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Gli anni 1990: un tentativo di sintesi e di allargamento delle ricerche

Storia e linguistica Un percorso nell’AD 1 Una presenza costante

3. Gli anni 1990: un tentativo di sintesi e di allargamento delle ricerche

Per tutti gli anni 1990, le nuove indagini scientifiche degli storici del discorso si scontrano con le riserve sempre più forti dei linguisti, malgrado alcuni storici73 preconizzino un’attenzione più marcata a queste ricerche. Di fatto, quanto al- la sua prossimità con il linguista, il lessicologo non solo critica la “fretta concettuale” delle sintesi discorsive proposte dallo sto- rico del discorso, ma preferisce anche attenersi alla descrizione dei giochi del linguaggio74 invece di optare per una storia dei concetti.

3.1 Il tempo della sintesi

Adottando una prospettiva ermeneutica, lo storico linguista non cerca più un senso nascosto da spiegare con delle categorie storiografiche, né cerca di rintracciare delle forme linguistiche; egli si sforza piuttosto di restituire l’osservabilità pratica degli attori attraverso gli argomenti che gli sono propri. Tuttavia, non può attenersi indefinitamente alle risorse interpretative del lavo- ro di configurazione degli enunciati d’archivio. In un preciso

72 Cfr. in particolare i lavori di Sylvain Auroux.

73 G. NOIRIEL, Qu’est-ce que l’histoire contemporaine ?, Hachette, Paris 1998. 74 R. E

momento, egli deve procedere a un lavoro di generalizzazione per dare coerenza a un insieme di dati storico-discorsivi, pur conservando, laddove possibile, la visibilità dei processi di ela- borazione di questi elementi di conoscenza. Egli opera perciò una sintesi, a partire da una tematizzazione delle categorie pre- senti nell’archivio, e valorizza argomenti dal forte valore espli- cativo, che vengono invocati in modo naturale dagli attori dell’evento. Questa tematizzazione del linguaggio politico, ne- gli esempi che vedremo nel nostro itinerario di ricerca, necessita al contempo di valorizzare argomenti dal valore concettuale, di mettere in evidenza delle “figure” del soggetto che interviene nel processo specifico di soggettivazione, e di sottolineare infi- ne la dimensione referenziale di alcuni eventi linguistici.

La “figura” del portavoce

Procedendo nell’analisi intrapresa, abbiamo anzitutto opera- to una sintesi discorsiva attorno alla “figura” maggiore della Rivoluzione francese, quella del portavoce.75 La prima tappa è consistita in una vasta inchiesta d’archivio all’interno di uno “spazio” ben preciso, Marsiglia durante la Rivoluzione france- se.76 Abbiamo così potuto rintracciare un insieme di configura- zioni di enunciati d’archivio attorno alle nozioni di loi, constitu-

tion, souveraineté,77… nell’ambito di percorsi tematici signifi- cativi riguardanti alcuni itinerari individuali. Da questa lettura d’archivio è scaturita una figura fondatrice dello spazio civico, il “missionario patriota”, caratterizzato anzitutto da un ben pre- ciso atto di linguaggio, quello di far parlare la legge. L’AD di- viene così una sorta di etnometodo, nel senso per cui l’indagine etnometodologica suscita un atteggiamento di indifferenza quanto al legame tra la posizione sociale esterna e la pratica di- scorsiva “interna” dell’individuo. Inoltre, nella misura in cui la

75 J. GUILHAUMOU, L’avènement des porte-parole de la République (1789-1792),

op. cit.

76 ID., Marseille républicaine (1791-1793), Presses de Sciences Politiques, Paris

1992.

considerazione del linguaggio naturale – inteso come contesto, come risorsa e come tema – impedisce la chiusura del corpus, la distinzione tra testo e contesto perde ogni valore euristico. È a questo punto che la dimensione ermeneutica dell’AD si è rivela- ta particolarmente significativa nel nostro percorso di ricerca.

In uno sforzo ulteriore di sintesi, abbiamo poi comparato questa figura di attore emergente con altre figure che si autode- signavano come “scrittore patriota”, “grammatico patriota”, “giudice improvvisato”. Abbiamo operato questa sintesi all’interno di un vasto insieme di atti di linguaggio – dall’atto di domanda all’atto di sovranità passando per l’atto d’obbligo, di denuncia, di far parlare la legge… – costitutivi della dimensione pragmatica dei discorsi rivoluzionari. Non abbiamo, però, tra- scurato il mondo delle nozioni-concetti (Révolution, liberté,

égalité, terreur, ecc.)78 che strutturano quanto abbiamo detto essere una pragmatica della riflessione, che permette di cogliere l’azione nel momento in cui il discorso si riflette su se stesso.

