Tra il 1962 e il 1968 i governi di centro-sinistra erano falliti nel rispondere alle molteplici esigenze di un'Italia in rapido cambiamento. Essi avevano fatto insieme
71 Anna Tonelli, Politica e amore, cit., p. 136. 72 Ibidem., p.137.
troppo e troppo poco, nel senso che che avevavo parlato ininterrottamente di riforme, ma lasciando poi deluse quasi tutte le aspettative. Dal 1968 in avanti l'inerzia dei vertici fu sostituita dall'attività della base. Quello che seguì fu un periodo di straordinario fermento sociale, la più grande stagione di azione collettiva nella storia della Repubblica. Durante questi anni l'organizzazione della società italiana fu messa in discussione a quasi tutti i livelli. L' Italia non eguagliò certo, per intensità e potenziale rivoluzionario, i fatti del maggio '68 in Francia, ma il movimento di protesta italiano fu il più profondo e il più duraturo in Europa. Esso si diffuse dalle università e dalle scuole nelle fabbriche e successivamente entro tutta la società.74
Le basi materiali dell'esplosione della protesta nelle università italiane devono essere rintracciate nelle riforme scolastiche degli anni '60. Con l'introduzione della scuola media dell'obbligo estesa fino ai 14 anni, nel 1962, per la prima volta si era creato un sitema di istruzione a livello di massa oltre alla scuola primaria. Essa mostrava gravi lacune, curricola tradizionali, carenza di aule e libri di testo, mancanza di aggiornamento degli insegnanti ecc., ma aprì nuovi orizzonti a migliaia di ragazzi dei ceti medi e della classe operaia. Molti di loro, sopratutto quelli delle classi medie, decisero di continuare gli studi fino all'università. Alcuni provvedimenti legislativi presi durante gli '60 avevano reso più concreta questa possibilità: nel 1966, per esempio, l'accesso alle facoltà scientifiche era stato aperto anche agli studenti provenienti dagli istituti tecnici. Nell'anno accademico 1967-1968 gli studenti universitari erano aumentati a livello esponenziale rispetto agli anni precedenti. Questa nuova generazione di studenti entrò in un sistema che era già in avanzato stato di disfunzione: vi erano pochi insegnanti e, peggio ancora, quasi tutti solo
raramente erano presenti in facoltà, poiché il loro obbligo lavorativo era di poche ore settimanali. La decisione, inoltre, di liberalizzare l'accesso a un sistema universitario così pesantemente inadeguato significò semplicemente immettere in esso una bomba ad orologeria.75 Sopratutto la condizione degli “studenti lavoratori” era
particolarmente intollerabile. Lo Stato non dava alcun sussidio agli studenti, tranne qualche borsa di studio ai più meritevoli e quindi più della metà degli studenti doveva lavorare per poter continuare gli studi; chi fosse riuscito a laurearsi comunque, non aveva la certezza di un lavoro. I fgli del ceto medio urbano in espansione sperimentarono una serie di cocenti disillusioni. Le scuole erano sovraffollate e gli insegnanti malamente preparati, i corsi universitari erano ormai una sorta di corsa ad ostacoli, mentre la società nel suo insieme, restava incapace di garantire posti di lavoro di livello elevato a tutti coloro che terminavano gli studi.
