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III. 2.2) Figura e gesto in Ferneyhough

III.4) Ritmo, metro

La tecnica compositiva sviluppata da Donatoni a partire dagli anni Settanta, giunta a una completa e sicura definizione alla fine del decennio, impone qualche breve considerazione sul complesso tema del tempo in musica. Potremmo sintetizzare in una domanda di carattere generale: il concetto di periodicità può essere ascritto alle tecniche compositive di Donatoni? La risposta, altrettanto generale, è negativa: in Donatoni prevale senz’altro una ricerca sulle strutture ritmiche non periodiche. Tale constatazione non è però priva di problematicità. Anche a riguardo del tempo musicale l’ascendenza darmstadtiana di Donatoni è palese e riconosciuta. Brani come For Grilly.

Improvvisazione per sette (1960), caratterizzati dalla frammentazione e dispersione degli impulsi ritmici, nascono sotto il segno del puntillismo e della disaggregazione di matrice stockhauseniana. D’altro canto, lo stesso Donatoni propone una suggestione bartókiana: al compositore ungherese riconosce il debito di una idea di «stasi della pulsazione, tempo continuo, condizione “notturna”, rumore, sussurro, vibrazione come mobilità timbrica in uno spazio immobile».84 Senza dubbio, brani come il Quarto Quartetto per archi di Bartók, in cui si dischiude una libertà ritmica dai netti impulsi ma totalmente svincolata dal metro della battuta, sono un presupposto ineludibile dell’esperienza di Donatoni. Focalizzando esclusivamente il parametro ritmico, e mettendo tra parentesi l’esperienza dell’indeterminazione (dove tendenzialmente il gesto si polarizza fra suoni fermi e sequenze “suonate il più veloce possibile”, con la prescrizione della “massima

83 In Quaderni della Civica Scuola di Musica, n°13, 1986, si possono consultare gli atti del convegno. Oltre agli interventi di Franco DONATONI, «Processo e figura» (pp. 69-73, con un commento critico che contestualizza il saggio già apparso quattro anni prima in Franco DONATONI, Il sigaro di Armando, cit.) e di Brian FERNEYHOUGH, «Il tempo della figura» (pp. 73-79), sono inclusi Salvatore SCIARRINO, «Roma, 31 ottobre 1971. Nuova consonanza» e «Variazioni per violoncello e orchestra» (pp. 79-83); Armando GENTILUCCI, «La figura musicale e la terza dimensione del suono» (pp. 83-85); Luca LOMBARDI, «Materiali per un’indagine sul concetto di figura» (pp. 86-91); Dario MAGGI, «Figura, contesto, composizione. Frammenti di un metodo» (pp. 91-100); Alessando MELCHIORRE, «Appunti sulla figura e il tempo» (pp. 101-102); Mauro CIARDI, «La figura: ipotesi per un’analisi vettoriale» (pp. 103-106); Mario GARUTI, «Intenzionalità» (pp. 106-109); Gabriele MANCA, «Figura, la forma del tentativo» (pp. 109-110); Giuseppe SOCCIO, «Oltre la superficie» (pp. 111-112); Bruno ZANOLINI, «Verso una nuova retorica?» (p. 113); Giulio CASTAGNOLI, «Gesto, figura, nostalgia» (pp. 114-115); Marco LASAGNA, «La figura: la scelta di un gesto articolato» (pp. 115-116); Gabrio TAGLIETTI, «Figura, retorica, forma» (pp. 116-118). Per una analisi retrospettiva, cfr.

Italia 2000, a c. di A. Estero e G. Salvetti, Guerini Studio, Milano 2010.

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irregolarità”),85 si nota una evoluzione estremamente organica del suo pensiero compositivo. Assieme all’emersione del concetto di figura, e da essa inscindibile, si fa strada un rinnovamento dell’organizzazione ritmica, che diventa uno dei tratti più caratteristici della scrittura di Donatoni. Negli anni Settanta assistiamo a una graduale trasformazione: in Lied, per tredici strumenti (1972), e in Duo puor Bruno (1974-75) – in particolare nella prima parte – troviamo una peculiare qualità sonora, una sorta di tensione ritmica sottocutanea data da una pulsazione continua ma irregolare, determinata in particolare dagli impulsi secchi e soffocati di strumenti come il pianoforte, la celesta, il vibrafono e l’arpa. Nella seconda metà degli anni Settanta, a partire da Ash, per otto strumenti (1976), e sicuramente con Spiri, per dieci strumenti (1977), il rapporto con il ritmo si è rinnovato. Di nuovo, tentiamo di illuminare il problema proponendo alcuni paragoni significativi.

