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Questo e Antecedente X, forma, frammento, controllo, giochi, numeri

In esergo a Questo si legge la nota proposizione di Wittgenstein: «Ciò che può essere mostrato non

può essere detto» (Tractatus logico-philosophicus, n. 4.1212).121 La forma musicale, intesa non come tipologia di successione di eventi ma come idea e identità complessiva, lascia percepirsi solamente tramite l’ostensione: possono essere spiegate le singole tecniche impiegate per trasmutare il materiale, ma non è possibile definire per loro tramite una immagine unitaria e vincolante del brano. «Se qualcosa di bello fiorisce ancora nell’orrore, è scherno e brutto in sé. Ma la sua forma effimera testimonia dell’evitabilità dell’orrore»:122 il noto aforisma di Adorno, oltre alle vigorose risonanze morali, riverbera in Donatoni tutte le valenze dell’idea di forma effimera. Differenti studi si soffermano sulla costruzione di Duo pour Bruno (1975) in cui si susseguono, con una regolarità che deliberatamente sconfina nello schematismo, dieci pannelli di 27 battute; ogni pannello è a sua volta suddiviso in 13+1+13 battute.123 Lo schematismo dell’assetto complessivo costituisce in realtà un primo superficiale livello di controllo dell’atto compositivo, situato sullo stesso piano dall’elabo-razione del materiale di partenza. Dalla cronaca della gestazione di Duo pour Bruno redatta da Mario Baroni si intuisce che l’elaborazione del materiale di partenza, costituito dalla canzone popolare La biondina in gondoleta e da una “cellula weberniana” di tre suoni, e l’articolazione in dieci pannelli, ossia il livello microscopico e il livello macroscopico, si sviluppano su piani separati: quando i due compartimenti stagni trovano il modo di confluire l’uno nell’altro, nasce la forma propriamente detta, e con essa nascono le immagini musicali. Nel corso degli anni Ottanta la forma si fludifica, scompaiono gli schemi preparatori e le tabelle: il momento pre-compositivo, via via sempre più evanescente, tende a dissolversi del tutto in brani come Flag, per 13 strumenti (1987), dove l’atto compositivo viene infine a coincidere con la stesura della partitura, direttamente in bella copia.124 Non è assente l’ironia: nella “forma fluida” di Flag ascoltiamo una vera e propria ripresa del materiale iniziale; d’altra parte tale ripresa è un gesto non più formale, ma immaginifico: è l’esuberante ritorno in scena del protagonista dell’ipotetica vicenda, impersonato dagli scatti incontrollati dell’oboe.

121 Franco DONATONI, Questo, p. 7; cfr. Ludwig WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus, Routledge and Kegan Paul, London 1961; Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, a c. di A. Conte, Einaudi, Torino 1995, p. 51.

122 Theodor W. ADORNO, Minima moralia, cit., pp. 111-112.

123 Mario BARONI, «Il maestro e la biondina. Franco Donatoni e il Duo pour Bruno», cit.; Harry HALBREICH, «Tre capolavori orchestrali di Franco Donatoni. Voci – Duo pour Bruno – Arie», cit.; AurelioSAMORÌ, «Immagini, gesti, forme e figure nella musica di Franco Donatoni», cit.

124 «Nel periodo in cui Donatoni ha composto [Duo pour Bruno] probabilmente preordinava la forma, ma in seguito ha smesso di preordinare anche quella, perché procedeva con soluzioni musicali/tecniche, che gli venivano in mente nel momento operativo» (AurelioSAMORÌ, op. cit., p. 35).

