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Il concetto di figura nella poetica di Donatoni

III. 2.2) Figura e gesto in Ferneyhough

III.3) Il concetto di figura nella poetica di Donatoni

Donatoni sviluppa gradualmente, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, una personale concezione della figuralità, che trova ampio riscontro sulla scena musicale italiana, non ultimo per l’efficacia didattica di tale concetto. La sfiducia nella storia è un’idea ricorrente in Donatoni, che in questo sottolinea caparbiamente la sua distanza da compositori come Schönberg e Sciarrino.42 La volontà, ripetutamente esplicitata, di tenere le distanze dall’idea di motivo, dall’idea di tema ad esso connessa, e in ultima analisi dall’idea di causalità, principio basilare della costruzione formale classica, ormai svuotato di senso, e della lettura della storia della musica data dalla Seconda Scuola di Vienna, rappresenta il substrato speculativo di una serie di tecniche compositive strettamente correlate. Fra di esse, la figura – assimilabile all’arabesco – è di primaria importanza:

Une figure relève plutôt de la nature de l’arabesque: on la reconnait sans qu’il y ait identité claire de ses parties. L’arabesque ne peut pas se développer. Comme pour une figure, son destin n’est pas téléologiquement fixé. [...] La figure s’assimile à l’arabesque en ce que cette dernière peut continuellement charger sans pour autant avoir une histoire. Elle a une chronologie qui affirme seulement une succession, non une histoire qui introdurait l’idée de causalité.43

Individuando nella figura una chiave per il passaggio dal “pensiero negativo” – esemplificato da

Etwas ruhiger im Ausdruck (1967), dove le procedure di proliferazione automatica avevano come fine l’indeterminazione dell’atto compositivo – alla “riconquista dell’artigianato” tramite la disciplina della scrittura, Gianmario Borio ha chiarito il passaggio cruciale a questa nuova tipologia

41 I princìpi della “musica gestuale”, dove il dato generatore – o, in termini adorniani, il materiale musicale – è il gesto concretamente realizzato dallo strumentista, e la relazione fra la fisicità dei movimenti e la sonorità ad essi legata, non sono totalmente antitetici all’idea di gesto in Ferneyhough e in Donatoni: anche in Ferneyhough e in Donatoni, in misura non inferiore a molti altri compositori, la gestualità strumentale veicola possibilità inventive e immagini sonore.

42 Secondo Borio, nel brano Etwas ruhiger im Ausdruck, che prende le mosse da uno dei Cinque pezzi per pianoforte op. 23 di Schönberg, «le manipolazioni adottate comportano la negazione delle valenze linguistiche del materiale, una drastica smentita della sua origine e della sua storia» (Gianmario BORIO, «La poetica della figura nella recente produzione di Donatoni», cit., p. 225). Donatoni non esita a dichiarare che la procedura a pannelli, tipica della sua tecnica compositiva fin dalla fine degli anni Cinquanta, denota «una sostanziale sfiducia nella storia» (Franco DONATONI, «Un’autobiografia dell’autore raccontata da Enzo Restagno», cit., p. 24).

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di rapporto col materiale musicale.44 La sintesi di Borio, che riportiamo di seguito, illustra un momento storico che trova nel percorso di Donatoni un punto di riferimento emblematico, per la sua capacità di incarnare vivacemente le contraddizioni e i nodi problematici sui quali si interrogava un’intera generazione di compositori: «in Etwas ruhiger im Ausdruck il processo di annichilimento si compie soprattutto tramite la neutralizzazione di figure che, derivate in modo più o meno accidentale dal sistema delle trasposizioni, emergono qui e là nel tessuto compositivo». L’estrema frammentarietà dei nessi è data dalla sottoposizione delle strutture intervallari e ritmiche a «continui processi di moltiplicazione e riduzione», che tendono a indebolire o persino cancellare la fisionomia individuale delle strutture stesse.