Negli anni Sessanta, in opere per grande orchestra come Atmospheres (1961) o per strumento solo come Continuum per clavicembalo (1968), György Ligeti realizza la stasi del tempo musicale tramite l’annullamento della prospettiva figurale in un uniforme suono massivo in più o meno lenta evoluzione. Sebbene la notazione utilizzi le battute quale mezzo di orientamento esecutivo, l’ascolto non riesce a identificare alcuna pulsazione, né irregolare né – tanto meno – regolare, trovandosi immerso in un flusso omogeneo di suoni tenuti oppure (a maggior ragione nel caso del brano per clavicembalo, con la scelta di uno strumento che implica una vera e propria sfida all’abilità artigianale del compositore) in un brulicare indistinto di impulsi che si susseguono a distanza tanto breve l’uno dall’altro da non poter essere segmentati.

Al di fuori di ogni meccanicità, gli esempi più liberi e al contempo rigorosi di periodicità della pulsazione si possono rintracciare nella scrittura di Gérard Grisey: fin dal titolo, Periodes (1974) denuncia una netta presa di posizione a favore di articolazioni temporali rigorosamente escluse dalle irregolarità ritmiche tipiche della Nuova Musica. Se la macroforma è basata sul costante ciclo ternario del ritmo respiratorio (inspirazione, espirazione, riposo), i più importanti riferimenti si colgono nella periodicità “morbida” della pulsazione cardiaca, della respirazione, della camminata: ritmi non rigorosamente periodici, a mo’ di orologio, ma oscillanti attorno a una costante di tempo.86 Per un inquadramento teoretico, rinviamo alla lettura di «Tempus ex Machina: A composer’s reflections on musical time», saggio in cui le punte polemiche più acuminate sono

85 Cfr. ad esempio Per orchestra. Una possibile eccezione si può trovare in Solo, per 10 strumenti ad arco (1969): la scelta di operare su un numero ristretto di valori ritmici semplici (semiminima, minima e semibreve) determina una sorta di periodicità che non ha antecedenti o conseguenti significativi nell’esperienza compositiva di Donatoni. Come giustamente rileva Giordano Montecchi, «il paradosso di Solo – che non è poi per nulla un paradosso – è che la sua superficie meno accidentata [rispetto alle composizioni coeve] e insolitamente eufonica è effetto di una riduzione dei mezzi a disposizione, cioè, in sostanza, di un irrigidirsi della disciplina» (Giordano MONTECCHI, «Donatoni 1950-1972: da Bartók all’antimusica», in Donatoni, a c. di Enzo Restagno, EdT, Torino 1990, pp. 77-109: 102).

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rivolte verso la concezione temporale descritta da Pierre Boulez in Note di apprendistato:87 la distinzione fra tempo liscio (non misurato) e tempo striato (misurato), al pari dell’opposizione fra ritmi retrogradabili e non retrogradabili operata da Messiaen,88 può avere un senso strutturale in quanto implica lo sviluppo di una tecnica di scrittura, ma non ha valore dal punto di vista fenomenologico, poiché non tiene in alcun conto le proprietà percettive dell’ascolto.89 Nella scrittura musicale di Grisey troviamo casi ancora più espliciti di periodicità in brani degli anni Novanta come Vortex temporum II (fino al n. 13, dove il metronomo comincia a fluttuare).90 Osserviamo di passaggio che l’intera opera (ad esempio la seconda sezione di Vortex temporum I, dal n. 38) presenta non di rado articolazioni figurali molto simili a quelle tipiche della musica da camera composta da Donatoni negli anni Ottanta, dilatate però in proporzioni che Donatoni non raggiunge mai: l’idea di un flusso unitario in continuo e progressivo mutamento, il respiro dilatato degli eventi, la vastità delle campate formali distinguono nettamente la poetica di Grisey dalle costruzioni frammentarie di Donatoni.