Secondo Piero Niro, riferimenti al Tractatus di Ludwig Wittgenstein si colgono, oltre che nel titolo, nell’articolazione stessa del libro di Franco Donatoni: il corpo centrale di Questo è costruito sull’esposizione e sul commento progressivo di dieci brevi proposizioni.125 È possibile tracciare qualche analogia fra la struttura del Tractatus, impostata su sei proposizioni principali che vengono sistematicamente precisate in serie di sottoproposizioni sempre più approfondite, e il processo compositivo di Donatoni che a partire dalla metà degli anni Sessanta, superata la fase prettamente indeterministica, si basa costantemente su una sorta di analisi ricorsiva del materiale. L’arcata complessiva del brano può essere prestabilita nel dettaglio, oppure, dalla seconda metà degli anni Ottanta, può essere il risultato di un processo rapsodico, non lineare: in entrambi i casi rimane fissa l’idea di un “aumento quantitativo del materiale” che non si avvale di procedimenti di creazione ex

nihilo, ma piuttosto di tecniche di duplicazione e variazione.

D’altro canto, sembra che il debito nei confronti di Wittgenstein riguardi, più che la logica, la sezione conclusiva del Tractatus, la cosiddetta “mistica”. La proposizione n. 4.1212 si rispecchia nella quart’ultima proposizione (n. 6.522) del Tractatus: «Ma v’è dell’ineffabile. Esso mostra sé, è il Mistico».126 L’ineffabilità è un attributo che in Donatoni potrebbe riferirsi al “suono arcano”; le valenze mistiche non sono del resto incidentali. San Giovanni della Croce, Simone Weil, Elèmire Zolla, la Bibbia la filosofia orientale e l’alchemica sono alcune fra le letture più frequentate da Donatoni. La noche oscura di San Giovanni della Croce – conosciuta tramite la cantata per coro e orchestra composta nel 1950 da Goffredo Petrassi – è un trattato a commento dell’omonima poesia, costituita da otto brevi “canzoni dell’anima” che giunge, dopo i più terribili travagli, alla perfezione, ovvero all’unione d’amore con Dio. La notte oscura è la «contemplazione purificatrice, che […] avviene passivamente nell’anima grazie alla negazione di sé e di tutte le cose».127 “Passività” e “negazione di sé” sono i termini del “periodo negativo” di Donatoni. Similmente, Simone Weil afferma: «Una volta capito che si è nulla, il fine di tutti gli sforzi è diventar nulla. Tendendo verso questo fine si soffre con accettazione, tendendo a questo fine si agisce, tendendo a questo fine si prega».128Pur essendo assente qualsiasi prospettiva di salvezza cristiana, l’idea del trascendente costituisce un motivo di continua riflessione, e si rispecchia nel tentativo di trovare un significato agli atti e agli eventi, al punto da rinvenire – sulla scorta di Mauricio Kagel – un principio seriale ad ordinare la disposizione delle stoviglie in cucina, «da sinistra verso destra perché secondo la simbologia questa direzione vuol dire andare verso il futuro. Il contrario, da destra verso sinistra,

125 Piero NIRO, Ludwig Wittgenstein e la musica. Osservazioni filosofiche e riflessioni estetiche sul linguaggio musicale

negli scritti di Ludwig Wittgenstein, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2008, p. 104.

126 Ludwig WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, cit., p. 109; corsivo dell’autore.

127 San Giovanni DELLA CROCE [Juan DE LA CRUZ, Santo], La notte oscura, con una nota di A. Morino, trad. it. di M. Nicola, Sellerio, Palermo 1995, pp. 29-33.

128 Simone WEIL, La pesanteur et la grace, a c. di G, Thibon, Libraire Plon, Paris 1947; L’ombra e la grazia, trad. it. di F, Fortini, Edizioni Comunità, Milano 1951; nuova ed. Bompiani, Milano 2003, p. 63; i corsivi sono dell’autrice.

significa andare verso la morte».129 Il rapporto fra serialità e simbologia può inoltre spiegare le ossessioni numerologiche di Donatoni: molte strategie compositive erano definite tramite dei rapporti numerici, e i numeri erano scelti per il loro valore simbolico (particolarmente ricorrente il 13).130 Alla numerologia è dedicato il quinto capitolo di Antecedente X (cfr. infra).

