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2.1) Le teorie della figura: Sciarrino e la Figurenlehre rinascimentale e barocca

Alcuni concetti “fanno epoca”. Nella seconda metà del ventesimo secolo il proliferare delle tecniche è strettamente legato al proliferare dei concetti: si tratta di una proliferazione talora meramente terminologica; talora, il lessico segnala invece un momento dirimente della dialettica estetica. Fra i concetti della musica dell’ultimo quarto del ventesimo secolo, la figura gode di un particolare rilievo: è uno dei segni distintivi del superamento assieme del serialismo e dell’indeterminazione. Se pure ogni compositore ha inteso questa categoria in modo personale, giungendo persino ad accezioni antitetiche, possiamo nondimeno individuare alcune prospettive comuni: a differenza degli aspetti compositivi prettamente legati all’armonia, la figura offre in genere una maggior possibilità di essere isolata e analizzata nelle sue articolazioni. Il nostro itinerario non sarà cronologico: la teoria figurale di Sciarrino, dalla quale iniziamo il tragitto, metterà in luce una problematica che possiamo rintracciare fin dalla Figurenlehre rinascimentale e barocca. Nel periodo classico, e fino alla Seconda Scuola di Vienna, la figura cede il passo alle idee di tema e motivo, per poi riacquisire un ruolo centrale alla fine del ventesimo secolo.

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Salvatore Sciarrino adotta il termine figura per illustrare differenti tipologie di costruzione del discorso formale. La figura ha una funzione sintattica:3 essa organizza il discorso formale. Elenchiamo in sintesi alcuni casi teorizzati. Nel processo di accumulazione, gli elementi costitutivi del tessuto musicale «tendono ad aggregarsi caoticamente ed in modo eterogeneo. Se troncati, [tali processi] in quel punto formano un apice; spesso raggiungono un punto di saturazione o di rottura, preparano un’esplosione nella quale l’energia si disperde. A causa dell’aumento di energia, durante questi processi il tempo sembra accelerare, subisce come un contrazione».4

Nei processi di moltiplicazione assistiamo invece a «crescite ordinate, fatte di elementi omogenei. Crescite di apparenza meno energetica [rispetto al processo di accumulazione], in esse il tempo pare dilatarsi. Proprio sopra questa stasi viene tessuta la moltiplicazione, e la musica sembra galleggiare nello spazio».5 I processi di accumulazione e i processi di moltiplicazione vengono definiti, in analogia al campo fisico, «fenomeni di regime»,6 perché la percezione si concentra sull’insieme, tralasciando le componenti minute. Diverso il caso rappresentato dall’incipit di Don, da Pli selon pli di Boulez: il singolo breve fortissimo dell’intera orchestra che lascia dietro di sé un alone degli archi da cui emerge fluttuando il canto, è una forma di Big bang musicale, ed è al contempo l’emblema dell’atto demiurgico che pone in essere un’opera “monumentale”7 per vastità e impegno. Però possiamo avere anche un Little bang, infatti «non è necessaria un’esplosione gigantesca perché vengano associate le due componenti, quella più energetica e la sua scia, l’esplosione e i frammenti che essa scaglia. Il bang può essere veramente un piccolo bang, circoscritto a dimensioni ed effetto più brevi. Basta poco perchè un elemento sembri prendere una posizione di supremazia e attragga gli elementi deboli. Viceversa, questi sembrano gravitare nell’orbita dell’evento di peso maggiore».8 Il Little bang è, in termini più generali, un evento che, per quanto minimo, istituisce una gerarchizzazione rispetto agli elementi circostanti, che si pongono nei suoi confronti in un rapporto di subordinazione percettiva.

3 Salvatore SCIARRINO, Le figure della musica. Da Beethoven a oggi, Ricordi, Milano 1998.

4 Salvatore SCIARRINO, Le figure della musica, cit., p. 27. Esempi di processo di accumulazione sono l’incipit della Nona Sinfonia di Beethoven (1824), il Prologo dall’Oro del Reno (1854) e il Finale dell’Atto II dei Maestri cantori di

Norimberga (1867) di Wagner, Gruppen di Stockhausen (1957). Sciarrino cita inoltre la pittura materica di Jackson Pollock.

