2. I dibattiti: la prima metà degli anni Venti
2.2. Antisemitizm? di Z Gippius: intelligencija radicale e antisemitismo (1921)
Nel 1921, in seguito alla pubblicazione del Diario di Zinaida Gippius, sulla stampa d’emigrazione sarebbe esplosa una polemica a proposito dell’antisemitismo.
Lungo la narrazione, infatti, la scrittrice aveva utilizzato un procedimento tipico dei testi antisemiti, ovvero aveva indicato accanto allo pseudonimo dei bolscevichi il vero nome ebraico; Gippius, inoltre, faceva allusione a un’identificazione tra bolscevichi ed ebrei. Un esempio si può trovare in questo passaggio, dove la scrittrice descriveva un attentato antibolscevico a Mosca: “Когда ‘их’ в Москве взорвало (очень ловкий был взрыв, хотя по последствиям незначительный, убило всего несколько не главных евреев и евреек, да оглушило Нахамкиса”.274
L’avvocato e letterato ebreo V. Šach aveva commentato su Poslednie novosti275 alcuni
passaggi dedicati agli ebrei, chiedendosi se quegli intellettuali che avevano lasciato recentemente la Russia non fossero stati contagiati dall’antisemitismo. La replica di Gippius era venuta sotto forma di un articolo intitolato Antisemitizm? (“Antisemitismo?”)276. La
scrittrice, che considerava la questione ebraica caratterizzata da “una così bruciante attualità”, sostanzialmente negava la possibilità di accusare l’intelligencija russa di antisemitismo.
Нет, если есть какая нибудь точка “святости” в душе русского интеллигента – она тут, в его кристально-честном отношении к евреям. […] Так было, и это было неизменно, а теперь… теперь к этому прибавилось ещё нечто новое: ощущение в полноте и внешнего нашего равенства с евреями, одинаковости нашей в несчастии.277
Nella lettura di Gippius, dunque, non solo storicamente l’antisemitismo sarebbe stato estraneo all’intelligencija (nella sua maggioranza liberale, se non rivoluzionaria, e dunque necessariamente orientata favorevolmente alla soluzione del problema della parità di diritti degli ebrei), ma la diaspora avrebbe ravvicinato ulteriormente queste due parti, nella condivisione della stessa sventura. Parlare di pogrom, di ‘nazione sfruttata’ e simili, sarebbe stato dunque un mero retaggio pre-rivoluzionario di persone che la rivoluzione non l’avevano capita. L’unico pogrom di cui si poteva parlare era quello panrusso (общероссийский) di Lenin, che aveva portato ebrei e russi sullo stesso identico, sventurato, piano. La linea di separazione tra ‘noi’ e ‘loro’ non divideva ebrei e russi, ma “russi ed ebrei picchiati” e “russi
274 Z. Gippius, “Dnevnik”, Russkaja mysl’, n. III-IV, marzo-aprile, 1921, pp. 49-99:64.
275 V. Šach, “Byl’ i legenda”, Poslednie novosti, n. 344, 1921 (4 giugno). Nell’articolo l’autore di riferisce anche
a V.D. Nabokov, e definisci entrambi gli scrittori “demagoghi”.
276 Z. Gippius, “Antisemitizm?”, Obščee delo, n. 343, 1921 (24 giugno). 277 Ivi.
ed ebrei picchiatori”. Insomma, che si trovasse o meno nella Russia sovietica, l’intelligencija russa mai era stata antisemita e meno che meno poteva diventarlo ora, nel nuovo contesto di ‘condivisione’ della condizione diasporica.
