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Stravinskij, Bartók, organicità, idee di tempo, tassonomia tecnica

Riferendosi ad una «piana e serena confessione» di Igor Stravinskij,162 Donatoni afferma:

Non si può leggerla senza indispettirsi, per l’emozione che desta e per l’adesione che accoglie da parte dello scrivente: “Sarei stato più tagliato per la vita di un piccolo Bach, una vita nell’anonimato, componendo regolarmente per un incarico preciso e per Iddio”.163

Si delinea uno stato in cui la composizione trovava assieme una giustificazione sociale immanente (servire la comunità luterana di Lipsia, istruire i giovani) e una funzione spirituale trascendente (lodare Dio). Uno stato in cui, per usare i termini di Adorno, il momento soggettivo e il momento oggettivo non erano scissi, ma al contrario si rafforzavano reciprocamente. Donatoni, come Stravinskij, sembra raffigurare e forse vagheggiare una condizione pre-Romantica – senz’altro una condizione pre-beethoveniana – di stampo artigianale: il compositore russo è paragonato al carpentiere che ripara vecchie navi, e non alla figura del demiurgo. L’opposizione

162 Igor STRAVINSKIJ, «Pensieri di un ottuagenario», in Lo Spettatore Musicale, n°2, marzo-aprile 1971.

163 Franco DONATONI, «Igor: il carpentiere e la sua pece» (Siena, 15 agosto 1971); in Chigiana, n°28, nuova serie n°8, 1971, pp. 19-23; in Lo spettatore musicale, n°2-3, Bologna, marzo-giugno 1972, pp. 62-64; in Franco DONATONI, Il

regressivo si scioglie: anche per Stravinskij (Stravinskij riletto da Donatoni), il materiale musicale è un “già dato” di cui impadronirsi e da adoperare, fin quando è utile, per un “viaggio musicale”.

Donatoni scrive all’inizio degli anni Settanta: il materiale è destoricizzato, un qualunque relitto musicale può essere rimesso in sesto pur senza negare il suo destino di relitto. Quanto più forte si impone la necessità di andare avanti, di proseguire in linea retta lasciando il passato alle spalle (e in Donatoni si troveranno non di rado passaggi che richiamano il caminar di Luigi Nono),164 tanto più inevitabile è avvertire il fatale tornare sui propri passi, come se il percorso del compositore fosse inscritto in un’orbita circolare dalla quale è impossibile deviare.

Stravinskij muove inoltre una critica molto puntuale alle strutture temporali della Nuova Musica. In essa il movimento ha una natura essenzialmente statica: i singoli elementi sono strutturati in modo tale da poter generare movimento, ma le strutture complessive mancano di direzionalità.165 Tale critica, svolta in termini analoghi ma con i toni aspri di una severa dissezione, si trova anche in «Invecchiamento della musica moderna» di Adorno.166

Troviamo in Schönberg la metafora organica quale metodo per illustrare la relazione tra le parti di una composizione musicale. Tale relazione è funzionale: ogni sezione ha un preciso scopo nel contesto globale, e tale contesto si chiarisce mediante le differenti tipologie di nesso fra elementi analoghi ed elementi contrastanti.