5 Salvatore SCIARRINO, Le figure della musica, cit., p. 27. Derivati dal pensiero contrappuntistico, i processi di moltiplicazione per eccellenza sono il canone e la fuga, ma anche la micropolifonia di Ligeti e brani come il «Lever du jour» da Daphnis et Chloé di Ravel (1912), Vers la flamme di Scrjabin (1914), Partiels di Grisey (1975).

6 Salvatore SCIARRINO, Le figure della musica, cit., pp. 23-27.

7 Dahlhaus riferisce esemplarmente il concetto di “monumentale” alla Nona Sinfonia di Beethoven (cfr. Carl

DAHLHAUS, Beethoven e il suo tempo).

8 Salvatore SCIARRINO, Le figure della musica, cit., p. 68. Esempi di Little bang si trovano in Kontra-Punkte di Stockhausen (1953) e nella Sonata II per pianoforte di Sciarrino (1983); ma aggiungeremmo anche l’inizio di Vortex

temporum I di Grisey (1994-96), dove gli impulsi iniziali del pianoforte generano il riverbero pulviscolare del flauto e del clarinetto.

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Le trasformazioni genetiche sono «qualcosa che senza posa si modifica. […] Una quantità di trasformazioni […] che diviene mutazione qualitativa»:9 l’esempio per eccellenza si trova nel Tema con Variazioni, che può dar luogo ad esiti diversificati come il quarto movimento (Andante, ma non troppo e molto cantabile) dal Quartetto op. 131 di Beethoven (1826), Come out di Reich (1966),

Prologue di Grisey (1976). La forma a finestre è infine una sorta di «discontinuità spazio-temporale»,10 che interrompe una sequenza creando un richiamo ad un evento già avvenuto o prefigurando uno scenario che si deve ancora aprire.

Questo sintetico elenco non rende certo piena giustizia alla varietà di scenari e suggestioni evocata da Sciarrino, rafforzata dal continuo raffronto con differenti esempi dei più eterogenei campi della creatività dell’uomo (pittura, scultura, tessitura, arti applicate, architettura, cinema), in una ricerca spesso illuminante delle possibili costanti del pensiero, sempre teso a dar forma al mondo e a cercare un equilibrio, per quanto precario, fra le simmetrie e le asimmetrie. Si evidenziano nondimeno alcuni punti di riferimento: le categorie sopra descritte possono dirsi

formali in quanto il loro scopo è la definizione delle modalità di ascolto dei rapporti fra gli eventi musicali, mentre la natura del singolo evento ha un ruolo secondario. La varietà di configurazioni che si possono sussumere nella diverse figure delineate da Sciarrino è assieme circoscritta e inesauribile. La loro forza esplicativa è legata inoltre alla possibilità di schematizzare delle arcate formali: lampante in questo senso è il raffronto fra processo di accumulazione e processo di moltiplicazione, dove il secondo determina una situazione statica, mentre il primo è indirizzato verso un culmine.

La teoria delle figure elaborata da Sciarrino si basa su un’analisi che potremmo definire “sintattica”, in quanto definisce delle tipologie di relazione fra eventi musicali: in essa viene dichiaratamente privilegiato l’aspetto generale delle configurazioni formali complessive al particolare delle cellule costruttive minute, delineando delle categorie corrispondenti a precisi fenomeni percettivi.11 Tale prospettiva determina però un’ambiguità con un altro fronte molto noto della poetica di Sciarrino: la sua tecnica compositiva, basata su progetti abbozzati in forma grafica mediante schematizzazioni di configurazioni melodiche, o più precisamente schematizzazioni di diverse tipologie di inviluppo di impulsi musicali, raffiguranti transitori, zone di registro, durate,

9 Salvatore SCIARRINO, Le figure della musica, cit., p. 79. Sciarrino parla anche di forme ad elenco, di variazione

modulare, e cita esempi figurativi: Three Studies of the Human Head di Francis Bacon (1953), Lettere 1969 di Alberto Burri, le fantasie floreali dei tappeti tribali persiani.

