• Non ci sono risultati.

Il racconto di evento, una narrazione completa

Dall’evento discorsivo al racconto di evento

3. Il racconto di evento, una narrazione completa

In che modo l’evento deriva dall’agire umano e dalle sue ri- sorse presenti e future ? Questa domanda riguarda sia le pro- spettive dell’umanità in divenire che la sua emancipazione dal passato. Tuttavia, ci limiteremo a considerare in questa sede il racconto di evento che definisce il futuro immediato di qualsiasi generazione passata, quello che Koselleck definisce il « futuro passato ».34 Tra le esperienze vissute e le attese degli uomini che agiscono e soffrono, tematizzare il tempo storico come ade- guato a se stesso permette di introdurre il divenire nel corso del- le azioni umane. Si accede così alla possibilità di inventare pro- spettive, laddove l’evento esiste per il solo fatto di avere la pos- sibilità di raccontare. In quest’ottica “prospettivista” possiamo investigare il campo emancipatore dell’esperienza e avere una presa narrativa sulla linea d’orizzonte in cui si afferma il diritto naturale degli uguali.35 L’evento narrato produce delle riserve di senso in base al bisogno di storicità. La narrazione porta quindi alla storia pensata. Al di là dell’evento storico, o piuttosto sto- riografico, colto nel suo emergere nella realtà, l’“evento narra- to” è puro divenire, e più precisamente sperimentazione di pen- siero nel tempo attuale, ovvero nel tempo del nostro divenire, il

phie par gros temps, Les Editions de Minuit, Paris 1989, p. 50). Cfr. anche la Con- clusione generale al presente volume.

34 Cfr. R. KOSELLECK, Futuro passato, op. cit. 35 Cfr. J.-P. F

nostro “divenire altro”.36 La nostra attenzione si rivolge quindi verso “chi” è presente nel momento in cui il soggetto narratore partecipa alla propria estensione e si completa, costruendo le- gami e rifiutando qualsiasi esperienza distaccata.

3.1 La pienezza del racconto

Adottando una prospettiva arendtiana, si può dire che il sen- so giunge alla sua pienezza solo nella narrazione di vita e, re- stando in quest’ambito, nel racconto di eventi. Alla fine del per- corso e sul modello dei racconti di vita, l’azione diventa azione narrata da uno spettatore che testimonia la propria autenticità e verità. Hannah Arendt ci propone una serie di vite politiche37 per offrirci lo spettacolo di vissuti esemplari per il loro modo di correlare da un lato l’uomo, la propria opera e i suoi simili, e dall’altro la loro maniera di concretizzare il legame tra azione e pensiero a testimonianza della libertà umana. Figure marginali nel contesto della loro epoca (Rosa Luxembourg, Bertold Bre- cht, Walter Benjamin, per citarne alcuni), queste figure manife- stano tuttavia un senso inedito di avvenire. Ecco cosa Arendt dice al riguardo:

L’avere, anche nei tempi più bui, il diritto di aspettarsi qualche illumi- nazione e che questa illuminazione provenga meno da teorie e concetti che da qualche luce fioca e incerta che uomini e donne, nella loro vita e nelle loro opere, fanno brillare in qualunque circostanza e che dif- fondono nel lasso di tempo a loro disposizione, è la convinzione inti-

36 Cfr. G. DELEUZE,F.GUATTARI, Che cos’è la filosofia ?, trad. di A. DE LOREN- ZIS, C. ARCURI (a cura di), Einaudi, Torino 1996.

37 Ci si riferisce al volume in inglese di Hannah Arendt Men in Dark Times del

1968 (Harcourt Brace & Company, New York), riedito nel 1971. La traduzione ita- liana dell’introduzione del volume, nota come On Humanity in Dark Times. Thoughts about lessing, ha il titolo italiano L’umanità in tempi bui la cui traduzione è stata effettuata da Laura Boella (Raffaello Cortina, Milano 2006). La traduzione parziale del resto del volume corrisponde invece al titolo Il futuro alle spalle (Il Mulino, Bologna 1981) ed è stata tradotta da Lea Ritter Santini. La traduzione fran- cese ha invece il titolo Vies politiques (Gallimard, Paris 1974), ovvero “Vite politi- che”; di qui l’allusione nel testo (NdT).

ma che costituisce lo sfondo sul quale vengono riportate le figure che si avvicendano.38

Il ruolo del racconto biografico consiste quindi nel restituire la storia vera al di là del tempo empiricamente definito. La que- stione non concerne più “ciò che” si è, o qual è questo “qualco- sa” e / o questo “qualcuno” che dà senso alla propria vita, ma “chi” si è quando la propria vita, compresa la morte fisica, co- struisce l’identità dell’individuo a contatto con l’esistenza plu- rima dell’io e degli altri.