Un’altra questione era invece a parere di Gippius quella che riguardava gli strati bassi della popolazione. In base alle sue informazioni di prima e di seconda mano, la scrittrice rispondeva con un paradosso: “Антисемитизма нет. Видимость его есть».278
L’antisemitismo non ci sarebbe stato, in quanto elemento estraneo allo spirito stesso del popolo russo, non solo nel nord, ma anche nel sud; sarebbe stato estraneo inoltre anche all’esercito e al primo bolscevismo. Negli ultimi tempi, tuttavia, fermo restando che di antisemitismo continuava a suo parere a non esserci neanche l’ombra, sarebbe comparsa una sua “parvenza”. Questa l’intricata spiegazione di Gippius: “Насколько я, глядя очень пристально, могу проследить, – зарождение и рост ненависти к коммуне совпадают во времени и с началом этой «видимости» антисемитизма. Около главной линии ненависти стала завиваться и эта призрачная”.279 Questo “sovrapporsi di linee” sarebbe
dovuto al fatto che, sebbene gli ebrei non fossero in rapporto percentuale la componente più cospicua tra i commissari, essi ne erano tuttavia la più visibile: “Большевики напрасно пытались поставить комиссаров «на виду» именно из русских. Инородцы оказывались надёжнее, – фанатичнее, работоспособнее”.280
L’insoddisfazione del popolo nei confronti della comune si sarebbe dunque riversata sugli ebrei, ma solo superficialmente. Anche quando si parlava di pogrom imminenti, sarebbe stata una sciocchezza pensare che si facessero distinzioni di nazionalità: la linea di separazione, come già Gippius aveva affermato, sarebbe passata per il grado di coinvolgimento con il bolscevismo. “Вот это надо на конец понять и принять: наше действительное равенство с евреями. Виновный одинаково виновен, будь он еврей или не еврей. Невинный одинаково невинен, будь он еврей или не еврей”.281
La negazione dell’antisemitismo da parte di Gippius era totale – e poco sostenibile, aggiungerei; anticipando possibili rimostranze, la scrittrice spiegava come i pogrom durante la guerra civile, non differentemente da quelli d’epoca zarista, fossero suscitati “dall’alto”. Sulla natura di questo antisemitismo dei vertici, l’autrice non si soffermava purtroppo, mentre sarebbe di sicuro non privo di interesse capire come questo fenomeno potesse essere spiegato in questa interpretazione. Inoltre, una delle ragioni ulteriori portate a suffragio della sua teoria
278 Ivi. 279 Ivi. 280 Ivi. 281 Ivi.
di inesistenza dell’antisemitismo tra popolo e intelligencija russa, Gippius lo vedeva nei rivolgimenti interni della Chiesa e della spiritualità russa: a suo parere, queste evoluzioni avrebbero portato a una religiosità improntata alla tolleranza, non all’odio nazionale.282
A questo intervento di Gippius reagiva sulle pagine di Evrejskaja tribuna il famoso pubblicista ebreo St. Ivanovič (Portugejs): egli sosteneva che da più parti in emigrazione si stesse cercando di convincere gli ebrei dell’infondatezza dei loro timori a proposito di una crescita dell’antisemitismo, seguendo la formula “tutto ciò che è irragionevole è irreale”.283
Gippius in particolare poi, avrebbe cercato di appiattire le differenze tra le situazioni dei due gruppi,284 senza riconoscere il particolare carattere delle persecuzioni ebraiche, dimostrato dal
fatto stesso che vi fosse bisogno di contestare l’affermazione che tutti i commissari fossero ebrei. L’aspetto più interessante della replica di Portugejs stava invece nella spiegazione che proponeva dell’ostinata negazione dell’esistenza dell’antisemitismo da parte dell’intelligencija:
Тогда [ai tempi dello zar, mgr] евреев били за то, что они были против тогдашнего царя. Теперь их бьют за то, что они будто бы за теперешнего царя. Тогда их били сторонники правительства, теперь их преимущественно бьют противники правительства. Эта разница имеет огромное значение. Антиправительственный курс избивающих сближает их с некоторыми людьми, ничего общего не имеющих с погромами, но тоже антиправительственно настроенными. При самодержавии они находились в резко враждебных между собой политических станах. Теперь произошло сближение. Поэтому некоторые интеллигенты не хотят видеть, а может быть просто слепы по отношению к погромной и антисемитской стихии.285
Abituati dunque a considerare l’antisemitismo come attributo degli avversari politici, gli intellettuali non si sarebbero resi conto di come l’avvicinamento tra loro avesse per così dire ‘importato’ l’antisemitismo tra le loro fila.
In seguito alle repliche ricevute, a distanza di poco più di un mese, Gippius pubblicava un altro articolo, intitolato Edinyj pogromščik (“L’unico pogromista”).286 Questo secondo
intervento era incentrato ancora una volta sull’affermazione di una sostanziale eguaglianza tra russi ed ebrei nell’Unione Sovietica del tempo. Le notizie giunte all’emigrazione a proposito della crescente minaccia costituita dai pogrom in Russia (notizie in parte riferite da coloro che
282 Sulla questione del rapporto tra Chiesa e pensiero teologico cristiano ed ebraismo in questi anni riverremo nel
prossimo capitolo.