164 Nel 1970 Donatoni scrive: «Dopo i linguaggi della musica c’è un deserto che offre false piste e oasi inesistenti: unica legge è il moto, per chi sa di non arrivare. Le piste, d’altronde, sono tutte false, non esiste una pista che non sia falsa: chi le evita tutte, indica una falsa pista a chi lo segue. È necessario tuttavia incamminarsi, ritornando incessantemente a cancellare le orme» (Franco DONATONI, Questo, cit., p. 17). «La “tensione” certamente continuerà perché dimentico le vie da poco battute, ma nonostante la strada sia per me sempre nuova, pure si potrà dire che sarà sempre la stessa. Io cammino per camminare, non per giungere in qualche posto. E per vivere, continuo a scrivere» (Franco DONATONI, «La tensione del labirinto», cit., p. 124). Il topos del cammino compare fin dagli albori della Nuova Musica – tacendo i riferimenti a Schubert –: a proposito delle modulazioni in cui la tonalità di arrivo non è ben definita, trattandosi di successioni armoniche “in movimento”, Schönberg dichiara: «confesso che ritengo questo “essere in cammino” come una delle caratteristiche più importanti di un periodo musicale vivo, e che lo ritengo a volte più importante di una direzione precisa verso uno scopo determinato. In fondo, anche noi ci muoviamo senza sapere dove arriveremo» (Arnold SCHÖNBERG, Manuale di armonia, cit., p. 214). È del resto difficile trovare altre analogie fra Nono e Donatoni: Donatoni mai avrebbe potuto scrivere, come faceva Nono sullo spartito di La fabbrica illuminata destinato a Liliana Poli, una indicazione del tipo: «suoni bellissimi!!!!!» (sic! La parte è conservata presso l’Archivio Luigi Nono di Venezia, segnatura VE ALN 27 17 02, e risale alle riprese del 1965, post Carla Henius). In Donatoni è assai arduo trovare una qualsiasi indicazione sulla qualità sonora che esuli dai tradizionali segni dinamici, dalle agogiche (esclusivamente limitate ai metronomi) e dalle accurate articolazioni (staccato, accentato, tenuto, e così via).

165 Igor STRAVINSKIJ, «Pensieri di un ottuagenario», cit.

166 «Finchè la musica continuerà a svolgersi nel tempo, essa è dinamica al punto da rendere non-identico, in virtù del proprio decorso, ciò che era identico, e, al contrario, di rendere identico ciò che era non-identico, come potrebbe essere ad esempio una ripresa abbreviata. Quello che nella grande musica del passato è detto “architettura” si basa appunto su elementi di questo genere, e non su rapporti di simmetria puramente geometrici. […] I costruttivisti “puntuali” non ammettono […] che i rapporti temporali si impongano contro la loro stessa volontà, dando un valore spaziale del tutto diverso a ciò che appare identico sulla partitura. Il sicuro equilibrio che hanno calcolato sulla carta non si realizza, e la loro esorbitante necessità di sicurezza distrugge la sicurezza stessa. L’equilibrio dei vari elementi musicali è troppo esatto in senso statico e viene perciò rovesciato dalla dinamica immanente della musica, che si sottrae perciò all’effettivo decorso musicale, l’unica cosa che importi veramente dal punto di vista artistico» (Theodor W. ADORNO, «Invecchiamento della musica moderna», cit., pp. 167-168).

In senso estetico, il termine «forma» significa che il pezzo è «organizzato», e cioè che è costituito da elementi che funzionano come quelli di un organismo vivente. […] I requisiti essenziali alla creazione di una forma comprensibile sono la logica e la coerenza: la presentazione, lo sviluppo e i collegamenti reciproci delle idee devono essere basati su relazioni interne, e le idee devono essere differenziate tra loro in base alla loro importanza e alla loro funzione. Inoltre, è possibile afferrare solo ciò che si può ritenere a mente, e le limitazioni della mente umana impediscono all’uomo di afferrare qualcosa che sia troppo esteso. Per questo una articolazione appropriata facilita la comprensione e determina la forma.167

Del tutto analoga la prospettiva di Anton Webern (anch’egli, come il suo maestro, leggeva Goethe), che ha lasciato in eredità ai compositori e agli esegeti del secondo dopoguerra l’immagine feconda e ambigua della pianta primordiale (Urpflanze), e le annesse connotazioni di unitarietà, di connessione fra le parti, di funzionalità reciproca.168 Ritroviamo anche in Donatoni la metafora organicistica: essa è però riferita alla musica di Béla Bartók, e in particolare al Quarto Quartetto; ed è appunto il Quarto Quartetto, ascoltato per radio nel lontano 1949, con il commento di Guido Turchi, assieme a poche altre partiture (la Musica per archi, percussioni e celesta, la Sonata per due

pianoforti e percussioni) a costituire per Donatoni l’immagine bartókiana, rivelazione che feconderà successive conquiste e costituirà un vero e proprio modello di pensiero. Viene tracciata a questo proposito una via alternativa alla variazione in sviluppo, poiché le matrici riconosciute in Bartók si intendono opposizione al pensiero di Schönberg, all’indagine tematica e alle successive derivazioni dodecafoniche. Tali matrici vengono così definite:

