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Dallo strutturalismo all’indeterminazione

Negli anni Cinquanta, con lo sviluppo dello strutturalismo, che tende ad articolarsi come una vera e propria corrente stilistica, con peculiari tecniche costruttive e orientamenti poetici, il concetto di materiale viene portato ad un nuovo stadio. In «Invecchiamento della musica moderna», la critica serrata di Adorno investiva le tipologie organizzative della forma e assieme le strutture sociali ad esse correlate: «il materiale non viene più plasmato e articolato per servire all’intenzione artistica ed è invece il suo stesso allestimento preordinato a diventare intenzione artistica: la tavolozza prende il posto del quadro. La razionalizzazione si rovescia così in caos – chiaro segno di malaugurio».15 La dialettica adorniana, con il suo lessico e persino la sua sintassi, doveva lasciare una profonda traccia nella coscienza musicale italiana degli anni Sessanta.16

Ma per Donatoni il testo chiave di Adorno è un altro. Nel 1954 (anno della prima permanenza a Darmstadt) la lettura – dovuta secondo Donatoni ad «un caso fortuito» – di Minima moralia, appena tradotto in italiano, desta una «sintonia acritica a forti tinte emotive». A catturarlo, più delle categorie del pensiero adorniano (ripetutamente Donatoni ostenta la sua incapacità di comprenderne la complessità, e tanto meno di valutarlo criticamente), è la seduzione di «frammenti fulminei, dalla rapace insidiosità aforistica».17 Emergono i temi del frammento, del pensiero frammentario, e dell’aforisma, che suggeriranno immagini formali da cui scaturiscono tutti i brani scritti dagli anni Sessanta in avanti. Possiamo individuare in Nietzsche – e, tramite Nietzsche, risalire indietro fino a Büchner e Hölderlin – l’idea di un’arte intesa come critica all’ideologia borghese, e l’espressione aforistica come potenziale vettore di uno scardinamento della consequenzialità del positivismo. Un ulteriore nesso con il pensiero di Adorno si può rintracciare nella figura di Karl Kraus, scrittore e moralista viennese che ebbe un ruolo determinante anche nella formazione intellettuale di Schönberg: negli aforismi di Kraus l’arte ha precisamente la funzione di «rendere malsicura la terra davanti all’uomo», e di «mettere in disordine la vita».18 Nell’elaborazione di una “forma frammentaria”, Donatoni troverà una guida anche nella lettura di Kafka e di Beckett, nelle loro iterazioni ossessive e nelle secche cesure.

15 Theodor W. ADORNO, «Invecchiamento della musica moderna», cit., p. 174.

16 Non mancarono le distorsioni: «il pensiero di Adorno ha esercitato un’influenza imperiosa sulla riflessione estetica e strettamente musicale del nostro tempo. Ci è parso che una parte di tale influenza, tuttavia, fosse dovuta a un sostanziale fraintendimento del suo pensiero, favorito anche dalle false piste e dagli equivoci che Adorno coltiva deliberatamente» (Sara ZURLETTI, Il concetto di materiale musicale in Th. W. Adorno, cit., p. X).

17 Franco DONATONI, «Lettera a Giacomo», cit., pp. 76-77. La lettera, scritta durante i corsi estivi dell’Accademia Chigiana di Siena, è indirizzata a Giacomo Manzoni.

Con un rovesciamento dei termini di Nietzsche, Adorno definisce Minima moralia una «triste scienza», intesa come «dottrina della retta vita».19 Il riferimento alla letteratura mistica, in particolare a San Giovanni della Croce, e al De imitatione Christi, è legato ad aspirazioni di cambiamento che si esplicitano non come forma di elevazione, ma di annullamento. Si delinea il percorso che Donatoni avrebbe intrapreso nel successivo ventennio: agire contro il proprio Io, del quale si avverte l’inadeguatezza. Se in San Giovanni della Croce veniva strenuamente perseguito un perfezionamento che, tramite la mortificazione della volontà, avrebbe annullato la propria anima in Dio, in Donatoni, dopo la lettura di Adorno, è ammissibile il solo autoannullamento, come compositore e assieme come persona. Secondo Donatoni, si è ciò che si fa: negando la possibilità di comporre, si nega la possibilità di essere. Rovesciando la prospettiva: la scelta di indeterminare il proprio agire, di perdere il controllo sul risultato delle proprie azioni, è espressione dell’incapacità di convivere con sé stessi. Così, in brani indeterministici come Quartetto IV (Zrcadlo), del 1963, e

