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Se quasi ogni compositore è stato, più o meno a lungo, con maggiore o minore convinzione, anche insegnante, non tutti i compositori hanno trovato nell’insegnamento un terreno di elezione in grado di influenzare la totalità del proprio pensiero musicale. Nel ventesimo secolo spiccano alcune importanti figure di compositore-didatta. Il caso di Arnold Schönberg (1874-1951) è particolarmente emblematico. È difficile rintracciare nella storia della musica un altro esempio di un compositore il cui nome sia indissolubilmente legato a una scuola in cui si esprimono personalità

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tanto rilevanti quanto differenziate quali Alban Berg e Anton Webern. Pur nella diversità dei contesti didattici (da Vienna a Berlino, da Boston a Los Angeles) e nella eterogeneità degli allievi (da Hanns Eisler, Eduard Steuermann, Erwin Ratz, Hans Swarowski, a Nikos Skalkottas, Roberto Gerhard, John Cage, solo per citare i nomi più noti), persistono nella didattica di Schönberg delle costanti per quanto riguarda i metodi e le finalità. La Seconda Scuola di Vienna, a differenza di altre “scuole compositive”, trova nell’insegnamento della tradizione, che l’estetica di Schönberg interpreta come presupposto necessario dell’innovazione, uno dei suoi caratteri più importanti. Il valore della didattica schönberghiana è tale che in essa si riconosce anche chi non è stato suo diretto allievo: Hermann Scherchen, René Leibowitz, Theodor W. Adorno.8

Uno studio di carattere storico sulla Seconda Scuola di Vienna non può prescindere da una analisi dei legami e delle reciproche influenze fra Schönberg (che assume il ruolo chiave di maestro e assieme di teorico), Berg e Webern: i tre compositori si situano sul fronte di una ricerca estetica e tecnica comune, pur differenziandosi nettamente negli esiti poetici. Possiamo trovare traccia di tale rapporto innanzitutto nelle opere, seguendone la collettiva evoluzione linguistica, con il passaggio dalla tonalità tardo romantica alla libera atonalità espressionistica alla serialità dodecafonica. L’eredità didattica più importante di Schönberg è il Manuale di armonia, assieme ad altri scritti di carattere pedagogico quali Le funzioni strutturali dell’armonia e gli Elementi di composizione: da essi possiamo ricostruire un metodo progressivo, basato sulla concatenazione logica degli argomenti della tecnica musicale, e sulla costruzione di una precisa consapevolezza e una autonoma sensibilità

7 In «Per il libro su Berg di Reich e Wiesegrund», articolo inedito del 1936 dedicato alla memoria di Alban Berg, Schönberg riconosce nell’allievo prematuramente scomparso, e nel collega Anton Webern, un carattere comune che salda i rapporti fra i tre componenti della Seconda Scuola di Vienna: «Io dicevo: “Che io componga, dipinga, insegni, rileghi libri, remi o nuoti, è la stessa cosa, posso soltanto fare tutto con lo stesso ardore”. Lo stesso vale nel caso di Berg e anche di Webern, e questo forse è ciò che ci lega, il motivo della nostra vicinanza reciproca» (Arnold SCHÖNBERG, «Für Reich und Wiesegrunds Berg-Buch», inedito [1936]; trad. it. «Per il libro su Berg di Reich e Wiesegrund», in ID.,

Stile e pensiero. Scritti su musica e società, a c. di A. M. Morazzoni, il Saggiatore, Milano 2008, pp. 597-602: 601). Come rileva Joseph Auner, la limitazione della Seconda Scuola di Vienna a tre esponenti aveva il non secondario vantaggio di consentire una immediata connessione con il primo Classicismo viennese: Haydn, Mozart e Beethoven (cfr. Joseph AUNER, «Proclaiming a mainstream: Schoenberg, Berg, and Webern», in The Cambridge History of

Twentieth-Century Music, a c. di N. Cook e A. Pople, Cambridge University Press, Cambridge 2004, pp. 228-259: 236). Già nel 1937, in una silloge pubblicata a New York, Adolph Wiess affermava che la tecnica dodecafonica accomunava Schönberg, Berg e Webern come l’impiego delle medesime formule armoniche accomunava Haydn, Mozart e Beethoven (cfr. Adolph WEISS, «The Twelve-Tone Series», in Schoenberg, a c. di M. Armitage, New York 1937, pp. 76-77).