Proprio questa perdita di funzione dell’intervallo e la correlata relatività delle figure sono state oggetto di un ripensamento che verso la metà degli anni Settanta ha portato Donatoni alla concezione di una musica figurativa. È vero che molte delle recenti opere – come Voci (1972-73) o Spiri (1977) – partono, non diversamente che Etwas

ruhiger im Ausdruck, da cellule intervallari molto semplici; tuttavia l’elaborazione di queste cellule non ha come esito la dissoluzione della materia, ma una conservazione di energia. Ne derivano figure ben profilate che nell’economia dell’opera appaiono come agenti primari del senso musicale.45

A tali annotazioni, è possibile aggiungere la constatazione di un deciso cambiamento nella gestione dei nessi formali: in Etwas ruhiger im Ausdruck rintracciamo, anche sulla scorta della lettura analitica di Donatoni, quattro diverse sezioni.46 Si tratta di ampie arcate impostate ognuna su un graduale mutamento di densità del tessuto musicale. Gli elementi costitutivi delle singole sezioni sono infatti tendenzialmente costanti, mentre variano la velocità e il numero delle figurazioni sovrapposte.47 Ne consegue una direzionalità formale dai ritmi estremamente dilatati, tendenti alla staticità; la frammentazione del materiale sonoro ad essa correlata si pone nella linea della gestione del tempo musicale tracciata da Stockhausen fin dagli anni Cinquanta. Sono invece i momenti di frattura, implicati dal passaggio fra una sezione e la successiva, con lo sbalzo di tensione sprigionato dall’accostamento privo di mediazioni fra due situazioni nettamente differenti, a generare un differente decorso temporale: negli anni successivi Donatoni indagherà a fondo, anche teoricamente, questa nuova prospettiva. Una fra le molte conseguenze del rinnovato atteggiamento formale, che negli anni Ottanta genererà brani di impronta inconfondibile, sarà l’abbreviarsi delle singole sezioni musicali, spesso giustapposte con un gusto per il contrasto netto.

44 Per i concetti di “pensiero negativo”, di materiale, di indeterminazione, e di scrittura, cfr. Cap. II.

45 Gianmario BORIO, «La poetica della figura nella recente produzione di Donatoni», cit., p. 225.

46 Battute 1-60, 61-100, 101-145, 146-166 (cfr. Franco DONATONI, Questo, cit., pp. 91-92).

47 Oltre alle annotazioni di Borio, per una esaustiva disamina dei procedimenti compositivi rimandiamo a Robert

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La definizione “figura” trova conferma nel fatto che questi frammenti hanno una propria fisionomia, un’identità “tipologica”, le cui caratteristiche non si dissolvono nel corso dell’opera. Tale nomenclatura evoca inevitabilmente l’associazione alla “teoria delle figure” barocca. Tuttavia la figura in Donatoni non va intesa come simbolo musicale per determinati affetti, ma come parte di un artigianato formale che mira alla creazione di organismi musicali in continua trasformazione. La figura è simile all’arabesco: le sue connotazioni dipendono dal valore posizionale del frammento e mutano con il mutare del paesaggio musicale. In altre parole: la figura è fissata a livello topologico, ma indeterminata nella sua sostanza.48 Malgrado queste differenze di concezione vi sono alcuni elementi che rimandano all’estetica dell’epoca barocca.49 Le analogie con la musica poetica appaiono in tutta la loro evidenza, se si considera che per Donatoni comporre significa: invenzione di un pensiero musicale,

ornamentazione e moltiplicazione dei pensieri, ripartizione degli elementi in sezioni chiuse e disposizione architettonica delle parti in una totalità formale. Tuttavia queste recenti opere non sono connesse alla musica barocca solamente nell’idea poetica ma anche nella loro costituzione temporale. La figura può essere variata, moltiplicata o mutata radicalmente, ma non è in grado di svilupparsi. Questa caratteristica determina spesso un’immagine statica del suono. In luogo della continuità logico-temporale di asserti e sviluppi che era stata normativa per la concezione tradizionale del tempo musicale, subentra la discontinuità e la rottura del decorso temporale lineare.50

Donatoni, negli anni Settanta e sempre di più nel decennio successivo, rappresenta per la musica italiana una sorta di polo in grado di accentrare le ricerche dei numerosi giovani compositori che lo scelgono come insegnante. Possiamo spiegare la risonanza che il tema della figura ha goduto in quel periodo solo se riusciamo a vedere in essa una alternativa sia allo strutturalismo – espressione, per usare i termini adorniani, del “feticismo del materiale”, del serialismo di Darmstadt e delle correnti ad esso legate –, sia all’indeterminismo di matrice cageana, sostanzialmente estraneo alle formalizzazioni accademiche, sia all’estetica del neoromanticismo.