283 St. Ivanovič, “Ten’ antisemitizma”, Evrejskaja tribuna, n. 83, 1921 (29 luglio), p. 2.
284 In realtà, l’impostazione di Gippius che vede nella rivoluzione un “pogrom generale”, sarà ripresa molti anni
più tardi da Portugejs nell’articolo “Evrei i sovetskaja diktatura”, in Evrejskij mir. Ežegodnik na 1939 god, ristampato nel 2002 (Mosty kul’tury), ma, anche in quest’occasione, Portugejs non appiattisce le differenze tra i due gruppi.
285 St. Ivanovič, “Ten’ antisemitizma”, cit..
erano scappati recentemente dalla Russia sovietica, tra cui tale Krejnin,287 che aveva tenuto
alcune conferenze a tale proposito288), venivano a parere di Gippius mal interpretate se lette
con il prisma dell’antisemitismo. La scrittrice ribadiva infatti che i pogrom avevano carattere “comune” (nel senso che non facevano distinzioni di nazionalità) ed erano dettati dall’anticomunismo, non dall’antisemitismo. A suffragio di questa tesi apportava anche la crescita delle agitazioni “anti-cinesi” (intendendo con questo termine le varie popolazioni asiatiche della Russia), che avrebbero dimostrato come il movente principale di quest’ostilità era l’anticomunismo. Sul perché “cinesi” ed ebrei pagassero per l’anticomunismo del popolo russo, l’autrice non si esprimeva, evidentemente rimandando alla spiegazione data nell’articolo precedente sulla loro maggiore “visibilità”.
La parte più interessante e discutibile di questo secondo articolo riguardava però il concetto di una “diseguaglianza dell’uguaglianza”: “[…] я скажу прямо: мы, русские, больше и глубже чувствуем равенство с евреями, чем евреи с нами. Мы не обособляем себя, не можем”.289 Quest’affermazione sarebbe stata suscitata dal fatto che, mentre gli aiuti alla
popolazione russa provenienti dai russi non avrebbero operato distinzioni di nazionalità, molti ebrei avrebbero avuto la tendenza a occuparsi solo dei ‘loro’: “[…] многие еврейские деятели несомненно обособляют свой народ, выделяют его из всей массы одинаково погибающих”. L’autrice ne deduceva che gli ebrei a questo proposito non avevano ancora raggiunto i ‘traguardi’ russi.
Avendo sostenuto una regola – l’assenza di antisemitismo tra il popolo e soprattutto l’intelligencija russa – Gippius riportava anche le eccezioni che la confermavano e citava le lettere da parte di antisemiti russi ricevute in seguito al suo primo articolo, in cui la si accusava di aver difeso gli ebrei. Una di queste lettere è piuttosto significativa rispetto alla deriva antisemita di parte della società d’emigrazione russa: “Какой-то «джентльмен» из Англии, выразив сомнение, уж не принадлежу-ли я к еврейской национальности (в скобках прибавив: «кто вас знает?») внезапно заключил: «я не монархист, а социалист. И теперь, оставаясь чистым социалистом, я – антисемит»”.290
Ciononostante, per Gippius non si sarebbe trattato di veri antisemiti, ma di poveri emigranti che avevano smarrito se stessi. Non loro sarebbero i pogromščiki, ma solo uno, comune:
Один у нас погромщик, один и тот-же и у нас, русских, и у вас, евреи. Это унтер Буденный, это поляк Дзержинский, это еврей Лев Бронштейн, это русский Владимир
287 Probabilmente Miron Krejnin, giurista, uno degli organizzatori della Evrejskaja narodnaja partija, in Europa
dal 1921, prima a Berlino, poi, dal 1927, a Parigi (cfr. Rossijskoe zarubež’e vo Francii, cit.).
