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L’evenemenzialità della Langue française

Il caso della “Lingua francese” nel XVIII secolo La storia della lingua francese, almeno nelle sue sintesi più

2. L’evenemenzialità della Langue française

2.1 La formazione storica della lingua francese nel XVII secolo Dalla dimensione pubblica del “buon uso”…

Sin dal medioevo, la lingua dei Re doveva essere al di sopra dei dialetti; da “romanza”, essa diviene perciò “francese”.27 Le espressioni “lingua francese” e “nostra lingua” rinviano, sino al XVI e all’inizio del XVII secolo, a un livello di generalizzazio- ne che addita congiuntamente al francese del diritto della can- celleria reale e a una lingua virtuale detta “lingua volgare”, del popolo, cioè dei tre ordini della società in base a delle modalità essenzialmente politiche. Non si tratta dunque di designare, at- traverso la promozione della lingua francese, la realtà di una lingua delimitata geograficamente, ma di spostare l’attenzione sull’inclusione teorica di una lingua sotto questo o quel nome. Hélène Merlin-Kajman ne conclude che: « Ad essere in gioco è quindi la natura e la delimitazione del potere pubblico denomi- nato da questo nome ».28

27 Cfr. S. LUSIGNAN, La langue des rois au Moyen-Age, PUF, Paris 2004. 28 H. MERLIN-KAJMAN, La langue est-elle fasciste ? Langue, pouvoir, enseigne-

La “lingua volgare” viene promossa al rango di lingua pubblica del Re, contrariamente alla pretesa lingua della corte, per il fatto stesso del progredire dell’idea di “pubblico”, che delimita una finzione giuridica ideale dai contorni piuttosto vaghi. Infatti, non è mai esistita una lingua della corte definita come “lingua francese”. L’etica della corte, per natura obbligatoriamente ge- rarchica, è in rottura con le nuove forme di socialità che, grazie alla conversazione, introducono la reciprocità dello scambio, condizione necessaria per la formazione del sintagma “lingua francese”. È il popolo ormai a detenere l’uso. In quanto garante della legge, al Re non spetta più il ruolo di dispensare la lingua a un popolo inteso come corpo unico, ma di dispensarla a priva- ti cittadini che formano un pubblico: il suo potere simbolico è limitato quanto alla lingua. La lingua francese anima lo spazio civile grazie a dibattiti sull’eccellenza del francese e sulla ne- cessità di “fissare” la lingua sulla base dei bisogni mondani del- la corte e della città.29 Ne è riprova la controversia sul purismo linguistico all’inizio del XVII secolo. A fianco alla spada del Re, la lingua rappresenta uno spazio purificato di virtualità guerriere: per i puristi, la sola arma è l’eloquenza, a patto di dis- sociare l’elocutio dall’inventio. Ad ogni modo, ciò che è impor- tante per tutti è investire le parole in un’attività pubblica che non sia per forza politica. La questione del “buon uso” diventa quindi un problema di relazione pubblica tra la lingua e la Na- zione francese. Pur nascendo come finzione giuridica, il “buon uso” si dissocia dal potere monarchico; è l’uso ad avere potere sovrano e a divenire un principio grazie alla definizione datane da Vaugelas come legislatore delle lingue, prima che, con il

Dictionnaire de l’Académie, esso acquisisca un determinato

contenuto nella definizione della “lingua comune”.

Del periodo classico-barocco di promozione purista della lingua francese dobbiamo considerare non tanto un purismo la cui finalità verte a fissare l’uso, quanto piuttosto delle pratiche

29 Cfr. F. MAZIERE, « La langue et l’Etat: l’Académie française », in Geschichte des

Sprachwissenschaften / History of the language science / Histoire des sciences du langage, S.AUROUX,E.F.K.KOERNER,K.VERSTEEGH (a cura di), Walter de Gruy- ter & Co, Berlin/ New York 2000, vol. 1, pp. 852-862.

linguistiche di osservazione e di regolarizzazione della lingua sulla nuova scena civile. Ne deriva che

Investendo le parole ben al di là di quanto esigano le “cose” regali, il purismo ha elaborato un’etica civile per lo spazio conversazionale, in- teso come spazio di vita e di lingua intermediario tra la sfera domesti- ca e quella pubblica.30

Il XVIII secolo viene inaugurato dal fatto che

Essere in conversazione vuol dire comparire su una scena in cui la messa in comune è un compito piuttosto che una sostanza, sotto una forma lievemente politica, ovvero quasi politica.31

Si prepara così l’avvento del soggetto politico della lingua, ov- vero di colui che ha un potere fondatore autonomo, non senza che questo comporti il cambiamento del rapporto tra la scena pubblica dei privati in conversazione e il mondo empirico dell’esperienza umana.