Babài, Asar, Black and White, del 1964, Donatoni riconosce una natura privata, un personale esercizio, «certo com’ero che si trattasse di lavori “fatti per me”, o meglio, che l’atto del farli servisse soltanto a me».20

L’indeterminazione praticata degli anni Sessanta, lettura personale del pensiero aleatorio derivato da Cage, è in tal senso l’estremizzazione dell’ideale strutturalista di “far parlare il materiale da sé”, di delegare al materiale le ragioni della propria crescita.21 «Quando non c’è più via di scampo, diventa perfettamente indifferente, per l’impulso di distruzione, rivolgersi verso altri o verso il proprio soggetto: due cose tra cui, del resto, non ha mai fatto netta distinzione».22 Non vi è, almeno per il momento, prospettiva di palingenesi; e non sarebbe fuori luogo, nei confronti di Donatoni, l’accusa mossa da Lukács ad Adorno: aver voluto «prender dimora presso il ‘Grand Hotel Abisso’».23

Nel secondo dopoguerra è possibile identificare due correnti che agiscono in concorso per definire il corredo tecnico e stilistico della Nuova Musica di matrice darmstadtiana: da un lato, come pars

construens, lo sviluppo del serialismo, esteso a tutti i parametri del tessuto musicale; dall’altro,

19 Theodor W. ADORNO, Minima moralia. Reflexionen aus dem beschädigten Leben, Suhrkamp Verlag, Berlin und Frankfurt am Main, 1951; trad. it. Minima moralia, con una introduzione di Renato Solmi, Einaudi, Torino 1954, p. 3.

20 Franco DONATONI, «Materia in musica», cit., p. 102. Il corsivo è nostro.

21 Come afferma Carl Dahlhaus, «al principio della “forma aperta” si associava strettamente la convinzione che nell’arte non contasse il risultato ma il processo di formazione. […] L’esigenza di non determinare, ma di lasciare aperte tutte le possibilità, comporta sul piano della tecnica compositiva di porre in primo piano non l’opera prodotta ma i materiali e i metodi impiegati per produrla, e di attirare su di essi l’attenzione» (Carl DAHLHAUS, «Die Krise des Experiments», in

Komponiert heute, Veröffentlichungen des Institut für Neue Musik und Musikerziehung Darmstadt, 23, Schott, Magonza 1983, pp. 80-94; trad. it. «La crisi della sperimentazione», in Andrea LANZA, Il secondo Novecento, Storia della musica, vol. 12, EdT, Torino 1991, pp. 265-272, p. 270).

22 Theodor W. ADORNO, Minima moralia, cit., p. 100.

come pars destruens, il netto rifiuto di moduli espressivi riconducibili alla tradizione tonale. Potremmo parlare di uno strutturalismo “classico”, che cerca una purezza stilistica modellata sulle minuziose costruzioni di Webern, e agisce in senso propriamente negativo rifuggendo le sonorità caratteristiche della tonalità funzionale. Tali forme di purismo esprimono una visione “classica”, tesa a saldare l’opera in una unità consequenziale: unità armonica, ad esempio, nel predominare di aggregati armonici basati su seconda minore, tritono, settima maggiore, nona minore, e nell’escludere terze, quinte e ottave; unità ritmica nei gruppi irregolari, oppure in ritmi che non possano essere ricondotti ad una pulsazione isocrona (cfr. III.4).

