina a Tirano, per la Bassa Valtellina e il lago di Colico a Morbegno. E in quelle località dall’autunno 1916 in poi, affluirono per alcuni mesi dalle chiese e dalle collezioni centinaia e centinaia di oggetti d’arte, quadri, bronzi, mobili, paliotti d’altare, argenterie, paramenti, ferri battuti, porcellane, stendardi, pale e altari di legno intagliati, raccolti nelle vallate e sui monti, così nelle piccole cittadine del piano come nei minuscoli paesini d’alta montagna, in cappelle, orato- ri isolati tra le nevi e troppo esposti, bene spesso, al tiro delle artiglierie nemiche10. Nei centri di raccolta venne organizzato l’imballaggio in vista della spedi- zione a Roma su vagoni ferroviari e del temporaneo deposito a Palazzo Venezia e a Castel Sant’Angelo, luoghi scelti per la custodia delle opere lombarde nella capitale.

Accuratamente smontati, e protetti sul posto con imballaggio provvisorio, traspor- tati a braccia, o a dorso di mulo, o in slitta, dove per l’alta neve altri mezzi di co- municazione non erano possibili, essi raggiungevano le rotabili, d’onde autocarri militari, via via riempiti, compivano il trasporto nelle tranquille locaità scelte per l’imballaggio. Quivi una squadra di abili operai di fiducia della Sovraintendenza e assistita da nostri Ispettori – registrato, numerato, descritto, munito di contrasse-

8 E. Modigliani, Provvedimenti di tutela, cit., p. 128.

9 Sulla figura di Ojetti va segnalato il lavoro della studiosa Marta Nezzo che si è occupata della sal-

vaguardia del patrimonio storico-artistico durante le due guerre mondiali. Ha indagato alcuni perio- dici della prima metà del Novecento («Il Corriere della Sera», «Il Selvaggio», «Pagine d’arte», etc.), analizzando criticamente le figure di Lionello Venturi, Ugo Ojetti e Mino Maccari. Fra i suoi lavo- ri: Ritratto bibliografico di Ugo Ojetti, «Bollettino d’informazioni», Scuola Normale Superiore di Pi- sa, Centro di Ricerche Informatiche per i Beni Culturali, 2001, XI, 1; Critica d’arte in guerra. Ojetti 1914-1920, Terra Ferma Edizioni, Vicenza 2003 e la curatela de Il miraggio della concordia. Documenti sull’architettura e la decorazione del Bo e del Liviano: Padova, 1933-1943, Canova, Treviso 2008.

gno ogni oggetto – procedeva all’imballaggio definitivo (previa, se indispensabile, una sommaria riparazione) in solide casse che, a loro volta, numerate e registrate, erano spedite a Roma entro scelti vagoni chiusi, avvolti da copertoni impermeabili, viaggianti a grande velocità, scortati da picchetti armati di truppa e accompagnati da un rappresentante della Sovraintendenza. A Roma, sempre a cura della Sovrain- tendenza, il materiale, scaricato nel più quieto e comodo scalo di S. Lorenzo, era immediatamente trasportato a Castel S. Angelo ove la vasta rampa elicoidale del Monumento era stata scelta come ampio e sicurissimo locale di deposito11.

Tutti i passaggi vennero accuratamente predisposti: censimento, primo tra- sferimento, imballaggio, trasporto ferroviario, accoglienza a Roma, deposito e custodia. Furono migliaia le opere d’arte, gli oggetti sacri e preziosi, le sculture, i dipinti che lasciarono temporaneamente le valli lombarde.

Così nell’inverno 1916-917 non vi fu nelle regioni indicate oggetto grande o picco- lo, di notevole pregio d’arte o di antichità, e di cui si rendesse possibile il trasporto che fosse trascurato e lasciato in luogo. Così, per citare solo qualche esempio, furo- no trasportati i paliotti intagliati di Sonico, Breno, Cedegolo, Cerveno e Canè, le statue dell’ancona intagliata di Ponte di Legno così a lungo martirizzati dai grossi calibri austriaci, le ancone in legno di Vezza d’Oglio e di Stadolina, tutti i quadri e gli oggetti d’arte più notevoli della Galleria Tadini di Lovere; e, in Valtellina nel co- masco, le grandi ancone di Ardenno, Caiolo, Gera, Grosio, Mazzo, Cepina, Ponte, Premadio, Sernio, Sorico, quelle della Valfurva, quella colossale su disegno di Gau- denzio Ferrari, di Morbegno, di Ciborio di bronzo dei fratelli Guicciardi a Ponte. Il Tesoro di Chiavenna, il Tesoro di Gravedona, i paramenti antichi di numerosis- sime chiese della regione, da quelli di Teglio a quelli del Santuario di Tirano che si vogliono donati dal cardinale Richelieu, ecc. ecc.12

Intanto anche in città cresceva l’apprensione, soprattutto dopo il bombar- damento del 25 agosto 1915. Quel giorno alcune bombe vennero lanciate da un velivolo austriaco sullo stabilimento metallurgico Tempini. Morirono cinque operai. Una cinquantina i feriti. La stampa riportò l’episodio senza particolari allarmismi13. Veniva soprattutto messo in risalto l’atteggiamento di sorpresa e

stupore degli abitanti che cominciavano a prendere consapevolezza della vul-

nerabilità del territorio bresciano, zona di confine a poca distanza dalla linea del fronte.