Una sintesi ancora in corso

Tuttavia, si tratta di una sintesi in corso che presuppone altri tipi di supporti, più o meno vicini tematicamente, come, nello specifico, il Dictionnaire des usages socio-politiques, per il pe- riodo 1770-1815, e le ricerche monografiche.

Nell’ambito dell’iniziativa dell’equipe XVIIIème siècle et

Révolution française79 del laboratorio di lessicologia politica dell’ENS di Saint-Cloud, che abbiamo codiretto per diversi an- ni, sono stati pubblicati, tra il 1985 e il 2006, otto volumi di un dizionario che accorda un ruolo preponderante alla presentazio- ne dei risultati discorsivi mobilitando nel mentre una parte im- portante della comunità degli storici della Rivoluzione francese.

Due volumi (I-1985 e IV-1989) concernono in modo del tut- to tradizionale la serie dei designanti socio-politici sans-

78 “Rivoluzione, libertà, uguaglianza, terrore” (NdT).

79 “XVIII secolo e Rivoluzione francese”. Il gruppo è stato attivo dal 1985 al 2001

culottes, aristocrates, anarchistes, ecc. I due volumi seguenti

(III-1998 e V-1991) si interessano degli strumenti linguistici, soprattutto dei dizionari e della consapevolezza linguistica dell’epoca, aprendosi così al campo più vasto della storia delle idee e delle teorie linguistiche. Altri tre volumi (II-1987, VI- 1999, VII-2003) propongono un percorso significativo dalle no- zioni-concetti alle nozioni teoriche, passando per quelle prati- che. Torneremo nel prossimo capitolo sulla scelta delle temati- che dei singoli volumi.

Tuttavia, questo dizionario non ha l’ampiezza della vasta impresa tedesca intitolata Handbuch politisch-sozialer Grund-

begriffe in Frankreich (1680-1820) e diretta da Hans-Jürgen

Lüsebrink e Rolf Reichardt (1985-2000), alla quale abbiamo re- centemente collaborato.80 Il dizionario presenta delle affinità maggiori con la pragmatica storica-testuale e, più complessiva- mente, con l’interrogativo fondamentale, posto da Reinhart Koselleck, sulle condizioni linguistiche di apparizione delle forme discorsive intese come accesso privilegiato alla loro comprensione storica.

La storia dei concetti dipende inoltre anche da lavori mono- grafici, come ad esempio le pubblicazioni anglofone inerenti l’opera di Quentin Skinner e di John A. G. Pocock, come ve- dremo nel prossimo capitolo. Costateremo anche che l’obiettivo di questi ricercatori riconosciuti a livello internazionale mira a dimostrare come gli autori considerati, da Macchiavelli a Har- rington, non si accontentano di operare concettualizzazioni in una data situazione, ma che, scrivendo, implicano il contesto all’interno della dinamica argomentativa dei loro stessi testi grazie al moltiplicarsi degli atti di linguaggio. Occorre quindi allontanarsi dalla storia tradizionale delle idee per spostarsi ver- so una storia dei concetti in base alla quale questi ultimi vengo- no osservati nel contesto delle “azioni linguistiche” che desi- gnano il momento in cui il potenziale normativo e interpretativo dei concetti è implicato nell’azione politica.

80 J. G

3.2 Per una storia linguistica degli usi concettuali

Lo stesso ordine di priorità si ritrova nei primi lavori dei giovani storici francesi del discorso che vengono redatti negli anni 1990.

Da un lavoro “concettuale” esemplare…

Anzitutto, citiamo lo studio di Marc Deleplace sulla nozione di anarchia tra il 1750 e il 1850.81 Già nella scelta del periodo da analizzare, il Sattelzeit, termine di difficile traduzione che potremmo rendere in modo generico con “la soglia di un’epoca” e che Koselleck ha messo in risalto nei suoi lavori, si compren- de che le ricerche tedesche sulla storia semantica si incentrano sul discorso come oggetto della storia sociale, interrogandosi costantemente sulla connessione empirica tra realtà e discorso. Lungi dall’applicare dei modelli linguistici, e abbandonata or- mai l’idea di un corpus definito, chiuso e omogeneo, Marc De- leplace osserva la presenza, nel discorso parlamentare, di una pluralità di linguaggi sull’anarchia, analizzando una vasta con- figurazione di enunciati dei quali misura i ritmi di cambiamento e descrive il nesso tra le nozioni-concetti e i designanti politici. In effetti, la nozione di anarchia, studiata nell’ambito della ri- flessione teorica sull’evoluzione delle società politiche di Anti- co regime, diviene significativa quanto al dibattito istituzionale della Rivoluzione francese. Al contempo, emerge la funzione di designante socio-politico dell’anarchia, mentre, sul finire della Rivoluzione francese, compare un discorso “sociale” sui misfat- ti dell’anarchia e dell’anarchico che, durante il Termidoro dell’anno III, porta alla formazione di un anti-modello sociale.