In fondo, la dimensione mistica della lingua, una volta separata dalla corte, produce una moltiplicazione degli spazi culturali di socialità (concorsi, circoli, accademie…) che mettono pubbli- camente in evidenza le virtù della conversazione, su iniziativa individuale dei letterati. Certo restiamo nel contesto della città: il nuovo “corpo” di linguaggio proposto dal letterato pubblico si ricollega a una mistica della comunità urbana che le fornisce una nuova legittimazione. Sull’esempio dell’umanesimo civico, viene inaugurato un “umanesimo linguistico” che impregna l’individuo di un linguaggio costruito all’interno del circuito sociale degli scambi civici.

…all’avvento di un nuovo “corpo del linguaggio”

Partendo dalla figura del poeta del XVII secolo, che ha scel- to la lingua francese,32 possiamo fare il ritratto di un individuo

30 H. MERLIN-KAJMAN, La langue est-elle fasciste ?, op. cit., p. 171. 31 Ivi, p. 172.

32 Quanto all’itinerario socio-intellettuale di questi poeti rinviamo a I. LUCIANI,

“completo”, definito cioè in tutta la sua complessità, dal proprio ruolo sociale al suo posizionamento ontologico:

– tramite la designazione delle virtù del cittadino, sull’esempio di Bernardo di cui il poeta dice « Siete delle virtù l’Archetipo più bello »;33

– tramite il suo legame intimo con la città, sul modello dei saggi: « Quando vedo queste menti, tra le più belle di Francia / Tornate nel corpo della loro bella Città »;34 – tramite la designazione dell’essenza stessa dell’uomo

che esercita la propria ragione:

È veramente uomo di nome e di fatto, / Perché sono la cono- scenza e la ragione a rendere / Gli uomini compiuti, e la filo- sofia. / Con i loro saggi discorsi le anime deificano.35

Quanto alla lingua francese, il giurista Jean Bodin stesso ammette che il diritto sulla lingua non dipende dai diritti di so- vranità del Re.36 Infatti, « la sovranità dell’uso è divenuta quella di privati cittadini che assieme formano il pubblico ».37 Alla fi- ne del XVII secolo, l’adozione del nome comune puramente convenzionale, compreso quello “eterno” del Re, sotto l’egida dei privati che compongono il pubblico, marca il passaggio al nominalismo nella ricerca del buon uso, cosa che anticipa l’eco, sempre nominalista, del “nome eterno della Nazione” sul finire del XVIII secolo.

Corpo autonomo di linguaggio, la lingua francese ha acquisi- to la propria indipendenza pubblica dall’autorità del Re. Quanto al XVII secolo, Hélène Merlin-Kajman conclude affermando che:

moitié du 17ème siècle », Tesi di dottorato, dir. R. BERTRAND, Université de Pro-

vence, Aix-en-Provence 2001.

33 Ivi, p. 254 ; « Vous estes des vertus l’Architype plus beau ».

34 Ivi, p. 229 ; « Quand je vois ces esprits, des plus beaux de la France, / Retournez

dans le corps de leur belle Cité ».

35 Ivi, p. 148 ; « Est homme vrayement de nome et d’effects, / Car c’est la cognois-

sance et la raison qui fait / Les hommes accomplis, et la philosophie. / Par ses sçavants discours leur ames deifie ».

36 Cfr. J.-F. SPITZ, Bodin et la souveraineté, PUF, Paris 1998. 37 H. M

Parlare, vuol dire rappresentare la Francia, partecipare alla sovranità del nome francese la cui etimologia vuol dire “libero” […] la lingua francese parla contro il Re: soggetto superiore ai soggetti parlanti, essa li parla, o li articola, in una forma che non è più quella della monar- chia assolutista.38

La “lingua comune” si pone così come autonoma e indipenden- te, cosa che diverrà ancor più evidente grazie all’iniziativa mo- narchica del Dictionnaire de l’Académie del 1694.

