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I partiti della sinistra: il Partito Socialista e il Partito Comunista

Per tutti gli anni '50 si erano succeduti parecchi governi di coalizione centrista, deboli e incapaci di porsi alla guida del paese; già dal luglio 1957, Fanfani andava sostenendo che la Dc avrebbe dovuto “aprire a sinistra” e coinvolgere i socialisti nel governo: un nuovo asse Dc-Psi , sotto il suo controllo, avrebbe potuto costituire una solida base per una programmazione sociale, per un riformismo moderato, per ulteriori interventi pubblici nell'economia; e avrebbe anche contribuito a isolare il Pci.33 Una simile ambizione politica e personale, secondo il già citato Paul Ginsborg,

era destinata a creare ripercussioni. La destra democristiana guidata da Mario Scelba, l'Azione cattolica, la gerarchia ecclesiastica, erano tutti fortemente preoccupati della piega degli eventi. Anche i membri di rilievo di Iniziativa democratica, la stessa corrente di Fanfani, erano divenuti sempre più critici della sua protervia e arroganza: dentro il partito aumentava la sfiducia nei confronti del segretario. Nel gennaio del 1959 il governo Fanfani cadde, e subito dopo egli si dimise da segretario del partito.34

31 Anna Tonelli, Politica e amore, cit., p. 53

32 Silvio Lanaro, Storia dell'Italia repubblicana, cit., p. 98.

33 Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, cit., p. 345. 34 Ibidem., p.349.

Venne eletto nel 1959 come nuovo segretario del partito, Aldo Moro; professore di diritto, barese, cattolico fervente, egli era riservato e cortese e profondamente ambizioso; a trent'anni era già deputato, a trentadue sottosegretario al ministero degli esteri. Durante la sua segreteria l' “apertura a sinistra” non fu abbandonata ma sottoposta alla sua particolare strategia di cauto rinvio. La caduta di Fanfani mostrò come il nuovo gruppo dirigente della Dc non avesse praticamente idea di come mettere in piedi una maggioranza di governo affidabile. Nella primavera del 1960 il presidente della repubblica Giovanni Gronchi designò un democristiano di secondo piano, Fernando Tambroni a formare il nuovo governo, improntato sulla politica di “legge e ordine” dal marcato stampo di ideali fascisti, che provocò disordini e la caduta del governo . Gli anni successivi furono caratterizzati da un lento avvicinamento tra democristiani e socialisti.35

Dopo la sconfitta alle urne del 1948 i socialisti italiani vissero per anni in quella che può essere a buon diritto definita una vera e propria liberazione politica. Nella tornata elettorale del 1953 il partito presentò una propria lista separata dal Pci, ottenendo un lieve aumento dei propri consensi; nonostante ciò, non furono mai capaci di stabilire una loro autonomia politica. Le ragioni secondo Ginsborg, nell'opera Storia dell'Italia dal dopoguerra a oggi, erano innumerevoli. In una fase in cui il mondo appariva sempre più diviso in due, toccava al Pci rappresentare ufficialmente il blocco socialista, e fintanto che il Psiup rimaneva filosovietico aveva scarse possibilità di non differenziarsi dall'altro partito. I socialisti, per di più, erano fortemente consapevoli di quanto fosse costata la precedente rottura del 1920-

1922.36Il segretario del partito, Pietro Nenni, non si stancava mai di ripetere

l'importanza dell'unità del proletariato, tanto che durante il 1945 e all'inizio del 1946 vi fu una seria possibilità che comunisti e socialisti si fondessero in un solo partito. A Nenni, comunque, per portare avanti il suo progetto, mancavano le qualità di un grande dirigente politico, e quindi fu incapace di tenere assieme un partito facendolo diventare una “grande chiesa” di opinioni socialiste. Ogni anno, però, rinnovava il patto d'unità con il Pci, anche se in concreto, unità significava subordinazione. Questa subordinazione non si evidenziava solo nella chiara inferiorità numerica e organizzativa del Psi rispetto al Pci, ma anche dalla mancanza di autonomia a livello strategico, tanto che l'inestimabile dote dell'unità della sinistra era accompagnata dalla più incerta virtù dell'unanimismo, riferito in particolar modo al dogmatismo incontrastato che regnava nel partito socialista negli anni Cinquanta.37 Al XXXIV

Congresso del Psi, tenutosi a Milano nel marzo 1961, Nenni e i fautori dell'alleanza di governo con la Dc riportarono, tuttavia, una significativa vittoria. Secondo il segretario socialista, per instaurare il socialismo in Italia era necessario far cadere gli interessi dei conservatori e dei reazionari, ma per far questo occorreva delineare una precisa strategia politica e una decisa morale socialista, che passava inevitabilmente, anche, attraverso la rivalutazione dei ruoli di genere.