Non di rado, e sempre più di frequente nelle opere più recenti, nella scrittura di Salvatore Sciarrino la figura sottende (o piuttosto implica) una pulsazione isocrona: gli impulsi ritmici dati dalla riapparizione della figura cadono a intervalli regolari, poco distanziati l’uno dall’altro, e di conseguenza scandiscono isocronicamente il tempo. Posizionati sempre sullo stesso movimento della battuta, che in questo caso non ha un valore puramente orientativo per l’esecutore, ma è una sorta di correlato di una deliberata metricità, stabiliscono un tempo periodico.91 La ripetizione della figura, pur non tessendo una trama fissa come avviene nella musica minimalista, essendo più spesso caratterizzata da una labilità timbrica che la rende evanescente e sempre intenta a sfuggire alla percezione, a farsi ascoltare di striscio, è in ogni momento il metro dell’ordine ritmico su cui si costruiscono brani giocati su pochi minuscoli elementi (cfr. ESEMPIO 8).

87 Pierre BOULEZ, Note di apprendistato, a c. di P. Thevénin, Einaudi, Torino 1968.

88 Descritta in Olivier MESSIAEN, Technique de mon langage musical, 2 vol., Leduc, Paris 1944.

89 Gérard GRISEY, «Tempus ex Machina: A composer’s reflections on musical time», in Contemporary Music Review, 1987, vol. 2, pp. 239-275: 240-242. Sui problemi del tempo in musica secondo Grisey, cfr. anche Angelo ORCALLI,

Fenomenologia della musica sperimentale, Sonus, Potenza 1993.

90 Gérard GRISEY, Vortex temporum I, II, III, per piano e cinque stumenti (1994-1996).

91 Cfr. ad esempio Quaderno di strada, n°3 (“Scorrevole e inflessibile”), di una meccanica regolarità, oppure il n°4 (“Recitando”) in tutte le occorrenze del movimento “Più veloce”.

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ESEMPIO 8: Salvatore SCIARRINO, Quaderno di strada, n°4, bb. 13-15.

L’approccio figurale di Donatoni è singolare e assieme coerente. In Donatoni, al contrario di Sciarrino, la figura non concorre mai alla stabilizzazione di un metro fisso: essa compare indifferentemente su una qualsiasi suddivisione della battuta, e solitamente si estende per una durata non regolare. La figura è flessibile, in costante mutamento, e pur mantenendo una netta fisionomia non si ripete mai uguale né per altezze né per valori ritmici. Eppure, per una sorta di paradosso, uno dei tratti caratterizzanti della musica di Donatoni (e ci riferiamo in particolar modo alla musica da camera degli anni Ottanta) è una componente ritmica stagliata molto nettamente: la ritmicità di Donatoni ha un carattere quasi barocco. Come abbiamo osservato nel par. II.4, la “battuta fissa” (senza cambiamenti di metro per l’intera durata del brano) adottata da Donatoni è il correlato della scelta di un valore minimo di durata temporale (di norma la semicroma per i brani scanditi sulla semiminima, come il 3/4 e il 4/4, e la biscroma per i brani scanditi sulla croma, come il 3/8 e il 4/8) che rimane anch’esso fisso per l’intera durata del brano.92 Compare abbondantemente anche l’acciaccatura, a indicare l’articolazione più rapida possibile. I valori metronomici, d’altro canto, pur variando notevolmente nel corso del brano, sono di norma così rapidi da non permettere la percezione di un metro stabile: l’ascolto si trova a far fronte a una sollecitazione di impulsi tanto costanti quanto irregolari nei loro raggruppamenti. Dopo la fase indeterministica, in Donatoni è costante l’utilizzo degli intervalli temperati tradizionali (impossibile reperire suddivisioni microtonali). Un analogo bisogno di quantità discrete su cui lavorare si trova anche nei ritmi:

92 Giorgio Colombo Taccani osserva che Bruno Maderna, in Aria (1964), elabora prevalentemente «valori ritmici derivanti da una suddivisione dell’unità di valore piuttosto che dal largo impiego di figure irrazionali», e collega questa prassi all’impiego di fogli provvisti di millimetratura sul fondo (cfr. Giorgio COLOMBO TACCANI, «Aria: proposta di una analisi», in Studi su Bruno Maderna, a c. di M. Baroni e R. Dalmonte, Suvini-Zerboni, Milano 1989, pp. 156-176: 172): l’allineamento delle pulsazioni ritmiche nelle partiture di Donatoni fa pensare a una procedura analoga.

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vengono deliberatamente esclusi i gruppi irregolari, con una sorta di distillato tecnico che contraddistingue un lessico divenuto ormai inconfondibile. Il risultato è una scrittura non metrica ma nettamente ritmata.

