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Antioco III, il Grande

Nel documento Polibio e i re ellenistici (pagine 65-70)

2. I “cattivi” re

2.5 Antioco III, il Grande

L'ultimo re contro cui Polibio scocca i suoi strali è Antioco III120. Figlio più giovane di Seleuco II, fu re

dal 223/224 a.C. al 3 luglio 187 a.C. Fin dai sui primi anni di governo, volle forgiarsi del titolo di βασιλεύς ὁ μέγας , recuperando l'ereditaria formula achemenide di “Gran re”. Quella che ereditò dai suoi predecessori, tuttavia, fu una situazione politica abbastanza complicata e sull'orlo del collasso. L'Asia Minore si era distaccata dal governo centrale con l'ascesa di Rodi e Pergamo (228-223 a.C. contro Antioco Ierace); contemporaneamente le province orientali, la Battriana sotto il greco Diodoto (255 a.C. c.a.) e la Partia sotto Arsace I (235 a.C c.a.), si erano ribellate con successo. Questa frammentarietà aveva indebolito economicamente e politicamente il regno e aveva indotto Antioco a progettare una grandiosa spedizione verso oriente per tentare di riunificare i territori defezionatisi. La ribellione della Media e della Persia, tuttavia, guidata dai loro governatori, i fratelli Molone ed Alessandro (223-221 a.C.) e, subito dopo, lo scoppio della quarta guerra siriaca (221-217 a.C.) contro Tolomeo IV, lo costrinsero a interrompere l'ambizioso progetto dell' ἀνάβασις (V, 48, 17). Solo nel 212 a.C. e fino al 205 a.C., Antioco III riuscì a realizzare la sua spedizione che lo condusse fino in India e con la quale realizzò un grande sistema di stati vassalli, che ebbe però la durata del suo regno.

Anche Antioco III non viene risparmiato dall'invettiva di Polibio (XV, 37): Ὅτι Ἀντίοχος ὁ βασιλεὺς ἐδόκει κατὰ μὲν τὰς ἀρχὰς γεγονέναι μεγαλεπίβολος καὶ τολμηρὸς καὶ τοῦ προτεθέντος ἐξεργαστικός, προβαίνων δὲ κατὰ τὴν ἡλικίαν ἐφάνη πολὺ καταδεέστερος αὑτοῦ καὶ τῆς τῶν ἐκτὸς προσδοκίας121.

Il re Antioco sembrava inizialmente assai intraprendente, audace e capace di realizzare i suoi propositi; andando avanti nell'età apparve invece molto al di sotto di se stesso e delle aspettative degli estranei122.

Trattandosi di un frammento è difficile intuire a cosa Polibio si riferisse parlando di aspettative (προσδοκίας). Potrebbe significare o che nel 202 a.C. Antioco rinunciò ad intraprendere la guerra contro l'Egitto per la Celesiria che tutti ritenevano imminente, o che, pur avendola intrapresa, non registrò immediatamente i successi sperati. Ciò che è possibile dire è che tra quegli estranei (τῶν ἐκτὸς) si può scorgere lo sguardo dello storico.

La figura di Antioco III presenta grosse analogie con quella di Filippo V. Entrambi all'inizio, sono illuminati dalla luce dell'aspettativa che brilla per la loro giovane età e la loro tempra morale; ma entrambi, alla fine, precipitano nell'ombra della tracotanza personale e

121Propongo il testo come stampato da Büttner-Wobst (1889). 122La traduzione italiana è di Musti, Mari (2002)

della debolezza decisionale che lascia il posto alle oscure aspirazioni dei consiglieri.