Un tema che connette Wittgenstein, Weil, Minima moralia di Adorno, Blanchot, Kafka e Beckett al pensiero compositivo di Franco Donatoni è l’espressione frammentaria. Come osserva Pietro Cavallotti,131 l’estetica del frammentario e del discontinuo, rintracciabile in filosofia almeno a partire da Friedrich Nietzsche, ha influenzato profondamente le poetiche musicali giunte alla svolta dell’indeterminazione. In Adorno l’opera d’arte dell’età contemporanea non può più aspirare alla totalità organica: «la svolta verso il fratto e il frammentario è in verità un tentativo di salvare l’arte smontando la pretesa che le opere siano ciò che non possono essere e che tuttavia devono voler essere».132 Si giunge quindi al rovesciamento degli assunti della filosofia hegeliana: «il tutto è il falso».133 Secondo Ernst Bloch l’opera d’arte frammentata è “pre-apparire” (Vor-schein) di una totalità utopica futura che rivela la possibile completezza del processo storico, svelando al contempo le contraddizioni del presente.134 La teoria dell’allegoria di Walter Benjamin vede nella “frantumazione” (Zerstückelung) il tratto caratterizzante dei periodi di crisi, come l’età barocca; nel mondo contemporaneo la frantumazione trova corrispondenza nella tecnica del montaggio.135 Donatoni tematizza il conflitto fra totalità e frammento richiamandosi all’immagine del rizoma offerta da Gilles Deleuze: la forma musicale è analoga non al «precostituito atteggiamento formale che è tipico del tronco», ma alla radice che cresce «a seconda dell’umidità, a seconda della costituzione geologica del terreno».

La relazione che ci può essere tra il pezzo concluso (la composizione finita) – infine l’oggetto come totalità e compiutezza – e le sue singole parti, è una relazione molto difficile da definire perché bisognerebbe ipotizzare che la compiutezza dell’oggetto finito fosse sinonimo della totalità. In realtà, la nozione di frammento è stata molte volte teorizzata. Essa ha una importanza essenziale nel pensiero musicale contemporaneo: ogni cosa nasce come frammento, vive come frammento, cresce come frammento, si trasforma come frammento, muta la sua condizione

129 Franco DONATONI, «Un’autobiografia dell’autore raccontata da Enzo Restagno», cit., p. 33.

130 «Stimmata di ogni caduta e di ogni rigenerazione, Tredici è polo e stella fissa, è asse e fuoco, non vale ridurlo a immagine e a grafia dell’immaginazione. Nell’immaginazione vivono lo immagini viventi che acconsentono di essere pensate: loro modello è il Numero, che come immagine è antecedente alla immaginazione, priore alle cose numerate e a quelle numerabili» (Franco DONATONI, Antecedente X. Sulle difficoltà del comporre, Adelphi, Milano 1980, p. 185).

131 Pietro CAVALLOTTI, «Prospettive del frammentario e del discontinuo nella musica del Novecento», in Storia dei

concetti musicali. II. Espressione, forma, opera, a c. di G. Borio e C. Gentili, Carocci, Roma 2007, pp. 213-231.

132 Theodor W. ADORNO, Ästhetische Theorie, AGS, VII, 1970; trad. it. Teoria estetica, a c. di G. Adorno e R. Tiedmann, Einaudi, Torino 19772, p. 318.

133 Theodor W. ADORNO, Minima moralia, cit., p. 48.

134 Ernst BLOCH, Das Prinzip Hoffnung, in Gesamtausgabe, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1959, V; Il principio speranza, trad. it. di E. De Angelis e T. Cavallo, Garzanti, Milano 1994, pp. 255-60.