Detto questo, il racconto d’evento è spesso assente laddove non c’è verità nella vita ordinaria, senza che, con ciò, gli uomini se ne preoccupino:

Agli uomini della Resistenza sfuggì appunto quella “compiutezza” che ogni evento reale deve trovare nella mente di quanti dovranno più tar- di raccontare il fatto e tramandarne il senso; e senza questa compiu- tezza razionale, posteriore all’atto, senza l’articolazione effettuata dal- la memoria, non restava nessun fatto che potesse essere narrato.39

Il racconto di evento rilancia così l’azione infinita dell’interpretazione, permette l’apertura massima delle narra- zioni, assimila azione e pensiero, associa l’atto alla rivelazione, rende memorabile la vita di eroi ed eroine. Esso ci conduce al vero agire politico, nel senso per cui l’azione politica è messa in relazione con il giudizio dello spettatore disinteressato alla di- mensione universale dell’evento specifico, sull’esempio di Kant quanto al suo giudizio sulla Rivoluzione francese.40

38 H. ARENDT, Men in Dark Times, Harcourt Brace & Company, New York, 1961,

p. ix. « That even in the darkest of times we have the right to expert some illumina- tion may well come less from theories and concepts than from the uncertain, flick- ering, and often weak light that some men and women, in their lives and their works, will kindle under almost all circumstances and shed over the time span was given them on earth – this conviction is the inarticolate background against wich these profiles were drawn ». La citazione è nella prefazione del volume inglese ori- ginale e non è stata tradotta in nessuno dei due volumi italiani. Di qui la necessità di proporne noi una traduzione in italiano (NdT).

39 ID., Tra passato e futuro, trad. di A. DAL LAGO, Garzanti, Milano 2005 (1991), p.

28.

40 Su questo, cfr. J. GUILHAUMOU, La parole des Sans, op. cit., spec. la fine del ca-

In effetti, la realtà effettiva del racconto di evento, e in parti- colare del corso delle azioni che descrive, è tanto più possibile quanto più dipende dalla capacità di autonomia e dalla volontà di indipendenza del soggetto, per lo più collettivo, che diviene agente in seno alla narrazione. In un racconto del divenire in- centrato sulla vita come azione pensata, il verbo d’azione ha un ruolo essenziale. Il verbo attivo esprime il modo di pensare dell’uomo che esiste unendo l’“io voglio” con l’“io agisco”. Il “chi” è in questo caso testimone dell’autenticità dell’azione del pensiero in movimento, di un far pensare che equivale a un far accadere. Certo, siamo lontani da quel “qualcuno” che permette al senso di emergere nell’evento linguistico, se non addirittura dall’universo autocostituito di “ciò che” è avvenuto nell’ambito dell’evento discorsivo. Tuttavia, vi siamo abbastanza vicini per comprendere che l’intreccio viene completato dal soggetto emancipato che dispone appieno della propria intelligenza nar- rativa.

Dallo spaccato di vita del racconto individuale all’intersecarsi di varie narrazioni nel racconto collettivo, il rac- conto di evento è anzitutto prospettivo. Esso emerge nelle forme dell’azione, ovvero nei giudizi universalistici degli atti di vita di ciascuno e del loro modo di associarsi ad altri. Si traduce così in opere in cui ognuno può fare esperienza del dualismo tra se stesso e la pluralità del mondo comune, del “due-in-uno”, per usare l’espressione di Arendt. È quindi un racconto in atto e concentra in sé sia la dimensione cognitiva dell’io che la sua realtà performativa, ovvero la dimensione pragmatica. Esso trae la propria efficienza dal suo statuto specifico di sintesi inedita tra azione e pensiero.

Quanto alla molteplicità dei singoli atti che hanno valore di opera, il racconto di eventi è onnipresente nel corso delle azioni. Esso definisce sia le forme specifiche di queste azioni che la lo- ro dimensione universale, rendendole visibili, leggibili, comu- nicabili. In altre parole, ognuno (attore, protagonista, spettato-

re…) partecipa al racconto di evento, lo co-costruisce.41 In nulla riducibile al valore referenziale del sapere o alla realtà effettiva del dire, esso dispone di un’efficienza propria in un mondo di vita in cui l’Io si confronta con il linguaggio al di fuori di ogni reificazione delle cose, e perciò al riparo dalla trasformazione ordinaria dei valori in prodotti.