10 Salvatore SCIARRINO, Le figure della musica, cit., p. 99. Si vedano l’incipit del quarto movimento della Nona Sinfonia (1824) e la chiusa del quinto movimento (Presto) dal Quartetto op. 131 (1826) di Beethoven, Hymnen per suoni elettronici e concreti di Stockhausen (1967), Efebo con radio per voce e orchestra (1981) e Cadenzario per solisti e orchestra (1991) di Sciarrino.

11 «Oggi sappiamo che la nostra percezione procede dal generale al particolare. È dunque indispensabile che anche l’analisi musicale risulti coerente col funzionamento della mente umana» (Salvatore SCIARRINO, Le figure della musica, cit., p. 22).

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dinamiche, andamento diastematico (non necessariamente, com’è ovvio, tutti questi parametri assieme).12 Si tratta di elaborazioni grafiche ricche di informazione, in cui spiccano gli elementi discreti appena descritti, che Sciarrino non esita a chiamare, di nuovo, “figure”.

Come rileva Pietro Misuraca, il metodo compositivo di Sciarrino deriva da una procedura di controllo del decorso formale complessivo attuata mediante una riduzione schematica degli eventi,13 e assieme da una personale concezione complessiva del suono:

Parallelamente ma in assoluta autonomia rispetto ai trattamenti globali del materiale d’uno Xenakis o d’un Ligeti, la sua musica si pone quindi in antitesi alla divisione parametrica del metodo seriale; e non si concretizza in relazioni intervallari e in logiche armoniche e contrappuntistiche, bensì nell’articolazione di «grumi già complessi di suoni»,14 che Sciarrino stesso denomina figure: materia timbrica, modi d’attacco, dinamiche, valori ritmici, gesti strumentali vi s’intrecciano inscindibili.15

Emerge quindi un conflitto fra due diversi livelli analitici: da una parte abbiamo, come dicevamo, un livello “sintattico”, dove vengono illustrate le diverse tipologie di nesso fra gli eventi musicali; dall’altra parte troviamo gli elementi discreti del discorso, configurazioni caratteristiche del “lessico” di Sciarrino, che ne rendono immediatamente riconoscibile lo stile. Di questa seconda accezione del termine “figura” possiamo dare due esempi – fra i molti – desunti dalla scrittura vocale:16 il suono lungamente tenuto che, emergendo dal silenzio, arriva a un picco dinamico (anche modesto) per poi sciogliersi in una rapida fioritura discendente (ESEMPIO 1); la breve cellula ossessivamente iterata (ESEMPIO 2).

ESEMPIO 1, Salvatore SCIARRINO, Quaderno di Strada, n°1, lettera F.

12 Per qualche esempio dei diagrammi preparatori, che per la loro particolare fascinazione grafica sono anche oggetto di mostre, si può consultare Pietro MISURACA, Salvatore Sciarrino. Itinerario di un alchimusico, Edizioni Palermo, Palermo 2008. Notiamo che in queste schematizzazioni è in genere assente il riferimento ad altezze determinate.

13 L’idea di poter controllare il decorso degli eventi musicali tramite una riduzione grafica che racchiude nello spazio di un foglio una struttura sonora che si dispiega nel tempo è certo debitrice delle attitudini pittoriche di Sciarrino, ma non esaurisce in tale constatazione la propria problematicità. «Pour Sciarrino, les diagrammes ont la fonctions de projeter une pièce, d’en avoir une vision globale, avec le contrôle (d’un coup d’œil) de tous les événements. [...] Si le but de analyse était de suivre les processus sonores, nous devrions plutôt parler d’une synthèse de l’écoute» (Grazia GIACCO,

La notion de « figure » chez Salvatore Sciarrino, L’Harmattan, Parigi 2001, p. 45).

14 Salvatore SCIARRINO, «Conoscere e riconoscere», in Hortus Musicus, anno V, 2004, n°18, p. 54.

15 Pietro MISURACA, Salvatore Sciarrino, cit., p. 21. Anche Martin Kalteneker accosta a Sciarrino i nomi di Ligeti e Xenakis, ponendoli in contrapposizione con il serialismo post-weberniano e parlando di «tout un héritage gestaltiste, une conception non-vectorielle de la forme, qui rapproche Sciarrino de Ligeti et Xenakis, et qui, à considérer les éléments, pense par groupes et grappes, calculant l’indifférence naturelle de la perception à certains détails où d’autres compositeurs ancrent la justification même de leur langage» (cfr. Martin KALTENEKER, «L’exploration du blanc», in

Entretemps n°9, dicembre 1990, pp. 107-116: 115).