288 Cfr. “Bol’ševiki i evrejskij vopros”, Obščee delo, n. 364, 1921 (15 luglio). 289 Gippius, “Edinyj pogromščik”, cit..
Ульянов со своими советником и другом, русским писателем Алексеем Пешковым. Да и мал-ли ещё имён у этого единого погромщика! Против него одного, за жизнь наших близких, за нашу жизнь, и хотим мы, – и должны идти на борьбу – рука об руку с еврейским народом. Мы равные, мы братья: слезы и кровь соединили нас в одно.291
Sarebbe curioso scoprire quante altre lettere minatorie da parte di ‘povere eccezioni’ avesse poi ricevuto Gippius in seguito a queste accorate righe. Ad ogni modo, nonostante il tono apparentemente filosemita, le posizioni sostenute nei due articoli non mancarono di suscitare un’ulteriore risposta sulle colonne di Evrejskaja tribuna, da parte di un collaboratore abituale che si firmava con lo pseudonimo di Verax.292 L’autore della replica, dopo aver contestato la
posizione di Gippius, che non sembrava al corrente del numero di vittime “specificamente ebraiche”, passava a ribattere alla frase sulla “separazione ebraica”:
В какой Аркадии счастливой жила и живёт г-жа Гиппиус? Если она говорит о своём маленьком собственном кружке друзей, она, вероятно, права. Но она говорит об явлении общем – ни один русский. Господи, да знает ли она что делается в Константинополе, в Белграде, даже в Париже? Знает ли она, что еврею труднее получить сантим из официального или частного чисто-русского учреждения, чем эс-эру получить благословение “Общего дела”? Мы не можем уверить её, что из тысячи и десяток тысяч, пожертвованных евреями на русские благотворительные учреждения, евреи не получили и сотой доли помощи, которую они по своей численности и нужде имели право. Вот почему евреи “обособляются”, то есть, жертвуют ещё раз на специально еврейские экспедиции помощи погромлённых, которые, кстати, по принципу оказывают помощь всем, без различия национальности.293
Non che Verax volesse accusare il popolo russo di antisemitismo, ma sosteneva che, se responsabile principale della diffusione dell’identificazione tra ebrei e bolscevichi era l’intelligencija reazionaria, l’intelligencija progressista era colpevole di aver taciuto, lasciando che quest’assunto prendesse piede. Del resto, la lettera del ‘gentleman’ dall’Inghilterra, farebbe pensare che, nonostante l’impegno mostrato da alcuni suoi membri, l’intelligencija progressista fosse responsabile di ben oltre che il silenzio messo all’indice da Verax.
Se leggiamo l’articolo di Gippius sullo sfondo dei discorsi a proposito della questione ebraica diffusisi a partire dal periodo della guerra civile, la sua scelta di non considerare i pogrom quali specificamente ebraici, ricorda i confronti spesso operati tra “pogrom ebraici ad opera dei russi” e “pogrom russi ad opera degli ebrei”.294 Come se affermare l’esistenza di entrambe
291 Ivi.
292 Verax, “Na slučajnye temy”, Evrejskaja tribuna, n. 86, 1921 (19 agosto), pp. 4-5.
293 La questione degli aiuti ebraici che ‘discriminavano’ i russi era stata sollevata anche l’anno precedente da
Aleksinskij su Obščee delo, cfr. “Obzor pečati”, Evrejskaja tribuna, n. 2, 1920. Al contrario l’idea che dei soldi raccolti dalle organizzazioni benefiche ebraiche fruissero anche i russi tornerà nel dibattito sulla colonizzazione del 1925.
294 Cfr. a questo proposito Budnickij, Rossijskie evrei meždu krasnymi i belymi, cit., p. 359, ma l’espressione
le tipologie azzerasse i conti, Gippius considerava chiusa la questione. Ancor più importante è la negazione dell’esistenza di un antisemitismo colto attraverso una lettura che pareva (voler?) ignorare in toto alcuni segnali piuttosto forti in tal senso.295
L’affermazione di Šach riguardo all’“importazione” dell’antisemitismo tra le fila dell’intelligencija risulta invece, a posteriori, piuttosto convincente, così come l’idea avanzata da St. Ivanovič che ciò dipendesse dal cambiamento degli equilibri politici. Per quanto riguarda Gippius stessa, però, il termine antisemitismo appare inappropriato: le sue affermazioni non erano antisemite, nel senso di aperta ostilità connesso a tale termine, ma facevano effettivamente propri alcuni stereotipi del discorso antisemita – ad esempio l’idea di una tendenza “separatista” degli ebrei o quella dei commissari-ebrei – inserendoli però in una cornice ideologica filo-semita, in cui l’antisemitismo era connotato negativamente.
Šach coglieva, invece, un fenomeno agli inizi, ma che avrebbe trovato successive conferme: la crisi dell’impostazione liberale tradizionale, che sulla questione ebraica sembrava rivelarsi con particolare forza.