Per quanto riguarda la definizione dell'etica socialista, il contributo delle riflessioni di Antonio Gramsci sui temi dell'educazione e della famiglia fu fondamentale. Già negli scritti giovanili, egli sfiorava le questioni amorose e familiari, inserite in un contesto più ampio che partivano dalla centralità del proletariato, traendo origine

36 Anna Tonelli, Politica e amore, cit., p.112. 37 Ibidem, p.117

dalle teorie di Marx ed Engels, a partire dal Manifesto del partito comunista che condannava il “matrimonio borghese” e il ruolo della moglie come “semplice strumento di produzione”38. La storiografia che si riconosce nel consolidato filone di

“storia delle donne” è concorde nel sottolineare il ritardo dei movimenti democratici nell'affrontare il tema della condizione femminile legata al ruolo delle donne sul piano politico, sociale e di costume39. Secondo l'opera di Anna Tonelli Politica e

amore, Gramsci avviò una riflessione teorica secondo la quale il punto di partenza per sovvertire l'ordine sociale e politico sarebbe stato quello di considerare centrale il ruolo della classe operaia. Di qui la contrapposizione fra le due morali: quella borghese, “fatta in gran parte di schiavitù, di sottomissione all'ambiente, di ipocrita mascheratura dell'animale uomo, fascio di nervi e di muscoli inguainati nella epidermide voluttuosamente pruriginosa”40, e quella proletaria nella quale la famiglia

non si configura più solo come un istituto economico, ma”è un mondo morale in atto , che si completa per l'intima fusione di due anime che ritrovano l'una nell'altra ciò che manca a ciascuna individualmente”.41 Si tratta quindi di scegliere fra una

società borghese basata sull'ipocrisia e la disuguaglianza, e una società socialista nella quale la donna sarebbe riuscita a trovare un'altra identità in contrasto a quella della famiglia borghese. La famiglia, anche nella concezione socialista, diventò il luogo privilegiato di rispetto della moralità, in quanto elemento determinante alla funzione educativa e che aveva lo specifico ruolo di formare soggetti e prepararli alle proprie responsabilità in una società pronta al cambiamento. Sempre secondo l'analisi della Tonelli, in questo senso non è fuorviante parlare di etica socialista fondata sulla

38 Anna Tonelli, Politica e amore, cit., p.119. 39 Ibidem, p .260.

40 Ivi.

teoria originale dell'affemazione della classe operaia che, per diventare classe dirigente, deve essere rappresentata e guidata da un movimento capace di fornire indicazioni e regole, anche sul piano dei comportamenti. L'elaborazione gramsciana diventa patrimonio comune dei militanti solo nel dopoguerra, con un'accelerazione alla metà degli anni Cinquanta. Anche se Gramsci non si interessa in modo continuo e approfondito della questione femminile, saranno sopratutto le dirigenti donne a utilizzare le sue considerazioni soprattutto sui temi familiari, facendo propria la definizione di famiglia come “organismo morale”. 42“Concepiamo la famiglia- spiega

l'onorevole Nilde Iotti in uno dei sui interventi in aula- secondo l'affermazione gramsciana, come centro morale basato sull'uguaglianza di due individui, sulla libertà della scelta, sulla parità”. Un' affermazione che introduce il concetto di parità mai reso esplicito da Gramsci, ma che dimostra come ormai l'etica socialista sia diventata anche la paidèia della cultura comunista.43

Il tentativo di ricerca di un costume laico e progressista, spinse, inoltre, i socialisti a misurarsi anche con la morale cattolica. Già a partire dalla fine dell'Ottocento i socialisti si resero conto che le masse a cui si rivolgevano per divulgare la fede della loro dottrina politica erano cresciute sulla tradizione cattolica, recependone riti, credenze e linguaggi. Proprio per questo la propaganda socialista cominciò ad imitare alcuni strumenti chiave utilizzati dai cattolici come mezzo di diffusione e penetrazione fra i ceti popolari.44 Tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento,

si diffuse una vasta pubblicistica di carattere popolare con i catechismi a rappresentare una delle voci più influenti della propaganda diretta a formare una