8 Il minimo comune denominatore che lega gli allievi di Schönberg in un’unica – per quanto eterogenea – scuola non è «né l’estetica espressionistica né la tecnica dodecafonica, ma un determinato modo di concepire la musica e la sua comunicazione. Schönberg, che non aveva avuto maestri, offrì ai suoi allievi una chiave di lettura della storia: l’appropriazione del passato è la necessaria premessa per la definizione del proprio ruolo hic et nunc; solo un approfondimento delle “leggi di comprensibilità” che guidavano la composizione tonale può aprire la strada a una tecnica compositiva insieme nuova e coerente. Per Schönberg essere musicista significava essere coinvolti nel nesso tridimensionale di teoria, composizione e interpretazione: la teoria è la via maestra per accedere alla storia, per porre questioni al passato; la composizione è il tentativo dei dare una risposta alle questioni tecniche individuate dalla teoria, di formulare un pensiero musicale che sia insieme sintesi del passato e apertura verso il futuro; l’esecuzione è inalterata trasmissione del senso musicale che si è cristallizzato in questo pensiero» (GianmarioBORIO, «Sul concetto di scuola nella musica del Novecento e sulla scuola di Busoni in particolare», cit., p. 4).

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auditiva nell’allievo, al fine di sviluppare il suo senso della forma. Le pervasive ambizioni teoretiche di Schönberg si esprimono anche in campo didattico: oltre alla ricostruzione indiretta della metodologia dell’insegnamento della composizione desunta dalla lettura del Manuale di

armonia, possiamo rintracciare in tale testo, e in scritti quali Stile e pensiero, importanti annotazioni sulle funzioni della pedagogia.

Fin dalla Prefazione, aperta dal noto «Questo libro l’ho imparato dai miei allievi»,9 il Manuale

di armonia delinea un articolato quadro didattico. Lo sforzo del maestro non è vòlto a insegnare le regole, ma a mostrare all’allievo «l’essenza delle cose alla radice». Inoltre, il movimento non è a senso unico: il metodo didattico si forma progressivamente, mediante un reciproco scambio fra l’esperienza del maestro e le esperienze degli allievi: «gli errori che i miei allievi commettevano a causa di mie indicazioni insufficienti o sbagliate mi hanno insegnato a dare indicazioni esatte».10 Il Capitolo I, «Teoria o metodologia?», traccia una netta distinzione fra l’approccio teoretico che, secondo Schönberg, nonostante la pretesa di individuare leggi ed edificare sistemi, mostra la sua debolezza ermeneutica fin dagli argomenti didattici più elementari – il divieto dei parallelismi di quinta, ad esempio –, basandosi su presupposti estetici che si rivelano non dimostrabili, e, in antitesi, l’approccio artigianale (si parla metaforicamente della bottega del falegname), che fornisce solide basi tecniche grazie alle quali l’allievo dotato e volenteroso può tentare di costruirsi un proprio linguaggio. Il Capitolo II, «Il metodo d’insegnamento dell’armonia», espone i princìpi didattici della materia, intesa come «studio preliminare della composizione», il suo stretto rapporto con il contrappunto e la teoria della forma, e la necessità di delimitare gli argomenti trattati «eliminando tutto ciò che riguarda il ritmo, la melodia, e così via, perché se si combinassero tutte le possibilità delle funzioni armoniche con tutte le possibilità del ritmo e della melodia ne nascerebbe una complicazione tale da riuscire impenetrabile sia al maestro sia all’allievo».11 È quindi necessaria una disposizione gerarchica delle componenti della materia.12 A tal fine, Schönberg non comincia l’insegnamento dalla tradizionale armonizzazione di un basso cifrato, derivazione della desueta pratica del basso continuo: ha maggiore efficacia didattica affidare all’allievo, fin dal primo momento, l’autonoma invenzione del basso.

9 Arnold SCHÖNBERG, Manuale di armonia, cit., p. 1.

10 Ibidem.

11 Ivi, p. 15.

12 A proposito degli esercizi scolastici, «non conta tanto che essi siano sempre assolutamente impeccabili quanto che l’allievo abbia modo di riflettere a tutto ciò che vi si presenta. Questa ginnastica dell’intelligenza, anche se non ottiene risultati perfetti, migliora la mano assai più degli esempi più impeccabili» (Arnold SCHÖNBERG, Manuale di armonia, cit., pp. 110-111); «a noi, in sede didattica, interessa unicamente che vi sia uno scopo da raggiungere; e poiché i nostri esercizi sono a un livello inferiore rispetto all’opera d’arte, sarà di conseguenza tanto più facile dire qual è il nostro scopo, perché essi hanno sempre uno scopo determinato, cosa che l’opera d’arte non ha mai: qualche volta l’ha forse solo l’artista, o almeno crede di averlo, mentre obbedisce in realtà non a uno scopo ma al proprio istinto» (ivi, p. 156).