L’esempio più eclatante di questo ‘riorientamento’, esempio di cui nell’emigrazione si era discusso in abbondanza, era quello di I.F. Naživin, che il 9 ottobre 1919 aveva pubblicato su
Svobodnaja reč’ (“La libera espressione”), organo del partito cadetto, l’appello K evrejskoj intelligencii (“All’intelligencija ebraica”). Naživin era stato un convinto tolstoiano e aveva
intrapreso, prima della rivoluzione, la pubblicazione del giornale Zelenaja Paločka (“La bacchetta verde”). Allo scoppio della Rivoluzione d’ottobre si era schierato con l’Esercito volontario e collaborava con l’OSVAG (Осведомительное Агенство, “Agenzia informativa”), l’agenzia di informazione e propaganda dei Bianchi. Nell’appello egli esordiva dichiarando di non essere mai stato antisemita, ma di essersi anzi occupato della storia ebraica, che trovava di “tragica bellezza”.296 Data dunque la sua estraneità all’antisemitismo,
invitava l’intelligencija ebraica ad ascoltarlo con attenzione. La sua tesi centrale consisteva
295 A proposito dell’attitudine di Gippius nei confronti della questione ebraica, non priva di interesse è la
testimonianza di R. Gul’, che, nelle sue memorie, riporta il seguente episodio che gli sarebbe stato raccontato da M. Slonimskij: “– А вы знаете, Зинаида Николаевна Гиппиус ведь всегда была большой любительницей задавать людям всякие едкие и каверзные вопросы. Вот она и меня как-то спрашивает «Скажите, Миша, вот вы крещеный еврей, русский человек, но вот когда вы узнаете о еврейском погроме, на какой стороне вы себя чувствуете — на стороне громящих или на стороне громимых?» Я отвечаю ей вопросом: «А вы, Зинаида Николаевна, на какой стороне себя чувствуете?» – Ну, я-то, естественно, на стороне громящих. Но меня интересует, на какой стороне чувствуете себя вы, крещеный еврей, от еврейства совершенно оторвавшийся? »” (R. Gul’, Ja unes Rossiju. Apologija emigracii. T. I. Rossija v Germanii, New York, Izd. Most, 1984, pp. 285-286). Non possiamo sapere, quanto questa testimonianza corrisponda al vero, ad ogni modo, mi pare che potrebbe essere plausibile, soprattutto in ragione delle simpatie di Gippius per i socialisti rivoluzionari, che in certi momenti interpretavano i pogrom quali lotta del popolo contro i suoi oppressori.
appunto nell’idea che gli sviluppi post-rivoluzionari avessero messo in crisi la posizione tradizionale dell’intelligencija riguardo alla questione ebraica: l’antisemitismo non poteva spiegarsi quale frutto della manipolazione governativa. Gli eventi seguiti alla rivoluzione di febbraio avevano infatti dimostrato che, scomparso il governo zarista, gli umori anti-ebraici avevano subito un’intensificazione invece di indebolirsi. Naživin avanzava un’interpretazione ‘irrazionalista’, imputando l’antisemitismo a una profonda avversione, ineffabile, basata su “qualche cosa di razziale”.297 L‘antipatia’ verso i semiti era a suo parere intrinseca al popolo
russo, ma alcune circostanze la rafforzavano e allargavano la sfera d’influenza dell’antisemitismo. Gli ultimi anni erano stati caratterizzati proprio da tale espansione, che necessitava di un’analisi e di una presa di coscienza. La spiegazione offerta da Naživin aveva a che vedere con “il fervore che l’intelligencija ebraica – che sia chiaro, non le larghe masse popolari ebraiche, ma proprio l’intelligencija e la semi-intelligencija – ha dimostrato nel prendere parte alla nostra devastante rivoluzione.298 Ora che l’ondata rivoluzionaria si stava
ritirando, i russi erano presi da un risveglio del sentimento nazionale e notavano la quantità di nomi ebraici nelle prime file dei bolscevichi. Naživin non negava che gli ebrei fossero presenti anche tra gli oppositori dei bolscevichi, ma sosteneva che le masse non capivano le distinzioni tra ebrei, preferendo passare alle vie di fatto, ai pogrom. Sebbene Naživin presentasse l’appello agli ebrei a boicottare i bolscevichi come consiglio per evitare la furia popolare, esso suonava piuttosto come un ricatto:
[…] Уходите отовсюду, где вас видно, молчите, спрячьтесь, пожертвуйте собой нашему народу и той России, в которой вы живете, дайте ей покой. Если войска наши, наше крестьянство с яростью обрушивается на проклятых выродков-матросов, то не будет пощады и вам, вам особенно.299