Gli esiti delle letture negative della storia della musica, volte a tagliare ogni residuo vincolo con la tradizione, ebbero durature ripercussioni. Alla fine degli anni Sessanta, quando tendenze post-moderne avevano ormai sancito la destoricizzazione di ogni materiale musicale, rendendolo in tal modo disponibile a manipolazioni e nuove contestualizzazioni, era ancora possibile rinvenire analisi estetiche basate sulla censura di relazioni tonali: in Fase seconda – per citare un testo emblematico e discusso – Mario Bortolotto critica il melodizzare di Ha venido di Luigi Nono a causa di un incongruo «rivagheggiare la tonalità».24 Nono viene quindi interpretato come esponente dello strutturalismo elaborato a Darmstadt, e accomunato a Boulez e Stockhausen. D’altro canto, nello stesso testo si rileva che per lo strutturalismo un rapporto intervallare come l’ottava era sostanzialmente decontestualizzato, perché proiettava uno spazio sonoro tonale; in compositori post-cageani, come Mauricio Kagel, Christian Wolff, La Monte Young, Earle Brown e Morton Feldman, «un’ottava è un rapporto qualsiasi, e una terza non ha, verso il tritono o la quinta eccedente, nessun complesso di inferiorità. Se, pertanto, una musica di Stockhausen è gravida, ad ogni passo, di storicità, come residuo o come negativa fotografica, questa altra musica suona non destorizzata [sic] ma nativamente astorica».25

La distanza fra il primo strutturalismo, lo strutturalismo “classico”, che all’inizio degli anni Cinquanta aveva già trovato il suo pieno sviluppo, e il post-strutturalismo di Donatoni (di quella che potremmo definire “seconda generazione di Darmstadt”) si può misurare nei termini seguenti: nello strutturalismo è ben presto emersa una dialettica fra “deliberazione e automatismo”,26 con la

24 Mario BORTOLOTTO, «Le missioni di Nono», in Fase seconda. Studi sulla Nuova Musica, Einaudi, Torino 1969, pp. 103-127: 124.

25 Mario BORTOLOTTO, «La Nuova Musica, il tempo e la maschera», in Fase seconda, cit., pp. 13-100, p. 99. Nel 1967 Donatoni affermava: « La nuova musica sembra aver reso inattuale ogni materia sonora, perciò ogni materia sonora può essere recuperata alla nuova musica mediante l’inattualità» (Franco DONATONI, «Le parole che seguono», in Lo

spettatore musicale, Bologna, maggio 1967; in ID., Il sigaro di Armando, cit., pp. 37-38).

26 György LIGETI, «Entscheidung und Automatik in der Structure Ia von Pierre Boulez», in Die Reihe, n°4, 1958, pp. 38-63. L’articolo risale al febbraio-marzo 1957; pochi anni più tardi, Ligeti ritorna sull’argomento con la nota critica al serialismo postweberniano: «più sarà accurata la rete delle operazioni con materiale preordinato, più alto sarà il grado di livellamento nel risultato. L’applicazione totale ed insistita del principio seriale porta, alla fine, alla negazione del serialismo stesso. Non vi è autentica differenza di base tra i risultati dell’automatismo ed i prodotti del caso: la determinazione totale risulta uguale alla totale indeterminatezza» (György LIGETI, «Wandlungen der musikalischen

necessità di tracciare i “limiti del paese fertile”.27 Nel pensiero di Boulez non viene mai messo in discussione il valore del momento costruttivo, inteso come istituzione di relazioni vòlte al controllo del materiale.