Nel 1965 Heinz-Klaus Metzger poteva parlare a ragione di una «crisi della figura»51 in quanto i principi del discorso musicale erano stati ampiamente neutralizzati dai procedimenti compositivi. La figura, che già nelle composizioni seriali era scaduta a sottoprodotto dell’organizzazione parametrica, nella musica informale veniva espressamente eliminata; e ciò secondo due modalità: attraverso il suo isolamento o mediante una moltiplicazione

ad infinitum. […] Al contrario oggi sembra che l’obiettivo primario del lavoro compositivo sia la creazione di opere che contengano un alto coefficiente di carattere e individualità. A questo scopo vengono adottate figure che, agendo come «linee di forza»,52 hanno il compito di vivificare la composizione e produrre linguisticità. Le figure si

48 Come abbiamo rilevato sopra, il materiale tematico classico, e ancora il materiale motivico sul quale si basa la tecnica compositiva di Schönberg, trova invece la sua identità nelle diverse funzioni cui assolve nell’economia dell’arcata formale: esposizioni, conferme, connessioni, elaborazioni, neutralizzazioni, riprese, e così via.

49 Anche a livello di superficie sonora, Donatoni (almeno il Donatoni cameristico da metà anni Settanta in avanti) mi sembra uno degli autori più affini allo stile barocco: la nettezza della forma, le linee filigranate in perenne movimento, la pulsazione costante e isocrona, possono portare alla mente la scrittura di Johann Sebastian Bach.

50 Gianmario BORIO, «La poetica della figura nella recente produzione di Donatoni», cit., pp. 225-226.

51 Heinz-Klaus METZGER, «Zur Krise der Figur», in Musik wozu, Literatur zu Noten, a c. di R. Riehn, Frankfurt a. M. 1980, pp. 129 sgg. (n.d. Borio).

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distinguono dagli eventi sonori della musica postseriale per la loro capacità di combinarsi con figure attigue, siano esse affini, complementari o contrastanti. Ma si distinguono anche dai temi classici in quanto non posseggono una struttura stabile regolata dal ricorrere di certi intervalli, di una certa ritmica e di un certo modo d’espressione. Estraneo è quindi anche un trattamento come sviluppo tematico, vale a dire un’elaborazione del materiale ferme restando le sue caratteristiche individuali. Le operazioni proprie della figura sono invece l’inversione, la permutazione e la derivazione di nuovi elementi, la frammentazione, la diminuzione o aumentazione quantitativa, la ripetizione della figura in versione leggermente mutata, la combinazione e interpolazione di diverse figure.53

La figura diventa oggetto della riflessione di Donatoni; al contempo, le categorie del suo pensiero compositivo si rinnovano internamente. Non a caso, all’indagine sulle masse orchestrali, esplorate con un gusto per l’impatto materico delle sonorità (da Puppenspiel del 1961 a Arie del 1978), Donatoni predilige, negli anni Ottanta e Novanta, la scrittura da camera e il brano per strumento solo, cui peraltro sarà legata gran parte della sua fama: organici più snelli permettono, o piuttosto impongono, una cura dell’articolazione minuta. In particolare, nel brano per strumento solo possiamo rintracciare tratti estremamente semplici del profilo musicale che assumono un ruolo di rilevanza tale da agire da formanti principali del discorso formale.

Aldo Clementi, il cui percorso presenta non pochi punti di contatto con Franco Donatoni, ha sviluppato un mondo compositivo che può fornire ulteriori elementi di riflessione sul concetto di figura. L’impianto figurale della musica di Clementi, ampiamente indagato dalla critica, è collegato al profondo interesse del compositore catanese per le arti figurative.54 Nella prima metà degli anni Sessanta Clementi sviluppa, con lo studio delle opere Perilli, Tápies, Burri e Fautrier, le tecniche della sua fase creativa definita informale; nella seconda metà degli anni Sessanta, l’interesse per gli effetti percettivi illusori costruiti da Piero Dorazio e Victor Vasarely lo spinge a elaborare le tecniche della fase a-formale ottica; negli anni seguenti, un altro riferimento costante è la produzione di Escher. In Escher, Clementi «trova un’evidente corrispondenza nella sua concezione dello spazio sonoro, dove i giochi di simmetrie, di spessori variabili, di rallentamenti, di evidenze e assorbimenti, sono sempre raffigurabili in figure geometriche».55 Come Escher divide con rigore il piano mediante i variabili incastri di uno o più moduli ampiamente reiterati, così le strutture canoniche di Clementi creano una fitta – a tratti inestricabile – trama cromatica determinata dalla artificiosa sovrapposizione di semplici figure diatoniche, nettamente stagliate ed estremamente regolari nel profilo diastematico e ritmico. Come in Escher la singola figura è riconoscibile, ma acquista un nuovo senso nella configurazione globale data dalla sua abnorme proliferazione, così in

53 Gianmario BORIO, «La poetica della figura nella recente produzione di Donatoni», cit., pp. 226-227.

54 Cfr. il capitolo «La concezione figurale della musica» in Gianluigi MATTIETTI, Geometrie di musica. Il periodo

diatonico di Aldo Clementi, LIM, Lucca 1996, pp. 65-188.