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Il concetto di senso della forma acquisisce, nel corso della lettura, un ruolo sempre più importante: superato il Capitolo XIV, «Ai confini della tonalità», si procede all’analisi della modulazione alle tonalità più lontane, con mezzi via via più complessi. All’inizio del Capitolo XV, Schönberg riconosce che non è possibile elencare tutte le combinazioni accordali possibili per tali modulazioni, dato che il loro numero è elevatissimo. L’allievo, pertanto, «deve far appello sempre più al suo senso della forma»,13 acquisito tramite l’applicazione in esercizi progressivamente sempre più articolati. Il senso della forma non si presta a essere ridotto a legge – ossia a tecnica compositiva –, ma deve esercitare un vincolo sulla stessa volontà dell’allievo: Adorno sembra dovere a questi passaggi il concetto di corrispondenza fra l’oggettività del materiale e la soggettività del compositore (ossia il suo irriducibile senso della forma).

Ben presto, grazie al senso della forma, l’allievo osserverà che, se ha realizzato una parte della modulazione con una certa ampiezza, la continuazione obbedirà a una costrizione precisa. E non potrà essere lunga o corta a volontà, ma esigerà assolutamente l’impiego di un determinato mezzo armonico o eventualmente anche melodico: in ogni caso essa non sarà libera ma condizionata, non da leggi, ma proprio dal senso formale. L’allievo farà bene a rendersi esattamente conto di questo fenomeno e a non trascurarlo con troppa leggerezza, mettendo a tacere il suo senso della forma.14

Nel Capitolo XVI, «Armonizzazione di corali», si chiarisce la natura intuitiva del senso della forma: la creazione artistica non si basa infatti sul calcolo e, secondo Schönberg, si realizza di getto.15 L’allievo, però, può progressivamente migliorare le sue capacità compositive, lavorando molto «con l’intelligenza e con il gusto», doti utili fino a quando l’invenzione non può essere sorretta dai mezzi della fantasia.16 A tal fine, il didatta deve essere un modello: il termine tedesco, Vorbild, era usato da Gustav Mahler – cui è dedicato il Manuale di armonia – per indicare la natura del vero insegnante.17 Le qualità del maestro non si misurano soltanto su un piano tecnico: egli, in primo

13 Arnold SCHÖNBERG, Manuale di armonia, cit., p. 337. Il corsivo è nostro.

14 Ivi, p. 346.

15 «Io stesso me ne sono accorto nella mia produzione: se qualcosa non mi riusciva di getto, avevo un bel correggere centinaia di volte, ma migliore non diventava; e invece sono nate di primo acchito idee musicali di omogeneità tale che non avrei mai potuto ottenerle con nessun miglioramento o correzione» (Arnold SCHÖNBERG, Manuale di armonia, cit., p. 361).

16 Arnold SCHÖNBERG, Manuale di armonia, cit., pp. 361-362. Non è chiaro in quale misura la facoltà del gusto si differenzi, secondo Schönberg, dal senso della forma (sembra improbabile che il senso della forma si debba sviluppare tramite la semplice applicazione della facoltà del gusto), né se l’intelligenza sia intesa in senso prettamente musicale o abbia un valore estensivo; è d’altra parte chiara l’importanza data alla costanza del lavoro e dell’esercizio. Nel 1948, il

gusto diventa secondo Schönberg «arroganza e complesso di rivalsa dei mediocri», poiché «ha un valore solo per gli strati più bassi e materiali del sentimento umano. Non può essere un criterio per le cose spirituali» (lettera a Olin Downes, Los Angeles, 21 dicembre 1948, in Arnold SCHÖNBERG, Briefe, a c. di E. Stein, B. Schott’s Söhne, Mainz 1958; Lettere, a c. di L. Rognoni, trad. it. di L. Mario Rubino, La Nuova Italia, Firenze 1969, p. 276).