42 Anna Tonelli, Politica e amore, cit., p.126. 43 Ibidem.,259.

nuova coscienza socialista; si trattava della volontà di tratteggiare una morale politica in grado di rispecchiare in onestà e limpidezza i principi cristiani. 45 Il

catechismo laico si rivolse precipuamente alle classi popolari, identificando varie figure: l'operaio, il contadino, la donna lavoratrice, il socio di una lega o di un circolo operaio, lo studente; da istruire attraverso il suggerimento dei nuovi comandamenti che andavano dal battesimo laico alla fede nei valori dell'uguaglianza e della fratellanza, dalle preghiere laiche ai riti da “santificare” nei luoghi di aggregazione e socializzazione.46

Meno noti, secondo la storica Anna Tonelli, furono i riflessi di tale cultura nella definizione di una morale che interessava più specificatamente l'educazione ai sentimenti. Se evidenti erano gli accenti contro una gerarchia ecclesiastica corrotta e attenta ai propri privilegi, altrettanto ripetuti erano gli inviti a una moralizzazione dei costumi che riguardavano l'intera comunità, di credenti e non credenti. Oltre a spiegare le ragioni dello sfruttamento e della disuguaglianza, della differenza fra padroni e salariati, i catechismi laici socialisti facevano riferimento anche ai temi legati ai rapporti fra i sessi, in stretta correlazione all'assetto economico e sociale del Paese. La possibilità di impostare liberamente un rapporto d'amore, e quindi di formare una famiglia, dipendeva dal vincolo economico. Seguendo le teorie engelsiane sulla famiglia, si arrivò alla conclusione che solo l'abbattimento delle disparità economiche e sociali, avrebbero portato a una reale e spontanea scelta affettiva e sentimentale.47 Era convinzione diffusa fra i socialisti che nella società

dominata dal capitalismo, i rapporti umani fossero soggetti all'interresse; come la

45 Anna Tonelli, Politica e amore, cit., p. 261. 46 Ivi.

ricerca del tornaconto personale riguardava le relazioni fra uomini per quanto concerneva il lavoro, così la medesima propensione si ritrovava nei rapporti amorosi. Finchè avesse regnato il capitalismo con l'obiettivo di creare matrimoni di interesse, non ci sarebbe stata la possibilità di raggiungere la libertà dei sentimenti auspicata dalla morale socialista.48 Per raggiungere l'uguaglianza era necessario partire dalla

critica di quello che veniva considerato come il “nemico” da sconfiggire: la società borghese, con le sue degenerazioni sul piano dei costumi. I teorici del primo socialismo, si soffermarono sui “vizi” della civiltà borghese dove “l'adulterio regnava sovrano, dove la dama di qualità passava dalle braccia del marito in quelle del brillante ufficialetto o del tenore di grido e il marito, dagli amplessi della moglie alle lascive cocottes, delle ballerine, delle cantanti da operetta”.49

Contro le accuse che provenivano sopratutto dal fronte cattolico impegnato in una denigrazione della società socialista come distruttrice del legame familiare, i socialisti ribattevano con la proposizione di sani principi morali che concorrevano alla delineazione della “famiglia socialista”. 50 Nei catechismi laici, è riassunta la morale

socialista che insisteva sulla necessità di un solido legame familiare fondato sull'armonia sentimentale di una coppia che si riconosceva nei valori della solidarietà, dell'uguaglianza e del rispetto reciproci. Erano gli stessi valori promossi dal cattolicesimo, ma inseriti in una visione più ampia dove avevano un ruolo centrale i rapporti di produzione. Se infatti continuava a vigere una società capitalistica che anteponeva il “contratto” alla formazione di legami amorosi, sarebbe stato impossibile realizzare unioni libere. 51 Solo con l'avvento di una società socialista la

48 Anna Tonelli, Politica e amore, cit., p. 262. 49 Ivi.

50 Ibidem, p. 263. 51 Ivi.

consuetudine del matrimonio di interesse sarebbe venuta meno a favore della realizzazione dell'amore libero, inteso come la liberazione dai vincoli imposti dal capitalismo.52