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Clementi le singole linee del canone, di per sé interpretabili come relitti, ormai svuotati di significato, della grande musica del passato, considerate nell’intreccio complessivo determinano una struttura di massa caratterizzata da variabili qualità sonore, e in grado di evidenziare le sue proprietà già ad un superficiale sguardo sulla pagina della partitura, dove i volumi si addensano e si diradano, dove spessori e densità, accumulazioni e rarefazioni sono immediatamente individuabili.56

Se il riferimento pittorico in Donatoni è assente, possiamo nondimeno rilevare, a proposito della sua concezione figurale, una acuta attenzione per le configurazioni grafiche che una partitura può assumere, come se un colpo d’occhio potesse essere in grado di giudicare la qualità sonora di una pagina, come se i movimenti nello spazio delle forme scritte restituissero con immediatezza le masse sonore con le direzioni assunte nello svolgimento temporale (tale sensibilità non è rara fra i compositori). Per Alessandro Solbiati l’apprendimento del concetto di figura non è passato attraverso una spiegazione teorica: Donatoni estrapolò da un quartetto dell’allievo una coppia di pagine, proponendole alla sua attenzione. Da una osservazione comparata fra le due pagine esemplari e le sedici pagine scartate, Solbiati coglie una evidenza grafica: nei fogli scelti da Donatoni le linee degli strumenti, viste nella globalità della pagina, assumono la configurazione di forme romboidali che si susseguono l’una all’altra.57

L’evidenza grafica degli eventi si può reperire senza difficoltà anche nelle partiture di Donatoni: la pagina iniziale di Argot, nostro punto di partenza per un approfondimento analitico del pensiero figurale dell’autore, potrà essere osservata anche a partire da questa prospettiva (cfr. ESEMPIO 6): la sinuosità della linea, il graduale spostamento di registro, l’improvviso fermarsi al grave a metà del sesto rigo, il riprendere a muoversi, sebbene in modo assai più sconnesso, sono caratteri determinanti che hanno una relazione diretta con l’identità figurale del brano prima ancora che con i moduli armonici e le loro permutazioni (come sempre, la musica è costituita da un complesso intreccio di dimensioni differenti dalle variabili interazioni). Altro esempio: se uno sguardo al quartetto La souris sans sourire (cfr. ESEMPIO 7) soprassedesse alla lettura delle singole altezze, non mancherebbe a ogni modi di rivelarci con immediatezza i momenti di addensamento e rarefazione sonora della prima pagina.

Il rapporto fra i codici di trasformazione del materiale e i concreti “frammenti” musicali ricavati dalla loro applicazione costituisce l’argomento di «Processo e figura», saggio di capitale importanza

56 Un esempio palese è la cosiddetta forma a clessidra, in brani come «Gretchen am Spinnrade» dalla Rapsodia per

soprano, contralto e orchestra del 1994 (cfr. Gianluigi MATTIETTI, Geometrie di musica, cit., pp. 172-181).

57 «Quello era, in nuce, il concetto di sostituzione del concetto di figura musicale, di evento musicale, a un pensiero di tipo tematico: succede qualcosa, succede che si parte dal centro del registro, si dilata, si contrae, si torna al silenzio. [Donatoni] mi voleva in qualche modo traghettare verso una concezione figurale» (intervista a Alessandro SOLBIATI [3a]).

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che, prendendo le mosse da considerazioni di natura didattica, delinea il terreno di riflessione di Donatoni e dei suoi allievi all’inizio degli anni Ottanta.