L’Accademia, vero tramite tra le “cose” e il pubblico, dipende dal Re quanto all’amministrazione degli oggetti linguistici, ma resta all’ascolto del pubblico per quanto concerne le parole e il loro buon uso. Infatti, essa delibera sulla “lingua comune” in base alle testimonianze tanto delle conversazioni orali che degli scambi scritti.

2.2 La lingua francese come “lingua comune” La consapevolezza metalinguistica

Nel XVII secolo, la lingua francese è certamente una lingua “regale”, nel senso del ruolo mistico che ha il Re a capo del corpo politico. Di fatto, grazie alle ordinanze che si diffondono in tutto il regno, essa finisce per designare un insieme di idiomi differenti. È quindi una sorta di realtà virtuale. Inoltre, scrivere in francese, come fanno i poeti, equivale a inventare la lingua francese nel momento stesso in cui essa viene scritta. In tal sen- so, i letterati costituiscono un pubblico di lingua francese che ne favorisce la produzione in quanto corpo autonomo, tanto più che essi regolano l’uso delle parole in stretto legame con la “lingua volgare”. Spetta quindi all’uso, e non al Re, il compito di normare la lingua francese. Persino l’Accademia reale, nel suo dover rendere conto delle cose, in particolare del dizionario

38 ID., « Langue et souveraineté en France au XVIIème siècle. La production auto-

di cui si occupa, resta autonoma in questo settore, potendone deliberare il contenuto lessicale.

Di conseguenza, l’esistenza del pubblico è palese nel regno di Francia, specialmente nell’ambito della Repubblica delle lettere e delle arti. Si tratta, in altre parole, dell’emergere di un’entità che trascende gli individui e quindi di una vera e propria onto- logia della persona morale che permette a ognuno di apprendere l’uso pubblico del giustificare. Erede dell’umanesimo civico, il pubblico è legittimato non solo da questo concetto di lingua francese, ma anche dalla socialità umana, ovvero dal principio dell’uomo come essere sociale. L’uomo è nato per la società, precisano i primi dizionari monolingui francesi. La società è in- tesa come semplice contratto tra individui al fine di mettere qualcosa in comune. Essa è anzitutto società civile, indifferen- ziata dalla società politica, nella prospettiva lockiana, tanto più che il corpo sovrano del Re, in quanto corpo politico “assoluto”, occupa il campo politico.

D’altronde, attribuire al francese lo statuto di lingua domi- nante per la sua semplicità e chiarezza deriva dal porre come simulacro il combattimento con le altre lingue già formate che fungono da contro-modello, cosa che permette l’istituzione di un corpo di lingua omogeneo, grazie al risveglio della consape- volezza metalinguistica.

Dal canto loro, i letterati, scegliendo di scrivere in francese sempre più frequentemente all’interno di uno spazio urbano plu- rilingue (francese, latino e idioma locale), favoriscono la forma- zione di una “comunità di idiomi” attorno al francese. Così, i poeti in cerca di promozione sociale partecipano a questa co- munità sforzandosi di coniugare la propria lingua con quella francese. Di conseguenza, essi contribuiscono alla formazione della lingua francese producendo le norme linguistiche: ciascu- no di essi, definendosi gallicus, favorisce l’appartenenza alla stessa comunità linguistica.39

Alla fine del XVII secolo, la lingua e lo spirito di conversa- zione dei letterati si ergono a modello sociale: la chiarezza della

39 I. L

lingua francese affianca la socialità umana nel glorificare il ge- nio che caratterizza tale lingua e che consiste nel rispettare l’ordine naturale delle parole.40

Dal canto del Re e della corte, la preoccupazione di rendere la lingua francese un elemento di unità attorno al Re, producendo un “corpo di linguaggio autonomo”, non porta alla dittatura lin- guistica, bensì conduce alla scelta di creare un’Accademia fran- cese con l’incarico di istituire un “osservatorio della lingua” al fine di elaborare degli strumenti linguistici e in particolare un dizionario monolingue.