1. esposizione della cellula e crescita dell’organismo; 2. crescita e non sviluppo: conservazione del frammento; 3. giustapposizione di organismi: mutamento, non evoluzione;

4. stasi della pulsazione, tempo continuo, condizione “notturna”, rumore, sussurro, vibrazione come mobilità timbrica in uno spazio immobile.169

Donatoni rintraccia in Bartók una forma di serialità modulare, non motivica e non dodecafonica. Possiamo prendere come esempio l’incipit del Quarto Quartetto, con la linea del Violino I (ESEMPIO 1), dove un modulo di tre suoni costituito da una seconda minore ascendente e una terza minore

167 Arnold SCHÖNBERG, Arnold SCHÖNBERG, Elementi di composizione musicale, a c. di G. Strang e L. Stein, trad. it. di G. Manzoni, Suvini-Zerboni, Milano 1969, p. 1; corsivo dell’autore.

168 «La base non muta, ma appare in forme sempre diverse. Tutto questo ha uno stretto rapporto con la concezione goethiana secondo cui in ogni avvenimento naturale vi sono e si possono rintracciare delle leggi e dei significati. Nella

Metamorfosi delle piante si trova espresso, molto chiaramente, il pensiero che tutto deve essere somigliante a quanto accade in natura, così come noi lo vediamo espresso dalla natura stessa nella forma specifica dell’uomo. […] E che cosa si realizza in questa concezione? Che tutto è un’unica realtà: radici, stelo, fiori» (Anton WEBERN, Il cammino verso la

Nuova Musica, cit., p. 64). Nell’ultimo movimento della Nona Sinfonia di Beethoven «accadono cose incredibili, e tutte derivano dalla stesa base! Come la Urpflanze di Goethe: le radici altro non sono che il gambo, il gambo altro non è che la foglia, la foglia altro non è che il fiore: variazioni dello stesso pensiero» (ivi, p. 90).

discendente costituisce una cellula di base. Tale cellula viene sottoposta ad una prima operazione di accrescimento, utilizzando la terza minore come perno attorno al quale far ruotare la seconda minore per conquistare il Mi, passando da tre a quattro suoni. Un’altra relazione interna alla cellula di base può essere rintracciata nella terza diminuita (≈ seconda maggiore) discendente fra Fa e Re diesis. La seconda maggiore discendente collega anche il Fa diesis al Mi, e si espande poi verso il basso toccando il Re e il Do. Il primo suono della serie (Fa) e l’ultimo suono cui siamo giunti (Do) distano una quarta discendente. Lo stesso Do viene impiegato come perno dell’intervallo di quarta per toccare il Sol. Non è complesso spiegare attraverso analoghi meccanismi anche l’ultimo suono della figura, il Mi bemolle. È invece più fertile un ragionamento sulla morfologia che governa una sequenza pur tanto breve. I segni di articolazione (tenuto e legato) indicano una bipartizione, con un rapporto di proposta e risposta fra i primi quattro suoni e gli ultimi quattro. Una suddivisione ancora più minuta raggruppa i suoni due a due: prima per seconde minori ascendenti, separate dalla terza minore discendente, e contenute in un ristretto ambito di registro, poi per discese di coppie di suoni legati, prima con una seconda maggiore poi con una terza maggiore, in una progressiva espansione intervallare.