Per figura intendo – allargando al massimo il significato della parola – qualsiasi frammento nel quale il livello di articolazione consenta di riconoscerne l’identità tipologica, non come organismo individuale tematicamente e soggettivamente connotato ma come singolarità riconoscibile nelle determinazioni che sono proprie alla sua connotazione generalizzata. Si potrebbe anche dire che la figura non è dotata di individualità ma esiste soltanto in una condizione di reale o presunta staticità. […] Da quanto precede sembrerebbe che la figura emerga automaticamente da una serie di operazioni codificanti e si ponga, perciò, come fine ed esito della manipolazione iniziale. Non solo: che la manipolazione iniziale si manifesti come una successione di operazioni astrattamente combinatorie del tutto avulse dalla realtà notazionale e acustica della figura. Dall’atto compositivo, al contrario, mi sembra del tutto inesatto divaricare processo e figura, non meno che vedere in essi un cammino a senso unico.58

Ancora una volta, il nesso fra tematismo e direzionalità temporale, contrapposto alla natura tendenzialmente statica della figura, è un presupposto primario. Donatoni sembra tratteggiare un sistema ciclico: momento cruciale è l’osservazione del materiale dato, che suggerisce, mediante la sua concreta configurazione, delle possibilità di elaborazione. La figura “suggerisce” il processo da attuare. Si tratta di un passaggio cruciale, perché spiega l’economia degli esiti creativi di Donatoni: le figure che si vengono a formare vengono a loro volta osservate con un occhio attento a semplici relazioni combinatorie di natura intervallare e ritmica, mediante una tecnica che, al confronto con le matrici strutturaliste degli anni Cinquanta e Sessanta, appare decisamente depurata e snellita. Poiché i procedimenti di generazione automatica – ovvero i “processi” – sono selezionati da una gamma tutto sommato ristretta, e interiorizzata da anni di pratica artigianale, i risultati della loro applicazione – le “figure” – sono anch’essi nettamente profilati e chiaramente identificabili. Lo “stile personale” di Donatoni, la sua “riconoscibilità”, e anche la sua “facilità”, cui Pierre Boulez fa acutamente riferimento,59 sono determinati da un implacabile processo di condensazione che col passare degli anni stringe in modo sempre più inestricabile le cause agli effetti, l’antecedente al conseguente. Imprevedibile, e non imitabile, è invece l’invenzione sonora sempre viva e attenta, e il senso acuto della drammaturgia formale: anche se di tali aspetti Donatoni, a quanto sembra, non parlava esplicitamente, li ritroviamo quale base ineludibile del suo discorso didattico.60

58 FrancoDONATONI, «Processo e figura», Fiesole 1981; in ID., Il sigaro di Armando, cit., pp. 83-86: 84.

59 Pierre BOULEZ, in Donatoni, a c. di Enzo Restagno, EdT, Torino 1990 p. 240.

60 Cfr. intervista a Cristina LANDUZZI, [31]: «Allora, se c’è un’architettura generale, e questo lo presuppongo dal modo che aveva effettivamente di scrivere, quindi quello di creare dei percorsi a lungo termine di strumenti guida o di materiali estrapolati da un altro brano – metteva, chessò, un accordo a pagina 1, un altro a pagina 7 –, questo mi fa pensare che lui avesse effettivamente un’idea generale di come si muoveva la composizione; che però non ci ha mai trasmesso esplicitamente: cioè non ci ha mai detto: “Io faccio così, penso cosa succederà dopo, e poi...”. Di questo non ha mai parlato, perché gli interessava molto questo gioco di inventiva locale. Questo sì! Allora mi fa pensare che quello non sia mai mancato».

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Il fondamento di ogni figura è nell’anonima semplificazione dell’ornamento: materiale senza identità ma generatore di forme identificabili.61

L’uscita dalla fase indeterministica si concretizza in una scrittura che, secondo il modello psicanalitico, lascia emergere dal profondo «le figure dell’inconscio».62 Le immagini che Donatoni, per associazione, connette alle scelte compositive, possono essere di grande concretezza: il culmine sonoro conclusivo di Duo pour Bruno (1975) trova un corrispettivo piuttosto prosaico nel ruggito che apre i film della Metro-Goldwin-Mayer.63 Anche in questo caso conviene porre attenzione al livello di discorso su cui siamo situati: l’immagine del ruggito (che dobbiamo supporre carico di risonanze terrificanti) non informa le figure minute, le cellule base della costruzione musicale, su cui è solito soffermarsi Donatoni, ma piuttosto sintetizza icasticamente il “carattere sonoro” di un’intera sezione musicale. In questo particolare e felice caso il “carattere sonoro”, stringendo una relazione inscindibile con la forma, raggiunge un culmine in cui al dispiegarsi dell’intera massa orchestrale corrisponde l’ineluttabile consumarsi della catastrofe.

Passata la metà degli anni Settanta, registriamo un graduale e fluido mutamento degli indirizzi poetici, cui corrisponde una trasformazione della tecnica. Se osserviamo l’inizio di un brano, ci troviamo di norma davanti ad una situazione di scarsa complessità: nell’ESEMPIO 6, tratto da Argot,