La composizione musicale non si riduce certo all’astrazione dei suoi parametri né a quella di una pura costruzione. Ciò non toglie che scrivere voglia dire organizzare simboli, ovvero ordinarli secondo leggi calcolate. Non appena un sistema funziona, produce entità astratte di livello superiore, introduce un’indispensabile varietà di espressioni conseguenti: il musicista non è dunque mai prigioniero dei princìpi generali del formalismo né di costrizioni, perché, al contrario, può sempre trarre vantaggio dalla diversità dei livelli sui quali lavora e dalla varietà delle forme connettive prodotte. […] Via via che la composizione si organizza, le determinazioni si precisano e le maglie della rete si stringono. È questo il significato conferito alla forma da Boulez: si tratta di un labirinto, di un intreccio, di una trama che si fa sempre più densa con il procedere della forma sulla via della propria configurazione finale.28 […] Per Boulez il lavoro specifico del musicista è un lavoro d’articolazione, che consiste nel collegare quanto è discontinuo secondo un sistema di variazioni e diversità. Egli non lavora dunque su concatenazioni formali astratte in quanto predefinite, bensì su configurazioni in atto, ovvero secondo l’ordinamento generativo di una geometria qualitativa le cui peculiarità architettoniche saranno percepite come tali al momento dell’ascolto. […] Secondo Boulez la formalizzazione non è solo uno strumento per una comprensione efficace, ma rappresenta la vera forza produttiva. […] Comporre vuol dire allora impossessarsi delle regole che intervengono in ogni istante nell’esercizio di scrittura, e portarle allo stadio di formulazione pienamente esplicita.29

Renzo Cresti individua in Boulez la realizzazione del concetto hegeliano di Unità Razionale, e fornisce una chiave interpretativa della sua tecnica compositiva tracciando una dicotomia fra la

tecnica panseriale (in Poliphonie X, in Structures I) dove «è lo schema precostituito a dettare la propria legge», e la prassi a espansione (nella Seconda Sonata per pianoforte, in Marteau sans

maître), che consiste nell’«analizzare le caratteristiche di una cellula-madre in modo da sfruttarne fino in fondo le possibilità di variazione […]; i rapporti fra gli elementi musicali vengono quindi dedotti a posteriori».30

Alla fine degli anni Cinquanta, quando giunge a dominarne appieno le tecniche, lo strutturalismo si rivela a Donatoni come espressione della soggettività e del volontarismo. Form», in Die Reihe, n°7, 1960; trad. it. «Metamorfosi della forma musicale», in Ligeti, a c. di E. Restagno, EdT, Torino 1985, pp. 223-242: 230). Già nel 1955 Xenakis aveva del resto osservato che la polifonia totalmente serializzata ha come effetto macroscopico una incalcolabile e imprevedibile dispersione di suoni sull’intera estensione dello spettro acustico (Iannis XENAKIS, «La crise de la musique serielle», in Gravesaner Blätter, n°1, 1955, pp. 2-4).

27 Cfr. Pierre BOULEZ, Le pays fertile. Paul Klee, a c. di P. Thévenin, Éditions Gallimard, Paris 1989; Il paese fertile.

Paul Klee e la musica, trad. it. di S. Esengrini, Abscondita, Milano 2004.

28 Quindi: non “con il procedere di un brano dall’inizio verso la fine”, ma “con il graduale chiarirsi e raffinarsi della configurazione globale e dei dettagli minuti agli occhi del compositore”.

29 Hugues DUFOURT, Musica, potere, scrittura, cit., pp. 100-101.

30 Renzo CRESTI, Franco Donatoni. Studio monografico sulla musica e sulla poetica di Franco Donatoni in relazione

alle problematiche filosofiche e musicali dagli anni ’50 a oggi, Edizioni Suvini Zerboni, Milano 1982, p. 17. Cresti precisa: «i due tipi di approccio al materiale sonoro non appartengono a due epoche cronologicamente diverse, ma si alternano nel tempo» (ibidem).

Stockhausen, con la sua proteiforme capacità di assorbire ogni stimolo, dalla serialità di Webern all’indeterminazione di Cage, e di “rilanciare la posta in gioco” – molto più disinvolto, da questo punto di vista, del purista Boulez – è «in senso tecnico l’eroe positivo della musica contemporanea, l’inventore per eccellenza di linguaggi».31 Per il post-strutturalismo di Donatoni, invece, l’avvenuta destoricizza-zione dei materiali musicali impedisce di lasciare spazio alla “deliberazione”: ogni materiale musicale ha pari diritto ad affacciarsi alla coscienza del compositore, la volontà autoaffermatrice deve essere negata, il materiale deve essere “lasciato parlare” autonomamente (di qui, i codici di trasformazione desunti dai rapporti intervallari e ritmici di un materiale già dato).