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ESEMPIO 2, Salvatore SCIARRINO, Quaderno di Strada, n°3, bb. 37-38.

Fra le due definizioni di “figura” sopra esposte esiste evidentemente, assieme a un rapporto di complementarietà, una differenza qualitativa. Le minute “figure lessicali”, sorta di elemento base del pensiero compositivo, vengono disposte e ordinate nella pagina configurando delle “figure sintattiche” selezionate secondo una accurata strategia, che delinea la forma del brano. Abbiamo dunque due livelli che interagiscono reciprocamente.

In base a tale distinzione, è necessario osservare nuovamente l’ESEMPIO 2: dobbiamo riconoscere, a questo punto, che la vera e propria “figura lessicale” è la singola cellula di quattro suoni; la sua iterazione è già una ben precisa “figura sintattica”, che potremmo sussumere nella categoria dei processi di moltiplicazione, in quanto delinea una strategia formale basata su una situazione di staticità, di “tempo sospeso”. Allargando lo sguardo per valutare l’economia della pagina, colpisce la pervasività del procedimento e l’estrema parsimonia della scrittura: gli interventi dei tre strumenti (Flauto basso, Viola e Violoncello) si giocano sul medesimo gruppetto, in una sorta di eco infinitamente prolungata (cfr. ESEMPIO 3). Il testo di questo brano ha valore programmatico: “smarrita la misura delle figure più grande […] ché da quelle nasse [nasce] tutto l’ordine dell’opera”.17 Si fondono in questo luogo, in un atto sintetico che non risolve la natura dialettica del problema, le due concezioni della figura: dalle “figure più grande” (le figure sintattiche) nasce “l’ordine dell’opera”; al contempo, il concetto di “figuralità” è veicolato, in quanto idea sonora, dall’esile gruppetto di quattro suoni (la figura lessicale). Secondo Sciarrino, nella musica come nelle altre arti «les principles d’organisation sont conceptuels: ils sont abtraits et ils peuvent êtres retrouvés dans n’importe quel genre de langage humain».18 Una fondamentale chiarificazione viene dalla idea di concetto musicale formulata da Sciarrino:

I musicisti ritengono che la musica sia astratta e non esprima concetti precisi: questo è il nucleo delle opinioni correnti, comuni allo strumentista come ai teorici più fini. Strano che non ci si renda conto dell’incongruenza di affermazioni simili. Un linguaggio non può essere allo stesso tempo astratto e aconcettuale, in quanto lo strumento di cui l’uomo si serve per astrarre è appunto il concetto. […] Come mai […] il musicista esclude qualsiasi rapporto

17 Il passaggio è estrapolato da una lettera del pittore Lorenzo Lotto alla Congregazione della Misericordia Maggiore di Bergamo (7 febbraio 1526): «como fui giunto qui, volsi comenciar el quadro grande che me rechiedeti e trovai haver

smarrita la misura delle figure più grande che sono fate su l’altro quadro grande del diluvio, onde che senza quella non pote né posso dar luogo minimo principio perché da quelle nasse tutto l’ordine dell’opera» (cit. in Gianfranco VINAY,

Quaderno di Strada de Salvatore Sciarrino, Michel de Maule, Parigi 2003, pp. 65-66).

18 Estratto dalla conferenza all’IRCAM del 21 giugno 1999, in Grazia GIACCO, La notion de « figure » chez Salvatore

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tra musica e concettualità? Io penso che la causa principale sia la formazione scolastica, che è limitata ai particolari e non include princìpi di approccio generale. Il musicista ricerca la concettualità a livello grammaticale, ed è un’impresa impropria, oltre che vana. Egli non può che constatare che al vocabolo musicale non corrisponde un concetto preciso, e a tale constatazione s’arresta. 19