17 Arnold SCHÖNBERG, Manuale di armonia, cit., p. 364. Il modello ha anche un valore morale: Schönberg rifiuta l’idea di migliorare una struttura melodica o armonica tramite l’applicazione a posteriori dell’ornamentazione, e afferma: «Si potrebbe obiettare che in fondo si tratta solo di esercizi e che naturalmente più avanti l’allievo non dovrà più fare in questa maniera: ma allora sono esercizi immorali, e non si può imparare la morale esercitandosi nell’immoralità; allora

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luogo, deve essere, davanti all’allievo, un compositore, ovvero deve proseguire instancabile lo scavo e l’approfondimento della propria musica (in questo luogo, i termini di Schönberg coincidono perfettamente con quelli di Donatoni):

Il maestro deve avere il coraggio di compromettersi, non deve mostrarsi come un individuo infallibile che sa tutto e non sbaglia mai, ma come l’instancabile che è sempre alla ricerca e qualche volta riesce anche a trovare qualcosa. […] Se avessi detto [agli allievi] solo quello che so, ora saprebbero quello e nient’altro. Può darsi che sappiano ancor meno, ma sanno di certo qual è la cosa che veramente conta: la ricerca!

Spero che i miei allievi continueranno questa ricerca, perché sapranno che non si finisce mai di cercare; se lo scopo ultimo può essere di trovare qualcosa, esso può facilmente significare la fine di ogni sincera aspirazione.18

Uno dei mezzi con i quali la didattica compositiva tenta di disvelare il senso formale dell’allievo è l’educazione dell’ascolto: il tentativo di armonizzare melodie preesistenti, anziché crearle ex novo, permette di «far tesoro, col controllo delle conoscenze teoriche, di ciò che l’orecchio ha già

imparato in casi analoghi».19 La teoria riacquisisce il suo valore quando riesce a creare un ponte fra la percezione auditiva, l’immagine puramente mentale del suono, e la razionalizzazione data dalla notazione musicale e dallo studio delle concatenazioni armoniche.

L’insegnante deve inoltre creare una coscienza storica nell’allievo, rendendolo capace di comprendere e fare propri i linguaggi della tradizione: «l’unico compito dell’insegnante è di trasmettere all’allievo la tecnica dei Maestri, stimolandolo se possibile con quest’operazione a creare e comporre per conto suo».20 La coscienza storica, lungi dal bloccare l’allievo sui modelli della tradizione, determina la consapevolezza della transitorietà e della continua evoluzione dei sistemi linguistici: l’allievo «deve sapere che le condizioni della dissoluzione del sistema sono contenute in quelle stesse condizioni che lo determinano, e che in tutto ciò che vive esiste ciò che modifica, sviluppa e distrugge la vita».21 Compito della didattica è creare un ponte fra l’istinto creativo dell’allievo e la tradizione. Indossando le vesti del pedagogo, Schönberg afferma: «ognuno di noi ha l’oscura sensazione che se si abbandonasse l’allievo privo di basi al suo orecchio, egli bisognerebbe considerare pessimo l’esempio portato dal maestro: ma questo significa pretender troppo dall’allievo e troppo poco dal suo insegnante» (ivi, p. 434).

18 Arnold SCHÖNBERG, Manuale di armonia, cit., pp. 1-2. Il corsivo è dell’autore.

19 Ivi, p. 363. Il corsivo è dell’autore. Nel Capitolo IV si afferma: «dando subito all’allievo la massima libertà nel trattare le dissonanze, non si dovrebbe dimenticare il problema dei limiti di questa libertà. Personalmente potrei forse permettermi questo lusso, perché ho una tale e assoluta fiducia nell’orecchio degli allievi dotati da esser certo che essi saprebbero trovare anche così la giusta via, come del resto prova l’esperienza mia personale e quella fatta con alcuni miei allievi. Ho visto però, in me stesso e negli altri, che ben presto nasce il bisogno di sapere di più su questi argomenti, di approfondirne la conoscenza al punto di concepirli come un ordine e come un preciso giuoco di rapporti. Vi sono poi individui dotati che hanno però bisogno di essere guidati, magari solo per risparmiar tempo; del resto, è tempo che non va del tutto perduto se viene impiegato nella ricerca individuale, anche sbagliando, ma che può essere sfruttato più razionalmente se v’è per guida una mano cauta e sicura» (ivi, p. 117).