Il tentativo di delineare un profilo unitario per il concetto di pensiero negativo si scontra con difficoltà difficili da sormontare. Una prima accezione è già stata illustrata: il serialismo del primo dopoguerra si pone in un rapporto negativo con il materiale tonale, ovvero deliberatamente evita di utilizzare rapporti sonori riconducibili al linguaggio della tonalità. Questa interpretazione del concetto di negativo è indubbiamente presente in Donatoni, ma a essa si intreccia anche la negazione del soggetto quale portatore di una volontà individuale, in un senso che ci conduce verso l’indeterminazione del comporre, esito dell’influenza del pensiero di John Cage. Cage impiega il termina caso [chance] per indicare l’impiego di procedure aleatorie al momento della composizione (un esempio è Music of Changes, che impiega le tabelle tratte dal I Ching per redigere la partitura); il termine indeterminazione [indeterminacy] viene invece riferito a brani che possono essere eseguiti con modalità ed esiti sostanzialmente differenti. Nel 1958, in una conferenza intitolata «Indeterminacy», Cage chiarisce che la chance-composition genera brani perfettamente definiti e compiuto; al contempo, i brani indeterministici non presuppongono di necessità la

chance-composition (Cage porta gli esempi del Klavierstück XI di Stockhausen e di Intersection 3 di Feldman: in entrambi i casi si tratta di brani indeterministici che non hanno implicato procedure di

chance-composition). L’indipendenza fra le due casisticheè tale da permettere di classificare fra i brani indeterministici persino l’Arte della Fuga di Johann Sebastian Bach, poiché se da un lato la struttura, il metodo compositivo e la forma (intesa da Cage come contenuto espressivo e morfologia della continuità) sono tutti parametri determinati, d’altro canto timbro e dinamiche sono

31 Franco DONATONI, «Il materiale in opera», cit., p. 108. Secondo David Osmond-Smith, il punto di massima tangenza fra Cage e Boulez era stato toccato con Music of Changes e Structure Ia; dopo il 1952, cessa la corrispondenza fra i due (David OSMOND-SMITH, «New beginnigs: the international avant-garde, 1945-62», in The Cambridge History of

Twentieth-Century Music, a c. di N. Cook e A. Pople, Cambridge University Press, Cambridge 2004, pp. 336-363: 351). Richard Toop osserva un cambiamento di orientamento nei giovani compositori a cavallo degli anni Sessanta, con una preferenza accordata a Stockhausen piuttosto che a Boulez: «Before long, the predictable melange of melliflouous harmonies, limited aleatory elements, and massed metallophones [della musica di Boulez] was seeming like a new academicism, […] and increasingly, it was to the ever-unpredictable Stockhausen that young composers looked, as the prophet of times to come. Purism gave way to pluralism» (Richard TOOP, «Expanding horizons: the international avant-garde, 1962-75», in The Cambridge History of Twentieth-Century Music, cit., pp. 453-477: 454).

indeterminati, e variabili di esecuzione in esecuzione.32 Ad ogni modo, come rileva James Pritchett, caso e indeterminazione sono in Cage strettamente legati, e l’una sembra scaturire dall’altro. Cage persegue l’ambizione di aprire la composizione alla «totalità delle possibilità»: dopo aver verificato che le procedure casuali di composizione generano pur sempre partiture univocamente definite, si chiarisce la necessità di portare il caso dall’atto compositivo all’atto esecutivo (Cage non era solo in questa ricerca: determinanti sono stati gli apporti di Morton Feldman, David Tudor, Christian Wolff e Earle Brown, riuniti assieme a lui nella cosiddetta New York School).33

Il pensiero negativo è per Franco Donatoni costituito dalla correlazione fra le pratiche indeterministiche teorizzate da Cage e la dialettica negativa di matrice adorniana. Il negatives