I catechismi socialisti furono rivolti in particolar modo alle donne, considerate le interlocutrici fondamentali per diffondere la propaganda socialista. Negli opuscoli, sotto forma di lettere socialiste, alle operaie o contadine veniva prefigurato un altro destino da quello imposto che le considerava “ fanciulle sul mercato” in attesa di un “acquirente” per realizzare un “matrimonio-affare” che “ la chiesa benedice e il mondo rispetta”.53 Considerando che il socialismo si batteva per instaurare una

società in cui ogni cittadino fosse stato in grado di avere e sviluppare tutti i mezzi per la propria quotidianeità materiale e morale, anche la donna poteva aspirare ad un ruolo attivo in un sistema sociale senza più vincoli economici. L'emancipazione della donna veniva invocata come necessità di un lavoro in grado di sottrarla all'obbligo di scegliere un marito per potersi mantenere; la libertà economica doveva equivalere a libertà negli affetti.54 I catechismi socialisti, inoltre, si soffermavano anche su temi

cari al riformismo laico come la prostituzione, considerata un prodotto del capitalismo, e i figli illegittimi, risultato anche in questo caso della degenerazione della società borghese che tollerava “orge” e “divertimenti lascivi”, costringendo le donne a “cedere i corpi perchè schiave della miseria”.55

Il socialismo, quindi, si prefiggeva il compito di recuperare l'eredità cristiana, valorizzandone sopratutto la matrice umanitaria ed è in questa direzione che si inseriscono i catechismi laici, che diventarono una voce fondamentale della

52 Anna Tonelli, Politica e amore, cit., p. 264. 53 Ivi.

54 Ibidem, p. 265. 55 Ivi.

pedagogia socialista e che avevano obiettivi formativi e propagandistici. La necessità di coinvolgere le masse cattoliche, in gran parte contadine, spinse i socialisti a intraprendere una politica capace di tener conto di un radicato senso religioso su cui innestare in seguito l'insegnamento socialista. Un percorso che ha caratterizzato la mobilitazione socialista anche negli anni successivi, in particolar modo dopo il primo decennio del Novecento, a dimostrazione di come già a partire dalla fine del XIX secolo fossero chiari gli obiettivi da perseguire per conquistare con sempre maggiore incisività le masse popolari formatesi sul solido cemento della religione cattolica.56

Per i comunisti i primi anni '50 furono un periodo difficile. Nell'agosto del 1950 la polizia fece incursione nella federazione romanana del partito, e solamente con la sconfitta della Dc nelle elezioni del 1953, la dirigenza comunista si sentì più sicura, registrando nel 1954 un forte aumento degli iscritti al partito.

Secondo, lo storico Paul Ginsborg, da un punto di vista della strategia generale questo non fu un periodo di innovazione. La prospettiva di una transizione al socialismo continuò a basarsi sulle idee di una coalizione politica e di alleanze di classe. Sconfitte e isolamento, comunque, non demoralizzarono gli attivisti del partito; al contrario. Il Pci sviluppò una ricca rete di organismi e attività che legarono gli iscritti fra loro, incoraggiandoli nello stesso tempo a cercare nuovi aderenti in ogni area della società civile. Vennero costituite così le Case del Popolo, dove si organizzavano assemblee e dibattiti; le Feste de L'Unità che divennero i principali momenti di raccolta fondi per sostenere il quotidiano del partito. Oltre alle sezioni del partito e al sindacato, vi erano organizzazioni collaterali a cui partecipavano assieme comunisti e socialisti: le più importanti erano l'Anpi (Associazione nazionale dei partigiani) e

l'Udi (Unione donne italiane); quest'ultima aveva più di 3500 circoli locali ed oltre un milione di iscritte nel 1954.57 La natura e l'attività di un tipico circolo dell'Udi erano

fondamentalmente di discussione su temi che riguardavano le tematiche di genere come l'educazione dei figli, l'emancipazione femminile, ma anche raccolta firme per l'edilizia popolare o per la pace, la vendita del giornale “Noi donne”, assistenzialismo durante i mesi invernali per le donne più anziane e ammalate. Una tematica fondamentale e di discussione anche all'interno del Pci, fu quella della famiglia. La propaganda del partito su questo elemento si fondava su alcuni concetti semplici e limitati. Vi era un attacco all'ipocrisia democristiana che, mentre idealizzava la famiglia non era stata in grado di fornire la dovuta assistenza a milioni di nuclei familiari. I comunisti si difendevano dall'accusa di sotenere il libero amore, citando la denuncia che ne aveva fatto Lenin come “vizio borghese”. Esaltavano invece la virtù della famiglia sovietica, fondata sulla monogamia, su un rigido moralismo, sul sacrificio per il bene della collettività.58 In sostanza, secondo Ginsborg, l'ideologia