È utile istituire un confronto con Désordre, primo degli Studi per pianoforte di György Ligeti (1985).93 L’incipit di Désordre è basato su un metro irregolare dato da raggruppamenti di 3+5, 3+5 e 5+3 crome (cfr. ESEMPIO 9). Alla fine del primo rigo, mentre la mano sinistra continua a proporre un raggruppamento di otto crome, la mano destra riduce il gruppo a sette crome, dando luogo a uno sfasamento che ben presto sfocia nel disordine metrico, con una sovrapposizione di impulsi di differente durata correlata a una graduale e sempre più vertiginosa riduzione ritmica della sequenza melodica. In altri termini, il metro viene messo in disordine, ma tale processo ha luogo solo dopo una affermazione del metro stesso, affermazione realizzata anche mediante l’articolazione della linea melodica in quattro parti costituite da una triplice ripetizione variata di un elemento iniziale,

93 Per una analisi dell’intera raccolta, cfr. Alessandra MORRESI, György Ligeti: “Études pour piano, premier livre”. Le

fonti e i procedimenti compositivi, EdT, Torino 2002. Pur essendo un esempio caratteristico della tecnica ritmica dell’ultimo Ligeti, non vogliamo assumere Désordre come ideal-tipo della scrittura del compositore ungherese, ma piuttosto come pietra di paragone che faccia emergere le peculiarità di Donatoni. Ad ogni modo, negli Studi per

pianoforte possiamo rintracciare altri esempi di una scrittura che, per quanto irregolare, stabilisce un metro (ovvero un ordine di raggruppamento delle pulsazioni ritmiche) o, più frequentemente, una sovrapposizione di differenti metri. «Ogni Studio fa riferimento a due o più strati ritmici indipendenti, che si dispiegano sul continuum di valori isocroni e neutri, fornendo l’illusione di più velocità differenti» (Alessandra MORRESI, op. cit., p. 149). All’inizio del quarto studio del Libro I, Fanfares, si possono confrontare due ordini di grandezza. L’ostinato alla mano sinistra è basato su una pulsazione di 3+2+3 crome: gli impulsi sono dati dagli accenti che regolarmente marcano la prima, la quarta e la sesta delle otto note regolarmente ripetute nell’ostinato. Sopra il raggruppamento di otto note della mano sinistra, la mano destra adagia un fraseggio basato su quattro impulsi seguiti da una pausa. La durata dei singoli impulsi (e della pausa) alla mano destra è determinata dall’accentuazione prestabilita dalla mano sinistra. Lo slittamento degli eventi della mano destra, che iniziano su un impulso sempre differente (alle bb. 1-8 rispettivamente sul primo, sul terzo, sul secondo, e nuovamente sul primo impulso della mano sinistra), pur non affermando un metro univoco, non contraddice la scansione delle pulsazioni della mano sinistra. A ogni modo, le indicazioni in calce a Fanfares («non accentuare il primo movimento [the first beat] di ogni battuta maggiormente delle suddivisioni: non ci dovrebbe essere la percezione di battute intere»: György LIGETI, Études pour piano, I, Schott, Mainz 1986, p. 30) valgono più come premessa interpretativa – come tensione esecutiva – che come effettivo risultato sonoro: l’iterazione del modello ritmico stabilisce una unità metrica che inevitabilmente coincide con le battute. Possiamo parlare di un metro ternario irregolare, poiché fondato su impulsi di durate ineguali (3+2+3).

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seguita da una breve chiusa. La percezione di un metro può dirsi disturbata dalla sovrapposizione delle due sequenze in progressivo sfasamento, ma non completamente annullata. 94 La riconoscibilità, seppure parziale e via via più ardua, della sequenza melodica (e la riconoscibilità è una delle conseguenze dalla estrema semplicità della sua costituzione), è un presupposto della strategia compositiva di Ligeti; e la metricità stessa, ovvero la possibilità di raggruppare la scansione ritmica in unità che si ripetono, è uno dei caratteri della sequenza melodica (cfr. ESEMPIO 10).95

ESEMPIO 9: György LIGETI, Studi per pianoforte, Libro I, n°1, Désordre (1985), incipit.

94 Le procedure di phase shifting (il progressivo sfasamento di moduli ritmici che determina la progressiva emersione, nel corso del tempo, di differenti accentuazioni metriche) attuate in Désordre, e già nel 1968 in Continuum per clavicembalo, sono tipiche della minimal music: Ligeti non nasconde la sua ammirazione per Steve Reich e Terry Riley.