L’interesse principale di questo lavoro innovatore è di mette- re in evidenza la rottura semantica attraverso la quale si opera l’appropriazione positiva di un significante negativizzato a prio-

81 M DELEPLACE, « La notion d’anarchie pendant la Révolution française », in Re-

ri. Sul piano metodologico,82 non si tratta quindi di attenersi allo studio lineare di enunciati chiari, espliciti e didattici, ma di con- siderare, sulla scia di Foucault, una configurazione di enunciati non lineari e dispersi nel corpus.

…a un approccio maggiormente microdiscorsivo

Questa metodologia di analisi di un vasto percorso attorno a una figura negativa va associata a un approccio “microstorico” sul discorso parlamentare della Rivoluzione francese. In questo senso, il lavoro di Yannick Bosc, tratto da una tesi il cui estratto è stato successivamente pubblicato negli Annales historiques de

la Révolution française,83 costituisce un esempio unico di studio esaustivo di dibattito parlamentare durante il periodo termido- riano, ovvero alla Convenzione e più precisamente attorno all’intervento di Thomas Paine sulla Dichiarazione dei diritti. Ci immergiamo così, in modo progressivo, nella dinamica di- scorsiva di un va e vieni tra giustificazioni, riequilibrio, legitti- mazione, fino all’inversione degli enunciati sui diritti dell’uomo e del cittadino da parte degli attori parlamentari del dibattito, con al centro la questione del mantenimento o del venir meno dei princìpi di libertà e uguaglianza quali orizzonte di attesa del progetto rivoluzionario dal 1789. Da un punto di vista metodo- logico, la questione del contesto nell’AD è centrale in questo studio.

Contrariamente allo storico tradizionale, che può rimprove- rare al lavoro di Bosc di voler disincarnare gli argomenti dei protagonisti del dibattito, rifiutando di operare un’ampia descri- zione storiografica del contesto esterno al corpus, occorre supe- rare l’evidenza di un contesto prestabilito a profitto di una co- struzione del contesto sulla base della complementarità delle risorse disponibili all’interno stesso del dibattito, e perciò degli effetti costanti di rinvii e relazioni. In questa dinamica, messa

82 Ibidem.

83 Y. BOSC, Le conflit des libertés. Thomas Paine et le débat sur la déclaration et la

Constitution de l’an III, in Annales historiques de la Révolution française, n. 327. Http://ahrf.revues.org/document2923.html

bene in luce dal ricercatore, il ritorno ai princìpi per opera di Paine, il successivo lavoro di giustificazione del loro parziale abbandono, ad opera soprattutto di Boissy D’Anglas, e infine lo sforzo di riequilibrare gli usi, sono elementi che ricostruiscono il contesto del dibattito. La contestualizzazione operata da que- sta metodologia – che pone l’accento su una dinamica argomen- tativa dalla forte azione illocutiva, intesa come dimensione d’azione di concetti messi a confronto, – ci avvicina alla sintesi recente di Rolf Reichardt84 quanto alla cultura democratica della Rivoluzione francese, sulla scia della sua notevole monografia scritta in collaborazione con Hans-Jürgen Lüsebrink sulla presa della Bastiglia.85 Ma ci riavvicina anche alla storia dei concetti praticata nel mondo anglofono della ricerca e in particolare a Quentin Skinner.86 La storia linguistica dei concetti rimette in discussione la questione del contesto, come vedremo poi pre- sentando, nel primo capitolo, la metodologia critica di Mark Bevir87 in materia di storia dei concetti.

Una prospettiva antropologica vicina alla materialità del lin- guaggio

L’analisi storico-linguistica del discorso si orienta verso una metodologia sicuramente molto legata allo studio degli usi les- sicali,88 ma che si allarga anche al campo di una storia sociale

84 R. REICHARDT, Das Blut des Freiheit. Französische Revolution und demokrati-

sche Kultur, Fischer, Frankfurt am Main 1998c.

85H.-J.LÜSEBRINK, R. REICHARDT, Die « Bastille ». Zur Symbolgeschichte von

Herrschaft und Freiheit, Fischer, Frankfurt am main 1990.