ESEMPIO 1) Béla BARTÓK, Quarto Quartetto, I, Violino I, bb. 1-2: serialità modulare.

La breve figurazione del Violoncello a b. 7 (ESEMPIO 2) si rivela come vera e propria cellula generatrice del brano: sarebbe difficile affermare che la b. 1 è l’antecedente e la b. 7 il conseguente, ovvero che la figurazione del Violino I sopra analizzata ha priorità concettuale e formale sulla figurazione del Violoncello, perché la centralità della cellula di b. 7 nell’ambito dell’intero movimento è tale da porla su un piano privilegiato. Potremmo invece affermare che le bb. 1-6 si muovono verso la formazione di quello che poi sarà il nucleo generatore primario; ma è pure difficile intendere le bb. 1-6 come introduzione, e la b. 7 come vero e proprio inizio del movimento,

poiché la b. 7 semmai è, a livello morfologico, una scrittura di conclusione: come si può vedere, la strategia formale di Bartók è tutt’altro che lineare.

ESEMPIO 2) Béla BARTÓK, Quarto Quartetto, I, Violoncello, b. 7.

È possibile individuare una relazione seriale fra la figura del Violoncello a b. 7 e figura del Violino I a b. 1. Se assumiamo come cardini della figura esposta dal Violoncello il suono iniziale, il suono finale, e il suono più acuto, dove si inverte la direzione del movimento, ricaviamo di nuovo una cellula di tre suoni data da una seconda maggiore ascendente (Si naturale – Re bemolle) e una terza minore discendente (Re bemolle – Si bemolle).170 L’inversione è uno dei meccanismi basilari dei procedimenti di permutazione: tenendo fissa la cornice dei suoni estremi della cellula (Si bemolle e Re bemolle) il Si naturale, che dista un semitono da Si bemolle e un tono da Re bemolle, può rovesciarsi in Do naturale, che dista un tono da Si bemolle e un semitono da Do. La cellula derivata dall’inversione, Do – Re bemolle – Si bemolle, può essere trasposta a Fa – Fa diesis – Re diesis, una quarta più un’ottava all’acuto, andando a coincidere con la cellula che genere la figura del Violino I.

ESEMPIO 3) relazione fra figura del Violoncello e figura del Violino I.

Il pensiero legato alla serialità modulare si trova alla base di ogni pagina di Donatoni. La sua problematicità è legata, di nuovo, al nesso fra indeterminazione e controllo: è infatti possibile procedere di trasposizione in trasposizione e di permutazione in permutazione, accumulando una certa quantità di materiale (che è anche una determinata massa di tempo).171 Ad un certo momento il materiale reclama però uno sguardo diverso, un diverso tipo di organizzazione. Una volta che la cellula è cresciuta, e dai tre suoni iniziali ha raggiunto le proporzioni di un organismo più articolato, ha anche mutato la sua qualità, le sue funzioni, ha assunto una identità non riducibile alle operazioni della serialità modulare e del pensiero che procede per gruppi di tre o quattro suoni. È a questo punto che si attiva – che deve attivarsi, per proseguire la composizione – un pensiero che

170 Anche in questo caso i segni di articolazione (tenuto-staccato e legato con staccato finale) confermano la suddivisione in due gruppi di tre suoni ciascuno.

171 Anche i titoli dei brani incidono sulla storia della musica: con Zeitmaße Karlheinz Stockhausen ha coniato forse il titolo più rappresentativo della musica del ventesimo secolo (le sue risonanze non si sono ancora estinte).

contrasta l’entropia del processo estemporaneo di derivazione seriale: il pensiero che governa la globalità della forma è praticato da Donatoni, eppure viene descritto con una certa reticenza, senza l’ossessione terminologica delle tecniche riguardanti la proliferazione degli elementi minuti. In