L’impresa dell’Accademia francese

L’impresa reale viene realizzata con la pubblicazione del primo dizionario dell’Accademia francese nel 1694,41 che dedi- ca la formazione dell’unità della lingua francese al Re e che ri- conosce nella razionalizzazione della lingua comune il fonda- mento del francese. Nella Prefazione del dizionario si legge in- fatti: « L’Accademia ha dato una Definizione a tutte le parole comuni della lingua, le cui relative idee sono semplicissime ». L’evento linguistico consiste nel fatto che gli Accademici fon- dano l’uso della lingua francese, intesa come “lingua comune” e qualificandola per l’appunto come “Lingua Francese”.42 La so- cietà mette in comune l’idioma che gli è proprio. Si instaura co- sì un primo legame unitario tra la società e la lingua.

Tuttavia, per quanto concerne gli strumenti linguistici, resta una distanza teorica tra questo lavoro di razionalizzazione della descrizione lessicale del francese, attraverso il dizionario mono- lingue, e il rapporto astratto lingua / pensiero quale era stato po- sto dalla Grammatica generale e ragionata di Port Royal.43 Da

40 Cfr. J.-P.SERMAIN, « Littérature et langue commune : paroles en quête d’écriture

du classicisme aux Lumières », in L’institution des langues. Autour de Renée Bali- bar, S. BRANCA-ROSOFF (a cura di), Editions de la MSH, Paris 2001, pp. 109-124.

41ACADEMIE FRANÇAISE, op. cit.

42 Cfr. S. COLLINOT,F.MAZIERE, Un prêt à parler: le dictionnaire, op. cit. 43 C.LANCELOT,A.ARNAUD,P.NICOLE, Grammatica generale e ragionata in

Grammatica e logica di Port Royal, R. SIMONE (a cura di), Ubaldini, Roma 1969, pp. 1-79.

un lato, i grammatici del XVII secolo prediligevano un percorso astratto basato sui princìpi del pensiero umano e facente della lingua l’espressione della logica della mente umana. Dall’altro, gli Accademici attingono empiricamente dagli usi della vita ci- vile, ovvero dal commercio ordinario degli honnêtes hommes,44 degli oratori e dei poeti, per moltiplicare le definizioni “comu- ni” delle parole e restituire così un’immagine di eccellenza della lingua francese parlata dai sudditi del Re, in nome di una siste- maticità al contempo regolare e ragionata. Occorre, infatti, normare la lingua francese per renderla strumento efficace della monarchia.

Ovviamente, i due universi, grammaticale e lessicale, non sono esenti dall’influenzarsi reciprocamente. Dalla grammatica generale gli Accademici traggono il modo di parlare in maniera sistematica delle parti del discorso. Il fatto che, negli articoli delle voci lessicali del dizionario monolingue, riscontriamo l’utilizzo sistematico di una “metalingua” dell’uso e che ci sia la consapevolezza dell’aleatorietà di esso nel promuovere delle collocazioni specifiche come unità linguistiche di senso, ci fa intendere di essere entrati in un settore linguistico ben determi- nato. Siamo in presenza di una scelta che istituisce la lingua, conferendole una razionalità propria sulla base degli usi empiri- ci. In questa scelta, gli scrittori vengono esclusi dalla formazio- ne di una consapevolezza metalinguistica della lingua francese. Nonostante ciò, nel considerare esclusivamente i funzionamenti

44 Abbiamo volutamente lasciato l’espressione in francese, perché, sebbene tradotta

solitamente con “galantuomo” o altri sinonimi, la parola rinvia di fatto a un referen- te culturale legato all’idea della civilité e della politesse nella Francia del XVII se- colo. L’honnête homme è l’uomo virtuoso, leale e semplice che sa adeguare i propri modi e il proprio linguaggio al contesto e alle compagnie. La prima edizione del di- zionario dell’Accademia francese (1694) lo definisce così, alla voce Honneste: « signifie aussi, Civil, courtois, poly. C'est l'homme du monde le plus honneste […] Honneste homme. Outre la signification qui a esté touchée au premier article, & qui veut dire, Homme d'honneur, homme de probité, comprend encore toutes les quali- tez agreables qu'un homme peut avoir dans la vie civile. C'est un parfaitement honneste homme. il faut bien des qualitez pour faire un honneste homme. Quelquefois on appelle aussi, Honneste homme, Un homme en qui on ne considere alors que les qualitez agreables, & les manieres du monde: Et en ce sens, Honneste homme, ne veut dire autre chose que galant homme, homme de bonne conversation, de bonne compagnie » (NdT).