Come Apelle per Filippo V, Ermia teneva in pugno Antioco III. Egli dispiegava i suoi intrighi mentre era in atto la rivolta di Molone; ostacolava i più validi consiglieri del re; componeva lettere false per indurre Antioco a credere che in Asia Minore Acheo era sobillato da Tolomeo IV e che Epigene era colluso con Molone. Ad Apamea, addirittura, di fronte ad una ribellione dell'esercito per non aver ricevuto il soldo, Ermia costringe il re a cedere al suo ricatto: egli si offriva di pagare di tasca propria il soldo all'esercito, a condizione che il re escludesse dal comando il valente e stimato Epigene. Scrive Polibio, a questo proposito (V, 50, 1-6): ἀθροισθεισῶν δὲ τῶν δυνάμεων εἰς Ἀπάμειαν, καί τινος ἐγγενομένης στάσεως τοῖς πολλοῖς ὑπὲρ τῶν προσοφειλομένων ὀψωνίων, λαβὼν ἐπτοημένον τὸν βασιλέα καὶ δεδιότα τὸ γεγονὸς κίνημα διὰ τὸν καιρόν, ἐπηγγείλατο διαλύσειν πᾶσι τὰς σιταρχίας, ἐὰν αὐτῷ συγχωρήσῃ μὴ στρατεύειν μετ᾽αὐτῶν τὸν Ἐπιγένην· οὐ γὰρ οἷόν τ᾽εἶναι τῶν κατὰ λόγον οὐδέν πράττεσθαι κατὰ τὴν στρατείαν τηλικαύτης ἐν αὐτοῖς ὀργῆς καὶ στάσεως ἐγγεγενημένης. Ὁ δὲ βασιλεὺς δυσχερῶς μὲν ἤκουσε καὶ περὶ παντὸς ἐποιεῖτο σπουδάζων διὰ τὴν ἐμπειρίαν τὼν πολεμικῶν συστρατεύειν αὑτῷ τὸν Ἐπιγένην, περιεχόμενος δὲ καὶ προκατειλημμένος οἰκοναμίαις καὶ φυλακαῖς καὶ θεραπείαις ὑπὸ τῆς Ἐρμείου κακοηθείας οὐκ ἦν αὑτοῦ κύριος· διὸ καὶ τοῖς παροῦσιν εἴκων συνεχώρησε τοῖς ἀξιουμένοις123.

Quando furono raccolte le truppe ad Apamea e nacque una sommossa tra i soldati a causa degli stipendi che erano ancora loro dovuti, egli, avendo compreso che il re era turbato e spaventato per l'agitazione che era sorta, date le circostanze, promise di pagare il soldo a tutti, se il re avesse acconsentito a escludere Epigene dalla loro spedizione: non era possibile, infatti, fare nulla di ragionevole nella spedizione, visto che erano nati tra loro un rancore e un contrasto così grandi. Il re ascoltò malvolentieri quelle parole: riteneva della massima importanza fare di tutto perché Epigene partecipasse alla spedizione con lui, data la sua esperienza in guerra, ma d'altra parte, circondato e prevenuto dai maneggi, dal controllo e dalle attenzioni messi in atto da Ermia nella sua malvagità, non era del tutto padrone delle proprie azioni: perciò cedette alle circostanze e acconsentì alle sue richieste124.

Ancora una volta, si evince l'importanza dell entourage decisionale del re e di quanto fosse grande il potere di chi ne faceva parte. Si trattava spesso di una grandezza non solo politica, ma anche e soprattutto economica, che in un sistema militare basato in gran parte sul reclutamento mercenario e comunque sul ingaggio in denaro dei soldati, si traduceva più che mai in peso decisionale.

Come abbiamo osservato per Filippo V, tuttavia, Antioco III non è criticato solamente per la debolezza nei confronti dei suoi consiglieri. Quelle aspettative deluse di cui abbiamo detto, per Polibio, sono riferite soprattutto alla bassezza dimostrata nel siglare l'accordo di spartizione del regno tolemaico con