Etwas ruhiger im Ausdruck la complessiva quadripartizione ha una natura e delle funzioni ben precise, determinando uno strato formato da quelli che abbiamo definito quattro sovra-codici in grado di sintetizzare il globale decorso degli eventi; To Earle Two si lega alla formula delle “quarantaquattro forme in deperimento organico” che risuona come un’indecifrabile ossessione;172 in Duo pour Bruno abbiamo lo schema delle 10 sezioni da 13+1+13 battute ciascuna, più 2 battute di coda (in totale 272 battute), e abbiamo assieme un’immagine che sintetizza il percorso del brano: il decorso della malattia, con il graduale espandersi della battuta-perno sulle 13 misure precedenti e seguenti, come cellule cancerogene che aggrediscono l’intero organismo (immagine quindi legata al dedicatario Bruno Maderna scomparso a soli cinquantatre anni).173 L’idea di una “forma che si autogenera”, legata alla metafora organicistica, deve essere quindi contestualizzata con una certa cautela: talvolta realizza un ben preciso progetto, talvolta corrisponde piuttosto alla suggestione di un’immagine, ma in nessun caso è “lasciata a sé stessa”.

172 «Quali e quante che siano le matrici, la messa in evidenza potrà o dovrà seguire un ordine logicamente organizzato, oppure progressivo di denaturazione o di deperimento, sino a un punto-limite che chiuderebbe la circonferenza? Ebbene, nonstante spesso mi torni martellante una locuzione non bene identificata e priva di senso – “quarantaquattro forme in deperimento organico” – nonostante i ripetuti “casi fortuiti” che recano la presenza esistenziale della quaternarietà (come non accorgersi, ad esempio, che poco fa ho distrattamente scritto: 16-4-71?), nonostante altre insensatezze che potrebbero suggerire l’ipotesi di una ripetitiva circolarità quaternaria (To Earle Two è anche twirl

tw…), è mio obbligo ineschivabile precisare che ogni eventualità di montaggio o di impaginazione forzata […] è, da anni, del tutto estranea alla pratica compositiva dello scrivente (posso ammettere che esista l’inclinazione contraria, la quale inevitabilmente fa le boccacce all’altra e talvolta le gioca dei tiri birboni – i buffoni del re sono sempre due)» (Franco DONATONI, «Frammento interanalitico di un futuro anteriore», cit., pp. 60-61). Anche in questo caso la difficoltà irresolubile del rapporto fra automatismo e determinazione deve essere rivelata di sfuggita, fra parentesi. Sul carattere esistenziale della numerologia, cfr. par. II.4.

173 Cfr. Aurelio SAMORÌ, op. cit., pp. 28-29. Correttamente Harry Halbreich osserva che in questo brano agisce una doppia dinamica, centrifuga a livello “medio” (il livello delle singole sezioni, dove la battuta centrale di cerniera deborda progressivamente sulle due metà che la precedono e la seguono), e direzionale a livello “globale”, manifestandosi come una «possente gradazione che raggiunge la grande vetta della fine del lavoro» (cfr. Harry HALBREICH, «Tre capolavori orchestrali di Franco Donatoni. Voci – Duo pour Bruno – Arie», p. 206). La forma ciclica (dieci sezioni, ognuna una rilettura della precedente) è funzionale alla narrazione di una storia patologica, come se ci venissero presentate le fotografie di dieci stadi successivi della malattia: pertanto, non un fluido procedere senza soluzioni di continuità, ma un montaggio di dieci momenti diversi, in cui rivediamo sempre lo stesso corpo, e sullo stesso corpo leggiamo di volta in volta l’aggravarsi dei sintomi. Sarebbe arduo stabilire in quale misura l’inequivocabile senso di direzionalità globale – il precipitare verso la tragedia – è effetto della pianificazione di una strategia complessiva, e in quale misura è effetto di una “forma che si autogenera” istante per istante durante la redazione della partitura. Anche Aurelio Samorì oscilla fra due interpretazioni: da una parte riconosce in Duo pour Bruno «un grande ordine, ovvero […] una struttura formale forse preordinata o premeditata» (Aurelio SAMORÌ, op. cit., p. 33), e afferma che «nel periodo in cui Donatoni ha composto questo capolavoro probabilmente preordinava la forma» (p. 35), ma ritiene anche che Donatoni abbia «preordinato la struttura generale, e non i vari percorsi all’interno della struttura» (p. 36); in altri termini, ha pianificato l’impalcatura globale (le dieci sezioni), e ha lasciato all’invenzione estemporanea il livello “medio” e il livello “microformale”. L’immagine inesorabilmente direzionale del decorso patologico – forse la sola vera e propria immagine direzionale dell’intera opera di Donatoni – ha influenzato e convogliato in un’unica traiettoria tutti i livelli compositivi.