La comparsa dell’aeroplano sul cielo di Brescia più che l’allarme ha suscitato la più intensa curiosità quasi imprudente. Lo sparo del cannone che dava il segna- le dell’incursione aerea, invece di far rientrare i cittadini, li ha fatti accorrere nelle vie, nelle piazze ed alle finestre. Sulla piazza del mercato in quell’ora, affollatissima, tutti, uomini e donne, prima fuggirono poi s’indugiarono col naso all’aria seguen- do il rapido volo del velivolo che passando sopra la città ed attraversandola da est ad ovest si dirigeva su quello che doveva essere il suo obiettivo prefisso mantenen- dosi ad una altezza di circa ottocento metri. […] Il velivolo nemico era arrivato su Brescia evitando le numerose vedette antiaeree del Garda e delle regioni circostan- ti, tenendosi sempre a sud della città anche per sfuggire ad eventuali offese. Infatti il suo passaggio è stato osservato in vari paesi della bassa bresciana, segno evidente che aveva percorso tutto il suo viaggio a mezzodì della linea ferroviaria. A facilita- re l’arrivo del velivolo nemico sopra la città valse una nuvola che alle 6 oscurava il cielo e che insistette sull’orizzonte fino oltre le 6.30 cioè dopo che il velivolo au- striaco aveva compiuta la sua triste impresa. Allorchè il velivolo apparve sul cielo di Brescia il cannone diede il segnale e le difese antiaeree spararono sull’aeroplano inseguendolo anche quando si allontanò in direzione di Verona. Il velivolo che fu bene distinto anche ad occhio nudo era un biplano14.

Dopo l’incursione di agosto, una nuova strage si verificò in città il 15 novem- bre successivo: gli aerei austriaci lanciarono una decina di bombe. L’attacco pro- vocò otto vittime e nove feriti molto gravi. Nuovi bombardamenti si abbattero- no sulla città nel febbraio 1916. Il 29 giugno tre aerei nemici colpirono Brescia con tre ordigni, provocando una vittima. L’11 maggio 1917 nei cieli di Brescia si scatenò una vera e propria battaglia aerea. Un velivolo italiano, nel tentativo di abbattere due aerei nemici, precipitò sulle campagne di Botticino sera. Morì il pilota, salvo il soldato mitragliere. Grande impressione suscitò infine l’attacco aereo contro il centro di Desenzano il 21 febbraio 1916. Nonostante la pronta risposta della pattuglia di idrovolanti italiani di stanza sul Garda, tre furono le vittime civili a cui non furono concessi funerali ufficiali per il timore che dive- nissero bersaglio di nuove incursioni.

Nel novembre del 1917 venne colpito dall’artiglieria nemica Ponte di Legno.

11 Ibidem, pp. 129-131. 12 Ibidem, p. 131.

13 Un aeroplano austriaco su Brescia, «La Provincia di Brescia», 26 agosto 1915, pp. 1-3.

14 Un areoplano austriaco ha gettato quattro bombe in città, «La Sentinella bresciana», 26 agosto 1915,

Fortunatamente la popolazione era già stata evacuata. Nel 1916 erano stati allon- tanati dal paese anche gli abitanti di Limone: la vicinanza con il fronte metteva a rischio la loro vita. Rientrarono nelle loro case distrutte soltanto dopo due an- ni, al termine di un esilio obbligato nei comuni gardesani di Toscolano Mader- no e Gardone Riviera dove la comunità venne temporaneamete riorganizzata15.

I primi bombardamenti dimostrarono quanto fosse alto il rischio di danneg- giamenti per il patrimonio artistico. Le bombe provocavano incendi, inoltre re- stava alto il rischio di saccheggi e furti.

Così come ci si prendeva cura dei pezzi più significativi della provincia, an- che per i “tesori” della città era necessario procedere. Nel gennaio del 1917 dalla Soprintendenza di Brera arrivò l’ordine di mettere al sicuro i pezzi più pregiati della Biblioteca Queriniana. «La parte più preziosa»16 doveva essere individuata,

catalogata e chiusa in casse pronte per il trasporto. A marzo toccò ai capolavori della Pinacoteca Tosio Martinengo: furono imballati e trasferiti nei sotterranei dell’ex monastero di Santa Giulia17. L’individuazione del deposito aveva susci-

tato qualche perplessità nella Soprintendenza per la vicinanza della caserma Ti- to Speri, quindi di un possibile obiettivo militare che avrebbe potuto attirare attacchi nemici. Successivamente la scelta della localizzazione – forse anche per mancanza di alternative – venne condivisa. Si rendeva tuttavia necessaria una serie di adeguamenti dei sotterranei e degli accessi che vennero puntualmente eseguiti. Alla fine il tesoro fu messo al sicuro18.

In 34 casse (numerate dalla 1 alla 28 e dalla 1 A alla 6A) vennero racchiusi complessivamente 8.641 pezzi: i quadri più importanti di Romanino, Moretto, Savoldo, Tiepolo, Lotto, Ferramola etc. e poi bronzi, avori, medaglie, stampe, smalti, argenti, gioielleria varia. Ancora il racconto di Ettore Modigliani.

Nella primavera del 1917 […] era stata messa al sicuro, con alcune eccezioni per le gravi difficoltà di rimozione, grandissima parte del patrimonio artistico della città di Brescia, dove i quadri più pregevoli della Pinacoteca Tosio Martinengo, quasi l’in- tiero materiale del Museo Cristiano e del Museo Romano, i capolavori delle chiese furono imballati in casse e raccolti in uno spazioso e adattissimo locale sotterraneo

della stessa città di Brescia formidabilmente protetto dalla stessa sua natura, non meno che dalle opere provvisorie eseguitevi, e non lontano dal quale, in altro loca- le sotterraneo e sicurissimo, trovava ricovero la “Vittoria” troppo esposta a pericoli dall’alto nella sua sala del Museo Romano19.