135 Walter BENJAMIN, Ursprung des deutschen Trauerspiel (1928), in Gesammelte Schriften, a c. di R. Tiedmann, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1974, I; Il dramma barocco tedesco, trad. it. di E. Filippini, Einaudi, Torino 1980, p. 361.

organica e formale come frammento; i frammenti si addizionano, si sommano, proliferano, danno luogo ad altri frammenti o ad altre porzioni più grandi o più piccole di frammento. Ma è sempre di frammento che si tratta. La somma dei frammenti non è una totalità e la nozione totalizzante del comporre (la totalità come composizione) non esiste. […] L’opera, in questo senso, non è niente altro che una addizione di frammenti che si trasformano, che crescono, che si affinano, che diminuiscono, che scompaiono, che risuscitano. Si tratta di un processo organico che non ha una forma precostituita secondo una nozione di forma già data.136

Un ulteriore riferimento a Wittgenstein si può riscontrare nello sviluppo dell’idea dell’“esercizio ludico dell’invenzione”. A partire dalla metà degli anni Settanta sempre più di frequente emerge in Donatoni, richiamando i “giochi linguistici” di Wittgenstein, il concetto di “gioco compositivo”: il compositore si può abbandonare all’invenzione delle regole del proprio gioco, libero di stravolgerle ad ogni momento, consapevole della loro precarietà (non manca inoltre un nesso con il francese

jouer: Jeux pour deux è un brano per clavicembalo e organo positivo del 1973). È la definitiva chiarificazione della natura pragmatica dell’atto compositivo, del suo risolversi in pura prassi: l’artigianato diviene un mezzo per liberare immagini o figure musicali. Nel 1976 la fase negativa è superata:

Se, un tempo, la tendenza autonegatrice attribuiva alla materia l’immanenza di impersonali leggi di crescita – in omaggio al tanto vagheggiato “abbandono al materiale” –, ora sono ben certo che l’esercizio ludico dell’invenzione si pone come attività volontaria necessaria alla crescita: la generazione automatica viene dunque recuperata a una funzione di “vitalizzazione” organica della materia, mediante prassi compositive estremamente semplici e del tutto non sistematiche nella loro momentaneità non predeterminata. […] Portare alla coscienza i propri schemi di pensiero – lacci, vincoli, impedimenti da “rappresentare” per conoscere meglio la prigione ove vivere il meglio possibile… – è assai più fecondo che esercitare il pensiero nell’invenzione di schemi.137

I nuovi – o rinnovati – paradigmi sono: attenzione, flessibilità, mobilità, mutamento, ambiguità, contraddizione, e altro ancora. A proposito di Toy, per due violini, viola e clavicembalo (1977), Donatoni osserva una nuova tipologia di interazione tra processo e immagine: la priorità dell’immagine sembra determinare il processo, e il processo per converso diventa il “materiale” dell’immagine. Passati cinque anni dalla composizione di Two Earle Two, la prospettiva si è diametralmente rovesciata: non è più il processo a suscitare una rinnovata immagine del brano, poiché l’immagine si è emancipata sotto il segno del “gioco”. Nel meccanismo del giocattolo ci si può quindi compiacere di «isocronie, ripetizioni, gesti scanditi rigidi o flessuosi; gesti che si consumano nell’istante e che, proprio per questo, devono subire la connotazione necessaria a farli

136 FrancoDONATONI, «Il tempo del comporre», cit., p. 13.

apparire come protagonisti che si presentano una volta sola in scena».138 Il gesto, come in Ferneyhough, costituisce (non veicola) l’identità della figura, la sua interna energia: tale tendenza si accentuerà all’inizio degli anni Ottanta, parallelamente alla definitiva stilizzazione della “forma a pannelli”, dove abbiamo un succedersi di differenti “identità”, in cui non hanno luogo procedure di sviluppo, ma piuttosto il dispiegarsi di durata e qualità dei segmenti temporali necessari alla percezione della figura stessa.139 L’estrema rarefazione di certi brani di Morton Feldman, dove la qualità del tessuto sonoro tende alla dispersione mentre la durata complessiva si dilata placidamente (in Two pianos gli impulsi di singole note in ppp tenute fino all’estinzione del suono si protraggono per quasi nove minuti senza evoluzioni apprezzabili, tanto da rendere evento il minimo scarto di registro, il fugace animarsi del ritmo, l’effimera ripetizione: anche in questo caso, costringendo ad ascoltare il suono con una rinnovata attenzione, e con un peculiare rilassamento) trova il suo contraltare nell’eccedenza di informazioni tipica di Brian Ferneyhough (in questo caso la qualità del tessuto sonoro è molto più discontinua, e la densità può cedere il passo alla rarefazione, o viceversa). Donatoni, a partire dalla metà degli anni Settanta, si situa in una posizione intermedia: l’articolazione si staglia netta e differenziata di sezione in sezione.