Queste, secondo Ginsborg, non erano tutte le basi materiali per la rivolta; ve ne erano altre, di tipo ideologico, di significato forse ancor più importanti. Molti giovani della seconda metà degli anni '60 condividevano assai poco i valori dominanti della società nella quale vivevano: l'individualismo, il potere totalizzante della tecnologia, l'esaltazione della famiglia; la stessa corsa ai consumi veniva giudicata da parecchi giovani come un fenomeno tutt'altro che positivo. Il senso di rifiuto ed estraneità dell'Italia del miracolo economico, trovò un fertile terreno di crescita nelle minoranze che contestavano le due ortodossie dominanti che governavano la penisola: quella cattolica e quella comunista . Alla fine di febbraio del 1968 la cittadella universitaria di Roma fu occupata dagli studenti, che in alcune facoltà come Lettere e Filosofia riuscirono ad ottenere da una parte dei professori la
sperimentazione di una “didattica alternativa” (controcorsi, seminari autogestiti, esami di gruppo). Probabilmente aizzato dall'ala più intransigente del corpo accademico, che si scandalizzava di fronte a tanto lassismo, il Rettore chiamò la polizia ed intimò lo sgombero. Gli agenti arrivarono subito, prendendo a randellate tutti i presenti dentro e fuori dall'edificio.76Più famosa è la “battaglia di Valle Giulia”
a Roma, e quella del 26 Marzo di quello stesso anno, quando uno studente dell'Istituto di sociologia di Trento chiese di entrare in contraddittorio con il quaresimalista che stava predicando in cattedrale. Non fece in tempo ad esprimere il suo dissenso, che i fedeli inferociti lo afferrarono, lo malmenarono e lo trascinarono in strada. Nei giorni che seguirono, i compagni del ragazzo tentarono ripetutamente di entrare in chiesa, ma non riuscendovi si soffermarono sul sagrato leggendo ad alta voce alcune opere di don Lorenzo Milani77. Il 21 dicembre a Milano, un gruppo di
giovani organizzò davanti alla Rinascente una protesta contro la mercificazione del Natale. Le signore della buona società ambrosiana celebrarono tranquillamente il rito dello shopping, mentre i dimostranti discorrevano in modo bonario con i custodi del grande magazzino, ma una marea di curiosi accigliati si accalcò intorno agli addetti del volantinaggio cominciando ad insultarli.78 Questi sono alcuni episodi della rivolta
del '68 in Italia, ma che comprendono alcuni tratti salienti del dissenso: la compartimentazione generazionale, il riufiuto di un sapere avulso dai bisogni di chi ne apprende i contenuti, il ricorso alle “tattiche perturbative”, l'antiautoritarismo che investì autorità scolastiche, clero, ceto politico, borghesia, famiglie e funzionari di pubblica sicurezza, il desiderio di riappropriarsi della propria soggettività e di un “io”
76 Silvio Lanaro, Storia dell'Italia repubblicana, cit., p.343. 77 Ibidem., p.344.
alienato e diviso, la denuncia globale e senza appello del “sistema” di produzione, di distribuzione e consumo dei beni.79 Al di là delle sue degenerazioni violente, in
origine il movimento del '68 germoglia da un disagio che rinvia alle strozzature dello sviluppo economico e alla staticità del quandro politico, più che una protesta contro la misera situazione studentesca; fu una rivolta etica, un rilevante tentativo di rovesciare i valori dominanti dell'epoca. Il fulcro del movimento studentesco era costituito da un irriverente anti-autoritarismo. Nessuna gerarchia o centro di potere, men che meno le università e le forze dell'ordine, si salvavano dall'essere messi in ridicolo. Il rifiuto studentesco dell'autorità, comunque, andò ben al di là degli obiettivi più ovvi. Per la prima volta nella storia della Repubblica , la famiglia fu messa sotto accusa. Gruppi minoritari di studenti, seguendo la strada tracciata dai loro compagni del nord Europa e dell'America, misero in evidenza i difetti e i lati oscuri dei moderni rapporti familiari, la fedeltà coniugale e la continuità della famiglia che essi attaccavano accusandola di opprimere ed alienare gli individui che ne facevano parte.80 Pochi studenti giunsero al punto di rifiutare totalmente
l'istituzione familiare, ma parecchi rifiutarono l'idea di rinchiudersi nel suo guscio, e si impegnarono attivamente nei rapporti di gruppo con i propri compagni nel sostegno militante agli ideali collettivisti. I consigli dei genitori, che dipingevano la politica come una cosa sporca e ricordavano come la laurea fosse importante per fare carriera, furono sprezzatamente rifiutati. Circa il rapporto tra famiglia e società, la protesta, criticava fortemente la chiusura su se stessa della moderna famiglia, il suo estraniarsi di fronte alla società, la sua sfiducia verso il mondo esterno, i suoi valori basati sopratutto sul rafforzamento materiale della famiglia stessa; lotte furibonde
79 Silvio Lanaro, Storia dell'Italia repubblicana, cit., p. 345. 80 Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, cit., . 413.