linguistici, gli Accademici sottovalutano il lavoro logico della mente, lasciando così campo libero ai letterati di reiterare la stretta connessione tra la natura comune della mente umana e la volontà sociale dello scambio. Il tesoro comune costituito dalla letteratura resta quindi di valido supporto alla fine del XVII se- colo, e lo rimarrà ancora a lungo nella ricerca di un soggetto della lingua all’interno della società civile che sta nascendo. All’inizio, l’identificazione della lingua francese come “lingua comune” emerge pian piano dalla redazione del dizionario mo- nolingue e si realizza completamente con la prima edizione del dizionario dell’Accademia nel 1694. Questo dizionario costitui- sce un vero e proprio “stato” 45 della lingua francese. L’evento linguistico consiste nel nominare in maiuscolo la “Lingua Fran- cese” che diventa così il riferimento indispensabile di un corpo di saperi e di prescrizioni sulla lingua ritenuti adeguati per esprimere il corpo del Re in discorso. La parole del Re, espres- samente citata nella presentazione del dizionario che viene fatta al Re (« Voi la parlate ed essa parla di Voi »), diventa l’ambito in cui la lingua francese si adegua alla lingua comune, al di fuo- ri di qualsiasi volontà di dittatura linguistica. In effetti, il prin- cipio di una lingua per un regno viene a imporsi in modo natu- rale trasferendo la gestione della lingua dal Re al “buon uso”, anche se il Re resta il garante simbolico della lingua del Re- gno.46

È a questo punto che viene creata la narrazione del passag- gio fittizio da una “lingua ristretta”, quella della corte, a una “lingua estesa”, quella della sfera borghese che pian piano si diffonde al pubblico. L’uso non è più regolato dal « modo di parlare della parte più sana della corte » come affermava Vau- gelas.47 Vero e proprio “tiranno delle lingue”, l’uso è più im-

45 Il riferimento è al lessico concernente l’iperlingua di Sylvain Auroux (Cfr. S.

AUROUX, « La réalité de l’hyperlangue », art. cit.).

46 Cfr. M. FOGEL, Les cérémonies de l’information dans la France du XVIème au XVIIIème siècle, Fayard, Paris 1989.

47C. FAVRE DE VAUGELAS, Remarques sur la Langue Française, A. CHASSANG (a

cura di), pubblicate assieme alle Nouvelles Remarques sur la Langue Française e alle Remarques Inédites (Manuscrit de l’Arsenal), Cerf et fils Ed., Versailles 1880 (1647).

portante dell’autorità del sovrano in quanto costituisce la “lin- gua comune” che ormai si concretizza in una serie di eventi di- scorsivi normati da una “lingua della ragione”, capace di arric- chire i saperi e le pratiche. Anche l’autorità religiosa, rappresen- tata dal Dictionnaire universel dit de Trévoux48 deve tener conto dell’eterogeneità della “lingua comune” e può pertanto designa- re la norma del senso cattolico romano per un certo termine solo in un’apertura dialogica costante con le voci discordanti sulla parola divina, che non è più imposta sulla base di universali e che perciò non rinvia soltanto alle parole dell’ordine divino.49 Da un’edizione all’altra,50 il dizionario di Trévoux diviene una vera e propria arma contro giansenisti ed enciclopedisti. La se- conda edizione, in cinque volumi,51 appare infatti nel pieno del- la contestazione giansenista. Le questioni dottrinarie sono ormai accessibili ai chierici più colti e a tutta un’elite laica e nobile che costituiscono una cultura critica sempre più estesa, volta a inglobare il mondo del commercio e dell’artigianato grazie alla predicazione dei preti e al loro operato.52 Prima ancora che si apra il grande cantiere dell’Enciclopedia, si impongono quei criteri della ragione e del giudizio che si basano sull’« auto- comprensione dell’argomentazione pubblica ».53

48 La prima edizione è la seguente : Dictionnaire universel françois & latin, conte-

nant la signification et la definition tant des mots de l’une & de l’autre langue [...] tiré de plus excellents auteurs, des meilleurs lexicographes, E. Ganeau, Paris 1704.

49 Cfr. C.WIONET, Pragmatique et lexicographie: le traitement du vocabulaire reli-

gieux dans la deuxième édition du Dictionnaire dit de Trévoux (1721), Tesi di dot- torato, dir. S. BRANCA-ROSOFF Université d’Aix Marseille I, Aix-en-Provence