20 Arnold SCHÖNBERG, Manuale di armonia, cit., p. 17.

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scriverebbe cose non sbagliate, seppure non rispondenti al nostro criterio di ordine artistico, ma appunto per questo nemmeno giuste. Ognuno di noi sente vagamente la contraddizione con questo ordine, che vuol essere naturale e invece viene sconfessato dall’orecchio sano della persona naturale e incolta: proprio perché non è un ordine naturale, ma un ordine artificiale, perché è un prodotto della civiltà».22

Gli ultimi Capitoli del Manuale di armonia si inoltrano nei territori della Nuova Musica. La didattica sempre meno può poggiare sui comodi puntelli della tradizione, e deve anch’essa farsi temerariamente partecipe della ricerca compositiva. Nel Capitolo XVII, «Suoni “estranei all’armonia”», si pone il cruciale problema della libertà cui l’allievo, giunto alle frontiere dell’ignoto, viene abbandonato. Schönberg rovescia la prospettiva: la solida preparazione dell’allievo, giunto a questo alto livello di preparazione, non viene rigettata e rifiutata. «La libertà non bisogna riceverla, bisogna prendersela; e se la può prendere solo un musicista con le carte in regola, uno cioè che la possiede comunque».23 Presupposto della libertà, nella Seconda Scuola di Vienna, e in perfetta coerenza con l’evoluzione linguistica di Schönberg, è la conoscenza dei maestri della musica. Poco più avanti, una «riflessione di carattere pedagogico» trattiene Schönberg dal concedere all’allievo il libero utilizzo di accordi costruiti mediante suoni “estranei all’armonia”: poiché l’utilizzo di tali accordi non è ancora stato saggiato da una lunga esperienza nella prassi compositiva, la cautela didattica suggerisce di impiegare, per quanto possibile, mezzi tradizionali, di sicuro affidamento, quali le regole della condotta delle parti.24 Anche in questo caso, la didattica della composizione segue le premesse dello sviluppo della libera atonalità, basate in primis sul movimento delle parti regolato dall’elaborazione motivica derivata da Brahms, in connessione con la sospensione armonica di matrice wagneriana.

Il Capitolo XVII, «Valutazione estetica degli accordi di sei e più suoni», presenta uno scarto di registro: per la prima volta Schönberg parla dell’«insegnamento atto ad ammaestrare un artista», ovvero l’individuo per il quale gli strumenti della tecnica non sono sufficienti.25 Lo scopo principale

22 Ivi, pp. 115-116.

23 Ivi, p. 416.

24 Ivi, p. 418.

25 Una delle doti del didatta è la capacità di intuire le qualità dell’allievo. Schönberg afferma di aver riconosciuto fin dai primi contatti con Alban Berg la vitalità del suo pensiero e la sua creatività, tanto da accettarlo come allievo anche se egli non era in grado di pagargli le lezioni: qualità suprema di Berg era la «fedeltà alle proprie idee», che gli permetteva di venire a capo di progetti della complessità e dell’ambiziosità del Wozzeck (cfr. Arnold SCHÖNBERG, « Für Alban Berg», inedito [1930, 1949]; trad. it. «Alban Berg», in Stile e pensiero, cit., pp. 582-583). Per dimostrare il suo valore di didatta, al fine di ottenere una cattedra presso l’Accademia di Vienna, Schönberg descrive due suoi allievi: Alban Berg, «uno straordinario talento compositivo», incapace però, quando gli si era presentato, di scrivere musica che non fosse vocale, acquisisce sotto la sua guida una piena padronanza della tecnica strumentale; Erwin Stein invece «non ha, a mio parere, la stoffa di un vero compositore, ma è dotato di fantasia e di un talento da direttore d’orchestra o qualcosa del genere. E l’averlo portato a comporre qualcosa come il Rondò o l’Andante […] lo considero come un particolare successo della mia attività didattica» (lettera di Arnold Schönberg a Emil Hertzka, Vienna, 5 gennaio 1910, in Arnold

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del didatta diventa aiutare l’allievo «ad ascoltare se stesso»: l’educazione dell’ascolto, esercitata sui classici, diventa introiezione. Nel ciclo di conferenze intitolato «Il cammino verso la Nuova Musica», tenute nel 1933, Anton Webern imposta un percorso evolutivo che legge nella storia della musica occidentale le tappe che hanno portato alla atonalità. La coerenza è il valore che lega la tradizione al presente: «in questo esame del passato penetreremo nelle leggi più nascoste, per vedere poi più chiaramente quel che accade oggi».27 La coerenza è il metro usato da Schönberg per misurare i progressi del linguaggio musicale. Il giovane artista è triplicemente segnato dalla coerenza: coerenza con la tradizione, coerenza interna della musica, coerenza con la propria voce interiore. La tecnica compositiva diventa una sorta di «scienza segreta, alla quale ha accesso solo chi sa trovarsela da sé».28 Qual è quindi lo scopo di un trattato di armonia?

Potrei rispondere che insegno perché la gente vuole imparare e io insegnare, cioè diffondere ciò che ritengo buono.