Volendo precisare la differenza fra Urpflanze di Webern e serialità modulare di Bartók, dovremmo osservare che in Webern la forma è concepita come un’unità in cui ogni singolo elemento è connesso all’idea principale del brano, ogni parte è variante del medesimo nucleo (sia esso il tema, sia, con la dodecafonia, la serie), come un cerchio che ruota attorno al centro costituito dall’idea musicale. In Bartók – o meglio: nell’immagine bartókiana tratteggiata da Donatoni – si delinea invece una traiettoria rettilinea, un procedere in avanti, elemento dopo elemento, modulo dopo modulo, in progressiva espansione e ramificazione.174 La traiettoria rettilinea può essere poi piegata su sé stessa, in forma di spirale;175 il concetto di pannello, dove il cammino già affrontato viene ripercorso e trasfigurato, si riallaccia inoltre all’idea stockhauseniana di Momentform: l’idea ad esso sottesa è che il tempo non scorra uniformemente (tempo delle lancette degli orologi) ma sia costituito invece da una sequenza di istanti congelati (tempo degli orologi digitali).176

La composizione a pannelli è un tempo circolare che subisce una variazione di angolatura, si tratta quindi di un movimento a spirale. […] Tutte le trasformazioni che ritornano su sé stesse non tornano mai esattamente nel punto di partenza. […] La prima forma non potrà mai ripetersi: la sostanza rimane ma la forma è eternamente cangiante.177

Il fatto che la cellula dell’incipit del Quarto Quartetto consti di tre suoni, come non di rado accade in Webern (la formula «seconda minore ascendente – terza minore discendente» è peraltro tipicamente weberniana), non implica la suddivisione del totale cromatico in quattro elementi di tre suoni ciascuno: in Bartók il totale cromatico viene sostituito da parziali del totale cromatico. Il tematismo viene negato, e di conseguenza, al di fuori del tematismo, l’intervallo non è più portatore di volontà espressiva e quindi di soggettività, ma è caratterizzato principalmente da funzioni dinamiche di crescita mediante ripetizione variata (trasposizioni e permutazioni) che generano incrementi di densità. In tal senso, la crescita prende il posto lasciato vuoto dallo sviluppo, l’unità cede alla moltiplicazione del frammento, l’esito formale è progressiva esplorazione e non attuazione

174 Per questi motivi non possiamo concordare con Cacciari che, vedendo nella Urpflanze weberniana l’opposto di una forma a-priori, di una idea teleologicamente predeterminata, coglie in essa il divenire che esprime la molteplicità di forme vitali che si riconoscono in un processo unitario (Massimo CACCIARI, Krisis, cit., p. 129): tale prospettiva esprime piuttosto il pensiero compositivo bartókiano.

175 Nella costruzione ciclica di To Earle Two «il ricominciamento degli stessi processi […] potrebbe esorcizzare l’eventualità del decorso rettilineo, correggendone la gittata sino alla circolarità (To Earle e anche twirl…). In una forma in movimento, però, la stessa circonferenza non passa mai per gli stessi punti» (Franco DONATONI, «Frammento interanalitico di un futuro anteriore», cit., p. 60). Nella forma in movimento della ruota, il punto posto sulla