L’autore infatti, se da una parte rappresentava le violenze anti-ebraiche come inaccettabile, ma inevitabile risposta alla partecipazione ebraica alla rivoluzione (come, del resto, faceva anche Novoe vremja), dall’altra dava voce a una proposta, a sua detta diffusa tra alcune figure pubbliche: dichiarare gli ebrei cittadini stranieri.300 Paragonandoli ai polacchi, che dal
momento della proclamazione di uno stato polacco indipendente avevano perso la
297 Parlando non di odio, ma di “repulsione” (отталкивание), l’autore riprendeva la terminologia di Struve,
coniata nel 1909, su cui torneremo più avanti in questo capitolo. Le posizioni ‘irrazionaliste’, come vedremo, erano spesso alla base dei discorsi antisemiti di matrice razziale. Šul’gin, nel suo testo Čto nam v nich ne
nravitsja (Paris, Russia Minor, 1929), manifesto dell’antisemitismo d’emigrazione, cercherà di ‘spiegare’ con
argomentazioni genetiche questo profondo sentimento di avversione, a suo parere caratteristico dei “nuovi antisemiti” post-rivoluzionari.
298 I. Naživin, “K evrejskoj intelligencii”, cit.. 299 Ivi.
300 Anche qui si noti la somiglianza di questa posizione con quelle propagandate su Novoe vremja, cfr. ad
esempio Rennikov, “Malen’kij fel’eton: Amicus Verax, sed major amica veritas”, Novoe vremja, n. 215, 1922 (14 gennaio).
cittadinanza russa, egli auspicava che agli ebrei fosse riservata la stessa sorte. Ora, il fatto che gli ebrei non avessero ancora uno stato indipendente costituiva un ostacolo non indifferente a tale progetto, ma Naživin lo ignorava del tutto. La posizione irrazionalista assunta dall’autore dava alla discussione un tono di ineluttabilità che portava a escludere ogni soluzione alternativa: Надо помнить, что жизнь прежде всего иррациональна и никакими разумными доводами в ней ничего не сделаешь. Разгоревшееся национальное чувство в России это стихия – и я, старый интернационалист, скажу теперь даже: святая стихия – и с ней надо считаться. “Россия прежде всего для русских” – вот нарождающийся лозунг, который объединит вокруг себя миллионы в самом скором времени.301
Il vecchio internazionalista Naživin, dunque, come l’autore della lettera a Gippius, faceva sfoggio della sua nuova fede nazionalista. Il fatto che egli auspicasse che il nazionalismo non prendesse tratti troppo esclusivisti, con i presupposti teorici assunti finiva col perdere del tutto significato: in quest’ottica gli umori del popolo non potevano essere indirizzati. La scelta si riduceva alla secca opposizione tra pogrom e cittadinanza straniera e la seconda opzione era presentata quale scelta “più umana, più ragionevole”.
L’aspetto clamoroso di questo intervento consisteva in primo luogo nella sua provenienza. Come lo ha definito Budnickij, si trattava di un “pentimento” vero e proprio in cui l’intellettuale faceva ammenda delle sue passate convinzioni internazionaliste e adottava la ‘fede’ nazionalista applicandone le conseguenze alla questione ebraica. A parere di Budnickij, di cui condividiamo pienamente il giudizio, si trattava anche di altro: “По сути, это было плохо замаскированное предложение об изгнании евреев из страны, в котором они провели, правда, не по своей воле, почти полтора столетия. А пока что – об ограничении евреев в правах”.302
La tesi dello studioso, che vede nell’intervento di Naživin lo scopo ‘occulto’ di proporre l’espulsione degli ebrei dal Paese, permette di sottolineare un elemento importante. Come aveva sottolineato Gippius, nell’ambiente di Naživin, quello dell’intelligencija di sinistra, l’ostilità nei confronti degli ebrei era tradizionalmente considerata un tabù. Perciò gli intellettuali che facevano o avevano fatto parte dell’ambiente progressista erano costretti a un sottile camouflage delle proprie posizioni. Si inaugurava un procedimento retorico che era frutto proprio del passato tabù in materia e che avrebbe trovato ampia diffusione tra la diaspora: al contrario delle concezioni diffuse nella destra radicale a proposito del mondo ebraico, presentato quale repellente massa indistinta, gli intellettuali di impostazione o di