Denken ha radici lontane, e segna una crisi del pensiero dialettico con una frattura che, da Adorno, si può fare risalire a Wittgenstein, e prima ancora a Nietzsche. Le fondamenta del pensiero negativo hanno le loro radici nella crisi dei processi di razionalizzazione che caratterizzavano l’Aufklärung. Il

nichilismo estremo di Nietzsche è – in quanto estremizzazione dell’impossibilità, già riconosciuta da Schopenhauer, di risolvere in termini hegeliani il problema del rapporto fra pensiero filosofico e pensiero scientifico, problema illustrato nell’ultimo Kant – il rifiuto dell’adozione dei nessi causali tra i fenomeni come principio ermeneutico, e l’esclusione del principio di necessità. Con l’avvento del nichilismo – che è al contempo suo superamento – la storia dei valori occidentali, nella duplice radice platonica e cristiana, viene negata: «Che cosa significa nichilismo? – che i valori supremi si

svalutano. Manca il fine; manca la risposta al “perché?”».34 Come chiarisce Heidegger, non solo i valori cadono, ma scompare anche il luogo da essi occupato: a essere sradicato è il bisogno stesso dei valori. Il nichilismo di Nietzsche si basa su una duplice negazione: «Il nichilista è colui che, del mondo quale è, giudica che non dovrebbe essere, e del mondo quale dovrebbe essere, giudica che non esiste».35 Adorno rilegge la definizione nietzscheana affermando che, di fronte al male del mondo, ogni affermazione di positività è colpevole.36

32 John CAGE, «Composition as Process. II. Indeterminacy», in ID., Silence, Wesleyan University Press, Middletown, Connecticut 1961, pp. 35-40. La scelta dell’Arte della Fuga di J.S. Bach quale esempio di indeterminazione non è privo di problematicità, poiché implica una natura indeterministica in qualsiasi brano che prescinde da un preciso organico (ad esempio gran parte della musica che nasce al di fuori della scrittura); inoltre la scelta delle dinamiche nell’esecuzione di musiche bachiane, seppure non univoca, non è affatto arbitraria, e non garantisce una costante variabilità di esecuzione in esecuzione.

33 Cfr. James PRITCHETT, The Music of John Cage, Cambridge University Press, 1993, pp. 107-109.

34 Friederich NIETZSCHE, Frammenti postumi 1887-1888, in Opere, a c. di G. Colli e M. Montinari, Volume VIII, Tomo 2, trad. it. di S. Giametta, Adelphi, Milano 1971, p. 12.

35 Ivi, p. 26.

36 Su pensiero negativo e nichilismo, cfr. Martin HEIDEGGER, Der europäische Nihilismus, Verlag Günther Neske Pfullingen, 1961 (trad. it. Il nichilismo europeo, a c. di F. Volpi, Adelphi, Milano 2003); Massimo CACCIARI, Krisis.

Saggio sulla crisi del pensiero negativo da Nietzsche a Wittgenstein, Feltrinelli, Milano 1976; Franco VOLPI, Il

nichilismo, Laterza, Roma – Bari 1996; Franca D’AGOSTINI, Logica del nichilismo. Dialettica, differenza, ricorsività, Laterza, Roma – Bari 2000.

Come rileva Raffaele Pozzi, Fase Seconda di Mario Bortolotto ebbe un notevole peso nell’enfatizzare il rapporto fra Nietzsche e Adorno, diffondendo negli ambienti italiani della Nuova Musica un’immagine del filosofo francofortese inscindibilmente legata al pensiero negativo. Tale lettura di basa soprattutto sulla Dialettica negativa e sulla Teoria estetica;37 ma per Donatoni, come per Aldo Clementi, il testo guida del pensiero negativo è, sopra tutti, Minima moralia. Per quanto riguarda le tecniche compositive, la poetica del periodo diatonico di Clementi illustra un’accezione di negativo non del tutto estranea al pensiero di Donatoni:38 a partire dagli anni Settanta, le composizioni di Clementi si basano su configurazioni melodiche e ritmiche di derivazione tonale o