In Questo Donatoni tenta di “comporre” il materiale verbale secondo princìpi analoghi alla composizione musicale: siamo alla fine degli anni Sessanta, e la prima fase dell’indeterminismo ha già mostrato la sua natura utopica. È quindi necessaria la «rettifica dell’errore»:140 il materiale, come afferma Adorno, in sé è muto, inerte, non può parlare (cfr. par. II.1); e il fatto che Donatoni, che di Adorno era fedele lettore, sia dovuto passare attraverso un travaglio creativo durato buona parte degli anni Sessanta prima di riconoscere l’“errore” che viziava in partenza ogni poetica strutturalista, apparirebbe paradossale se non fosse stato messo in luce il legame inscindibile che connetteva atto compositivo e momento esistenziale: per Donatoni, negli anni Sessanta era necessario vivere l’indeterminazione. Adottando le categorie del pensiero negativo, i «contorci-menti verbali»141 di Questo sono un efficace corrispettivo dei convulsi boati di Per orchestra da un lato (prima esplosione del negativo, dispiegato tramite le tecniche dell’indeterminazione), e del cadaverico pallore di Etwas ruhiger im Ausdruck dall’altro (ritorno alla notazione tradizionale, il

138 FrancoDONATONI, In-Oltre, cit., pp. 33-34.

139 La spiegazione più esaustiva della tecnica della scrittura a pannelli, peraltro praticata fin dai lavori indeterministici dei primi anni Sessanta (ad esempio in Puppenspiel: cfr. par. II.2), viene formulata nella seconda metà degli anni Ottanta: «L’avviluppo delle identità che si susseguono non racconta di sviluppi perché il moto dinamizza una condizione momentanea nella quale la durata è la qualità del tempo necessario a rendere udibile e identificabile secondo la propria origine lo spazio immobile dell’icona. Il movimento delle forme è il prezzo pagato dalla stasi del pensiero, così la presunta narrazione è l’incessante empiricamente direzionato che nel vortice è identico alla sua cessazione» (Franco DONATONI, In-Oltre, cit., p. 50).

140 Franco DONATONI, Questo, p. 21.

negativo si esprime nell’adozione di codici automatici): in entrambi i casi, e a maggior ragione in

Questo, si ha l’impressione di trovarsi alle soglie dell’afasia.

Quale senso si vuol dare al trattamento del linguaggio verbale mediante le tecniche combina-torie dell’indeterminismo musicale? Il problema è legato al rapporto fra significante e significato, uno dei nodi che costantemente si impongono negli ambiti della Nuova Musica. Le risposte, pur quando si tenta di formularle, sono tanto differenti quanto le poetiche dei singoli autori. In ogni caso, non è possibile assumere un’equivalenza fra musica e linguaggio verbale nei termini di una semplice traslazione. Il palesarsi del problema può d’altra parte offrire una nuova prospettiva su questioni già affrontate: in cosa consiste l’indeterminazione musicale? Può l’indeterminazione musicale applicarsi, per via analogica, trasferendo le proprie strutture, al linguaggio verbale? Nella prima fase dell’indeterminismo, da Per orchestra (1962) a Black and White (1964), si assisteva a una dissociazione fra le “regole del gioco” e l’esito della loro applicazione: il secondo era tanto più imprevedibile quanto più le prime erano dettagliate. Nella seconda fase, da Divertimento II (1966), la dissociazione si interpone non più fra atto compositivo ed esito sonoro, ma all’interno dell’atto compositivo stesso.142 Le due fasi sono in qualche misura analoghe alle difficoltà che troviamo in