In essenza, il concetto musicale è quindi veicolato da quelle che abbiamo definito “figure sintattiche”, e però esso trova la sua unica possibile concrezione sonora nelle “figure lessicali”. Hoffmansthal, nella celebre massima in cui, riconoscendo che la profondità deve essere celata, individua nella superficie l’unico possibile nascondiglio,20 mi sembra aver tratteggiato una interpretazione pertinente di questo fenomeno. D’altra parte, la difficoltà insita nell’equivalenza fra astrazione e concettualità può essere risolta solo se consideriamo la figura non come veicolo del

concetto, ma come essa stessa concetto musicale (la difficoltà, semmai, è uscire da un circolo di tautologie senza cadere nell’orbita dell’inesprimibile attorno alla quale oscilla ogni discorso sul significato della musica).

ESEMPIO 3, Salvatore SCIARRINO, Quaderno di Strada, n°3, bb. 36-41.

Nella monografia dedicata al ciclo Quaderno di strada, Gianfranco Vinay coglie il problema, distinguendo con cura le due tipologie concettuali di figura,21 senza però approfondirne le importanti implicazioni teoretiche. La dialettica fra i due diversi livelli di “figure” non viene infatti tematizzata; tanto da cadere, al momento della definizione del metodo analitico, nella tautologia:

19 Salvatore SCIARRINO, Le figure della musica, cit., pp. 121-122.

20 Hugo von HOFMANNSTHAL, Il libro degli amici, a c. di Gabriella Bemporad, Adelphi, Milano 1980.

21 Gianfranco VINAY, Quaderno di Strada de Salvatore Sciarrino, cit.; ad onta di un titolo promettente, il libro di Grazia Giacco sulla figura in Sciarrino offre scarsi lumi in materia, limitandosi sostanzialmente a parafrasare le teorie esposte dal compositore stesso nella sua monografia (cfr. Grazia GIACCO, La notion de « figure » chez Salvatore Sciarrino, cit.).

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J’appelle « figurale » une mélodie qui ne se déroule pas dans la cadre de fonctions harmoniques ou rythmiques, mais par enchevêtrement de « figures » mélodiques.22

Il discorso si chiarifica subito dopo: Vinay rintraccia il prototipo di questo genere melodico nel canto gregoriano, strutturato mediante aggregazione di neumi (definiti «micro-figures»); rammenta che nel Rinascimento e nel Barocco le figure musicali sono rette dall’ars retorica.23 Gli studi di retorica musicale aprono un campo vasto e articolato per la storia e l’analisi degli stili e delle tecniche compositive.24 Una rapida introduzione alle tematiche della retorica musicale ci rivela che alcuni dei nodi teoretici finora emersi possono essere individuati anche in ambiti molto lontani. Nel Rinascimento la retorica classica viene applicata alla musica: nelle Istitutioni Harmoniche (1558), illustrando la creazione di un contrappunto a un soggetto, Zarlino cita l’arte oratoria di Platone, Aristotele, Cicerone e Quintiliano. Inventio, dispositio ed elocutio sono parametri concettuali che facevano parte dell’educazione musicale – oltre che retorica – dell’epoca.25 Sono i teorici di lingua tedesca a sviluppare appieno la dottrina delle figure musicali, la Figurenlehre, a partire dai primi trattati di musica poetica.26 La prima elaborazione della musica poetica si trova nel Musica di Nikolaus Listenius (C. Rhau, Wittemberg 1537), dove essa va ad affiancare la musica theorica (teoria speculativa, disciplina quadriviale correlata alle proporzioni numeriche degli intervalli e dei temperamenti) e la musica pratica (composizione, contrappunto, notazione mensurale), a completamento della triade aristotelica delle attività della mente umana: teoretica, pratica e creativa.27 I teorici successivi ampliano e approfondiscono questo approccio, identificando specifiche strutture melodiche, contrappuntistiche o formali. In Musica poetica (S. Myliander, Rostock 1606) Joachim Burmeister offre un lungo elenco di figure musicali, divise in figurae

harmoniae, figurae melodiae, figurae tam harmoniae quam melodiae.28 Il modello stilistico rispetto

22 Gianfranco VINAY, Quaderno di Strada de Salvatore Sciarrino, cit., p. 43.

23 Ibidem.

24 Citiamo due recenti studi di retorica musicale, cui rimandiamo per una trattazione specifica: Patrick MCCRELESS, «Music and rethoric», in The Cambridge History of Western Music Theory, a c. di Th. Christensen, Cambridge University Press, Cambridge 2002, pp. 847-879; Patrick MACEY, «Retorica e affetti nel Rinascimento», in Enciclopedia

della musica. IV. Storia della musica europea, a c. di J.-J. Nattiez, Einaudi, Torino 2004, pp. 316-340. In George J.