Filippo V (205 a.C.). Così descrive i fatti Polibio (XV, 20, 1-5): Τοῦτο δὲ τίς οὐκ ἄν θαυμάσειε, πῶς, ὅτε μὲν οὐτὸς ὁ Πτολεμαῖος ζῶν οὐ προσεδεῖτο τῆς τούτων ἐπικουρίας, ἕτοιμοι βοηθεῖν ῏εσαν, ὅτε δ᾽ἐκεῖνος μέτήλλαξε καταλιπὼν παιδίον νήπιον, ᾦ κατὰ φύσιν ἀμφοῖν ἐπέβαλλε συσσῴζειν τὴν βασιλείαν, τότε παρακαλέσαντες ἀλλήλους ὥρμησαν ἐπὶ τὸ διελόμενοι τὴν τοῦ παιδὸς ἀρχὴν ἐπανελέσςαι τὸν ἀπολελειμμένον, οὐδ᾽οὖν, καθάπερ οἵ τύραννοι, βραχεῖαν δή τινα προβαλλόμενοι τῆς αἰσχύνης πρόφασιν, ἀλλ᾽ἐξ αὐτῆς ἀνέδην καὶ θηριωδῶς οὕτως ὥστε προσοφλεῖν τὸν λεγόμενον τῶν ἰχθύων βίον, ἐν οἷς φασιν ὁμοφύλοις οὖσι τὴν τοῦ μείονος ἀπώλειαν τῷ μείζονι τροφὴν γίνεσθαι καὶ βίον. Ἐξ ὧν τίς οὐκ ἄν ἐμβλέψας οἷον εἰς κάτοπτρον εἰς τὴν συνθήκην ταύτην αὐτόπτης δόξειε γίνεσθαι τῆς πρὸς τοὺς θεοῦς ἀσεβείας καὶ τῆς πρὸς τοὺς ἀνθρώπους ὠμότητος, ἔτι δὲ τῆς ὑπερβαλλούσης πλεονεξίας τῶν προειρημένων βασιλέων; οὐ μὴν ἀλλὰ τίς οὐκ ἄν εἰκότως τῇ τύχῃ μεμψάμενος ἐπὶ τῶν ἀνθρώπείων πραγμάτων ἐν τούτοις ἀντικαταλλαγείη, διότι ἐκείνοις μὲν ἐπέθηκε μετὰ ταῦτα τὴν ἁρμόζουσαν δίκην, τοῖς δ᾽ἐπιγενομένοις ἐξέθηκε κάλλιστον ὑπόδειγμα πρὸς (ἐπ)ανόρθωσιν τὸν τῶν προειρημένων βασιλέων πραδειγματισμόν;125

Chi non si meraviglierebbe del fatto che quando lo stesso Tolemeo, vivo, non aveva bisogno della loro assistenza erano pronti a soccorrerlo, mentre quanto morì, lasciando un figlioletto in tenerà età aiutare il quale a conservare il regno sarebbe stato dovere naturale di entrambi, si incoraggiarono a vicenda e presero l'iniziativa di spartirsi domini del fanciullo e di eliminare l'orfano, senza neanche mettere avanti un piccolo pretesto per quella vergogna, come fanno i tiranni, ma su due piedi, così

impunemente e brutalmente da meritare l'accusa di vivere come si dice dei pesci, tra i quali, anche se sono della stessa razza, dicono che la rovina del più piccolo sia nutrimento e vita per il più grande? Di conseguenza chi, guardando a questo patto come in uno specchio, non penserebbe di vedervi coi propri occhi l'empietà verso gli dei, la crudeltà verso gli uomini e l'avidità senza limiti di quei re? E tuttavia chi, dopo aver a ragione biasimato la fortuna per le umane vicende, non vi si riconoscerebbe in questo, poiché a costoro impose in seguito la pena che meritavano e a quelli venuti dopo propose la punizione esemplare di quei re quale magnifico modello correttivo?126

Con una studiata rindondanza, piena di vivide metafore e di interrogative retoriche, Polibio sottolinea l'eccesso di empietà, crudeltà e illimitata cupidigia che Antioco III aveva dimostrato siglando l'accordo insieme a Filippo V. Anche qui viene evocata la τύχη, questa volta accostata alla suggestiva immagine dello specchio (κάτοπτρον) che, nel riflettere le azioni, riflette anche le colpe e corregge la giustizia (μετὰ ταῦτα τὴν ἁρμόζουσαν δίκην).

Nel documento Polibio e i re ellenistici (pagine 65-70)

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