Questo: da un lato, i referenti del discorso sono spesso vaghi, allusivi, di frequente la semantica assume un valore simbolico (se volessimo tracciare qualche nesso fra simbolicità e indeterminazione dovremmo capire se il simbolo è determinato o meno); d’altro canto, è soprattutto la sintassi a rendere ostico e arduamente afferrabile il significato del discorso. In molti luoghi la dialettica di Donatoni fagocita sé stessa; in Questo, le difficoltà di lettura sono pressoché costanti. Del resto, l’indeterminazione verbale è un corrispettivo assai imperfetto dell’indeterminazione musicale. Per utilizzare le categorie donatoniane: nella prosa si gioca un gioco verbale analogo all’esercizio compositivo, poiché la mentalità compositiva può rinvenire in ogni luogo, e quindi

142 Il commento alla decima proposizione di Questo è un sunto del passaggio cruciale, e al contempo un presupposto imprescindibile per Antecedente X, di dieci anni posteriore: «Ciò che si è tentato fin qui di mostrare intorno al problema dell’esperienza compositiva – non che cosa sia, ovviamente, ma come sia – è stato suggerito dal bisogno di descrivere le fasi del mutamento che una concezione, anzi una sperimentazione, fondata sulle tecniche di indeterminazione ha dovuto suo malgrado attraversare, partendo da una nozione dell’indeterminato come fine compositivo sino a giungere ad una nozione opposta, vale a dire all’assimilazione dell’indeterminato quale momento operante all’interno della condizione compositiva stessa. S’è dovuto far ricorso al sistema delle corrispondenze degli antecedenti e conseguenti non allo scopo di registrare i protocolli consueti dell’attualità, bensì per indicare una complessa eterogenesi dei fini individuali che partecipa della situazione creatasi nella musica durante l’ultimo decennio. In questa eterogenesi contraddittoria e instabile l’antecedente rappresenta la contraddittorietà di una immagine vincolante che spodesta, abbatte, rovescia le certezze più meditate sin dal momento del suo apparire, non impedisce l’errore ma non ne esclude la correzione progressiva, agisce al di fuori di ogni norma seguendo leggi proprie e diviene operante soltanto in colui che non la sacrifica alla superstizione della propria razionale superiorità. Le due fasi del mutamento che sono state finora prese in esame, si possono anche schematizzare in un processo di interiorizzazione della casualità, secondo il quale dalla indeterminazione come fine si procede verso una indeterminazione del fine» (Franco DONATONI, Questo, cit., pp. 116-117). I corsivi, dell’autore, si riferiscono alla nota distinzione schönberghiana, una critica alle analisi capaci di dire non

cosa sia una determinata musica, ma solamente come sia fatta. Analogamente, Wittgenstein afferma: «Una proposizione può dire solo come una cosa è, non che cosa essa è» (Tractatus, 3.221).

anche nel linguaggio, materia atta ad essere trasformata.143 In altri termini, anche qui veniamo messi di fronte a un atto di dissociazione, privo però di una abilità artigianale paragonabile a quella che sempre si dispiega in campo musicale.144

Troviamo qualche risposta nel quinto e penultimo capitolo di Questo, intitolato «Spiegazioni sui procedimenti».145 Apprendiamo qui che il quarto capitolo, «Composizione e commento», è costruito mediante una rilettura – letteralmente – del capitolo terzo, il «Commento progressivo alle dieci proposizioni» (a sua volta esegesi impenetrabile del breve capitolo secondo, «Dieci proposizioni»). Tale rilettura è condotta tramite codici di trasformazione applicati al materiale verbale: in particolare, agiscono i princìpi di selezione per compatibilità e di selezione per contiguità, per cui la stesura del testo derivato avviene copiando il primo vocabolo del testo di partenza («L’eventuale»), e omettendo quanto segue («presenza di ciò che vi potrebbe essere di impersonale nell’») fino ad