La verità del racconto

Possiamo affermare che il racconto di evento, sotto forma singola e/o collettiva, è la forma storica più completa di speri- mentazione del reale nel corso dell’umanità. Esso si tematizza sotto forme sociali che danno consistenza universale alla narra- zione biografica, ivi compreso nel divenire eroico. Le risorse che vengono perciò rese disponibili, perché liberate dalle costri- zioni biologiche, permettono agli uomini di fare nuove espe- rienza di vita. Il racconto di evento produce le proprie riserve di senso, di cui gli uomini possono approfittare per agire.

Forma compiuta dell’intreccio che emerge nello spettacolo dell’evento narrato, il racconto di evento permette di allargare la conoscenza delle identità umane grazie a un’evenemenzialità piena dell’evento. Il legame e l’accordo sociali si creano tramite l’autocostituirsi del senso comune in divenire sulla base della testimonianza e del ricordo.

D’altronde, la finalità del racconto di evento è duplice. Dal punto di vista metodologico, l’analisi del racconto d’evento si conclude con la ricerca di prospettive nuove, interrogando lo sguardo degli altri attori e/o spettatori per fare luce sul rapporto tra eventi, identità politiche e tematiche sociali, tra i diversi re- gimi di storicità e la pluralità degli spazi emergenti… Dal punto di vista ontologico, la dimensione “vera” del racconto di eventi non rinvia tanto all’essenza dell’attività umana, né induce alla ricerca di un fondamento, ma ricorda l’eterno rinnovarsi

41 Sull’importanza della co-costruzione in AD, cfr. J. GUILHAUMOU,B.MESINI,J.-

N.PELEN, Résistances à l’exclusion. Récits de vie et du Monde, Publications de l’Université de Provence, Aix-en-Provence 2004.

dell’esperienza umana, la sua attitudine a costruire il cammino che la condurrà all’emancipazione. Essa si manifesta nella vo- lontà insita nell’agire umano e che rinnova costantemente il corpo umano. Il “chi” rinasce sempre, anche dopo la morte, perché il suo ritorno è irreversibile allo stesso modo in cui la vita è imprevedibile, e quindi resta sempre aperto alla possibili- tà della creazione ex nihilo.

Non si tratta più di un’umanità “lugubre”, infelice, che susci- ta l’abbandono dell’energia politica e giustifica l’ingranaggio della colpa del tempo vissuto. Il racconto di evento illumina in modo nuovo questa marcia funebre, la sublima. Rende coesten- siva l’esperienza del tempo e la sperimentazione della vita. Gli uomini abbandonano l’infelicità passata e svelano insieme un “chi” vitale, che innesca dei processi discorsivi nuovi e impre- vedibili, ma sostenuti sempre dalla ricerca della felicità.

Per il linguista, e perciò in quanto genere discorsivo,42 il rac- conto è concepito come successione di microeventi che si svol- gono lungo un asse temporale. Il racconto di evento dispone perciò di un’unità tematica attorno a una successione di elemen- ti di contenuto, e di un’unità d’azione attorno all’attante princi- pale. Tuttavia ci interessiamo meno al funzionamento del rac- conto e alla sua funzione che al problema della conclusione del percorso individuale e/o collettivo nell’evento narrato. Così fa- cendo, il nostro approccio al racconto di evento entra a far parte di una riflessione complessiva sulla « produzione del racconto collettivo ».43 Occorre perciò considerare il percorso evenemen- ziale tenendo conto al contempo della sua logica sequenziale e della sua dimensione configurante, e occorre poi inserirvi il rac- conto biografico sullo sfondo della condivisione del racconto collettivo. Più in particolare, presenteremo il caso della morte di Marat, esempio di una narrazione biografica “eroizzata”.44

42 Cfr. J.-M. ADAM, Le récit, PUF, coll. « Que sais-je ? » Paris 1991.

43 Su questo punto, cfr. J.-N.PELEN, « Note de recherche: la production du récit col-

lectif », in Le Monde alpin et rhodanien, vol. 27, n. 4, 1999b, pp. 97-103.

44 Sull’“eroizzazione”, cfr. P. CENTLIVRES, D. FABRE,F.ZONABEND, La fabrique

des héros, Editions de la MSH, Paris 1998. Inoltre, cfr. C. MOZZARELLI (a cura di), L’eroe. Carriera e metamorfosi nel mondo moderno, in Cheiron, n. 6, 1985.