comunista serviva a far stare insieme la famiglie, ad aiutare a superare il familismo e la sfiducia, a raggruppare le risorse. Era anche vero, però, che l'iperattivismo politico del militante comunista maschio poneva seriamente a repentaglio la propria vita familiare. Decine di migliaia di giovani scapoli erano entrati nel partito alla fine della guerra. Negli anni '50 molti di loro erano sposati con figli piccoli ed era considerevole la tensione che esisteva tra famiglia e politica. Il partito non sembrava avere le idee chiare circa la questione, d'importanza cruciale, di un corretto ed equilibrato rapporto tra impegno pubblico e vita privata. Il Pci si vantava di difendere la famiglia, ma allo stesso tempo si presentava, agli occhi del mondo esterno , come

57 Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi. cit., p.265. 58 Ibidem., p.275.

un'organizzazione che poneva le proprie necessità al di sopra delle esigenze familiari dei propri militanti.59 In questo modo, comunque, il partito sviluppò una subcultura

molto forte, che rafforzava l'unità tra i suoi iscritti ed esaltava i valori dell'egualitarismo e della solidarietà. La volontà per il Pci era quella di costruire un partito nuovo capace di radicarsi all'interno del tessuto sociale attraverso un sistema di valori sui quali i cittadini, prima che i militanti, avrebbero saputo riconoscersi.

La necessità di delineare il percorso che porta ad una rinnovata identità, spinse il Pci ad affidarsi ad una politica che non solo privilegiava gli aspetti teorici e ideologici, ma che mirava sopratutto a utilizzare strumenti simbolici e aggregativi per rendere più forte il senso di appartenenza e di comunità.60 Nella relazione fra gruppi e partiti

impegnati a ripristinare la democrazia, anche il Partito Comunista fu particolarmente attento a sviluppare la formazione politico-ideologica dei propri militanti attraverso scuole di partito e associazioni giovanili e femminili, senza trascurare i momenti dedicati alla socializzazione. Il legame fra la dimensione politica e privata nella vita quotidiana del militante è funzionale al partito per radicarsi nella società e anche per diventare l'interlocutore privilegiato delle masse alla ricerca di riferimenti precisi in campo politico, sociale ed etico.61 In questa logica, sempre secondo lo studio di Anna

Tonelli, rientrerebbe l'attenzione per l'educazione ai sentimenti (sopratutto femminili) che il Pci non ha mai trascurato nella sua storia di organismo politico, ma che riprende con maggiore vigore dopo l'esaurirsi dell'esperienza fascista. Rispetto ai modelli culturali più diffusi nella società italiana del dopoguerra, la rappresentazione comunista dei ruoli femminili pare contenere molti aspetti innovativi. Il primo e forse

59 Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi. cit., p. 266. 60 Anna Tonelli, Politica e amore, cit., p.127.

più importante di essi si attiene propriamente a una ridefinizione della tradizionale partizione pubblico/privato, perseguita attraverso la continua insistenza sulla necessità che le donne partecipino in prima persona alla vita sociale, politica ed economica della nazione.62 La presenza pubblica femminile venne incoraggiata nel

quadro di una diversa percezione di sé e del proprio “destino” esistenziale: la vita di una donna, si sosteneva, non può esaurirsi nel matrimonio e nelle attività casalinghe. Ogni donna aveva, quindi, diritto a un'esistenza che le avrebbe dato una piena dignità di persona, coltivando interessi che andavano al di là del ristretto ambito familiare quotidiano ed esclusivamente domestico.63 Da questa impostazione, secondo Sandro

Bellassai , discende pressochè naturalmente l'invito ad avvicinare i grandi temi della politica e della giustizia sociale, i quali, sostiene, sono a ben vedere tutt'altro che estranei anche a quelle difficoltà e a quelle speranze che una semplice donna di casa viveva tutti i giorni. Tuttavia la questione è da affrontare sul piano culturale, dei quadri mentali: solo attraverso una “nuova immagine” di sé la grande maggioranza delle donne italiane diventerà ricettiva nei confronti della politica, cioè di un'insieme di argomentazioni apparentemente lontane dal proprio orizzonte quotidiano. Il richiamo continuo alla “ nuova donna” (che non è figura esclusiva della cultura comunista), appare il primo e fondamentale passaggio logico verso quell'appello alla