301 Ivi.
passato liberale operavano distinzioni interne al fine di presentare le proprie opinioni quale frutto di ponderate considerazioni ‘oggettive’, piuttosto che di pregiudizi generalizzanti. Il ricorso al procedimento dei distinguo, messo in atto dagli intellettuali nel cui ambiente un aperto antisemitismo era inconcepibile, è un fenomeno del tutto spiegabile: se la ricerca di un nemico è uno dei tratti caratterizzanti della psicologia dell’esiliato, le strategie secondo le quali viene messa a punto variano a seconda del grado di complessità culturale. A proposito dei tratti psicologici dell’emigrazione si veda l’opera di A. Kvakin303 e in particolare la
citazione di J. Gardner, The recovery of confidence:
Будь экстремист правым или левым, его багаж есть ярость и ненависть. Простодушные люди позволяют себе подобные эмоции без маскировки. Более хитрые же давно обнаружили, что нахождение благородной причины, санкционирующей ярость и ненависть, сулит громадную психологическую выгоду.304
Il processo di mascheramento sarebbe dunque fenomeno noto tra le personalità più ‘evolute’, che sarebbero portate a camuffare la propria ostilità, se non il proprio odio, in maniera tale che questo non entri in aperto contrasto con le proprie posizioni ideologiche.
Mi sembra rilevante notare a tale proposito come questo elemento di falsità, di scarto rispetto agli intenti reali fosse colto anche in un commento dell’epoca apparso su Evrejskaja tribuna. Verax, indignato per il modo in cui Naživin spacciаva il suo atto di accusa agli ebrei per preoccupazione di salvarli dai pogrom, tagliava corto con sarcasmo, sostenendo che in difesa dei deboli egli avrebbe dovuto dichiarare cittadini stranieri i possidenti russi, gli ufficiali, gli intellettuali, in breve tutta la Russia, nel tentativo di difenderla da se stessa. Ma proprio l’assurdità rivelata dall’esagerazione mostrava a parere di Verax il cuore dell’affaire Naživin: “Но в том то и дело, что все это – не что иное, как внутренняя и внешняя ложь, гнилость сердечная, дряблость душевная. Сегодня – антисемит, завтра – сверх-юдофил; сегодня – радикал, завтра – “осважник”, а после завтра – опять радикал. […] Куда дует ветер?”.305
A parere del recensore, le buone intenzioni dell’autore non erano nient’altro che menzogne, tese a mascherare un fine diverso, opportunistico. È innegabile che tali repentini cambiamenti di posizione fossero sospetti dal punto di vista dell’onestà intellettuale, ma è anche comprensibile che, nel turbinio di eventi messi in moto dalla guerra mondiale, le coscienze degli uomini subissero uno sconquassamento radicale e prolungato. Inoltre, nella psicologia
303 A.V. Kvakin, “Vne vremeni. (Razmyšlenija ob istoričeskoj psichologii mežvoennogo Rossijskogo
Zarubež’ja)”, in T.A. Parchomenko (a cura di), Rossijskaja intelligencija na rodine i v zarubež’e: novye
dokumenty i materialy: sbornik statej, Rossijskij institut kul’turologii, Moskva, 2001.
304 J. Gardner, The recovery of confidence, New York, 1971, pp. 25-26, cit. in Kvakin, op. cit., p. 37. 305 Verax, “Na slučajnye temy”, Evrejskaja tribuna, n. 98, 1921 (10 novembre), pp. 4-5.
dell’esiliato, la ricerca di un nemico è uno dei tratti caratteristici. È improbabile che il voltafaccia di Naživin potesse liquidarsi come manovra ‘opportunistica’: esso rifletteva pittosto una crisi profonda della visione del mondo dell’intelligencija liberale e,
conseguentemente, della sua alleanza con l’ebraismo.
La peculiarità dell’articolo in questione era dunque legata a svariati elementi: il passato dell’autore, la testata di pubblicazione, il fatto che rompesse un tabù fino a quel momento inviolabile a sinistra, quello della parità di diritti degli ebrei. Ne risultava un quadro inedito e