BUELOW – Peter A. HOYT – Blake WILSON, ad vocem «Rhetoric and music», in New Grove Dictionary of Music and

Musicians, 2nd Ed., MacMillan, London 2001, si può trovare una abbondante bibliografia per un approccio storico alla

Figurenlehre.

25 Cfr. anche Blake WILSON, ad vocem «Rhetoric and music, I. Up to 1750, §1. Middle Ages and Renaissance», cit.

26 Cfr. Patrick MCCRELESS, «Music and rethoric», cit., pp. 852-853.

27 Ibidem.

28 A titolo di esempio, citiamo le figurae harmoniae di fuga realis (procedimento imitativo), hypallage (fuga con inversione), noema (sezione omofonica declamatoria), symblema (nota di passaggio su tempo debole), pathopoeia (alterazione cromatica); le figurae melodiae di palillogia (ripetizione di un frammento melodico alla stessa voce e alla stessa altezza), climax (ripetizione di un frammento melodico ad altezza differente), hyperbole (trapassamento all’acuto dell’ambito modale), hypobole (trapassamento al grave dell’ambito modale); le figurae tam harmoniae quam melodiae di congeries (successione 5-6-5-6 o 3-3-3-3), fuga imaginaria (canone), supplementum (elaborazione finale). La divisione di Burmeister intende replicare la retorica classica, che distingueva fra figurae dictionis o verbi (che riguardavano singole parole) e figurae sententiae (che riguardavano intere frasi o periodi). Tali “figure” vengono intese

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al quale è organizzata la teoria è la polifonia classica del Cinquecento: il compositore di riferimento è Orlando di Lasso. Le figure musicali sono talvolta configurazioni melodiche di singole voci dell’ordito contrappuntistico (palilogia, climax), talvolta procedimenti contrappuntistici rientranti nella norma stilistica del linguaggio cinquecentesco (symblema), talvolta costruzione formale di singoli passaggi e di intere sezioni (fuga realis, noema, supplementum). Anche se non è sempre lecito distinguere con nettezza fra tecnica del dettaglio e costruzione complessiva (tale distinzione è sicuramente impraticabile per il pensiero di Sciarrino), si può affermare che la dicotomia fra “lessico” e “sintassi” era già insita nella teoria della Figurenlehre. Alcune figure musicali determinano il livello sintattico della costruzione del discorso musicale, in un senso analogo alle figure descritte da Salvatore Sciarrino, altre figure spiegano invece gli elementi di base del linguaggio contrappuntistico. Non per questo, teorici come Listenius e Burmeister ritengono di dover tenere separati i due piani strutturali.

In seguito Christoph Bernard, allievo di Heinrich Schütz, nel Tractatus compositionis

augmentatus (inedito, c. 1660), distingue stylus gravis, stylus luxurians communis e stylus luxurians

theatralis, rinnovando il parco delle figure per adattarsi alla seconda prattica di derivazione italiana (e all’impeto espressivo del suo maestro).29 Di cruciale importanza, ai fini del nostro discorso, è il periodo Barocco, in cui la dottrina delle figure comincia ad essere applicata alla musica strumentale.30 La storia della Figurenlehre arriva fino al Der critische Musicus (B. C. Breitkopf, Lipsia 1745) di Johann Adolf Scheibe che per certi versi prefigura, in una estetica ormai lontanissima dal Rinascimento e dal Barocco, l’analisi motivica su cui si impianta lo stile compositivo del Classicismo viennese.

La teoria delle figure gode di poco credito nell’ambito estetico del Classicismo viennese: l’idea di una corrispondenza stilizzata fra il discorso retorico e la costruzione musicale, pur non venendo del tutto accantonata, non si basa più su un set di procedimenti tecnici standardizzati. Questo