86 Q. SKINNER, Visions of Politics, 3 vol. (I. Regarding Method, II. Renaissance

Virtues, III. Hobbes and Civil Science), Cambridge University Press, Cambridge 2002b. Il secondo volume è stato pubblicato in Italia con il titolo Virtù rinascimen- tali, trad. di C. SANDRELLI, Il Mulino, Bologna 2006.

87 M. BEVIR, The Logic of the History of Ideas, Cambridge University Press, Cam-

bridge 1999.

88 Come nota R. ELUERD (op. cit., p. 107), l’esperienza degli storici del discorso è

preziosa al lessicologo nella misura in cui lo storico non dissocia il contesto e le ri- sorse descrittive del discorso. Tuttavia, il lessicologo conserva sempre una certa diffidenza nei confronti del percorso dalla riflessività generalizzata alla sintesi pre- conizzata dallo storico. Per un approccio alla parola nell’AD delle scienze sociali,

delle rappresentazioni positive e negative, del loro inserimento nel senso comune come condizione dell’intercomunicazione umana. L’interesse rivolto al modo in cui la lingua pone le paro- le a fondamenta della politica, aprendo così la possibilità a pro- getti e raffronti politici, è ormai al centro delle preoccupazioni dello storico del discorso.

In questo senso, il lavoro di Sophie Wahnich89 sul tema dello “straniero” durante la Rivoluzione francese estende, a proprio modo, gli studi dell’AD. Promuovendo l’incontro tra storia dei saperi sul discorso e storia delle rappresentazioni estesa alle emozioni, Sophie Wahnich situa i modi di intervento della no- zione di straniero, sia dal punto di vista giuridico-politico (la legge contro gli stranieri) che pratico (l’ospitalità), nel vasto percorso discontinuo di appropriazione e d’invenzione linguisti- ca. In particolare, il dispositivo d’archivio, che emerge dal Rap- porto Barère del 7 prariale dell’anno II, diviene “evento lingui- stico” al di là del suo contenuto inedito, cioè del dichiarare guerra al popolo inglese a qualunque costo. Infatti, svelare l’identità tirannica del popolo inglese permette di render conto del lavoro di perversione della lingua del diritto che viene effet- tuato dall’« astuto linguaggio degli Inglesi ». Il crimine di lesa umanità degli Inglesi è anzitutto un crimine linguistico, per così dire, data l’usurpazione che il linguaggio della sovranità pre- suppone.

Nella misura in cui ogni popolo può e deve accedere all’umanità, costituendosi come popolo e creando dunque una lingua del popolo, la caratteristica specifica del popolo inglese è di pervertire profondamente la nuova lingua politica. L’Inglese rappresenta la figura principale che limita l’innovazione del francese nazionale, distruggendone la dimensione civica. A questo proposito, il discorso montagnardo sugli Inglesi, e più globalmente dell’opinione pubblica dell’anno II, diviene evento al pari della lingua: esso garantisce la perennità dello spazio-

cfr. S. BRANCA-ROSOFF (a cura di), Le mot: analyse du discours et sciences so- ciales, Publications de l’Université de Provence, Aix-en-Provence 1998.

89 S. WAHNICH, L’impossible citoyen. L’étranger dans le discours de la Révolution

tempo in cui può dispiegarsi l’innovazione del francese in quan- to lingua nazionale. Sophie Wahnich rintraccia quindi la mate- rialità del linguaggio nella discorsività dell’archivio nel mo- mento stesso in cui la denuncia da parte dei Montagnardi nell’anno II, quanto all’uso di sintagmi stabili e di precise strut- ture sintattiche contro la Rivoluzione nel discorso inglese, bloc- ca il processo di appropriazione dell’avvenimento rivoluziona- rio.

Più oltre, questa ricercatrice considera i concetti come reper- tori di argomenti, e si interessa in particolare al concetto di so- vranità.90 Infine, da un punto di vista antropologico, Wahnich estende l’approccio concettuale della razionalità discorsiva de- gli attori dell’avvenimento alle ragioni pratiche, ovvero alle credenze e alle emozioni.91

Restava quindi solo un passo da fare ancora perché la storia del discorso diventasse una storia globale, introducendovi la ri- flessione sulle basi morali e cognitive dell’individuazione lin- guistica. È questo l’obiettivo attuale della storia degli eventi linguistici.

3.3 Verso una storia degli eventi linguistici

L’apertura a una prospettiva storica degli eventi linguistici costituisce il proposito centrale della presente opera. A guisa di introduzione, ci accontenteremo, in questa sede, di riassumerne le caratteristiche principali.