95 Nella trascrizione della sequenza melodica della mano destra (ESEMPIO 10) abbiamo indicato con la lettera A l’elemento di base del fraseggio tre volte ripetuto. Mentre le prime tre battute di ogni raggruppamento contano otto crome ciascuna, la quarta si riduce a sette crome. La possibilità di segmentare nel modo proposto la sequenza è suggerita dalla regolarità ritmica, e assieme dal mantenimento dell’andamento diastematico (nota ribattuta – salita – discesa – salita – discesa – discesa). Notiamo che il fraseggio di chiusura, indicato con la lettera B, ripropone l’andamento distematico delle due battute centrali di A: più che di “chiusura”, dovremmo parlare di “elemento di connessione” con la successiva ripresa della sequenza. La classificazione della sequenza in antecedente (bb. 1-4),

conseguente (bb. 5-8) e sviluppo (bb. 9-14) proposta da Alessandra Morresi presuppone una differenziazione funzionale fra le bb. 5-8 e le bb. 9-14, e istutisce un collegamento con il tematismo classico (cfr. Alessandra MORRESI, op. cit., p. 37 e pp. 154-155, dove l’incipit della Sonata per pianoforte op. 2 n°3 di Beethoven viene utilizzato come riferimento stilistico). In alternativa, se vogliamo parlare di tripartizione, in forza del carattere di giustapposizione degli elementi potremmo assimilare la sequenza a una frase classica, con l’antecedente A+A1 costituito dalle bb. 1-8, e il conseguente delle bb. 9-14 dato dallo sviluppo di A (cfr. Loris AZZARONI, Canone infinito. Lineamenti di teoria della musica, Clueb, Bologna 20012, pp. 498-502).

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ESEMPIO 10: György LIGETI, Studi per pianoforte, Libro I, n°1, Désordre (1985), sequenza melodica alla mano destra.

Il coevo Arpége di Franco Donatoni presenta alcune analogie con la tecnica ritmica di Désordre di Ligeti; è d’altra parte possibile mettere in luce le profonde differenze fra i due brani. Sia in

Désordre sia in Arpége la scansione minima (croma in Ligeti, semicroma in Donatoni) è costantemente mantenuta fissa. In Désordre la successione di (3+5)+(3+5)+(5+3)+7 crome è sostanzialmente regolare, ad eccezione dei momenti in cui una croma viene elisa per dare luogo al meccanismo di sfasamento. In Arpége la successione degli eventi ritmici è irregolare: alle bb. 14-17 abbiamo una sequenza di impulsi di 5+3+7+5+3+3+3+5+4+4+7+3+4+3 crome, in raggruppamenti chiaramente percepibili a causa della direzionalità ascendente e dell’accento che apre ogni impulso; non è però possibile sussumere tali raggruppamenti in unità più grandi in grado di definire univocamente un metro. In Désordre troviamo una gerarchia melodica grazie alla quale possiamo sentire, ogni quattro battute, la ripetizione variata di un medesimo evento; l’evento melodico si può a sua volta suddividere internamente in raggruppamenti di uguale durata (3+5 oppure 5+3 crome). In Arpége non c’è alcuna gerarchia melodica, semmai una relazione di masse fra il tutti strumentale e il solo del pianoforte. In Désordre abbiamo un doppio ordine di eventi, per cui udiamo al contempo l’ostinato in crome e la sequenza melodica; nonostante in Arpége il metronomo sia più lento, l’assenza di una sovrastruttura melodica indirizza la percezione ritmica esclusivamente sul fitto succedersi delle semicrome, ovvero su un tempo complessivamente più rapido rispetto alla sequenza melodica di Désordre. In Désordre le linee di battuta, seppur presto sfasate, indicano pur sempre l’inizio di un impulso di un raggruppamento ritmico e di un fraseggio, mentre in Arpége si riducono a orientamento per l’esecuzione: gli eventi ritmici di Arpége possono iniziare indifferentemente su una qualsiasi suddivisione della battuta.96

96 Per una analisi delle tecniche ritmiche impiegate nelle riletture del primo movimento di Nidi, per ottavino (1979), cfr. Michael GORODECKI, «Who’s Pulling the Strings?», cit., p. 249.

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ESEMPIO 11: Franco DONATONI, Arpége, per sei strumenti (1986), bb. 14-17.