scoppiarono all'interno delle famiglie nel momento in cui figli e figlie rifiutarono le raccomandazioni, l'autorità e lo stesso modo di vivere dei genitori.81 L'elemento
generazionale diventava rilevante in quanto la nuova generazione si era trovata a vivere fra la dissoluzione di un' Italia arcaica e il profilarsi di un'Italia moderna: e quella dimensione “privata” che diventava improvvisamente oggetto di discussione collettiva rimandava a modelli più generali. Così è per la critica al “comune sentire” di genitori e anziani, ai conformismi più diffusi, alle ideologie di promozione sociale; così era, anche, per il rifiuto della concezione tradizionale della famiglia: “Io sapevo che tutto volevo diventare nella vita tranne che mia mamma, ecco. Questo mi era assolutamente chiaro. La più bella scritta sui muri della mia facoltà, me la ricordo in maniera nettissima, di tutte quelle che c'erano: voglio essere orfano. L'ho condivisa, l'ho fotografata, mi sono portata il manifesto a casa.”82 Non era difficile, per la verità,
dissacrare i modelli di famiglia ancora prevalenti, antichi tabù e ipocrisie nel rapporto tra i sessi: alle ragazze, ad esempio, era ancora proibito entrare all'Università Cattolica in pantaloni e abiti senza maniche, ed erano loro riservati un giardino e un'aula studio vietati ai ragazzi. Un disprezzo del tutto particolare era riservato dal movimento alle forze tradizionali della sinistra. Il Partito comunista era respinto dalla maggior parte in quanto opposizione incapace di combattere il sistema; il movimento giovanile comunista fece scarsi progressi tra gli studenti, e i suoi rappresentanti venivano spesso derisi nelle assemblee studentesche. Lo scopo della rivolta era, oltre alla libertà di prendere collettivamente le decisioni politiche, anche quello di vivere le propria vita con lo stesso spirito di collettività. Il movimento era collettivista, ma
81 Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, cit., . 413.
82 Ibidem., p. 414. Ginsborg fa riferimento al racconto della politica e sindacalista Fiorella Farinelli, che partecipò al Movimento Studentesco pisano nel 1968.
anche libertario. Nessuna autorità centrale avrebbe dovuto controllare le azioni individuali, ogni individuo doveva essere lasciato il più possibile libero di determinare le proprie scelte e i propri comportamenti privati. Ciò valeva sopratutto per la sfera dei rapporti affettivi e sentimentali. I tabù che in Italia avevano circondato le pratiche sessuali furono sistematicamente infranti per la prima volta; la liberazione sessuale divenne allo stesso tempo un obiettivo del movimento e una delle sue regole.83 Il movimento rimase comunque improntato a valori prevalentemente
maschili, e le studentesse che vi presero parte attiva vissero la loro esperienza con sentimenti contraddittori. Da una lato esse rilevavano notevoli elementi positivi, quali il nuovo modo di far politica e la creazione di rapporti di socializzazione molto più intensi: dall'altra parte, però, non potevano non notare come la maggior parte di loro rimanesse in posizione subordinata, incapace di esprimere i propri bisogni e i propri desideri. Era una vera e propria rottura, in una società che considerava ancora la convivenza e i rapporti prematrimoniali come qualcosa di cui era doveroso vergognarsi:una rottura destinata però ad incontrarsi negli anni successivi con sensibilità moderne e laiche.84 Il movimento del '68, inoltre, fu per le donne un punto
di partenza dal quale riflettere sulla propria condizione; attraverso una trama minuta di comportamenti innovativi, posero in discussione l'organizzazione della vita materiale, la privatizzazione delle relazioni familiari, l'oppressione del lavoro domestico e questi effetti furono pervasivi, in quanto trasformarono l'esperienza delle donne, il modo di sentirsi e di pensarsi.85