Una prospettiva ulteriormente allargata…

Il contatto ormai permanente tra le prospettive epistemologi- che di Reinhart Koselleck e gli interrogativi metodologici della nuova generazione degli storici del discorso permette di uscire

90 ID., « Puissance des concepts et pouvoir des discours. Quelques débats révolu-

tionnaires sur la souveraineté », in Ethnologie française, n. 4, 1999, pp. 591-599.

91 Due sono le riviste di riferimento quanto all’applicazione dell’AD agli studi so-

ciali e alle ragioni pratiche: Langage & Société e Raisons pratiques. Quest’ultima è pubblicata annualmente.

dal dibattito sui pericoli della “svolta linguistica” continuamen- te sottolineati dagli storici francesi nel loro raffronto con gli sto- rici americani della narrativa.92 È ormai ammessa l’esistenza di linee di tendenza del reale93 in ogni interpretazione puramente testuale, se non addirittura “finzionale”, della realtà. Si tratta, però, di linee suscettibili di essere negoziate dagli autori, dagli attori, dagli oratori e dagli spettatori, i quali dispongono di pos- sibilità linguistiche che hanno valore di risorse interpretative diversificate e perciò sufficienti a capire la realtà.

La continua preoccupazione di conservare la connessione empirica tra l’azione concreta e il discorso, sulla quale tornere- mo nella postfazione, permette quindi di integrare all’AD una prospettiva sulla “lingua empirica”,94 cioè su quella porzione della realtà in cui vengono elaborati degli “idealtipi”, o “tipi ideali”, in senso sociologico,95 o dei tipi cognitivi, in senso se- miotico.96 È in questa connessione che possiamo far intervenire la nozione di “evento linguistico”, nozione divenuta essenziale nella misura in cui permette di superare la riflessione preceden- te sulla consapevolezza linguistica, e più precisamente sull’“economia linguistica” dei rivoluzionari francesi.97

… alla dimensione cognitiva

Una volta affermato, come fa Sylvain Auroux, che la realtà è strutturata dalla lingua empirica, in quanto realtà di uno spazio- tempo di intercomunicazione umana,98 possiamo passare a con- siderare una modalità essenziale dell’evenemenzialità, ovvero il suo donarsi linguisticamente. Dall’esistenza fondamentale della

92 R. CHARTIER, Au bord de la falaise, op. cit. 93 U. ECO, op. cit., p. 37.

94 S. AUROUX, La raison, le langage et les normes, PUF, Paris 1998. 95 D. SCHNAPPER, La compréhension sociologique, PUF, Paris 1999. 96 U. ECO, op. cit.

97 Cfr. al riguardo J. GUILHAUMOU, La langue politique et la Révolution française,

op. cit.

98 Guilhaumou fa riferimento all’articolo di S. AUROUX « La réalité de

l’hyperlangue », art. cit. Tale articolo, come si è detto nell’introduzione al presente volume, è fondatore quanto alla nozione di iperlingua, alla quale si fa qui implici- tamente riferimento (NdT).

lingua empirica desumiamo che, dal punto di vista empirico, il linguaggio esiste anzitutto sotto forma di singole evenemenzia- lità, e che però esso acquisisce stabilità nel momento del loro identificarsi all’interno degli schemi fondatori di una lingua considerata comune dai suoi utilizzatori. “Qualcosa” esiste, “qualcuno” parla in seno a un’evenemenzialità originaria che, pur essendo essa stessa priva di senso, giudica dell’appartenenza di ognuno a una comunità linguistica.

Vale la pena allora di soffermarsi sugli elementi cognitivi che producono senso nell’ambito del continuum sul quale l’evento emerge in punti specifici particolarmente significativi. Questi veri e propri elementi costitutivi della produzione del senso formano altrettanti schemi intermediari tra i dati della lin- gua empirica e le categorie della lingua astratta. Questi schemi, intesi in senso kantiano, sono garanti dello statuto cognitivo dell’evento e del suo ruolo in seno alla produzione della cono- scenza, nella misura in cui essi forniscono le regole, i princìpi e gli esempi di applicazione di categorie astratte al concreto dell’intuizione sensibile. Essi stabiliscono delle relazioni spa- zio-temporali che permettono di concettualizzare il reale di cui si fa esperienza in quanto continuum segmentabile. Essi posso- no perciò essere rintracciati nell’attività di “soggetti cognitivi” e negli “oggetti cognitivi” presenti negli eventi linguistici.

Il caso della “lingua francese” nel XVIII secolo

È quindi importante descrivere empiricamente e storicamen- te la dinamica evenemenziale di un referente che produce dei